La Suprema Corte di Cassazione, la gelosia ossessiva è reato

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La sesta sezione della Suprema Corte di Cassazione, ha affermato che è reato condizionare il coniuge nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative sottoponendolo a continue vessazioni.

La gelosia morbosa che si manifesta con contestazioni di tradimenti inesistenti, ricerca incessante di tracce di relazioni extra-coniugali attraverso controlli sui telefoni, reiterate richieste di test del dna sui figli e verifica degli orari di rientro a casa e degli spostamenti configura il reato di maltrattamento, essendo davanti a una vessazione psicologica, che è punita dalla legge.

Nel caso specifico, il comportamento ossessivo ispirato da gelosia morbosa era stato tenuto da un uomo siciliano,  che aveva fatto pressione sulla moglie perché abbandonasse il suo lavoro di assistente di volo, secondo lui “non adatto a donne per bene”.

Il coniuge geloso era stato assolto dall’accusa di maltrattamenti, mentre la Corte d’appello di Palermo aveva confermato la condanna per stalking che gli era stata inflitta in primo grado.

Secondo gli ermellini il vizietto della possessività, se esagerato, configura questo genere di reato, mentre il giudice di secondo grado aveva basato l’assoluzione sul fatto che la vita di coppia era caratterizzata da animosità e che non si era raggiunta la prova della consapevolezza del marito di causare alla moglie un turbamento psichico e morale.

La pronuncia d’appello è stata ribaltata dal giudice di ultima istanza secondo il quale gli atteggiamenti caratterizzato da gelosia che si può definire ossessiva, tenuti dall’uomo sono relativi alla vessazione psicologica, punita dall’articolo 572 del codice penale con la reclusione da due a sei anni, perché con il suo modo di agire il partner avrebbe provocato nella moglie importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte, nonché un intollerabile stato d’ansia.

Per dovere di cronaca vediamo in che consiste il reato disciplinato dall’articolo 572 del codice penale.

Secondo l’articolo 572, comma 1, del codice penale (formalmente riferito ai “maltrattamenti in famiglia o contro fanciulli”) “chiunque maltratta una persona della famiglia o convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Nel codice penale il reato di maltrattamenti viene inquadrato tra i “delitti contro la famiglia” ma l’interpretazione più moderna tende a collocare questi comportamenti tra i reati contro la persona o, meglio, “contro soggetti deboli”, perché con questa norma il legislatore intende salvaguardare l’incolumità fisica e psichica delle persone “più facilmente aggredibili” elencate dall’articolo 572 codice penale.

La “famiglia” oggetto di tutela da parte dell’articolo 572 codice penale non va intesa in senso restrittivo, ma è nozione che va estesa sino a ricomprendere ogni consorzio di persone legate da relazioni e consuetudini di vita atte a fare sorgere reciproci rapporti di convivenza, assistenza e solidarietà, come si può percepire dallo stesso testo normativo (di recente modificato dalla legge15 ottobre 2013, n. 119) che tutela espressamente anche la persona “in qualsiasi modo convivente”.

Ne deriva che i membri delle famiglie di fatto godono della stessa protezione dei membri della famiglia regolata dalle norme sul matrimonio civile.

L’articolo 572 codice penale estende la sua portata anche al di fuori del nucleo familiare, e anche se meno frequentemente, ha trovato applicazione in ambiti diversi (contemplati dalla stessa norma), in particolare, alle strutture dove potrebbero essere adoperati mezzi incompatibili con le normali finalità, mentre più controverse applicazioni vi sono state negli ambienti di lavoro o scolastici, dove il confine con il meno grave delitto di abuso di mezzi di correzione previsto dall’articolo 571 codice penale, risulta essere più leggero.

I maltrattamenti si possono realizzare con ogni tipo di comportamento (sono tra i cosiddetti reati a forma libera).
Stando alle statistiche, i maltrattamenti si realizzano per lo più con le tipiche violenze nei confronti di soggetti vulnerabili e conviventi (tristi ma frequenti esempi, sono il coniuge che percuote abitualmente l’altro coniuge o il tossicodipendente che estorce somme ai familiari) ma possono consistere anche in aggressioni di tipo morale o verbale.

L’ingiuria e persino il gesto violento, presi singolarmente, potrebbero essere di per sé non punibili (oppure procedibili a querela) ma, se dovessero essere reiterati nel tempo (diventando così “abituali”) acquisiscono una loro intrinseca gravità e rilievo penale, al contrario, i litigi sporadici e gli episodi di violenza occasionali non saranno mai maltrattamenti.

Il reato si realizza quando si sia sicuri dell’esistenza di una condotta abituale che si concretizzi in (più) fatti lesivi dell’integrità fisica o morale o della libertà o del decoro delle persone della famiglia, nei confronti delle quali viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica, in modo da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra l’autore di questi comportamenti e la vittima.

Nella nozione di “maltrattamenti” possono rientrare sia le aggressioni fisiche in senso stretto, come  percosse e lesioni, sia in genere quegli atti di vessazione, disprezzo e sopruso, da incidere in modo significativo sulla personalità della persona maltrattata che, a causa della reiterazione di simili condotte nel corso del rapporto familiare, o extrafamiliare, ne subisce apprezzabile sofferenza morale o fisica.

Il delitto è procedibile d’ufficio e può essere denunciato da chiunque ne abbia avuto notizia o dalla stessa vittima, presentandosi in Questura, a una Stazione dei Carabinieri o alla Procura della Repubblica.

Non è infrequente che una semplice querela per lesioni o altro reato sia poi qualificata come fatto sintomatico (purché unito con altri ricorrenti episodi in danno della stessa vittima) del più grave delitto di maltrattamenti, visto che spetta al magistrato dare qualificazione giuridica al fatto, e non è infrequente l’azione opposta, essendo possibile che dall’originaria imputazione di maltrattamenti si finisca per scomporre il reato in più episodi distinti, per i quali non si ravvisi abitualità, e se ne escluda la rilevanza.
Chi è accusato del reato di maltrattamenti in famiglia si dovrà rivolgere a un avvocato penalista per la propria difesa.

Chi ritiene di denunciare il reato non deve necessariamente rivolgersi ad un professionista, essendo sufficiente recarsi in Questura o ad una Stazione dei Carabinieri, dove potrà anche fare redigere un verbale della propria denuncia (o querela) e sottoscriverlo.
Chi è accusato del reato non potrà che rivolgersi all’avvocato penalista.

Sul fatto se adulti e anziani siano tutelati dall’articolo 572 del codice penale, la questione è delicata per più ragioni.
In primo luogo, affermare la possibilità che il delitto di maltrattamenti si possa verificare nell’ambito del rapporto di lavoro implicherebbe ammettere che il lavoratore è “sottoposto all’autorità del datore di lavoro”, presupposto teorico lontano dall’attuale concezione del rapporto di lavoro.

Nell’ordinamento penale manca il reato di mobbing, pertanto, esclusivamente in situazioni rare ed “estreme”, se siano accertate condotte idonee a produrre uno stato di abituale sofferenza fisica e morale nei dipendenti, quando la finalità perseguita dagli agenti consista nello sfruttamento degli stessi dipendenti per motivi di lucro personale, la giurisprudenza ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti da parte del datore di lavoro.

Il delitto di maltrattamenti si può dire integrato a fronte di una pluralità di comportamenti che incidano sul regime di vita di chi subisce il reato, e in questo ha forti analogie con lo stalking previsto dall’articolo 612 bis codice penale.

Fatti episodici che derivano da situazioni contingenti, anche se lesivi dei diritti fondamentali, mantengono la loro autonomia di reati contro la persona, o contro l’onore o contro la libertà, mentre diventano componenti dei “maltrattamenti” se sono parte di una più ampia e unitaria condotta che impone alla vittima uno stile di vita mortificante e insostenibile.

Il reato può essere commesso anche al di fuori della famiglia legittima in presenza di un rapporto caratterizzato da stabilità e suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza.

Dott.ssa Concas Alessandra

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