Le piccole e medie imprese

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Le piccole e medie imprese sono aziende le quali dimensioni rientrano entro certi limiti occupazionali e finanziari prefissati.

Per questa ragione, e anche per le oggettive difficoltà di attrarre capitali, Stati e Regioni di solito mettono in atto politiche di sostegno verso le piccole e medie imprese, le quali si comportano a volte in modo decisamente diverso da quelle di dimensioni maggiori, sia per la diversa tipologia di organizzazione, se sono ancora gestite direttamente dal proprietario, sia per la limitata disponibilità di capitali e le diverse politiche gestionali.

L’abbreviazione PMI (o SME in inglese) è diffusa soprattutto nell’Unione Europea e nelle organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale, le Nazioni Unite ed il WTO.

In altri paesi è usata l’abbreviazione SMB, “Small or Medium sized Business”.

Ogni stato membro dell’UE ha tradizionalmente utilizzato una propria definizione di PMI.

Per esempio, in Italia, il limite era 250 impiegati che salivano a 500 in Germania e scendevano a 100 in Belgio.

Negli Stati Uniti non esiste una definizione condivisa di PMI, di solito è determinata in funzione del settore industriale di appartenenza.

Alle gare per molti contratti governativi, soprattutto nell’ambito dei servizi e di edilizia minore, sono chiamate a concorrere specificatamente delle PMI.

Attraverso la raccomandazione 96/280/CE del 3 aprile 1996, la Commissione europea volle sottolineare la necessità di definire le PMI in modo preciso e unitario.

La difformità dei criteri utilizzati per definire le PMI e, di conseguenza, la molteplicità di definizioni utilizzate a livello unitario e a livello nazionale sarebbe potuta diventare fonte di incoerenza.

Il programma aveva lo scopo di aumentare il coordinamento tra le iniziative dell’Unione a favore delle PMI, con quelle intraprese a livello nazionale.

In un mercato unico senza frontiere interne le imprese devono essere oggetto di politiche basate su regole comuni, se si considera la forte interazione tra le misure di sostegno nazionali e dell’Unione a favore di queste categorie di imprese (per esempio, fondi strutturali e di ricerca), è fondamentale evitare che l’Unione sviluppi progetti mirati al sostegno di una determinata categoria di PMI, mentre gli Stati membri guardino verso altre.

L’utilizzo della stessa definizione da parte della Commissione, degli Stati membri, della Banca europea degli investimenti (BEI) e dal Fondo Europeo degli Investimenti (FEI) ha reso possibile aumentare la coerenza e l’efficacia delle politiche indirizzate alle PMI e ha limitato il conseguente rischio di distorsione della concorrenza, così la Commissione raccomandò l’adozione di quattro criteri per identificare questa categoria di imprese:

numero dei dipendenti, fatturato, totale di bilancio e indipendenza, nonché le soglie di 50 e 250 dipendenti, rispettivamente per le piccole e medie imprese.

Attraverso una successiva raccomandazione la Commissione ha provveduto ad aggiornare le regole sulla base delle quali un’impresa può essere definita PMI, con decorrenza dal 1º gennaio 2005.

Come in quella precedente, che non risultava più adeguata alla corretta determinazione della classe dimensionale delle imprese destinatarie di aiuti pubblici, il criterio del numero degli occupanti svolge un ruolo principale, perché è uno dei più significativi, tuttavia per potere comprendere al meglio l’impresa, sotto un’ottica di risultati e di posizionamento rispetto ai concorrenti, svolge un ruolo altrettanto importante il criterio finanziario.

Questo criterio prevede che si osservi sia il fatturato sia il totale di bilancio, che rispecchia la ricchezza dell’impresa.

La necessità di prendere in considerazione entrambi i valori nasce dalle differenze di fatturato che vi sono tra i diversi settori.

 

La nuova raccomandazione oltre ad essere andata a modificare i parametri finanziari di identificazione di una PMI, ha voluto anche meglio definire le microimprese, che svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo imprenditoriale e nella creazione di posti si lavoro, aggiungendo ai limiti sul numero dei dipendenti, anche quelli sul fatturato o sul totale dell’attivo dello Stato patrimoniale.

Le variazioni che sono state apportate consentono a un gran numero di imprese di entrare a far parte di questa categoria oggetto di agevolazioni e di attenzioni provenienti sia da organismi dell’Unione europea sia nazionali.

Altra importante modifica apportata al documento da parte della Commissione, riguarda la nozione di indipendenza.

Mentre in quello precedente venivano considerate imprese indipendenti “quelle il quale capitale o i cui diritti di voto non sono detenuti per 25% o più da una sola impresa, oppure, congiuntamente, da più imprese non conformi alle definizioni di PMI o di piccola impresa, secondo i casi”, la nuova definizione prevede che non sia considerata “autonoma”, ai fini della determinazione dei parametri dimensionali, “l’impresa collegata” e “l’impresa associata”.

Riguardo questa, si intende quella il cui 25% del capitale o dei diritti di voto è in mano, da sola o insieme a una o più imprese collegate, soglia che può essere raggiunta o superata se siano presenti le categorie di investitori, specificate nell’Allegato 1/3 della raccomandazione 1442 , che in particolare riguardano il settore pubblico e istituzionale.

L’eccezione vale però solo se gli stessi investitori non sono individualmente o congiuntamente collegati all’impresa e se non agiscono direttamente o indirettamente nella gestione dell’impresa.

In riferimento allo stesso Allegato vengono definite come “imprese collegate” le imprese tra le quali intercorre una delle seguenti relazioni:

“Un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un’altra impresa”.

“Un’impresa ha diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza”.

“Un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest’ultima oppure in virtù di una clausola dello statuto di quest’ultima”.

“Un’impresa azionista o socia di un’altra impresa controllata da sola, in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti o soci dell’impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest’ultima”.

Più volte è stato sollevata, dalla stessa caegoria d’imprese, la questione che le nuove regole, soprattutto riguardo il calcolo del capitale con il metodo IRB (Internal Rating Based), avrebbero forse causato una eccessiva onerosità nella concessione dei crediti alle PMI.

È per questo che il Comitato di Basilea ha permesso un abbattimento del requisito patrimoniale sugli impieghi retail del 25%, quindi alle imprese, a parità di condizioni, sarà richiesto un prezzo inferiore del denaro, in quanto la banca stessa affronterà un costo inferiore, dovuto al minor assortimento di capitale previsto.

Il Comitato, basandosi sulle differenze che esistono all’interno della categoria, ha individuato due diversi portafogli:

corporate e retail.

Per essere incluse nel portafoglio retail il Comitato di Basilea ha stabilito che i crediti devono soddisfare i seguenti quattro criteri :

il criterio della destinazione:

l’esposizione deve essere nei confronti di una o più persone fisiche e/o garantita da una o più persone fisiche.

In questa categoria rientrano anche le imprese di piccole dimensioni.

Il criterio della tipologia:

i crediti e linee di credito rotativi (per esempio: carte di credito e scoperti di conto), prestiti personali e contratti di leasing con vincolo di durata (come i finanziamenti rateali, mutui per l’acquisto o il leasing di autoveicoli e crediti al consumo), facilitazioni e aperture di credito a favore di piccole imprese.

I titoli, come obbligazioni e azioni, quotati o meno in mercati ufficiali, sono espressamente esclusi da questa categoria.

I mutui ipotecari sono esclusi nella misura in cui sono ammessi al trattamento riservato ai crediti garantiti da ipoteca su immobili residenziali.

Il criterio del frazionamento:

l’autorità di vigilanza deve assicurarsi che il portafoglio retail sia diversificato in misura sufficiente a ridurre i rischi, l’esposizione aggregata verso una controparte non può essere superiore allo 0,2% nel portafoglio retail complessivo.

Il criterio dell’esposizione massima:

l’esposizione massima aggregata nei confronti di una singola controparte non può eccedere la soglia massima di 1 milione di Euro.

In alternativa, l’esposizione è considerata corporate e il requisito patrimoniale richiesto gode di uno “sconto” in funzione della dimensione aziendale: più il fatturato è vicino a 5 milioni, più lo “sconto” sarà elevato, viceversa, più il fatturato si avvicina ai 50 milioni, più lo sconto sarà inferiore

Il rapporto tra PMI e grandi aziende o multinazionali varia da paese a paese e caratterizza il sistema economico-produttivo di ciascun paese:

l’Italia ad esempio è nota per essere un paese con una forte diffusione di PMI rispetto a grandi aziende con implicazioni sul suo assetto economico.

Dott.ssa Concas Alessandra

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