La tutela giudiziaria del possessore e le azioni di nunciazione

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Il possesso è una situazione giuridica “materiale”.

Nonostante questo, il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre delle azioni giudiziarie a tutela del possessore, e lo ha fatto per due motivi principali.

Il primo è mantenere la pace sociale, evitando che il possessore, spogliato della cosa, tenti di “farsi giustizia da sé” allo scopo di riottenere subito la disponibilità del bene.

Il secondo è rafforzare la tutela del titolare del diritto reale, la protezione dello ius possessionis in come tale, dandogli degli strumenti processuali che, anche se siano dotati del carattere della sommarietà, tendano a ripristinare la situazione di fatto precedente alla turbativa o allo spoglio in modo veloce e tempestivo, non essendo necessaria la prova dell’effettiva titolarità del diritto reale corrispondente, basta che non vengano dimostrate i motivi del proprietario in un successivo giudizio petitorio.

Le azioni a tutela del possesso

Il legislatore ha predisposto a tutela del possesso due speciali azioni, cosiddette “strettamente possessorie”, modulate sul tipo di lesione lamentata.

Sono la reintegra, in presenza di spoglio violento o clandestino (art. 1168 c.c.) e la manutenzione (art 1170 c.c.) finalizzata ad eliminare molestie o turbative nel possesso o a recuperare lo stesso in caso di spoglio non violento o clandestino, cosiddetto “spoglio semplice”.

Quando vigeva il precedente codice civile del 1865, la giurisprudenza non riteneva che il possesso si potesse tutelare attraverso il ricorso all’articolo 2043 del codice civile sostenendo che questa disposizione di carattere sanzionatorio fosse rivolta a “punire” esclusivamente l’eventuale lesione di un diritto soggettivo riconosciuto specificamente da una norma giuridica.

L’orientamento attuale tende a configurare una simile tipologia di tutela, sulla concezione dell’articolo 2043 del codice civile, come norma atipica e non è rivolta in modo esclusivo alla salvaguardia dei diritti soggettivi ma anche degli interessi considerati giuridicamente rilevanti da parte dell’ordinamento giuridico.

L’azione risarcitoria

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, nel giudizio possessorio, a seguito di molestie o spoglio, può entrare l’azione risarcitoria, contenuta all’articolo 2043 del codice civile, con lesione della posizione di signoria riconosciuta al possessore sulla res.

La domanda di risarcimento del danno che consiste nella diminuzione patrimoniale sofferta per il tempo nel quale si è protratto lo spoglio o la turbativa del possesso, si configura come accessoria a quella principale di reintegra o di manutenzione e può essere proposta in modo congiunto, oppure, in via autonoma.

Un orientamento più risalente, è contrario a una simile impostazione.

Anche se non sia posta a tutela specifica del possesso come tale, la seconda categoria di rimedi che può esperire il possessore, oltre che il proprietario e il titolare di altro diritto reale, è rappresentata dalle cosiddette “azioni di nunciazione”.

Disciplinate dagli articoli 1171 e 1172 del codice civile, le denunzie di nuova opera e di danno temuto, a differenza delle azioni a difesa del possesso, caratterizzate da un’azione successiva al pregiudizio recato al bene, sono funzionali al diverso scopo di proteggere le res dai pregiudizi che potrebbero derivare da un facere o dalla violazione di un obbligo di custodia o manutenzione altrui.

Le azioni di nunciazione hanno una veste cautelare e realizzano una tutela preventiva del bene rispetto alla possibilità di un futuro pregiudizio.

Le azioni di nunciazione

Il legislatore, a parte i mezzi processuali tipicamente possessori, adotta due rimedi che possono essere legittimamente esperiti a tutela della res, sia dal possessore, sia dal proprietario, sia dal titolare di uno qualsiasi degli altri diritti reali di godimento.

Sono le cosiddette “azioni di nunciazione” o “quasi possessorie” disciplinate dagli artt. 1171 e 1172 del codice civile.

Nonostante siano entrambe strumenti di natura cautelare con finalità preventive e inibitorie a tutela del bene, al fine di scongiurare il pericolo di un pregiudizio, a differenza delle azioni a difesa del possesso, caratterizzate da un’azione successiva al pregiudizio recato al bene e a carattere repressivo, le due azioni di nunciazione, la denuncia di nuova opera e di danno temuto, hanno presupposti ed effetti in parte diversi.

Entrambe le azioni hanno lo scopo di ottenere un provvedimento che protegga proprietario, possessore e titolare di diritti sulla cosa da un danno incombente, grave e prossimo che possa derivare da un bene o da un’attività altrui, incidendo sull’oggetto del proprio diritto o possesso e sul libero esercizio degli stessi, ma mentre la denuncia di nuova opera tende ad evitare che la prosecuzione di un’opera intrapresa, che si ha ragione di ritenere pregiudizievole per la res oggetto della proprietà o del possesso, si determini in un danno effettivo, quella di danno temuto mira a prevenire il pericolo di danno in relazione allo stato attuale della cosa altrui.

La distinzione fondamentale tra le due azioni dipende dalla diversa fonte del pericolo di danno.

Secondo la giurisprudenza, l’elemento di discrezione tra la denuncia di nuova opera e quella di danno temuto lo determina l’attività umana, vale a dire, il modo diverso nel quale l’attività dell’uomo abbia provocato il sorgere del danno e la diversità del rimedio da adottare.

La prima è relativa a un facere dell’uomo, nel proprio o nell’altrui fondo, che potrebbe recare danno al bene oggetto della proprietà e del possesso, e prevede come rimedio l’inibizione dell’attività stessa o la subordinazione della sua prosecuzione all’adozione di determinate cautele.

La seconda è relativa a un non facere, vale a dire, l’inosservanza dell’obbligo di rimuovere una situazione, ad esempio, un edificio, una pianta o altro, che per effetto di un suo modo di essere, determina pericolo di un danno grave e prossimo per la res di proprietà o in possesso del denunciante.

Il rimedio previsto è l’ordine, a chi abbia la piena disponibilità della cosa che costituisce pericolo, di eseguire le azioni necessarie alla sua rimozione.

I provvedimenti che il giudice dovrà adottare nell’uno e nell’altro caso sono diversi, perché fermo restando l’elemento comune del fine di mantenere lo stato di fatto e impedire un cambiamento che può essere pregiudizievole al diritto o al possesso altrui, nel primo si può disporre che si fermi il fatto dell’uomo, nel secondo le opportune cautele.

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