Le indagini (o investigazioni) difensive: intervista all’avvocato Simone Giuseppe Latte del Foro di Cagliari

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Il difensore, nel sistema penale italiano, caratterizzato da un modello processuale di tipo accusatorio, ha a disposizione uno strumento normativo molto importante, quello delle indagini (o investigazioni) difensive.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Simone Giuseppe Latte, del Foro di Cagliari.

Avvocato Latte in che consistono le indagini (o investigazioni) difensive?

Le cosiddette indagini (o investigazioni) difensive rappresentano uno strumento introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge 7 dicembre 2000 n. 397, al fine di attuare il principio di parità tra accusa e difesa, che costituisce, a sua volta, il portato principale del nostro sistema processuale, fondato sul principio accusatorio.

Si tratta, più specificamente, di una facoltà riconosciuta al difensore, che, pertanto – una volta ricevuto il mandato – dovrà valutare l’opportunità di esercitarla, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto.

L’esercizio di tale facoltà può schematicamente dividersi in due categorie di investigazione: l’indagine da fonti dichiarative e le c.d. investigazioni dirette.

L’indagine da fonti dichiarative costituisce l’oggetto principale dell’investigazione difensiva, a causa della particolare importanza che la prova testimoniale assume nel processo penale.

L’art. 391 bis c.p.p. ha ridefinito la materia, delineando tre modi attraverso i quali è possibile assumere informazioni da questo tipo di fonti: il colloquio non documentato, la richiesta e relativa ricezione di informazioni scritte e l’assunzione di informazioni da documentare.

Prescindendo dai limiti soggettivi ed oggettivi comuni ai tre tipi di indagine, volti a garantire la genuinità delle informazioni e ad evitare interferenze con l’indagine del Pubblico Ministero, può dirsi, anzitutto, che il colloquio non documentato consiste in un’attività di carattere del tutto informale, il cui scopo è espressamente determinato dal legislatore: si tratta di “acquisire notizie” per un utilizzo meramente interno all’ufficio difensivo.

Questo strumento, come si riflette nella pratica?

Assolve all’esigenza di concentrare la ricerca, soprattutto nella fase iniziale, sulle possibili fonti dichiarative, in modo da verificare – dopo aver individuato i soggetti ritenuti “in grado di riferire circostanze utili” – l’effettiva sussistenza di tale qualità.

Occorre chiarire che, nonostante tale funzione, il colloquio informale non si differenzia, in relazione al suo possibile oggetto, dagli altri due sistemi di acquisizione delle informazioni.

La scelta tra una delle varie modalità di assunzione delle informazioni non è determinata dal contenuto della comunicazione, ma semplicemente dall’eventualità di utilizzo delle stesse nel procedimento.

Per quanto attiene alla richiesta e ricezione di dichiarazione scritta, che fu il modello di indagine proposto per primo, l’art. 391 ter del codice di procedura penale, prescrive che la stessa sia sottoscritta dal dichiarante, ma non olografa.

Sarà cura del difensore, richiederne all’autore la sottoscrizione in originale su ciascuno dei fogli di cui la dichiarazione stessa si compone.

La previsione normativa risponde all’esigenza di garantire che questa provenga effettivamente dalla persona che ne risulta autore.

La norma in esame, inoltre, impone la documentazione di tale dichiarazione, che consiste nell’indicazione della data in cui la stessa è stata ricevuta, delle generalità del richiedente e dell’autore della dichiarazione, e nell’attestazione che al dichiarante siano stati rivolti alcuni avvertimenti, imposti dall’art. 391 bis c.p.p., oltre all’indicazione dei fatti oggetto della dichiarazione.

L’ultimo sistema di investigazione da fonti dichiarative consiste, come si è detto, nell’assunzione di informazioni da documentare.

A tale metodo si ricorre nelle ipotesi in cui la fonte dichiarativa sia in grado di fornire elementi che assurgono al rango di prova, e che pertanto, come tali, potranno essere utilizzati direttamente nel procedimento, per l’esercizio del diritto di difesa.

Gli altri strumenti d’indagine riconosciuti al difensore sono il diritto d’accesso ai documenti della pubblica amministrazione, disciplinato dall’art. 391 quater c.p.p., l’accesso ai luoghi pubblici ed aperti al pubblico e l’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico, regolati dagli artt. 391 sexies e septies del codice di procedura penale.

Il nostro sistema penale si basa sul modello accusatorio, in questo contesto quanto è importante lo strumento normativo delle indagini difensive?

Si tratta, in sostanza, dello strumento che attua il principio accusatorio, inteso in particolare come parità tra accusa e difesa, che caratterizza il nostro processo penale a partire dal 1989-90, con la riforma del codice di rito.

Occorre chiarire, che non si tratta di un’equiparazione completa, soprattutto a causa dell’assenza, in capo al difensore, dei poteri coercitivi che tipicamente caratterizzano l’attività della parte pubblica.

Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi disciplinata dalla lettera d), comma 3, dell’art. 391-bis del codice di procedura penale.

Nel caso in cui la persona, potenzialmente in grado di riferire circostanze utili, abbia esercitato la facoltà di non rendere la dichiarazione, il difensore, che la ritenga utile, è tenuto a formulare un’apposita richiesta in tal senso al Pubblico Ministero.

Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento all’ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione cui sia stato richiesto di fornire documenti utili, si rifiuti di evadere la richiesta, ed al caso in cui chi abbia la disponibilità di un luogo privato o non aperto al pubblico, non presti spontaneamente il consenso all’accesso.

Si tratta dei cosiddetti casi di “canalizzazione” al Pubblico Ministero.

Lo strumento normativo delle indagini difensive si può utilizzare in ogni stato e grado del procedimento penale?

L’art. 7 della Legge 397/2000, accogliendo le indicazioni provenienti dalla classe forense, ha introdotto nel codice di rito l’art. 327 bis, in forza del quale le indagini difensive possono svolgersi “fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto” (comma 1) e “in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione” (comma 2).

E’ consentito, infine, che svolga indagini “il difensore che ha ricevuto apposito mandato per l’eventualità che si instauri un procedimento penale” (ex art. 391 nonies c.p.p.).

In questa ipotesi, non sarà possibile che svolga indagini che implicano, necessariamente, l’esistenza di un procedimento pendente.

Il difensore può scegliere il momento nel quale utilizzare le prove raccolte con le indagini difensive?

Gli elementi raccolti dal difensore possono essere utilizzati, anzitutto, durante la fase delle indagini preliminari, come sancito dai commi 1 e 2 dell’art. 391 octies del codice di procedura penale, quando il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) debba adottare una decisione con o senza la parte privata.

Questi elementi, inoltre, possono essere utilizzati nel periodo di tempo che intercorre tra la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero e l’inizio della discussione in sede di udienza preliminare (in tal senso si argomenta dall’art. 13 della legge 397/2000 e dagli artt. 391-octies comma 1 e 391-decies comma 2 c.p.p.).

Le indagini difensive e la relazione con l’articolo 111 della Costituzione

Può fondatamente ritenersi che lo strumento delle indagini difensive costituisca attuazione del, consacrato dal nuovo testo dell’art. 111 Cost. ed in particolare del principio del diritto di difendersi provando, trasfuso nella carta costituzionale, da ultimo, con la Legge 24 marzo 2001, n. 89.

Dott.ssa Concas Alessandra

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