L’azione revocatoria, disciplina giuridica e caratteri

Scarica PDF Stampa

L’azione revocatoria, disciplinata dagli articoli. 2901-2904 del codice civile, costituisce uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale apprestato dall’ordinamento in favore del creditore, consistente nella facoltà per il creditore di ottenere l’inefficacia in suo favore dell’atto dispositivo compiuto dal debitore, allo scopo di rendere possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l’esperimento dell’azione esecutiva sui beni alienati a terzi dal debitore.

 

L’azione revocatoria ha funzione cautelare e conservativa del diritto di credito, di per sé strumentale alla fase, successiva ed eventuale, dell’esecuzione forzata.

Questa funzione si attua rendendo possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l’esperimento dell’azione esecutiva sui beni, al fine di fare fare fronte al pregiudizio che l’attività dispositiva del debitore arreca alle ragioni del creditore, intesa come possibilità di trovare soddisfazione sul patrimonio del debitore stesso.

 Lo scopo dell’azione revocatoria consiste nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore a norma dell’articolo 2740 del codice civile, la consistenza del quale si sia ridotta, per effetto dell’atto dispositivo posto in essere dal debitore, al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’azione espropriativa.

Lo scopo non è quello di fare ritornare il bene nel patrimonio del debitore, perché l’atto revocato conserva lo stesso in capo all’acquirente la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto, ma più semplicemente quello di fare accertare, in favore del creditore che la esercita, l’inefficacia dell’atto dispositivo compiuto dal debitore a sottrarre il bene all’azione esecutiva.

Ne consegue che questa azione non può essere esperita dal promissario acquirente per acquistare la proprietà del bene con l’azione intesa a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del bene stesso alienato a terzi.

In dottrina si parla in proposito di inefficacia relativa in quanto l’esito dell’azione giova esclusivamente al creditore che l’ha esercitata, e parziale perché non impedisce l’acquisto del diritto in capo all’acquirente ma, più semplicemente, che il bene alienato venga sottratto all’azione esecutiva dei creditori chirografari dell’alienante.

 

I Presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria sono:

La sussistenza di un diritto di credito verso il debitore

Un pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale di tale credito (così detto eventus damni)

Un determinato atteggiamento soggettivo del debitore e, quando si tratti di atti a titolo oneroso, anche del terzo (scientia damni o consilium fraudis)

Perché ci possa esserel’azione revocatoria è necessario che l’attore in revocatoria sia titolare di un diritto di credito nei confronti del debitore la cui responsabilità patrimoniale debba essere reintegrata.

Si può trattare di un credito di qualsiasi natura, chirografario, presidiato da un diritto di prelazione o da altra garanzia, sottoposto a condizione o a termine, non necessariamente sicuro, liquido ed esigibile, né di facile determinazione.

La definizione dell’eventuale controversia sull’accertamento del credito non costituisce dunque antecedente logico-giuridico indispensabile della pronuncia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto alla sospensione necessaria prevista dall’articolo 295 del codice di procedura civile.

Anche il titolare di un diritto di credito eventuale, come il fideiussore, l’avvallante o il terzo datore di ipoteca, risulta legittimato all’esperimento dell’azione revocatoria.

Una parte della dottrina ritiene che gli eredi possano chiedere la revoca degli atti dispositivi compiuti dal loro autore solamente se hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario e siano al tempo stesso creditori del de cuius.

I titolari di diritti assoluti o di interessi legittimi, potranno agire in revocatoria qualora un atto lesivo di queste situazioni protette faccia sorgere a loro favore un diritto di credito per il risarcimento del danno.

La legittimazione di agire in revocatoria viene riconosciuta anche agli aventi causa di uno dei comunisti contro la divisione effettuata le loro azioni.

In questo caso potranno agire in qualità di creditori per il risarcimento del danno pari alla differenza tra il valore del bene assegnato al loro dante causa e quello che avrebbe avuto diritto, in proporzione alla quota di partecipazione alla comunione.

La giurisprudenza esclude la legittimazione dell’assegnatario della casa coniugale ad agire in revocatoria al fine di inibire, agli acquirenti dell’immobile venduto dal coniuge titolare del bene, di chiedere la consegna dello stesso in conseguenza dell’atto di acquisto.

Incombe sull’attore l’onere di fornire la prova del credito, che può essere raggiunta con qualunque mezzo. Si ammette che l’accertamento dell’esistenza del credito possa formare oggetto specifico della causa di revoca.

Il secondo presupposto per l’esperimento dell’azione revocatoria è costituito dall’eventus damni, che, a differenza del primo presupposto, deve sussistere solo al momento di compimento dell’atto e si sostanzia nelle conseguenze di questo sul patrimonio del debitore che costituisce la garanzia dei creditori. Esso consiste nel pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale che assiste il credito e ricorre non solo quando l’atto determini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno, quale una maggiore difficoltà, incertezza o dispendiosità nell’esazione coattiva del credito, non rilevando la valutazione circa la eventuale solvibilità del debitore.

Il danno o pericolo di danno possono concernere sia l’entità della responsabilità patrimoniale, che può essere pregiudicata da diminuzioni o pericoli di diminuzione di beni, sia la qualità dei beni su cui cade, che può essere pregiudicata dalla sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore, con beni distraibili (denaro), oppure non facilmente aggredibili dai creditori.

Sono assoggettabili all’azione revocatoria non solamente gli atti dispositivi in grado di determinare sul momento una diminuzione del patrimonio del debitore, ma anche quelli che possono eventualmente comprometterne in futuro la consistenza.

L’accertamento del pregiudizio costituisce un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito e insindacabile in Cassazione laddove correttamente motivato.

Esso deve avvenire con riferimento al caso di specie e all’esclusivo patrimonio del debitore, valutando la maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione del credito alla data dell’atto dispositivo e non a quella futura dell’effettiva realizzazione del credito dell’attore in revocazione.

Nel caso di obbligazione solidale, il pregiudizio in esame andrà valutato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto. Costituiscono dunque pregiudizio revocatorio tutti gli atti dispositivi in grado di escludere i beni del debitore dall’azione esecutiva dei creditori, anche nel caso in cui la quantità permanga invariata, quali ad esempio la vendita di un immobile, a giusto prezzo, l’alienazione della sola nuda proprietà con riserva di usufrutto, il conferimento dei beni in un fondo patrimoniale.

La giurisprudenza ritiene pregiudizievole il conferimento di beni in società di capitali, anche se previsto in sede di costituzione di essa, poiché con esso viene sostituito al bene un titolo di partecipazione a capitale di rischio.

Sono ritenuti pregiudizievoli anche gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione quale l’accreditamento di denaro in conto corrent.

Non sussiste l’eventus damni se al tempo dell’alienazione di un bene siano presenti nel patrimonio del debitore altri beni non già vincolati, idonei a soddisfare le ragioni dei creditori, ancorché tali beni vengano successivamente sottoposti ad esecuzione forzata.

Tra l’atto dispositivo del debitore e l’evento pregiudizievole deve sussistere uno specifico nesso di causalità, di modo che l’insolvenza del debitore dovrà dipendere dall’atto ed esserne conseguenza diretta.

La prova dell’eventus damni è a carico del creditore e può essere fornita con ogni mezzo, anche presuntivo, in grado di convincere il giudice che l’esecuzione forzata darebbe esito negativo, o anche insufficiente, ovvero sarebbe sensibilmente ostacolata, a seguito dell’atto dispositivo compiuto dal debitore. L’onere probatorio del creditore è dunque ristretto alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario fornire la prova dell’entità e della natura del patrimonio del debitore dopo l’atto di disposizione; compete invece al debitore provare che, nonostante l’atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire senza difficoltà il soddisfacimento delle ragioni del creditore.

Il terzo requisito per l’esperimento dell’azione revocatoria, anch’esso attinente ai presupposti sostanziali dell’inefficacia, è costituito dalla scientia damni o consilium fraudis, cioè dall’atteggiamento soggettivo del debitore, per gli atti a titolo gratuito, e anche del terzo acquirente, per gli atti a titolo oneroso, che deve essere presente al momento della stipulazione dell’atto.

La norma in commento richiede una differente misura dell’intento fraudolento a seconda che si tratti di atti di disposizione compiuti dal debitore anteriormente o successivamente al sorgere del diritto di credito.

Se l’atto sia anteriore al sorgere del diritto di credito è richiesto l’animus nocendi, cioè una dolosa preordinazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento del creditore (dolo specifico).

Il creditore dovrà dunque dimostrare che l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, aveva l’intenzione di contrarre debiti, ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; che lo stesso soggetto ha compiuto l’atto dispositivo in funzione del sorgere dell’obbligazione, per porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto.

Se l’atto dispositivo sia posteriore al sorgere del credito, è ritenuta sufficiente la semplice conoscenza, nel debitore e nel terzo acquirente, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore.

Questa conoscenza si può avereanche in assenza dell’intenzione di arrecare un danno ai creditori, ritenendosi sufficiente la previsione del danno che ad essi potrà derivare dall’atto dispositivo posto in essere.

Laconsapevolezza si può ricavare da una serie di elementi quali ad esempio la lunga dilazione di pagamento, senza interessi, di oltre la metà del prezzo di una compravendita o l’esenzione del notaio rogante dalle ordinarie visure ipotecarie e catastali.

In tema di azione revocatoria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza della scientia damni in capo all’acquirente va valutata in relazione al momento della stipula del contratto preliminare.

Se autore dell’atto sia un ente, il requisito della scientia damni va accertato avendo riguardo all’atteggiamento psichico della persona fisica che lo rappresenta, in forza del principio stabilito dall’articolo 1391 del codice civile, applicabile all’attività delle persone giuridiche.

Per integrare il presupposto del consilium fraudis in capo al terzo acquirente, nell’ipotesi di atto dispositivo anteriore al sorgere del diritto di credito, è sufficiente che questi abbia avuto conoscenza dell’intento fraudolento del debitore e abbia ciò nonostante approfittato dell’atto, senza che sia necessaria la specifica intenzione di danneggiare i futuri creditori del dante causa.

Nell’ipotesi contraria di atto dispositivo posteriore al sorgere del credito, è invece ritenuta sufficiente la consapevolezza in capo al terzo che per mezzo dell’atto stesso il debitore avrebbe diminuito il proprio patrimonio e di conseguenza la garanzia spettante ai propri creditori, in modo da arrecare pregiudizio alle loro ragioni.

La giurisprudenza ha ritenuto non necessario, nell’ipotesi di atto successivo al sorgere del credito, che il creditore revocante dimostri la conoscenza in capo al terzo del credito specifico a tutela del quale egli agisce, né la conoscenza della sua collusione con il debitore.

Nell’ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, è comunque necessaria la prova della conoscenza da parte del terzo della dolosa preordinazione da parte del disponente rispetto al credito futuro. Come per l’eventus damni, l’accertamento dell’esistenza della scientia damni costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni.

La giurisprudenza ritiene potersi ravvisare elementi indiziari rilevanti nel grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti, nel pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato, nell’acquisto contestuale di una pluralità di beni da parte di un unico soggetto esercente l’attività di notaio.

Dott.ssa Concas Alessandra

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento