Liti in famiglia, responsabilità genitoriale e revoca dell’assegno

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Parafrasando un famoso detto, “si litiga anche nelle migliori famiglie”, chi più e chi meno.

Alcune volte però una lite tra genitori e figli può essere molto accesa e fare nascere alcune paure, tra le quali quella di ritrovarsi senza avere più un tetto sopra la testa, oppure di non ricevere più l’assegno di mantenimento.

I casi nei quali i genitori possono buttare fuori di casa i figli o possono chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento sono limitati.

In questo articolo scriveremo delle suddette questioni, non prima di avere fatto cenno alla responsabilità genitoriale.

     Indice

  1. La responsabilità genitoriale
  2. In seguito a una lite i genitori possono buttare fuori di casa il figlio?
  3. Quando non è dovuto l’assegno di mantenimento nei confronti dei figli?
  4. Le liti davanti ai figli costituiscono reato?

1. La responsabilità genitoriale

Nel diritto italiano la responsabilità genitoriale è affidata ad entrambi i genitori (art. 316 del c.c. come sostituito dal D. Lgs. n. 154/2013, che ha anche eliminato il termine “potestà” sostituendolo col termine “responsabilità” genitoriale ovunque presente nel codice civile).

In loro mancanza, o per sopravvenuta morte o perché decaduti dalla responsabilità (art. 330 c.c.), viene nominato un tutore, che provvede alla cura della persona del minore e ne amministra i beni.

Alla responsabilità genitoriale sono sottoposti i figli minori non emancipati, sia nati nel matrimonio sia nati fuori dal matrimonio.

Questo vale anche nel caso di figli adottivi, nel caso nel quale i loro genitori per effetto dell’adozione acquistano la responsabilità genitoriale.

La responsabilità genitoriale comprende diritti sia di natura personale sia di tipo patrimoniale che implicano la facoltà ai genitori di:

  • Custodire, vale a dire, destinare il proprio domicilio al minore, dal quale non si può allontanare senza il consenso del genitore.
  • Allevare, vale a dire, fornire il necessario per sopravvivere, per esempio alimenti e vestiario
  • Educare, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ai costumi del luogo dettati dall’esperienza comune.
  • Istruire, eccezione questa tra le potestà, che consiste in un “obbligo di risultato” il quale adempimento dipende dalla prestazione di terzi, per esempio il sistema scolastico.
  • Amministrare, sul piano ordinario, che comporta la gestione dei rapporti a carattere patrimoniale conservandone la sostanza.
  • Usufruire dei beni, che consiste nell’utilizzo e nel godimento di una cosa senza alterarne la destinazione d’uso.
  • Rappresentare, vale dire potere compiere negozi giuridici in sua vece, ad esempio, al compimento degli obblighi scolastici.

In Italia la potestà genitoriale aveva sostituito la patria potestà nel 1975, parificando diritti e doveri della madre verso i figli, a quelli del padre con la legge n. 151/1975 (riforma del diritto di famiglia).

Adesso si parla di responsabilità genitoriale e non più di potestà.

Conseguenza di “segno opposto”, in genere a favore del padre, di questa parità di diritti è la tendenza all’affido condiviso dei figli nelle cause di separazione e divorzio, rispetto a un precedente orientamento dei giudici ad affidare figli e abitazione principale alla figura materna.

La sospensione o il decadimento della responsabilità genitoriale non può comportare una riduzione dei doveri, vale a dire vantaggio economico o di altro tipo per il genitore.

In particolare, non cancella gli obblighi di mantenimento.

Il semplice riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio o la loro adozione non esclude la decadenza di questo diritto, se concretamente non viene esercitato dal genitore con la partecipazione attiva alla vita del minore, alle esigenze economiche e non economiche.

La cattiva condotta del genitore, in termini di abuso o negligenza nell’esercizio, può legittimare la sospensione o la revoca della responsabilità genitoriale.

Viceversa, non è giusta causa di decadenza l’inettitudine educativa del genitore, ravvisabile nella cattiva condotta del minore e nella recidiva di fatti penalmente rilevanti, perseguiti o meno.

L’articolo 319 del codice civile, abrogato nel 1975, prevedeva la possibilità per il padre, se confermata dal giudice, di condurre in istituti di correzione, cosiddetti “riformatori”, i minori che persistevano in cattiva condotta.

La legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha inciso profondamente sul diritto di famiglia apportando modifiche sostanziali, con il fine di assicurare l’uguaglianza giuridica dei figli, nati nel matrimonio o al di fuori del vincolo coniugale.

Il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che è entrato in vigore il 7 febbraio 2014, ha dato applicazione alla delega contenuta nella suddetta legge.

Il decreto, che consta di 108 articoli, procede, per lo più, con l’adeguare la normativa alla riforma del 2012, eliminando i rimandi relativi al “figlio naturale” e al “figlio legittimo” sostituendoli con l’unica indicazione di “figlio”.

Come accennato in precedenza, è stato superato il concetto di potestà e introdotto quello di responsabilità genitoriale, (art. 316 c.c.), denominazione presente da tempo in ambito europeo, e che è stato recepito anche nel nostro paese, perché meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, non più da considerare come una potestà sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte di entrambi i genitori in modo paritario nei confronti dei figli, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.


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2. In seguito a una lite i genitori possono buttare fuori di casa il figlio?

In seguito a diverse liti in famiglia un figlio può essere buttato fuori di casa, ma esclusivamente in alcuni casi.

In primo luogo, è necessario distinguere tra maggiorenni e minorenni.

In relazione ai primi, il figlio che maltratta ripetutamente i genitori può essere obbligato dal giudice all’allontanamento dalla casa familiare.

Un provvedimento che può essere emesso quando sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia, che nonostante venga più spesso associato ai genitori, può essere commesso anche dai figli.

Il delitto non si configura esclusivamente nel caso di violenza fisica, ma anche nel caso nel quale ci siano comportamenti aggressivi morali e psicologici (art. 572 c.p.).

Il discorso cambia se il ragazzo sia un minorenne.

I giovani al di sotto dei 18 anni, hanno il diritto di vivere in casa con la famiglia, oltre a quello di essere educati e mantenuti.

Il genitore non potrà buttare fuori di casa il figlio minorenne.

3. Quando non è dovuto l’assegno di mantenimento nei confronti dei figli?

Esistono dei casi nei quali l’assegno di mantenimento ai figli non è dovuto.

Ad esempio quando i gli stessi non si impegnano per cercare un impiego redditizio.

Il diritto al mantenimento, non può durare all’infinito, perché secondo la Suprema Corte di Cassazione si giustifica anche con il perseguimento di un progetto educativo o di formazione.

Se un figlio finisce il liceo, non si iscrive all’università e per i successivi anni non si dà da fare per cercare un impiego, può rischiare di perdere l’assegno.

Non lo perderà, se riuscirà a dimostrare di non avere colpe e di non avere un lavoro nonostante si  sia impegnato a cercarlo in base alle opportunità offerte dal mercato, anche ridimensionando le tue ambizioni (Cass. civ. n. 8049/2022).

4. Le liti davanti ai figli costituiscono reato?

Litigare davanti ai figli può configurare il reato di maltrattamenti in famiglia, in particolare quando gli scontri siano così feroci da rendere i bambini vittime di “violenza assistita”, fisica o morale (Cass. pen. n. 18833/2018).

Di recente, il Tribunale di Oristano ha ribadito che, nel caso di scontri verbali davanti ai minori, i genitori possono essere condannati al pagamento di una multa (Trib. Oristano, sent. n. 65/2022).

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