*** Sommario:
Premessa; 1) Il dovere reciproco di
collaborazione delle parti prima della stipula del contratto definitivo di
compravendita; 2) Valore della diffida ad adempiere effettuata nei
confronti dei promissari acquirenti e responsabilità dell’intimante?
Premessa.
La sentenza del 28.5.03 riportata in
nota (*) resa nelle forme ex art. 281 sexies c.p.c. dal Tribunale di Bari
in composizione monocratica, Giudice dr. Domenico Ancona, pone in chiaro
risalto alcuni aspetti essenziali, relativi ad una controversia nella
quale, premessa la stipula di un contratto preliminare di compravendita,
con dazione del corrispettivo. A seguito di alcuni contrasti insorti tra
le parti, il promissario venditore, sulla scorta di una precedente diffida
ad adempiere inoltrata ai promissori acquirenti, addiveniva alla vendita
dello stesso immobile ad un terzo, ad un prezzo inferiore, instando, nei
confronti dei medesimi promissari acquirenti per il risarcimento del danno
derivante al venditore dall’aver conseguito un diverso e minor
corrispettivo.
Aggiungasi che, il giudizio in esame,
veniva instaurato proprio da coloro che almeno inizialmente, avevano
“prenotato” l’acquisto dell’immobile, versando il relativo prezzo
di vendita, in quanto, a causa di alcune divergenze verificatesi
successivamente, il costruttore aveva opposto il proprio diniego al
trasferimento, condizionandolo al versamento di ulteriori somme, in
relazione alle quali, gli acquirenti, opponevano un netto rifiuto,
ritenendole ingiustificate e non dovute.
In buona sostanza, il Tribunale,
nell’esaminare le reciproche e plurime domande introitate dalle parti,
ha operato una preliminare e graduale distinzione delle rispettive
posizioni al fine di accertare e meglio definire i contorni inerenti alle
connesse azioni di responsabilità reciprocamente sollevate in sede
contenziosa.
Solo in sede di precisazione delle
conclusioni, al termine dell’istruttoria, pronunciando sentenza ex art.
281 sexies c.p.c. il Tribunale condannava il promissario venditore alla
restituzione delle somme versate dai promissari acquirenti, con condanna
ex art. 1224 comma 2° c.p.c. a titolo di equo risarcimento del danno,
rigettando la domanda riconvenzionale proposta nei confronti di
quest’ultimi, dopo aver riscontrato l’inadempimento del promissario
venditore, nonché intimante rispetto all’obbligo di collaborazione -
gravante reciprocamente sulle parti interessate alla conclusione
definitiva del contratto - derivante
dal precetto generale dell’art. 1175 c.c. in tema di buona fede nella
conclusione delle trattative contrattuali.
Il dovere reciproco di collaborazione
delle parti prima della stipula del contratto definitivo di compravendita.
Gli attori, avendo chiesto il
riconoscimento del diritto alla restituzione del prezzo corrisposto per la
vendita dell’immobile in esecuzione d'un contratto preliminare stipulato
con l’impresa convenuta, a fronte dell'eccezione sollevata da
quest'ultima, per non essergli stato corrisposto il giusto prezzo, a
seguito di alcune modifiche apportate rispetto al contratto stipulato
originariamente fra le stesse parti, aveva l'onere di dimostrare gli
elementi costitutivi di quanto allegato, ovvero, quale fosse stato,
appunto, l'esatto oggetto pattuito della propria prestazione,
id est il bene in ordine al quale, s'era formato l'accordo delle
parti, rispettivamente di vendere e di acquistare, da identificarsi
mediante l'indicazione delle specifiche condizioni sulle quali detto
accordo aveva avuto luogo.
Laddove, in vero, nel contratto di
compravendita l'oggetto della prestazione del venditore rappresenti non un
bene dotato di proprie peculiari qualità individuate ma solo una delle
plurime species
riconducibili ad un più vasto genus
prodotto o commerciato dallo stesso venditore, questi, nel dedurre il
contratto a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, a fronte
della contestazione dell'acquirente circa le eventuali discordanze,
rispetto a quanto pattuito in precedenza, non può esimersi dallo
specificare, e, provare il detto oggetto in relazione alla particolare species
pattuita (salvo dedurre, invece, e quindi anche adeguatamente provare,
attesa l'anomalia dell'ipotesi rispetto all'id
quod plerumque accidit, la genericità della pattuizione al
riguardo), diversamente risultando esso indeterminato e, di conseguenza,
sfornito l'adempimento di un valido principio di prova.
Si può, anzi, ritenere che,
nell'ipotesi considerata, un diverso onere per il venditore, non
probatorio, ma sostanziale, sorga ancor prima, già nel momento della
stipulazione del contratto, e, comunque, in quello dell'esecuzione della
prestazione, in quanto nei contratti a prestazioni corrispettive il nesso
d'interdipendenza che lega le contrapposte obbligazioni e prestazioni
nell'ambito d'un rapporto sinallagmatico determina, l'estensione dei
doveri di correttezza, buona fede, e di diligenza stabiliti dagli artt.
1337 e 1338 c.c. per la fase precontrattuale, e, per quella successiva
della stipula del contratto definitivo dagli artt. 1374 e 1375 c.c.
concernenti la fase dell'esecuzione, in armonia con quanto già prescritto
per le obbligazioni in generale dall'art. 1175 c.c. anche alle cosiddette
obbligazioni collaterali di protezione, d'informazione, e di
collaborazione, che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed
una disponibilità cooperativa dell'imprenditore nell'esercizio della sua
professione, e, quindi, nel tener conto delle motivazioni che inducono la
controparte all'acquisto della res
commercializzata.
Orbene, i predetti doveri ed obblighi
non possono non imporre che l’imprenditore, si preoccupi dell'esatta
specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto al momento
della conclusione del contratto, nonché, della fissazione degli elementi
essenziali del contratto di compravendita, tra i quali, in primis il
corrispettivo.
Inoltre, nel caso in cui la necessaria
specificazione fosse stata omessa, deve farne richiesta all'acquirente,
astenendosi dal consegnare beni d'una species qualunque tra quelli appartenenti al genus prodotto o
commerciato, diversamente rendendosi inadempiente alle indicate
obbligazioni accessorie, che si pongono come condizioni rispetto
all'obbligazione principale, legittimando pienamente l'eccezione ex art.
1460 c.c. in caso di necessità.
Pertanto, solo una volta che il
venditore - il quale agisca per il pagamento del prezzo - abbia assolto al
suddetto onere d'indicare e provare specificamente l'oggetto della propria
prestazione, quale risultante dal contratto dedotto in giudizio, e
l'adempimento di essa, incombe allora all'acquirente, il quale resista
eccependo l'inidoneità della prestazione resa dalla controparte, l'onere
di provare, sotto il profilo contrattuale, la non rispondenza dell'oggetto
della prestazione della controparte, quale dalla stessa allegato, e,
provato, rispetto ad altro diverso assuntivamente pattuito, o, sotto il
profilo fattuale, la difformità tra il bene effettivamente pattuito e
quello consegnatogli, od ancora, la diversità dei patti e condizioni
contrattuali precedentemente convenute.
Validità della diffida ad adempiere
effettuata nei confronti dei promissari acquirenti e responsabilità
dell’intimante?
L’orientamento giurisprudenziale
consolidatosi nel corso degli anni, è sempre stato pacifico nel ritenere
che nell'ipotesi di diffida ad adempiere ad un contratto preliminare di
compravendita immobiliare ai sensi dell'art. 1454, qualora ad avvalersi
della diffida sia il promittente venditore, l'unico onere cui doveva
adempiere l'intimante doveva dar fronte era quello di fissare il termine
entro il quale la propria controparte avrebbe dovuto adempiere, al fine di
non incorrere nella risoluzione "ope iuris" del contratto
precedentemente concluso. Pertanto, la diffida ad adempiere di cui
trattasi, contenente il termine per l'adempimento, era sempre stata
ritenuta valida ed efficace, anche ove sprovvista, di alcune ulteriori
indicazioni, come ad esempio le circostanze di tempo e di luogo della
stipula, od il notaio rogante.
La tesi seguita nella sentenza del
Tribunale di Bari, appare aver apportato sotto alcuni aspetti, delle
importanti specificazioni rispetto al suddetto orientamento, nei cui
confronti, per alcuni versi, sembrerebbe perfino porsi in evidente
dissonanza, in quanto nel porre a carico del promittente venditore, le
conseguenze derivanti dal trasferimento successivo dell’immobile
precedentemente promesso agli originari promissari acquirenti, ritenendo
inefficace la diffida ad adempiere rivolta a quest’ultimi, prende spunto
esclusivamente da una generica violazione del disposto di cui all’art.
1375 c.c. che, nel caso di specie, si è ritenuto essere operante
prevalentemente sul piano subiettivo.
In effetti, le conclusioni alle quali
perviene il giudicante, non sembrano essere affatto pacifiche, almeno
rispetto a quanto sostenuto in precedenza dalla giurisprudenza, tenuto
altresì debito conto della stessa portata della norma di cui all’art.
1454 c.c.
Tale norma, concerna
l’individuazione delle rispettive posizioni delle parti interessate
all'esecuzione del contratto, ponendo sull'avviso la parte diffidata, che
l'altra parte non è disposta a tollerare un ulteriore ritardo
nell'adempimento della prestazione cui ha diritto, e, che, la stessa parte
intimante ha già scelto la via della risoluzione del contratto per
l'ipotesi dell'inutile decorso del termine fissato.
Invero, da un’attenta lettura della
norma, non sembrerebbe neppure necessario far riferimento ad ulteriori ed
eventuali oneri ai fini della validità della diffida.
Peraltro, stando al tenore complessivo
del provvedimento, le reali motivazioni che avrebbero indotto il Tribunale
a porre nel nulla la diffida ad adempiere, ritenendo di contro,
sussistente una responsabilità del promissario venditore, sarebbero
riscontrabili anche sulla scorta dell'inadempimento delle prestazioni cui
la stessa parte intimante era tenuta, giustificando sostanzialmente
l'inadempimento dei promissari acquirenti ai sensi dell'art. 1460 cod.
civ.
Infatti, per il Tribunale, con
riferimento alla stessa legittimazione a intimare la diffida ad adempiere,
ove lo stesso diffidante si sia reso inadempiente, non potrebbe mai
scaturire da tale circostanza - isolatamente considerata - la risoluzione
del contratto, poiché in tal caso perderebbe ogni rilevanza giuridica
l'inadempimento dei diffidati, in virtù dell’antico principio "inademplenti
non est adimplendum".
Ma, a ben vedere, anche su tale
delicata questione, il Tribunale appare aver preso le “misure”
rispetto alle precedenti impostazioni dogmatiche.
Infatti, è pur vero che, per effetto
della conclusione del contratto preliminare, l'obbligazione di prestare il
consenso alla stipula del contratto definitivo sorge a carico di entrambi
i contraenti, e, che, quindi, il giudice dovrà accertare se la parte
intimante, fosse stata, a sua volta, disponibile ad adempiere tale
prestazione, e se avesse fatto quanto era ad essa imputabile, (anche
tenuto conto del disposto di cui all’art. 1375 c.c.) al fine di
pervenire alla conclusione del contratto definitivo.
Ma, è altresì vero che l’eventuale
disponibilità da parte del promissario venditore a prestare il proprio
consenso potrà desumersi dalla stessa diffida ad adempiere inoltrata ai
promissari acquirenti, e, salvo sempre l’accertamento finalizzato a
riscontrare l'adempimento del reciproco dovere di collaborazione
all'esecuzione del contratto, dovendosi verificare se il contratto
preliminare in questione poneva o meno a carico della parte intimante
l’assolvimento di particolari doveri od oneri, e, se, quest’ultimi
potevano considerarsi idonei a configurare l’eventuale violazione
dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nell'esecuzione del
contratto (art. 1375 cod. civ.).
A conferma della correttezza della
suesposta tesi, basterebbe sottolineare la stessa motivazione espressa a
tal riguardo dall’Autorità adita, fondata sostanzialmente su un unico
rilievo, laddove quest’ultima ha ritenuto comprovata in pieno, - e, in
alcuni passi della motivazione, sembrerebbe di capire, addirittura in re
ipsa - la violazione del predetto obbligo, dopo una attenta
riconsiderazione del complessivo comportamento tenuto dalle parti, sotto
il duplice profilo soggettivo ed oggettivo - valutabile sia prima, che,
dopo, l’avvenuto inoltro della diffida ad adempiere, - che a parere
dello stesso Giudicante, ha consentito di pervenire ad una valutazione
decisamente negativa nei confronti del promissario venditore, nonché
intimante, il quale, avendo successivamente provveduto a rivendere il
cespite ad un terzo, era da considerarsi platealmente inadempiente
rispetto all’obbligazione primaria di cedere la proprietà
dell’immobile ai precedenti acquirenti, e, conseguentemente, non poteva
validamente recedere dall’originario e prioritario rapporto, men che mai
invocando la risoluzione di diritto del contratto in virtù della proposta
diffida ad adempiere ex art. 1454 cod. civ.
Peraltro, proprio sul rilievo che
l'inadempimento non debba essere di scarsa importanza anche nella ipotesi
di diffida ad adempiere, potrebbe allora affermarsi che l'intimazione, da
parte del creditore (o presunto tale), della diffida ad adempiere di cui
all'art. 1454 cod. civ. e l'inutile decorso del termine fissato per
l'adempimento non eliminerebbero comunque aprioristicamente la necessità
di eseguire gli opportuni accertamenti giudiziali volti a stabilire la
gravità dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1455 cod. civ.
Per quanto attiene ai criteri, sulla
base dei quali si determina la non scarsa importanza dell'inadempimento,
come regola generale concernente la risoluzione per inadempimento dei
contratti con prestazioni corrispettive, dal disposto dell'art. 1455 cod.
civ. si evince che l'importanza dell'inadempimento non deve essere intesa
in senso meramente subiettivo, in relazione alla stima che la parte
creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma deve
interpretarsi soprattutto in senso obiettivo, in relazione all'attitudine
dell'inadempimento a turbare l'equilibrio contrattuale ed a reagire sulla
causa del contratto e sul comune intento negoziale, non involgendo
soltanto l'elemento della mancata prestazione nel quadro dell'economia
generale del negozio.
Quindi, ai fini della determinazione
della gravità dell'inadempimento, deve tenersi conto anche degli aspetti,
rilevabili tramite una indagine unitaria riguardante, ad un tempo, il
comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e del suo
eventuale protrarsi, dalla ritardata o mancata prestazione, e l'interesse
del creditore all'esatto adempimento.
In definitiva, nella specie, a parere
del Tribunale, alla diffida trasmessa dall'acquirente non può
riconoscersi l'effetto di determinare la risoluzione del contratto, ai
sensi dell'art. 1454 cod. civ., sotto il duplice profilo e della
sussistenza dell'inadempimento imputabile alla controparte.
Vito
Amendolagine
Avvocato
NOTE:
(*)
MASSIMA
Va precisato che, ex art. 1454 c.c. la
diffida ad adempiere può essere efficacemente intimata dalla parte che
sia adempiente al contratto.
Nella specie, al venditore erano stati
contestati ritardi nella esecuzione dei lavori nonché il mancato
completamento dell’opera, attestato da precisi riscontri.
Si aggiunga che non sembra che il
venditore abbia orientato il proprio comportamento ai precetti di
collaborazione e di buona fede, addirittura da ultimo alienando a terzi il
bene promesso in vendita agli odierni attori: “all’infruttuoso decorso
del termine fissato nella diffida ad adempiere l’obbligo di stipulare un
contratto definitivo, non consegue la risoluzione ipso iure del
preliminare, qualora l’intimante non abbia ottemperato ai doveri di
collaborazione posti a suo carico ovvero derivanti
dall’obbligo di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione
del preliminare” (Cass. 9 settembre 1998 n.8910).
La violazione del precetto di
comportamento secondo buona fede, oltretutto in una situazione di evidente
dubbio sull’adempimento delle obbligazioni a carico del venditore,
soprattutto per quel che riguarda il completamento tempestivo delle opere,
comporta la inefficacia delle conseguenze ricollegabili alle diffide ad
adempiere alle quali arbitrariamente e motu proprio, il promissario
venditore ricollega la legittimità della vendita a terzi, in presenza di
un preliminare, essendosi ricevuto cospicui acconti ed infine pretendendo
non solo di incamerare definitivamente tali acconti, ma di conseguire un
ulteriore utile da parte degli odierni attori a titolo di differenza del
prezzo di un immobile che egli promittente venditore ha proditoriamente
sottratto alla disponibilità dei promissari acquirenti.
D’altra parte, anche prescindendo
dalla efficacia e dalla fondatezza della diffida, la pretesa di acquisire
le somme versate in acconto dagli attori non troverebbe fondamento, non
risultando alcuna previsione contrattuale di penale confirmatoria..
Il contratto preliminare va dichiarato
risolto per inadempimento della parte convenuta, che va condannata alla
restituzione delle somme versate dagli attori nella misura di £.
141.710.000, pari oggi ad euro 73.187, 11.
Tale somma va rivalutata secondo le
tabelle pubblicate dall’Istat sul costo della vita per operai ed
impiegati, dalla data del versamento di ciascun rateo di acconto, e, su
tale somma rivalutata, vanno computati gli interessi legali sulla sorte
capitale a far data dalla domanda e su ciascun rateo di svalutazione alla
singola scadenza annuale, con tale ulteriore condanna ritenendo anche
equitativamente liquidato ogni maggior danno patito dagli attori.
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
La Terza Sezione Civile del Tribunale
di Bari
In funzione monocratica
Nella persona del Giudice dott.
Domenico Ancona
Nella pubblica udienza del 28 maggio
2003
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella controversia civile n. 5241 R.G.
Affari Contenziosi dell’anno 1996
TRA
Sigg.ri ** ** e ** D’**, con
l’Avv. Raffaele Gargano
CONTRO
Sig. ** **, deceduto e sig.ra Maria **
**, con l’Avv. C. Pannacciulli.
Alla odierna udienza, all’esito
della discussione orale, la causa veniva decisa con il rito dell’art.
281 sexies c.p.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 12 giugno 1996, i
sigg.ri ** ** e D’** **, coniugi, convenivano innanzi al Tribunale di
Bari il sig. ** **, titolare della omonima impresa;
Premesso di aver sottoscritto un
contratto preliminare di compravendita, in data 14 luglio 1994, in virtù
del quale essi promettevano e di acquistare e l’impresa convenuta si era
impegnata a vendere una porzione di suolo edificatorio rientrante in una
lottizzazione, oggetto di convenzione e specificamente il lotto
contrassegnato con il numero 8/B avente estensione, al netto delle strade
di 598 mq. Il promittente venditore, sempre con detto contratto si
impegnava ad eseguire le opere di urbanizzazione meglio specificate in
atto, nonché a realizzare una costruzione al “rustico finito”,
secondo progetto allegato. Quale corrispettivo della vendita del suolo
veniva stabilito un corrispettivo di £. 1.600.000 al mq. Mentre, quale
prezzo della costruzione, veniva convenuta la somma di £. 200.000 al
mq.” di superficie bagnata secondo usi e consuetudini locali”, da
versarsi secondo i tempi e termini riportati in atto, ove si prevedeva
anche il termine per la esecuzione della costruzione. Gli attori
lamentavano che, nonostante i versamenti dei corrispettivi maturati per £.
129.000.000 oltre i.v.a., per complessive £. 141.710.000, il convenuto
aveva formulato una richiesta di ulteriori pagamenti non dovuti - secondo
i termini e le quantificazioni contrattualmente previsti per i pagamenti -
si che essi attori erano indotti ad autorizzare l’Impresa ** a cedere
una parte del suolo e dell’immobile realizzando (e cioè un appartamento
e garage, oltre parte del giardino) ad un terzo acquirente, per il prezzo
di £. 140.000.000, imposto
dallo stesso convenuto e sotto comminatoria di risoluzione del contratto.
Per l’avvenuta limitazione
dell’oggetto del contratto di acquisto sorgevano contrasti sulla entità
del residuo corrispettivo da versare da parte dei venditori, nonché
derivanti dallo stato e qualità dei lavori.
Nelle more delle contestazioni il
convenuto, aveva ceduto a terzi anche la porzione dell’immobile promessa
agli attori, per cui questi richiedevano la risoluzione del contratto per
colpa del **, nonché la restituzione delle somme versate, oltre ai danni
e alle spese anche per progettazione nonché tecniche e legali.
Si costituiva ritualmente il
convenuto, eccependo l’infondatezza delle pretese degli attori, ma
adducendo la propria adempienza alle pattuizioni, e di contro rilevando
che il mancato pagamento della somma quantificata dal **, lo aveva indotto
a ritenere inadempienti essi istanti, per cui sulla base della efficacia
di diffida ad adempiere - aveva venduto la porzione di immobile promessa
agli attori a tale ** Giorgio per un corrispettivo di sole £. 90.000.000.
Pertanto il ** - sostenendo di aver anche subito il danno della vendita
dell’immobile ad un prezzo inferiore – spiegava domanda
riconvenzionale contro gli attori richiedendo la risoluzione del contratto
per fatto di questi ultimi e chiedendone la condanna alla somma di £.
161.168.400, compensandosi solo parzialmente tali somme con la
acquisizione di quella versata in acconto dai promissari acquirenti.
Veniva espletata attività istruttoria
e, fissata la data per la discussione, il difensore del convenuto ne
dichiarava il decesso, per cui veniva interrotto il giudizio.
Gli attori riassumevano il
procedimento ed alla udienza di comparizione per il prosieguo si
costituiva la vedova del sig. **, quale unica accettante la eredità, che
si riportava alle conclusioni e deduzioni formulate dal proprio dante
causa.
La causa veniva dunque decisa con il
rito dell’art. 281 sexies c.p.c
Motivi della Decisione
Gli attori rilevano che la vendita a
terzi del bene promesso costituisce evidente inadempimento da parte del
promittente venditore. Quest’ultimo adduce di aver ceduto ad altri il
bene oggetto del preliminare, ritenendo efficace una diffida ad adempiere
intimata il 16 dicembre 1995.
Orbene, il contrasto tra le parti si
sostanziava nella individuazione del criterio di commisurazione del prezzo
alla estensione dell’opera, - essendo dubbia la espressione
“superficie bagnata” - e nel completamento dei lavori oggetto del
contratto.
Indipendentemente dalle ulteriori
questioni trattate - ed in particolare dalla esattezza della pretesa del
prezzo e dalla quantificazione confessoria, o meno, delle dichiarazioni
degli acquirenti contenute nella scrittura dell’ottobre del 1995 - va
precisato che, ex art. 1454 c.c. la diffida ad adempiere può essere
efficacemente intimata dalla parte che sia adempiente al contratto.
E’ necessario cioè che
l’intimante non versi in stato di inadempimento, come si è verificato
nella fattispecie de qua in capo al promittente venditore.
Nella specie, al venditore erano stati
contestati ritardi nella esecuzione dei lavori nonché il mancato
completamento dell’opera, attestato da precisi riscontri.
In particolare, tale circostanza
emerge sia dall’accertamento tecnico, sia dalle documentazioni
fotografiche, ma soprattutto dalle stesse ammissioni del convenuto (cfr.
comparsa di costituzione pag.16). Né l’addebito di tali inadempienze ed
incompletezze alla parte committente risulta in alcun modo provata.
Si aggiunga che non sembra che il
venditore abbia orientato il proprio comportamento ai precetti di
collaborazione e di buona fede, addirittura da ultimo alienando a terzi il
bene promesso in vendita agli odierni attori: “all’infruttuoso decorso
del termine fissato nella diffida ad adempiere l’obbligo di stipulare un
contratto definitivo, non consegue la risoluzione ipso iure del
preliminare, qualora l’intimante non abbia ottemperato ai doveri di
collaborazione posti a suo carico ovvero derivanti
dall’obbligo di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione
del preliminare” (Cass. 9 settembre 1998 n.8910).
Quanto sopra statuito dalla Suprema
Corte incide significativamente nella valutazione del comportamento della
parte venditrice nella fattispecie, in quanto il venditore non solo non ha
in alcun modo comprovato ai promissari acquirenti il completamento delle
opere, il cui stato risultava oggetto delle precedenti contestazioni e
dell’accertamento della incompletezza, ma ha (o avrebbe) - per sua
stessa ammissione - svenduto l’immobile, incredibilmente pretendendo,
solo in virtù degli effetti di una diffida, di addebitarne le conseguenze
negative a carico degli attori. Non vi è riscontro nel nostro
ordinamento, non può venire tutelata una simile disinvolta posizione
contrattuale.
Pertanto la violazione del precetto di
comportamento secondo buona fede, oltretutto in una situazione di evidente
dubbio sull’adempimento delle obbligazioni a carico del venditore,
soprattutto per quel che riguarda il completamento tempestivo delle opere,
comporta la inefficacia delle conseguenze ricollegabili alle diffide ad
adempiere alle quali arbitrariamente e motu proprio, il promissario
venditore ricollega la legittimità della vendita a terzi, in presenza di
un preliminare, essendosi ricevuto cospicui acconti ed infine pretendendo
non solo di incamerare definitivamente tali acconti, ma di conseguire un
ulteriore utile da parte degli odierni attori a titolo di differenza del
prezzo di un immobile che egli promittente venditore ha proditoriamente
sottratto alla disponibilità dei promissari acquirenti.
Non potendosi quindi attribuire alle
diffide indicate dal convenuto, l’efficacia di cui all’art. 1454 c.c.
emerge in tutta evidenza, come la cessione ad altri del bene costituisca
la ipotesi più radicale della inadempienza del preliminare di vendita.
Infatti la cessione a persona diversa da quella cui il venditore si era
obbligato a cedere, in carenza di valide ragioni legittimanti la
risoluzione, si pone come conferma della violazione dell’obbligo
principale a carico del venditore.
D’altra parte, anche prescindendo
dalla efficacia e dalla fondatezza della diffida, la pretesa di acquisire
le somme versate in acconto dagli attori non troverebbe fondamento, non
risultando alcuna previsione contrattuale di penale confirmatoria.
Insomma, osserva ancora il tribunale, ammesso e non concesso che il
venditore abbia legittimamente venduto a terzi l’immobile per la
efficacia della diffida ad adempiere, - ma così non è – non sussiste
la prova del buon diritto dello stesso di acquisire definitivamente le
somme versategli a titolo di acconto, in mancanza della prova
dell’effettivo ammontare del danno e della impossibilità di cedere a
prezzi quantomeno pari a quello per cui, molto tempo prima gli stessi
attori si erano impegnati.
Pertanto, ritenuta la inefficacia
della diffida e la non accoglibilità su tale presupposto della
declaratoria di risoluzione di diritto del contratto preliminare del 14
aprile 1994, quest’ultimo va dichiarato risolto per inadempimento della
parte convenuta, che va condannata alla restituzione delle somme versate
dagli attori nella misura di £. 141.710.000, pari oggi ad euro 73.187, 11
comprensive di Iva, essendo pacifico in causa l’importo versato e non
risultando nelle fatture gli attori come titolari di partita Iva.
Tale somma va rivalutata secondo le
tabelle pubblicate dall’Istat sul costo della vita per operai ed
impiegati, dalla data del versamento di ciascun rateo di acconto, e, su
tale somma rivalutata, vanno computati gli interessi legali sulla sorte
capitale a far data dalla domanda e su ciascun rateo di svalutazione alla
singola scadenza annuale, con tale ulteriore condanna ritenendo anche
equitativamente liquidato ogni maggior danno patito dagli attori.
Le domande di risarcimento per danni
ulteriori e per spese tecniche e di progettazione non risultano provare e
per tanto non possono trovare accoglimento.
Le spese e le competenze del giudizio
seguono la soccombenza e vengono regolamentate in dispositivo, letto in
udienza con le concise motivazioni in fatto ed in diritto a sostegno della
decisione.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione
monocratica, definitivamente decidendo sulla domanda principale avanzata
con rituale citazione dai sigg.ri ** ** e ** D’** nei confronti del sig.
** **, deceduto in Turi il 5 agosto 2002, e sulla riconvenzionale da
quest’ultimo a suo tempo spiegata nei confronti degli attori, con
l’intervento dell’unica erede sig.ra Maria ** **, in tal modo
provvede:
dichiara risoluto per grave
inadempimento del defunto sig. ** ** il contratto preliminare di
compravendita stipulato fra le parti in data 14 aprile 1994 e successiva
scrittura del 26 gennaio 1995;
condanna la sig.ra ** M. ** a
restituire agli attori la somma di € 73.187,11 (£. 141.710.000) con
rivalutazione ed interessi;
rigetta la riconvenzionale spiegata;
rigetta ogni altra domanda, comunque
assorbita nella decisione;
condanna parte convenuta, soccombente,
al pagamento delle spese e delle competenze del giudizio, che liquida,
come da specifica in atti, in € 9.184,56 di cui 2.160,96 per diritti,
oltre 10%, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Bari nella pubblica
udienza del 28 maggio 2003. Sentenza immediatamente pubblicata all’atto
della sottoscrizione.
Il Giudice
Domenico Ancona
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