L’Onere della prova nei giudizi di responsabilità medica

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L’articolo che segue è stato redatto a margine di una lezione del Prof. Federico Cappai, docente di Diritto Privato dell’Economia nella facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari.

Quando si parla di responsabilità dei professionisti intellettuali, si parla prevalentemente di responsabilità per inesatto adempimento piuttosto che per inadempimento totale della prestazione.

L’inadempimento totale, si ha quando la prestazione non viene eseguita, l’inesatto adempimento quando il professionista esegue la prestazione per la quale si è impegnato, ma viola i canoni di diligenza generica e di competenza professionale riassunti nella nozione di diligenza ex articolo 1176 del codice civile, sulla base dei quali si misura l’esattezza della prestazione.

Sotto il profilo normativo, in riferimento al nostro codice civile, la norma cardine della responsabilità contrattuale è l’articolo 1218, che riguarda le diverse forme di inadempimento, e che contiene indicazioni sia di carattere sostanziale, sia di carattere processuale.

L’articolo 1218 del codice civile rubricato “responsabilità del debitore”, recita testualmente:

Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile“.

In relazione alla responsabilità per inesatto adempimento una vasta rassegna giurisprudenziale può essere tratta dal settore della responsabilità medica, dove per quanto concerne il profilo dell’onere della prova si assiste ad una profonda evoluzione a partire dagli anni 70 fino ai giorni nostri.

Si tratta di un percorso della giurisprudenza nel quale si possono isolare tre periodi storici.

Il primo, quello più risalente nel tempo, si colloca dall’emanazione del codice civile, nel 1942, sino alla fine degli anni ‘70.

In questo periodo la giurisprudenza parte dal presupposto che l’inesatto adempimento della prestazione debba essere provato dal creditore che agisce in giudizio, di conseguenza, il creditore non può ottenere una condanna al risarcimento del danno nei confronti del proprio debitore, se non riesce a dimostrare in giudizio l’inesatto adempimento della prestazione.

La tesi sostenuta dalla giurisprudenza si basava sul fatto che le obbligazioni dei professionisti intellettuali fossero delle obbligazioni di mezzi, con la conseguenza che essi si impegnavano a porre in essere un comportamento conforme alle regole di diligenza e perizia, ma non erano tenuti a garantire un risultato utile per il creditore: quest’ultimo, attore in giudizio, doveva dunque provare che il professionista fosse incorso in un errore professionale determinato dalla trasgressione delle regole dell’arte in relazione al bagaglio di conoscenze che si potevano dallo stesso esigere in qualità di professionista intellettuale.

L’inizio del secondo periodo è ricollegabile idealmente ad una storica pronuncia del 21 dicembre 1978 n. 6141.

Tale sentenza apre un nuovo corso della giurisprudenza, in quanto introduce la distinzione tra prestazioni routinarie e non routinarie, attorno al quale si struttura la materia dell’onere della prova per oltre venti anni.

La Corte di Cassazione, rimane ancora ferma sulla premessa concettuale che l’inesatto adempimento della prestazione costituisca materia di prova del creditore, ma fa una riflessione più approfondita in riferimento a come deve essere adempiuto tale onere.

In relazione alle prestazioni non routinarie, più complesse, dove non ci si può attendere la garanzia del buon esito da parte del professionista, lo scenario resta invariato rispetto al passato, nel senso che sarà sempre il creditore a dovere provare l’inesatto adempimento, individuando con precisione gli errori di condotta commessi dal professionista.

Il cambiamento si nota nelle prestazioni routinarie, caratterizzate dalle minori complessità, e dalle maggiori possibilità statistiche di successo posto che in relazione ad esse la giurisprudenza afferma essere sufficiente la prova del mancato conseguimento del risultato utile atteso dal paziente.

Il terzo periodo si ha quando nel 2001 la Corte di Cassazione con la storica sentenza n. 13.533, inaugura una vera e propria rivoluzione, sconfessando un postulato che sino a quel momento era stato giudicato intangibile.

Sino a quel periodo, come anticipato, la giurisprudenza e la dottrina erano d’accordo nel sostenere che l’onere della prova dell’inesatto adempimento fosse a carico del creditore.

Le Sezioni Unite nel 2001 sostennero che la soluzione più corretta fosse fare gravare l’onere della prova dell’ esatto adempimento sul debitore, sollevando in questo modo il creditore dall’onere della prova di inesatto adempimento.

I risultati di questa presa di posizione si sono visti qualche anno dopo, nel 2004, anno nel quale si ha la prima sentenza nell’ambito della responsabilità medica, si tratta della Cassazione Civile n. 11.488/ 2004.

Un’altra sentenza in materia meritevole di essere citata tra le tante è Cass. n. 8826/2007, su un caso di settorinoplastica.

La dottrina prevalente è dell’avviso a seguito del nuovo orientamento che tende in generale a far gravare sul professionista la prova dell’esatto adempimento della prestazione, la distinzione tra prestazioni routinarie e non routinarie (e quindi tra prestazioni di risultato e prestazioni di mezzi) sia scomparsa.

L’opinione non è però univoca.

Vi è infatti una parte della dottrina che ha sottolienato come la distinzione abbia ancora oggi conservato una sua rilevanza in relazione alle modalità attraverso le quali il professionista è chiamato ad assolvere all’onere della prova dell’esattezza del proprio operato.

Si legge a riguardo sul libro “la natura della garanzia per vizi nell’appalto” del Prof. Federico Cappai e la seguente nota a sentenza dello stesso autore dedicata all’argomento:

Cappai, Il percorso della giurisprudenza nei giudizi di responsabilità medica, in Rivista Giuridica sarda, 2011, 326 ss.

In particolare si è fatto notare che nelle prestazioni non routinarie, cioè quelle che si possono considerare obbligazioni di mezzi, egli può assolvere all’onere dimostrando di avere rispettato le regole dell’arte, cioè di essersi conformato nella esecuzione della prestazione ai protocolli imposti dalla scienza mentre al contrario nelle prestazioni routinarie potrebbe farlo soltanto individuando la specafica causa a lui non imputabile del danno subito dal paziente.

Il che non toglie – si precisa ancora – che l’obbligazione sia sempre struttularmente unitaria – come è sempre stato – risolvendosi sempre e comunque in un dovere di condotta strumentale a riversare sul creditore un dato risultato utile.

Dott.ssa Concas Alessandra

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