Le nuove frontiere del processo penale: resoconto del convegno di Pula

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Nei giorni scorsi, si è tenuto a Pula, in provincia di Cagliari il convegno dal titolo “Nuove frontiere del processo penale”.

Una due giorni caratterizzata dalla presenza di un folto pubblico e di illustri ospiti che hanno esposto le loro relazioni.

Hanno organizzato la catterdra di diritto processuale penale del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari, di concerto con il Comitato Sardo degli Studiosi del Processo Penale e la Corte d’Appello di Cagliari Ufficio per la formazione decentrata del C.S.M, e i lavori si sono articolati in due sessioni, la prima dal titolo “scienza e processo penale”, la seconda dal titolo “l’abuso del processo”.

La presentazione de convegno è stata del professor Leonardo Filippi, ordinario di Diritto Processuale Penale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari e del magistrato dott. Carlo Renoldi, organizzatori dell’evento, l’apertura degli stessi del dott. Giorgio Santacroce, Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, che per l’occasione ha voluto esporre ai presenti una relazione di inquadramento delle tematiche oggetto di considerazione.

Oltre all’elencazione degli articoli del codice di procedura penale specifici degli argomenti di discussione, in relazione al trattamento che il giudice deve riservare alla prova scientifica, ha fatto esplicito riferimento alla sentenza Daubert del 1993, considerata , insieme alla più datata sentenza Frye del 1923, un precursore in questo argomento.

La prima sessione dei lavori, presieduta dalla dott.ssa Grazia Corradini, presidente della Corte di Appello di Cagliari, ha visto come primo relatore del convegno il professor Paolo Tonini, ordinario di diritto processuale penale presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze, nonché autore degli omonimi manuali di diritto processuale penale, che ha parlato del metodo scientifico nel processo penale tra passato e presente, citando alcune sentenze e indicando più elementi propri della questione.

Ha proseguito il dott. Domenico Chierico della Polizia scientifica, che ha parlato del sopralluogo della polizia giudiziaria, e dopo di lui è stata la volta del dott. Andrea Chelo avvocato e ricercatore di diritto processuale penale del Dipartimento di Giurisprudenza di Cagliari, che ha esposto nei minimi dettagli la sua relazione sui rilievi irripetibili di polizia giudiziaria o accertamenti tecnici irripetibili, seguito dal colonnello Giovanni Delogu dei RIS di Cagliari e dal dott. Adriano Tagliabracci, ordinario di medicina legale presso l’ Università degli Studi di Ancona.

Ha concluso i lavori, con la sua interessante relazione sulla prova scientifica e processo di prevenzione, la dott.ssa Maria Francesca Cortesi, avvocato e ricercatrice di diritto processuale penale e titolare delle cattedre di diritto processuale penale e diritto penitenziario del corso di laura in scienze dei servizi giuridici del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari.

La seconda sessione dei lavori, dal titolo “l’abuso del processo”, ha visto come relatori, il prof. Giorgio Spangher, presidente della facoltà di giurisprudenza, dell’Università La Sapienza di Roma.

Successivamente, è stata la volta del dott. Domenico Carcano, Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia, che ha relazionato sull’argomento:

Abuso del processo e crisi della legalità processuale.

Ha concluso i lavori Il dott. Giuseppe Santalucia, Consigliere della Corte di cassazione, che ha relazionato sull’argomento:

Tendenze giurisprudenziali in tema di invalidità processuali tra il principio di legalità e il

pregiudizio.

Questo in seintesi lo svolgimento dei lavori

Per dovere e completezza di cronaca riportiamo di seguito, soprattutto a beneficio dei non addetti ai lavori, qualche approfondimento relativo alle sentenze sopra menzionate, una delle quali, la sentenza Daubert è stata più volte oggetto di riferimento nel corso dei lavoro del convegno.

Abbiamo accennato dell’importanza come precursori in relazione al trattamento che il giudice deve riservare alla prova scientifica, le sentenze Faye e Dubert, vediamo nel dettaglio in che consistono.

Sono due emblematiche sentenze statunitensi, la sentenza Frye del 1923 e la sentenza Daubert del 1993.

Nel caso Frye VS United States l’imputato, accusato di omicidio, aveva chiesto di essere sottoposto al test della macchina della verità, che avrebbe misurato la veridicità delle affermazioni dell’imputato misurando le variazioni della sua pressione arteriosa nel rispondere alle varie domande.

All’epoca nessuno aveva mai richiesto l’utilizzo di un mezzo simile e la Corte d’Appello del District of Columbia si era ritrovata nella situazione di dovere valutare l’ammissibilità di uno strumento la quale validità scientifica sembrava discutibile.

Di fronte a questo genere di incertezza scientifica, i giudici si sentirono in dovere di rivolgersi alla comunità scientifica di riferimento, alla quale spettava il potere di decisione, perché doveva essere ritenuta valida la scienza che abbia guadagnato l’accettazione degli scienziati.

Dalla delega agli scienziati era risultata l’inammissibilità del test della macchina della verità perché non sufficientemente accettato.

Il punto principale della sentenza Frye è che con essa veniva fissato il criterio, che avrebbe dominato la scena giuridica dei settanta anni successivi, dell’accettazione:

la prova scientifica ammissibile deve essere ancorata alla accettazione da parte della comunità scientifica di riferimento.

Nel 1993, con il caso Daubert VS Merrel Dow Pharmaceuticals, la Corte Suprema degli Stati Uniti decise che lo standard Frye riguardo l’accettazione della prova scientifica non era in eslcusiva sufficiente alla valutazione di un prova scientifica incerta.

Il caso Daubert riguardava i supposti effetti collaterali sul feto del Benedectin, un farmaco contro le nausee in gravidanza prodotto dalla Merrell Dow Pharmaceuticals.

La Merrell Dow aveva portato in aula lavori scientifici, sottoposti a peer review e quindi accettati, nei quali dimostrava che non vi erano prove che il loro farmaco causasse malformazioni nel feto.

I genitori dei bambini nati malformati, per contestare i dati della Merrell Dow, avevano chiesto ai giudici di acquisire anche la testimonianza di altri esperti, in grado di portare evidenze scientifiche contrarie basate su dati non ancora pubblicati, ma che reinterpretavano i risultati ottenuti dalla casa farmaceutica.

La Merrell Dow, sulla base del principio Frye si era opposta all’ammissibilità di quel genere di testimonianza.

Le prove, essendo state prodotte con metodologie innovative, non riscontravano, all’epoca, l’accettazione della comunità scientifica.

La Corte, aggirando il principio Frye, aveva deciso di applicare la regola 702 relativa ai criteri di ammissione della testimonianza esperta, e si era espressa a favore dell’ammissibilità dei testimoni con i requisiti enunciati nella regola stessa.

Secondo la regola 702, un testimone esperto deve:

Presentare fatti e dati sufficienti.

Fondarsi su principi e metodi affidabili.

Applicare in modo affidabile i principi e i metodi al caso.

Nella sentenza Daubert, il giudice non si era limitato a ribadire il principio della accettazione da parte della comunità scientifica, ma posto di fronte all’ammissibilità di una prova innovativa, un giudice avrebbe anche dovuto valutare l’affidabilità dei metodi e delle procedure utilizzati dall’esperto.

Questa valutazione deve essere condotta tenendo in considerazione anche altri principi:

La possibilità di sottoporre la teoria o tecnica scientifica a verifica empirica, falsificarla e confutarla.

L’esistenza di una revisione critica da parte degli esperti del settore.

L’indicazione del margine di errore noto o potenziale e il rispetto degli standards relativi alla tecnica impiegata.

Da quel momento Daubert è diventato il punto di riferimento per la valutazione della prova scientifica.

Anche quando i criteri di Daubert non dovessero risultare applicabili alla prova in esame (come il peer review o le pubblicazioni) spetta ai giudici valutare le metodologie tecnico – scientifiche utilizzate dai testimoni esperti.

Con questa sentenza, i giudici, essendo custodi della legge, hanno ribadito che spetta a loro avere l’ultima parola sulla validità delle conoscenze prese in giudizio.

Anche se riconoscano di avere bisogno della scienza per fare luce su questioni particolarmente complesse e per le quali non possiedono gli strumenti necessari a una loro interpretazione, i giudici si riservano il diritto di decidere a chi riconoscere la qualifica di scienziato, saranno gli strumenti processuali stessi a garantire la qualità del risultato e a far inevitabilmente emergere la migliore scientificità.

Questo percorso, seguito dalla giurisprudenza statunitense, sembra si presti a essere descritto come un progressivo avvicinamento al principio del libero convincimento del giudice, e alla figura del giudice come peritus peritorum (perito dei periti) vigente nel nostro ordinamento.

Nell’ordinamento italiano, è il giudice a dovere prendere la decisione finale sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato sulla base del proprio libero convincimento e a emettere una sentenza,e a lui spetta anche il compito di valutare l’affidabilità e l’attendibilità delle risorse tecnico – scientifiche utilizzate nel processo.

Dott.ssa Concas Alessandra

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