La prescrizione nell’ordinamento penale

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La prescrizione è un istituto giuridico previsto dal diritto penale che rientra nelle cause di estinzione del reato.

Indice

  1. Le origini
  2. La prescrizione del reato
  3. Il termine della decorrenza
  4. Il rapporto con principi costituzionali e convenzionali

1. Le origini

L’articolo 93 del codice Zanardelli esordiva con:

Il riconoscimento alla sentenza di condanna della capacità di interrompere la prescrizione dell’azione.

Questa capacità viene subito estesa al mandato di cattura o a qualsiasi provvedimento del giudice diretto contro l’imputato e a lui notificato, con la precisazione che l’interruzione, in questi casi, non potrà mai prolungare la durata dell’azione penale per un tempo che superi, nel complesso, la metà dei termini prescrizionali legalmente previsti.

In questo modo, l’estensione dell’efficacia interruttiva è circoscritta entro i confini precisi dettati dalla tipologia degli atti procedimentali, che per le caratteristiche individuate paiono gli unici idonei a testimoniare l’interesse alla persecuzione del fatto di reato, nonché dal limite temporale, la quale fissazione è ricondotta dai compilatori a esigenze di giustizia e convenienza.

2. La prescrizione del reato

La prescrizione del reato è l’istituto che risponde a un principio di economia dei sistemi giudiziari in base al quale lo Stato rinuncia a perseguire l’autore di un reato, quando dalla sua commissione sia trascorso un periodo di tempo giudicato eccessivamente lungo e di solito proporzionale alla gravità dello stesso.

Si vuole evitare che la macchina giudiziaria continui a impegnare risorse per la punizione di reati commessi molto tempo prima e per i quali è socialmente meno sentita l’esigenza di una tutela giuridica penale, e questo anche nell’ottica della funzione socialmente rieducativa della pena (art. 27 Cost.).

L’istituto nelle intenzioni del legislatore assolve alla funzione di garantire l’effettivo diritto di difesa all’imputato.

Con il passare del tempo è sempre più difficile per lo stesso imputato fornire e recuperare fonti di prova a suo favore.

La prescrizione evita eventuali abusi da parte del sistema giudiziario che si potrebbero verificare se il reato venisse perseguito a lunga distanza di tempo, e funge da stimolo perché l’azione dello Stato contro i reati sia rapida e puntuale, seguendo un’azione repressiva costituzionalmente orientata, in favore del principio di ragionevole durata del processo.

Secondo l’articolo 157 del codice penale, il tempo necessario a prescrivere un reato varia in considerazione della pena stabilita.

I reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo non sono prescrittibili.

L’articolo 157 del codice penale, modificato dalla legge 2005/ 251, prevede che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo che corrisponde al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, puniti con la pena pecuniaria.

I termini ricominciano a decorrere in presenza di determinati eventi interruttivi espressamente indicati dal codice penale, come la disposizione dell’interrogatorio dell’indagato o la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, ma senza potere mai superare il tempo prescritto aumentato di un quarto.

Ad esempio, nel caso del tempo fissato in sei anni, questo termine diventerà di sette anni e sei mesi, perché somma del termine di sei anni più del suo quarto, ovvero un anno e mezzo). Inoltre, altre cause di “allungamento” della prescrizione sono la contestazione di aggravanti specifiche, come nel caso della recidiva specifica reiterata infraquinquennale.

Per determinare il tempo necessario alla prescrizione non vengono considerate né le attenuanti né le aggravanti, ad eccezione delle aggravanti a effetto speciale, che aumentano la pena di più di un terzo, e quelle per le quali la legge stabilisce una pena diversa, ad esempio, ergastolo anziché reclusione.

In simili casi si tiene conto dell’aumento massimo della pena prevista per l’aggravante.

Quando la legge prescrive per un reato sia una pena detentiva sia una pecuniaria, la prescrizione si calcola sulla pena detentiva.

La legge, in determinati casi, può prevedere una pena alternativa a quella detentiva e pecuniaria: in questo caso la prescrizione matura in tre anni.

La prescrizione è espressamente rinunciabile (art. 157 cp.).

La prescrizione non equivale a un’assoluzione con formula piena, anche se gli effetti per l’imputato possono sembrare uguali e neanche a una condanna perché non viene formulato il corrispondente verdetto di condanna da parte del giudice.

Perché ci sia prescrizione è necessario che il giudice, nel dispositivo della sentenza, individui un reato, nel frattempo estinto, attribuibile all’imputato.

Diversamente l’imputato deve essere assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.

La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato (art. 157 c.p.) che può decidere di continuare nel procedimento giudiziale che lo riguarda al fine di vedere riconosciuta la propria innocenza.

I termini di prescrizione sono stati modificati con la legge 2019/3, cosiddetta

“Legge spazzacorrotti”, che ha introdotto la sospensione del corso della prescrizione stessa, dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado, sia di condanna sia di assoluzione, o dal decreto di condanna, sino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del decreto penale.

La norma è entrata in vigore l’1 gennaio 2020.

3. Il termine della decorrenza

Il giorno dal quale decorre il termine della prescrizione è quello nel quale si assume che sia stato commesso il fatto di reato.

Nell’ordinamento di altri Paesi, come ad esempio la Francia, è il giorno nel quale l’autore del fatto è stato individuato con un primo atto giudiziario di accusa, o addirittura il rinvio a giudizio.

Per uniformare il sistema italiano a quello degli altri Stati sono state avanzate proposte di legge o di emendamento.

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha elencato in una delibera del 2011 gli atti internazionali di indirizzo, che disapprovano l’effetto di impunità che deriva dalla disciplina italiana del termine iniziale per la prescrizione del reato.

Aa essi si è aggiunta, nel 2015 una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, sul cosiddetto “caso Taricco”, dopo tre anni di dialogo tra le Corti, la Corte Costituzionale l’ha però dichiarata inapplicabile nell’ordinamento italiano, per difetto di determinatezza.

4. Il rapporto con principi costituzionali e convenzionali

L’effetto rieducativo della pena è espressamente sancito dalla Costituzione.

Siccome al decorso del tempo si accompagna anche la trasformazione della personalità del soggetto sospettato di avere commesso un reato e potenziale destinatario, in caso di condanna, di una sanzione, non avrebbe nessun effetto rieducativo conforme alla previsione costituzionale infliggere una pena, in caso di condanna, a lunga distanza dalla data del commesso fatto di reato (artt. 13, 25, comma 2 e 27 comma 3 Costituzione) dove, per “lunga distanza”, s’intende un periodo di tempo maggiore rispetto a quello prevedibile applicando le attuali disposizioni del codice penale e di procedura penale come negli esempi scritti sopra.

Garantire che indagini e processo rispettino una durata massima predeterminata e predeterminabile a priori da parte di ogni cittadino, è dovere di ogni Stato democratico e liberale che intenda rispettare il principio fondamentale della cosiddetta “durata ragionevole” del processo penale, sancito espressamente dall’articolo 6 della C.E.D.U. European Convention on Human Right, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848.

La soggezione al potere pubblico non può essere nel tempo illimitata, la durata ragionevole del processo, prevista dall’articolo 111 della Costituzione, deve essere assicurata in forma distinta e autonoma rispetto alla prescrizione del reato.

L’Italia ha espressamente introdotto i principi del giusto processo e della ragionevole durata nel 1999, con la Legge Costituzionale di riforma dell’articolo 111, comma 2, della Costituzione.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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