Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio

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Le origini

Nella versione originale del codice civile il figlio nato fuori dal matrimonio era chiamato illegittimo e non poteva essere riconosciuto legalmente dal padre.

Una delle manifestazioni più evidenti di questo impedimento era il non potere assumere il cognome del genitore di sesso maschile.

La riforma del diritto di famiglia a seguito della legalizzazione del divorzio in Italia nel 1970, confermato nel 1974 con maggioranza referendaria, fece superare il concetto di figlio illegittimo e la disparità di accesso all’eredità alla morte del padre.

Il codice civile del 1942, agli articoli 574-582, nonostante riconoscesse titolo alla successione dei figli nati fuori dal matrimonio, riconosceva agli stessi la metà dell’ammontare del patrimonio che spettava ai figli legittimi, consentendo la facoltà di liquidare in denaro o in beni a loro scelta la quota che spettava ai fratelli illegittimi, e garantiva loro l’intero asse ereditario in caso di non concorrenza con altri figli o con il coniuge superstite.

Il diritto di famiglia riformato, riconobbe la pari dignità nella successione indipendentemente dallo status di figlio naturale o legittimo.

La differenza di status era relativa alla costituzione di obblighi della coppia.

Nel caso di figlio naturale ognuno dei due genitori era obbligato verso il figlio, mentre nel caso di coppia sposata il rapporto di filiazione si costituiva in solido tra la coppia e il figlio.

Nel 2012 e nel 2013, sono cadute le distinzioni tra le tipologie di figli, e si ha piena equiparazione tra discendenti naturali, legittimi e adottivi.

Le distinzioni a determinati fini non successori, sono tra figlio nato nel matrimonio e fuori del matrimonio.

La definizione

Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è una dichiarazione unilaterale di scienza con la quale una persona dichiara di essere padre o madre di un’altra persona.

Sulla base di questo atto irrevocabile si forma l’atto di nascita.

Se è presente un riconoscimento, si dovrà prima fare cadere la legittimità, con un’azione di contestazione della legittimità e poi fare il riconoscimento.

Il riconoscimento di figli incestuosi è ammesso previa autorizzazione del tribunale, per il riconoscimento dei figli incestuosi minorenni è competente il tribunale per i minorenni.

Il figlio incestuoso può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione o l’educazione e, se maggiorenne, e in stato di bisogno, gli alimenti.

Per riconoscere un figlio nato fuori del matrimonio sono necessari 16 anni di età (art. 250, ultimo comma c.c.).

Prima di quel momento il figlio è affidato presso altre persone.

Se il riconoscimento non avviene in contemporanea alla nascita, ma tardivamente, con un testamento o una dichiarazione apposita ricevuta dall’ufficiale dello stato civile o dal giudice tutelare o dal notaio, e il figlio abbia compiuto 14 anni è necessario anche il suo consenso, se minore di 14 anni è necessario il consenso dell’altro genitore.

La mancanza di consenso può essere superata da un provvedimento del giudice che autorizzi il riconoscimento se nell’interesse del minore.

La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità

Da quando la Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2006 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 274 del Codice Civile, il riconoscimento non è più un atto discrezionale del genitore naturale, ma è possibile costituire un rapporto giuridico di filiazione anche contro la volontà del genitore naturale che non riconosce il figlio.

Il figlio ha diritto di vedere costituito il suo rapporto di filiazione portando la prova biologica sulla paternità o maternità in giudizio.

L’articolo 274 del codice civile prevedeva che fosse necessario valutare l’ammissibilità dell’azione in giudizio, oltre che valutare se il riconoscimento andasse a beneficio del figlio.

Successivamente la sentenza poteva essere impugnata sino all’ultimo grado di giudizio.

Questo comportava una durata molto lunga del caso, impedendo al figlio di vedere soddisfatto il suo diritto.

Il genitore decretato attraverso la dichiarazione, sarà costretto a pagare gli arretrati per mantenere il figlio.

Per la dichiarazione di paternità ci deve essere la sicurezza della prova, mentre l’onere della prova resta alla madre o figlio ricorrenti.
L’uomo può rifiutare, senza obbligo di motivazione o giusta causa, il test senza conseguenze legali (civili o penali) o nell’esito del procedimento di accertamento della paternità, anche nelle forme non invasive e prive di possibili effetti collaterali sulla salute.

Il giudice può tenere conto del rifiuto, valutandolo a carico dell’uomo.
Anche in presenza di un rifiuto del test che potrebbe essere valutata da alcuni come un’implicita ammissione della paternità, esistendo questo diritto al rifiuto, tecnicamente le dichiarazioni della donna sulla paternità del figlio hanno pari rilevanza processuale di quelle dell’uomo su possibili relazioni della donna con terzi, o che negano rapporti sessuali completi e la possibilità del fatto contestato.

In presenza di dichiarazioni contrastanti, senza testimoni o altri riscontri probatori maggiori, come il test del DNA, non è possibile l’accertamento della paternità per insufficienza di prove.
Tenuto conto della oggettiva difficoltà a reperire prove per l’accertamento di paternità, la giurisprudenza valuta ai fini probatori anche la condotta delle parti durante il procedimento, non solamente quella relativa al periodo della relazione-concepimento.

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che il rifiuto non motivato del test del DNA, poco costoso, non invasivo e privo di conseguenze sulla salute, può essere valutata dal giudice come prova per la declaratoria di paternità.

In relazione a questo, l’articolo 1 comma 1 lettera c, della legge 219/2012, dispone la ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione, prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio possa essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo.

Le impugnazioni

Il Legislatore prevede tre tipi d’impugnazione del riconoscimento, previsti dagli articoli 263, 265 e 266 del codice civile.

Sono impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, impugnazione per violenza e impugnazione del riconoscimento per effetto d’interdizione legale.

La Cassazione, ha affermato che, nell’interesse prevalente del minore, il disconoscimento non può avvenire dopo due anni dalla nascita.

Gli articoli 267 e 268 del codice civile, disciplinano la trasmissibilità dell’azione, prevedendo che, nei casi degli articoli 265 e 266, gli ascendenti, i discendenti e gli eredi possono esperire le stesse azioni, entro il termine previsto, e dei provvedimenti in pendenza di giudizio.

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