Le situazioni di dominio presenti nel nostro Ordinamento Giuridico

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Nell’ordinamento giuridico italiano esistono tre situazioni cosiddette “di dominio”, la proprietà, il possesso e la detenzione.

Le situazioni per determinati aspetti possono coincidere, però dal lato giuridico esse costituiscono tre fattispecie distinte, dando luogo a diverse relazioni disciplinate e tutelate in modo diverso dall’ordinamento, con il bene oggetto del diritto.

La proprietà è una situazione “formale”, disciplinata sia dal codice civile, all’articolo 832, che anche non dettandone una precisa definizione, stabilisce il diritto del proprietario “di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”, sia dall’articolo 42 della Carta Costituzionale che riconosce e garantisce la proprietà privata, rinviando al legislatore la determinazione dei “modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a ognuno”.

Entrambe le norme sottolineano le caratteristiche di pienezza ed esclusività del diritto di proprietà, garantendo al titolare i massimi poteri possibili rispetto alla res, esercitabili erga omnes, fermi restando i limiti imposti dalla legge.

Il possesso e la detenzione, sono situazioni “materiali” che determinano l’attribuzione al soggetto attivo esclusivamente di alcuni poteri.

Il primo, definito dall’articolo 1140 comma 1 del codice civile, consiste nel “potere sulla cosa che si manifesta in un’attività che corrisponde all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale”.

La differenza tra la proprietà e il possesso è relativa alla distinzione stessa tra la titolarità e l’esercizio del diritto, il possessore si comporta come il proprietario della cosa, anche non essendolo (c.d. “animus possidendi”).

La seconda, individuata dal comma 2 dell’art. 1140 del codice civile nonché dal successivo, rappresenta un’altra situazione soggettiva, che, al contrario del possesso, si caratterizza per il riconoscimento dell’altruità della proprietà (o di altro diritto reale).

La detenzione consiste nella semplice disponibilità materiale della cosa, ad esempio la locazione, il noleggio, riconoscendo che il possesso e la proprietà sono di altri soggetti (c.d. “animus detinendi”).

Anche potendo coincidere, combinando nello stesso soggetto sia la proprietà sia il possesso sia la detenzione del bene oggetto del diritto, le tre figure di dominio si possono manifestare singolarmente e, per questo motivo sono ritenute meritevoli di disciplina e tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

La proprietà è una situazione giuridica “formale” che assicura al titolare, in virtù della tutela e delle garanzie predisposte dall’ordinamento, il massimo grado di poteri sulla res oggetto del diritto.

Rispetto al passato, quando la proprietà era considerata un diritto innato eccezionalmente comprimibile godendo di un’inviolabilità e di un’intangibilità assoluta, nel vigente ordinamento, anche continuando a ricevere una tutela molto ampia, è sempre subordinata alla realizzazione della cosiddetta “funzione sociale”.

Il legislatore del 1942 prima e la Carta Costituzionale dopo, si sono preoccupati di contemperare l’interesse del singolo con quello collettivo, subordinando il diritto individuale a quello collettivo, attraverso il rinvio alla legge ordinaria della disciplina delle modalità di acquisto, di godimento e dei limiti della proprietà, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a ognuno, garantendo una più equa distribuzione della ricchezza.

In base all’articolo 1140 del codice civile, il possesso è il potere (o “signoria”) sulla cosa (per questo è la più importante delle situazioni “materiali”) che si manifesta in un’attività che corrisponde all’esercizio della proprietà o altro diritto reale.

A seconda che la situazione possessoria corrisponda all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale, si distingue il possesso cosiddetto “pieno” dal possesso “minore”, e in base all’esistenza oppure no di una giustificazione giuridica, il possesso si dice titolato, quando trae origine da un atto o da una fattispecie giuridica idonei a trasferire la situazione possessoria, o non titolato, quando non dipende da qualsiasi titolo giuridico costitutivo della situazione soggettiva possessoria.

Per potersi configurare l’istituto de quo, rileva la presenza di due presupposti essenziali, il corpus possessionis, cioè il potere materiale di fatto esercitato sul bene (elemento oggettivo), e l’ “animus possidendi”, cioè l’elemento psicologico che si concreta nell’intenzione del soggetto di esercitare sul bene i poteri del proprietario o del titolare di altro diritto reale (elemento soggettivo).

Ai fini della configurazione del possesso, animo et corpore, non è richiesta disponibilità continuativa del bene vale a dire l’esercizio di concreti atti di godimento o contatti diretti con il bene (c.d. “possesso diretto”), essendo sufficiente che il bene posseduto, in base alla sua natura e alla destinazione economica e sociale, si possa ritenere nella virtuale disponibilità del possessore e che costui sia in grado, quando lo voglia, di rientrarne in possesso in ogni momento, ripristinando il rapporto materiale con lo stesso (c.d. possesso indiretto o mediato).

Ne deriva che, purché sia presente l’animus, sinché persista la possibilità di ripristinare il corpus, il possesso perdura, questa possibilità viene meno quando altri si impossessino del bene esercitando sullo stesso un analogo potere di fatto, corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

In relazione alla differenza tra possesso e detenzione, in relazione all’articolo 1140 comma 1 del codice civile, il possesso è il potere materiale sulla cosa manifestato attraverso un’attività che corrisponde all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

Il comma successivo della disposizione codicistica, indicando la possibilità di possedere anche in via indiretta, cioè“per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”, individua la situazione soggettiva diversa della “detenzione” che si caratterizza per il riconoscimento dell’altruità della proprietà o di altro diritto reale.

Il principale carattere che differenzia le due situazioni materiali di dominio, è l’elemento psicologico.

A differenza dello stato soggettivo che caratterizza il possesso, il quale presuppone la volontà di comportarsi come titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale (c.d. animus possessionis), nella detenzione questo requisito ha un minore rilievo perché si presuppone l’altruità del diritto di proprietà o reale minore, e si parla al contrario di “animus detinendi”.

Il detentore non ha la volontà di esercitare poteri sulla res a nome proprio, perché la sua relazione con la cosa si fonda sempre sulla titolarità di un diritto personale di godimento, nell’interesse proprio, ad esempio il conduttore nel contratto di locazione, o altrui, per ragioni di servizio, ad esempio il lavoratore posto alla vigilanza dei beni aziendali.

La detenzione si evolve in possesso, se esiste la c.d. interversio possessionis, attraverso l’opposizione manifestata dal detentore al possessore, con la quale il primo dichiara di iniziare a possedere la res a nome proprio.

L’interversione del possesso indica la fattispecie giuridica per la quale la detenzione si muta in possesso pieno e non può aver luogo sinché il titolo della detenzione non venga ad essere mutato per fatto che proviene da un terzo o in forza di un’opposizione fatta dal detentore contro il possessore.

Per essere idonea a integrare la fattispecie dell’interversione del possesso, l’opposizione non si può concretizzare in un atto di volizione, ma deve consistere in un fatto esterno, in una manifestazione espressa di volontà o un comportamento concludente, dal quale sia consentito dedurre che il possessore nomine alieno ha cessato di possedere in nome altrui e ha iniziato un possesso per conto e in nome proprio, secondo una valutazione riservata al giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se sia con sufficienza e logica motivata.

Dott.ssa Concas Alessandra

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