L’azione legale

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L’azione legale, spesso detta anche causa legale, è il potere attribuito a un soggetto giuridico di provocare l’esercizio della giurisdizione da parte di un giudice.

Il suo esperimento avvia una causa legale destinata ad essere dibattuta e definita nell’ambito di un processo.

Indice

  1. Azione e lite
  2. Concezioni dell’azione
  3. La titolarità dell’azione
  4. Esercizio dell’azione
  5. Elementi dell’azione

1. Azione e lite

Di solito l’esercizio dell’azione avviene in relazione ad una lite o controversia, vale a dire, a un conflitto di interessi tra le parti, con il giudice chiamato a stabilire quale abbia ragione.

A volte non c’è lite e l’attività del giudice è necessaria per la costituzione, in collaborazione con le parti, di un rapporto giuridico che l’ordinamento non consente alle stesse di costituire i modo autonomo.

Questi sono i casi di volontaria giurisdizione la quale, secondo molti autori, non è attività giurisdizionale vera e propria ma attività materialmente amministrativa che l’ordinamento ha attribuito a determinati organi giudiziari, in deroga al principio di separazione dei poteri.

2. Concezioni dell’azione

Il concetto di azione era noto al diritto romano dove veniva definita ius persequendi iudicio quod sibi debeatur (diritto di realizzare la propria pretesa attraverso un processo).

La concezione romanistica tendeva a identificare l’azione con il diritto che attraverso la stessa viene fatto valere, anche per la tendenza propria del diritto romano, ma riscontrabile anche in altri ordinamenti, ad esempio quelli di common law, a prevedere un’azione per ogni diritto soggettivo da tutelare, senza conferire esplicitamente allo stesso.

In questo modo, la sua esistenza si può inferire dal fatto che esiste un’azione che lo tutela.

La predetta concezione ha avuto molta fortuna, ed è arrivata sino all’età moderna.

Oggi, però, si può dire superata da una diversa concezione che distingue l’azione, come situazione giuridica processuale, dal diritto soggettivo sostanziale, alla quale realizzazione l’azione stessa è rivolta.

In questo senso è molto nota la definizione di Giuseppe Chiovenda, secondo il quale l’azione è il “potere giuridico di porre in essere le condizioni per l’attuazione della legge”.

Non mancano concezioni che vanno ancora più in là nella scissione tra azione e diritto sostanziale, affermando che l’azione è il diritto che spetta a ogni cittadino di adire il giudice, indipendentemente dalla fondatezza della pretesa che in questo modo viene fatta valere.

3. La titolarità dell’azione

La titolarità dell’azione può essere attribuita:

  • Al soggetto titolare del diritto sostanziale che l’azione è volta a realizzare, il quale agisce nel suo interesse.
  • A un organo pubblico, il pubblico ministero, che agisce nell’interesse pubblico.
  • A chiunque, nell’interesse della collettività al quale appartiene (azione popolare).

L’azione che spetta al soggetto titolare del diritto sostanziale ha natura di diritto potestativo, ed è il caso tipico dell’azione civile.

Ci sono anche casi eccezionali di sostituzione processuale, dove l’azione civile può essere esercitata da un soggetto diverso dal titolare del diritto sostanziale, che agisce lo stesso nel proprio interesse.

L’azione che spetta al pubblico ministero ha natura di potestà.

È il caso dell’azione penale, con la quale viene realizzata la pretesa punitiva pubblica che sorge in seguito della commissione di un reato.

Si deve però rilevare che, in determinati casi, l’ordinamento può prevedere l’azione del pubblico ministero anche in materia civile.

L’azione del pubblico ministero può essere obbligatoria o discrezionale, secondo che egli sia obbligato ad esercitarla, dove ne ricorrano le condizioni, oppure possa valutare di volta in volta l’opportunità dell’esercizio.

In Italia l’azione penale è obbligatoria, ci sono però ordinamenti, specie di common law, dove è facoltativa.

In determinati ordinamenti anche l’azione penale può essere esercitata da un privato.

Si può trattare della persona offesa dal reato, che agisce nel proprio interesse, o di un’azione popolare.

Negli ordinamenti attuali i privati hanno di solito un ruolo suppletivo o integrativo rispetto al pubblico ministero.

In Italia l’azione penale è esclusivamente pubblica nonostante a volte si parli impropriamente di “azione privata” nei casi in nei quali l’esercizio da parte del pubblico ministero è subordinato alla querela della persona offesa.

L’azione popolare è un caso di esercizio privato di funzioni pubbliche.

Negli ordinamenti odierni ha natura eccezionale, essendo ammessa esclusivamente in alcuni casi espressamente consentiti dalla legge.

4. Esercizio dell’azione

Il soggetto che esercita il potere di azione, l’attore, costituisce un rapporto giuridico con il soggetto chiamato in giudizio, il convenuto, anche contro la volontà dello stesso, e la mancata costituzione in giudizio del convenuto non impedisce la celebrazione del processo ma determina la particolare condizione detta contumacia.

L’atto processuale attraverso il quale viene esercitato il potere prende il nome di domanda giudiziale.

Il rapporto giuridico che s’instaura a seguito dell’esercizio dell’azione è detto rapporto processuale e intercorre tra attore, nel processo penale l’accusatore, convenuto, nel processo penale l’accusato, e giudice.

Da esso scaturiscono poteri, oneri e, secondo alcuni autori, anche diritti soggettivi e obblighi in capo a questi soggetti.

L’esercizio dei poteri e l’assolvimento degli oneri determina quel concatenarsi di atti nei quali si sostanzia il processo, chiamati atti processuali.

Il rapporto processuale va tenuto distinto dal rapporto giuridico collegato al diritto sostanziale alla quale realizzazione il processo è rivolto.

Ha propri presupposti, presupposti processuali, vale dire, fatti la quale sussistenza è condizione necessaria in modo che sorga il potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul diritto sostanziale. Dove questi presupposti manchino, il rapporto processuale viene lo stesso in essere, ma in capo al giudice sorge un diverso potere-dovere, quello di dichiarare la loro insussistenza.

Dai presupposti processuali vanno distinte le condizioni dell’azione, vale a dire, i requisiti che questa deve avere in modo che il giudice si possa pronunciare sul diritto sostanziale.

Nel diritto processuale civile sono la possibilità giuridica, l’interesse ad agire e la legittimazione ad agire.

5. Elementi dell’azione

Sono considerati elementi dell’azione civile:

  • Le personae, vale a dire, i soggetti, l’attore e il convenuto.
  • Il petitum, vale a dire, quello che l’attore chiede al giudice, inteso come provvedimento giurisdizionale (petitum immediato) o bene della vita che in tal modo intende conseguire (petitum mediato).
  • La causa petendi, vale a dire, il titolo, il fatto costitutivo del diritto sostanziale in virtù del quale viene chiesto il petitum.

Questi concetti, elaborati in relazione all’azione civile, sono richiamati anche per altri tipi di azione.

I suddetti elementi servono, in particolare, a stabilire se un’azione si può considerare uguale all’altra sulla quale si è in precedenza formata la cosa giudicata.

In questo caso, secondo un principio presente negli ordinamenti ed espresso dal brocardo ne bis in idem, l’azione stessa non può più essere esercitata, due azioni sono identiche se uguali nei loro elementi.

Dove vige il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, espresso dal brocardo ne eat iudex extra petita partium, gli elementi dell’azione delimitando l’ambito entro il quale il giudice si può pronunciare, con la conseguente illegittimità della pronuncia che concedesse più di quanto chiesto o una cosa diversa.

Il principio vieta al giudice di pronunciare a favore o contro soggetti diversi dalle parti, di accordare o negare cosa diversa da quella domandata dalla parte e di sostituire il fatto costitutivo del diritto fatto valere dalla parte, con uno diverso

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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