La clausola penale

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La clausola penale è una particolare clausola del contratto.

Rappresenta l’espressione del patto con il quale in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno che causano l’inadempimento delle obbligazioni o il ritardo nell’adempimento.

In diritto romano la stipulatio poenae aveva carattere misto, di pena e di indennizzo, al quale si aggiungeva una terza funzione, vale a dire, quella di fare conseguire indirettamente, ai negozi privi di tutela legale, l’effetto pratico al quale le loro parti miravano.

Nei tempi antichi si stipulavano pene pecuniarie, anche molto rilevanti nella loro entità, a carico della parte inadempiente, la quale non di rado era tenuta a pagare la pena periodicamente, a partire dalla scadenza dell’obbligazione fino al suo adempimento.

Nelle codificazioni, la clausola penale è un patto accessorio, al quale, a seconda delle prospettive dottrinali e giurisprudenziali dominanti in un determinato contesto, vengono attribuite tre funzioni: di liquidazione preventiva del danno, di coazione indiretta ad adempiere e di pena.

La nozione e la funzione della clausola penale

Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è disciplinata agli articoli 1382 – 1384 e la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta.

Per la concezione dominante in dottrina e nella giurisprudenza maggioritaria la clausola penale mira a liquidare in via preventiva e forfettaria il danno derivante dall’inadempimento di un’obbligazione civile, vale a dire, giuridicamente rilevante, è inammissibile una clausola penale relativa all’inadempimento di un’obbligazione naturale.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge, il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così espressamente stabilito.

Il debitore non è ammesso a provare che il danno effettivo sia inferiore all’ammontare della penale, fatta salva la possibilità di una sua riduzione.

Secondo questa impostazione, la clausola penale fissa dunque in via anticipata l’ammontare del danno, evitando le contestazioni del debitore e le lungaggini del processo di cognizione. Indirettamente, la clausola penale rafforza anche la posizione creditoria, determinando un effetto di pressione ad adempiere in capo al debitore: per chi sostiene la natura essenzialmente risarcitoria dell’istituto, tale effetto è insito nella primaria finalità di determinazione preventiva e forfettaria del danno, mentre per altra concezione, invalsa soprattutto nella dottrina tedesca, avrebbe una dimensione autonoma e costituirebbe anzi l’unico fine della penale, che si concreterebbe così in una coazione psicologica ad adempiere, da realizzarsi per mezzo della previsione di un ammontare della penale stessa superiore al danno reale.

Secondo un’altra tesi, la clausola penale avrebbe una funzione punitiva.

La prospettiva in esame muove dalla considerazione per la quale nel passaggio dal codice civile previgente a quello attuale è sparito, dalla lettera della legge, ogni riferimento alla compensazione dei danni subiti dal creditore in caso di inadempimento, per mettere quello che è l’argomento più forte a sostegno di questa impostazione esegetica, ovvero l’affrancazione della penale dalla prova del danno. Si dice infatti che se la penale è dovuta senza che sia necessario provare di aver subito un danno, evidentemente non ha natura risarcitoria, ma esclusivamente afflittiva e sanzionatoria verso il debitore inadempiente.

Lo stesso articolo 1384, si rileva, prevedendo la riducibilità da parte del giudice della penale con importo manifestamente eccessivo, sembra riproporre per la penale, specificandolo, un principio generale del diritto che è quello dell’equa proporzione tra illecito e sanzione.

La clausola penale sarebbe una pena privata.

Secondo un’altra dottrina, le due funzioni, risarcitoria e afflittivo-sanzionatoria, coesisterebbero, si dovrebbe in modo coerente parlare di funzione duale dell’istituto.

Nella teoria sanzionatoria, si segnala la posizione di un illustre Autore, Marini, secondo la quale la clausola penale avrebbe la funzione di predeterminare una autonoma sanzione civile, non riconducibile né al risarcimento, né alla pena privata.

La concezione risarcitoria risponde al principale argomento posto a fondamento della teoria sanzionatoria, oppure, l’affrancazione della penale dalla prova del danno subito, notando come l’irrilevanza dell’esatto ammontare del danno subito sia insita nel carattere forfettario della sua preventiva liquidazione, la quale ha il fine specifico di fissare la prestazione risarcitoria prescindendo dall’entità reale del pregiudizio subito dal creditore.

Né, si dice, che sia possibile ricavare un’obiezione dotata di forza generale da quello che è un caso particolare, oppure, la richiesta di pagamento della penale senza che si sia prodotto nessun danno.

Struttura, forma e divieto di cumulo

La clausola penale è un negozio giuridico che possiede un suo oggetto e una sua finalità, collegato a un rapporto obbligatorio principale del quale rappresenta un patto accessorio.

Si tratta di una convenzione tra creditore e debitore, non assoggetta a un particolare onere di forma. Si ritiene anche che il suo accedere a un negozio per il quale la legge richiede la forma scritta non imponga l’onere di utilizzare la stessa forma anche per la clausola penale, vista la sua funzione secondaria, che non incide sulla sorte delle obbligazioni principali.

Non è ammessa la prova per testimoni della clausola che accede come patto anteriore o contemporaneo ad un contratto avente forma scritta.

Il creditore che richiede il pagamento della penale esercita il diritto al risarcimento del danno.

Il diritto in questione viene all’inizio quantificato nel suo oggetto, perciò è un credito di valuta, che impone la corresponsione di interessi dal momento dell’inadempimento.

Quando si chiede la penale non si può però esigere anche la prestazione principale e viceversa, perché il cumulo delle prestazioni è vietato dalla legge (art.1383 c.c.), visto che la penale mira a fare conseguire al creditore il ristoro dell’interesse leso dall’inadempimento, non anche un ingiustificato arricchimento.

Si deve perciò concordare con la giurisprudenza, che ritiene applicabile il divieto di cumulo anche nel caso nel quale il creditore accetti una prestazione difettosa.

Il cumulo tra penale ed adempimento è ammesso solo se la penale è pattuita per il caso di ritardo nel medesimo.

La risoluzione è un rimedio che può concorrere con la richiesta di pagamento della penale.

La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa.

Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario.

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