La violenza sessuale nel matrimonio

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La Suprema Corte di Cassazione con due sentenze, emesse con distanza di alcuni mesi l’una dall’altra, ha ribadito determinati importanti principi costituzionali in materia di matrimonio e, in relazione  alla parità morale e giuridica dei coniugi, ha condannato il modo di agire di due mariti che hanno generato comportamenti violenti ai danni delle loro mogli.

Con una recente sentenza di fine aprile, i Giudici Supremi, hanno riconosciuto l’applicabilità dell’aggravante del rapporto di coniugio prevista per il reato di omicidio anche in presenza di comportamenti violenti contro la propria moglie.

Con una precedente di febbraio, aveva ribadito che l’ordinamento penale vigente, non giustifica i comportamenti violenti commessi ai danni della propria moglie esclusivamente perché nel paese di provenienza sono ammesse in relazione alla cultura del luogo.

Le questioni culturali, davanti ai diritti fondamentali della persona, come la libertà sessuale, che deve venire tutelata all’interno del matrimonio, devono per forza fare un passo indietro,

In ragione di questo, il ricorso del marito condannato per maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della propria moglie, deve essere respinto.

La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale.

Si pensi alla grave mutilazione genitale della donna in alcune culture, ma anche alla disuguaglianza dell’accesso a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi nei quali si prendono le decisioni.

La vicenda ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe.

Non si deve dimenticare la pratica dell’utero in affitto o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica.

C’è chi ritiene che molte questioni attuali si sono verificate a partire dall’emancipazione della donna.

Secondo alcuni questo argomento non è valido, non è vero, ed è una forma di maschilismo.

La stessa dignità tra l’uomo e la donna porta a rallegrarsi del fatto che si superino vecchie forme di discriminazione, e che nelle famiglie si sviluppi uno stile di reciprocità.

Nel sistema delineato dal legislatore del 1975, con la riforma del diritto di famiglia, il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, è stato superato da quello di famiglia-comunità, i quali interessi si identificano con quelli solidali dei suoi componenti.

Il coniugio aggravante se i rapporti sessuali rappresentano una costrizione nei confronti della moglie

La recente sentenza della Cassazione n. 13273/2020, depositata a fine aprile 2020 ha stabilito la possibilità che venga applicata l’aggravante prevista dall’articolo 577 del codice penale al reato di violenze contro il coniuge, anche se questo è separato, ma non ancora divorziato e senza che rilevi o meno la coabitazione tra il reo e la persona offesa.

Una simile pronuncia conferma l’indirizzo della Suprema Corte, che sanziona e punisce i reati commessi all’interno del matrimonio, che in virtù del vincolo di coniugio risultano in modo più netto deprecabili, in relazione all’ffermazione a livello costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

 

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La recente sentenza n. 7950/2020 della Suprema Corte di Cassazione, per determinati frangenti, è arrivata alle stesse conclusioni della sentenza pronunciata da parte della stessa Corte, nel mese di febbraio, che ha respinto il ricorso di un marito, accusato, tra i vari reati, di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale ai danni della moglie.

Nel ricorso presentato in Cassazione il marito ha voluto sottolineare il fatto che la Corte d’Appello abbia basato la sua decisione sul racconto dei fatti della moglie persona offesa e che non abbia considerato la “variabile culturale”.

 

La Suprema Corte di Cassazione, ha però respinto i tentativi di difesa del marito e ha preso in considerazione, stando a quello che è emerso in giudizio, le condizioni della donna.

La moglie è di origine pakistana, non ha contatti con il mondo esterno, perché è per decisione del marito che la stessa vive isolata.

Una simile situazione rende la donna inevitabilmente fragile dal lato psicologico ed è la causa del ritardo con il quale la stessa ha denunciato i comportamenti del marito.

Il suo racconto è stato confermato anche dai referti medici del pronto soccorso, che attestano le lesioni subite dalla donna a causa del comportamento aggressivo del marito.

 

La Cassazione, in relazione al reato di violenza sessuale, dopo avere valutato il contesto di umiliazione e sopraffazione messi in atto in modo continuativo dal marito nei confronti della donna, è arrivata alla conclusione che si deve considerare integrato il reato di violenza sessuale con costrizione attraverso l’utilizzo della violenza.

 

La Suprema Corte ribadisce che:

“Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario l’esistenza né di un rapporto di coppia coniugale o para coniugale tra le parti, e né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali”.

 

La Suprema Corte ribadisce anche che, quando ci sono  determinati valori primari come la libertà sessuale e l’integrità fisica, non sono ammesse nell’ambito del sistema penale, valutazioni di carattere culturale, perché “nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza, come i diritti inviolabili dell’uomo garantiti e i beni ad essi collegati tutelati dalle fattispecie penali, che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino”.

Secondo la Cassazione la difesa della cultura deve fare un passo indietro rispetto ai diritti della persona garantiti dall’articolo 2 della Costituzione.

Chi decide di abitare in modo stabile in Italia, deve sapere che questi limiti valgono anche per la loro persona.

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