Le chat che rivelano infedeltà possono essere utilizzate come prova dal coniuge tradito per ottenere l’addebito della separazione?

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Quando si chatta su WhatsApp o con altri sistemi di messaggistica, si deve prestare attenzione sia a quello che si dice sia a quello che si fa.

In tempi recenti, ad esempio, un marito ha ottenuto l’addebito della separazione nei confronti della moglie fedifraga grazie al contenuto dei messaggi trovati su WhatsApp, in questo modo non le dovrà pagare il mantenimento. 

Lo ha deciso il tribunale di Monza in una sentenza (Trib. Monza, sent.05/10/2021 n. 1782).

Serve essere molto cauti, non esclusivamente quando si chatta con l’amante ma anche quando si parla con il proprio coniuge.  

Nella vicenda in questione, la donna, messa alle strette dal marito, si era “autodenunciata”, ammettendo l’infedeltà in un dialogo su WhatsApp.

L’uomo aveva conservato le conversazioni per utilizzarle contro di lei nel giudizio di separazione coniugale che aveva deciso di instaurare, visto l’adulterio provato e confessato dalla stessa moglie.

Il tradimento costituisce motivo di addebito della separazione quando ha determinato la rottura irrimediabile dell’unione coniugale.

A  questo proposito, ci si chiede se il tradimento confessato su WhatsApp possa essere una prova contro il coniuge anche in una causa di separazione. 

I giudici del Tribunale di Monza hanno risposto in modo affermativo e le pronunce giurisprudenziali che la pensano in questo modo sono molte.

I messaggi scambiati su WhatsApp sono assimilati, in relazione al valore probatorio, ai tradizionali documenti cartacei, formando in questo modo per la legge “piena prova” dei fatti che vanno a rappresentare, a meno che la controparte non li contesti, ad esempio sostenendo che sono stati falsificati (art. 2712 c.c.).

In questo articolo vedremo quando, come e perché il tradimento confessato su WhatsApp è prova e a quali condizioni viene riconosciuta la sua validità nei processi. 

Scriveremo anche che cosa può fare il coniuge contro il quale le chat vengono prodotte, per fare in modo che perdano il loro valore di prova.

     Indice 

  1. Il valore come prova delle chat su WhatsApp
  2. L’infedeltà coniugale può essere provata avvalendosi di WhatsApp?
  3. In che modo si utilizzano le chat di WhatsApp nella causa di separazione
  4. In quali casi le chat su WhatsApp non possono essere disconosciute  

1. Il valore come prova delle chat su WhatsApp

L’articolo 2712 del codice civile, rubricato “Riproduzioni meccaniche”, recita:

“Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

La norma è stata scritta nel 1942, in un’epoca nella quale WhatsApp, la telefonia mobile, Internet e i social network non esistevano

La relazione alle riproduzioni informatiche è stato inserito nel 2005 e la giurisprudenza più recente lo ritiene applicabile anche alle chat su WhatsApp.

2. L’infedeltà coniugale può essere provata avvalendosi di WhatsApp?

La risposta al quesito è affermativa,  le chat su WhatsApp provano l’infedeltà coniugale, con le conseguenze in termini di addebito della separazione verso il coniuge reo di avere tradito.

Di solito l’addebito della separazione coniugale viene pronunciato nei confronti di chi si è reso responsabile dell’infedeltà nei confronti del coniuge, a condizione che da questo, e non da altri fattori di crisi precedenti, sia derivata l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

La rottura tra i coniugi potrebbe essere nata per altri motivi che non dipendono dal tradimento, che in questo caso diventa una conseguenza e non la causa del fallimento del matrimonio. 

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3. In che modo si utilizzano le chat di WhatsApp nella causa di separazione 

Per il coniuge che si accorge di essere stato tradito, non è difficile inserire nella causa di separazione le chat di WhatsApp che dimostrano l’infedeltà dell’altro, facendole valere come prova.

È sufficiente produrle in giudizio, con gli screenshot oppure  estrapolando il contenuto dell’archivio informatico su un supporto esterno, o con la trascrizione delle conversazioni, in base alla norma civilistica sulle “riproduzioni”, della quale si è scritto nel paragrafo precedente. 

A questo punto ci si rivolge all’altro coniuge, che può neutralizzare l’efficacia di prova di questi documenti contestandoli e disconoscendone il contenuto. 

La contestazione della veridicità del contenuto delle chat su WhatsApp deve essere precisa, specifica e argomentata.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, in una pronuncia relativa agli Sms, che, a livello processuale, si può estendere anche a WhatsApp, il disconoscimento di conformità non ha gli stessi effetti previsti per la scrittura privata dall’articolo 215, comma 2 del codice di procedura civile, perché in quel caso in mancanza di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, mentre per le riproduzioni informatiche il giudice può accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. ord. n. 15141/2019).

4. In quali casi le chat su WhatsApp non possono essere disconosciute  

Le maglie risultano molto più larghe nei confronti delle chat riportate su WhatsApp o su altri sistemi di messaggistica rispetto ai documenti tradizionali, e la loro utilizzabilità processuale risulta più ampia perché contestarle non è agevole.

Nella vicenda decisa dai giudici di Monza della quale si è accennato nella premessa, il disconoscimento delle chat di WhatsApp da parte della moglie, dalle quali risultava l’ammissione del tradimento compiuto, è stato respinto, perché la donna si era limitata a dire che non aveva più lo smartphone che utilizzava all’epoca e non poteva più riscontrare la veridicità delle conversazioni che il marito aveva estrapolato e prodotto contro di lei.

La donna si era limitata a sollevare dei dubbi sul contenuto delle chat che aveva riportato il marito, non disconoscendole in modo espresso. 

La Suprema Corte di Cassazione, a questo proposito ha affermato che il disconoscimento delle chat su WhatsApp o altri sistemi di messaggistica (come gli Sms) deve essere non esclusivamente tempestivo, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà dei fatti e la realtà riprodotta (Cass. ord. n. 12794/2021).

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