La legislazione italiana e l’inquinamento atmosferico

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L’inquinamento atmosferico è determinato dalla presenza nell’atmosfera di sostanze che causano un effetto misurabile sull’essere umano, sugli animali, sulla vegetazione o sui diversi materiali.

Queste sostanze di solito non sono presenti nella normale composizione dell’aria, oppure lo sono ad un livello di concentrazione inferiore.

La questione dell’inquinamento atmosferico in Italia è stata presa in considerazione da alcuni provvedimenti legislativi.

La prima legge italiana organica sull’inquinamento atmosferico, che individua l’aria come un bene giuridico da proteggere, è la Legge del 13 luglio 1966, n. 615 “Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico”, la quale è stata sostituita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 24 maggio 1988, che recepiva quattro direttive europee in materia di inquinamento e qualità dell’aria, che si può considerare come la base della normativa italiana in materia di inquinamento atmosferico sino al recepimento nel 1999 della direttiva quadro europea sulla “Valutazione e gestione della qualità dell’aria”.

Il DPR ha introdotto il concetto di protezione dell’ambiente, dando una definizione chiara di inquinamento atmosferico, che viene dalla stessa individuato come:

“ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria, da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente, alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”.

Inoltre, ha introdotto valori limite e valori guida per la qualità dell’aria e il concetto, di derivazione anglosassone, di migliore tecnologia disponibile.

Nel 1996 venne emanata in Europa la Direttiva 96/62/CE sulla valutazione e gestione della qualità dell’aria che ha come obiettivo quello di definire una strategia comune rivolta a stabilire standard di qualità dell’aria atti a prevenire o ridurre gli effetti nocivi degli inquinanti sull’ambiente.

La direttiva, definita “quadro” proprio perché detta politiche comuni in materia di valutazione e gestione della qualità dell’aria, individua le azioni fondamentali che gli stati membri devono attuare.

Ad essa sono seguite altre direttive che fissavano i limiti di concentrazione in aria e i metodi di misura per i diversi inquinanti.

In Italia la direttiva quadro è stata recepita con il Decreto Legislativo 4 agosto 1999 , n. 351 “Attuazione della Direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente”, che stabilisce le competenze di Stato e Regioni.

Le Regioni si devono occupare della valutazione della qualità dell’aria e dell’attuazione di piani di azione (zone a rischio superamento), piani di risanamento (zone con livelli più alti dei valori limite) e piani di mantenimento (zone con livelli inferiori al valore limite), lo Stato deve stabilire i valori limite e dei valori obiettivo di qualità da raggiungere, realizzando così una gestione della qualità dell’aria attraverso una pianificazione integrata su tutto il territorio nazionale.

Le direttive figlie della 96/62/CE sono state recepite da altre normative, come:

Il Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60 del Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio, per il recepimento della prima direttiva figlia, relativa a NOx, SO2, Pb e PM10 nell’aria ambiente, e della seconda direttiva figlia, relativa al benzene e al monossido di carbonio.

Il Decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183, per il recepimento della terza direttiva figlia relativa all’ozono nell’aria.

Il Decreto Legislativo 3 agosto 2007, n. 152 recepisce la IV direttiva figlia, concernente la presenza di inquinanti che comportano un rischio per la salute umana (come il cadmio, il mercurio, il nichel e gli idrocarburi policiclici aromatici).

Sino al 1988 la normativa italiana sull’inquinamento atmosferico era limitata alla sopra menzionata Legge 13 luglio 1966, n. 615:

“Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico”, in tema di inquinamento dei veicoli, industrie e impianti termici.

Più due norme codicistiche:

l’Art. 844 c.c. in tema di “immissioni” e l’Art. 674 c.p. “sul getto si cose pericolose” e gli artt. 216 – 217 del Regio Decreto n.1265 del 1934 sulle lavorazioni insalubri.

Nonostante i dati sull’inquinamento atmosferico siano sempre più scoraggianti nel mondo e soprattutto in Italia, è preoccupante pensare che nonostante il proliferare di leggi in materia, ancora oggi l’art.844 c.c. , l’art. 674 c.p. , gli artt. 216 – 217 e la Legge n. 615 siano ancora le norme più applicate.

Una delle conseguenze più devastanti dell’inquinamento atmosferico è il riscaldamento climatico. La temperatura sulla Terra continua a crescere a ritmo vertiginoso determinando un quotidiano aumento delle concentrazioni dei “gas serra”.

Secondo alcune stime si calcola che nell’ultimo secolo si è registrato un aumento della temperatura di quasi un grado.

L’aumento della temperatura produce dei fenomeni pericolosi sia per le persone e che per l’ambiente (scioglimento delle calotte polari, uragani, inondazioni, siccità, aumento del livello del mare, scomparsa di numerose specie animali, diffusione di insetti, virus e batteri).

Per contrastare questo fenomeno sempre più pericoloso qualcosa si è cominciato a fare nel 1992 a Rio de Janeiro con la sottoscrizione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico effettuata da 174 paesi.

Gli Stati aderenti assunsero l’impegno di raggiungere la stabilizzazione della concentrazione di gas serra nell’atmosfera “ad un livello tale da prevenire dannose interferenze antropiche con il sistema climatico”. Alcuni degli stati sottoscrittori si impegnarono a mantenere entro il 2000 le emissioni di gas serra ai livelli del 1990.

Con questa Convenzione fu istituita la Conferenza delle Parti (COP) che si riunisce una volta l’anno con il compito di esaminare lo stato di attuazione degli accordi.

Con il COP3 di Kyoto si cominciò a considerare più dettagliatamente e seriamente la questione inquinamento.

Con questa Convenzione si raggiunse un traguardo molto importante verso la soluzione.

Lo scopo di questo protocollo era di porre degli obiettivi vincolanti per il contenimento e la riduzione delle emissioni di gas serra, stabilendo che per il periodo 2008-2012 la soglia del 5.2% in meno rispetto al 1990.

Il valore soglia del 5.2% era riferito a scala mondiale, l’Europa ha l’onore di ridurre le emissioni dell’8% ed in particolar modo l’Italia del 6.5%.

Il Protocollo di Kyoto a fronte di una clausola non può entrare in vigore se non viene ratificato da almeno cinquantacinque Paesi aderenti alla Convenzione di Rio.

Il Protocollo ha comportato grossi inconvenienti soprattutto a quelle super-potenze mondiali come gli Stati Uniti d’America e la Russia che producono più del 40% di emissioni di gas serra.

Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale che riguarda il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l’11 dicembre 1997 da quasi duecento Paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Il trattato è entrato in vigore nel 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia.

Nel 2007 si è celebrato l’anniversario del secondo anno di adesione al protocollo di Kyōto, anno nel quale ricorreva il decennale dalla sua stesura.

Con l’accordo Doha l’estensione del protocollo si è prolungata fino al 2020 anziché alla fine del 2012.

Dott.ssa Concas Alessandra

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