Il reato di violenza sulle donne, legislazione, caratteri e interviste alla dott.ssa Michela Capone e Maria Mantega, autrici di due libri sull’argomento.

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Con la Legge 27 giugno 2013, n. 77 è stata ratificata ed eseguita la ”Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011.

La violenza sulle donne nel mondo è forse la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo”.

Um rapporto dell’UNIFEM, il Fondo ONU di sviluppo per le donne, ha osservato che si tratta di una questione di proporzioni pandemiche”.

Più di cento paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del

settanta per cento delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini.

La violenza sulle le donne è una violenza basata sul genere ed è ritenuta una violazione dei diritti umani.

Il vocabolo utilizzato molto spesso per definire la violenza contro le donne è proprio violenza di genere che in una accezione più ampia abbraccia oltre che la violenza contro le donne anche quella contro un soggetto minorenne.

Questa terminologia è largamente utilizzata sia a livello istituzionale, sia da persone e associazioni di donne che lavorano nel settore.

Parlare di violenza di genere in relazione alla diffusa violenza su donne e minori significa mettere in evidenza la dimensione “sessuata” del fenomeno, come manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente disuguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne, è uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli uomini.

La “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” del 1993 all’articolo 1, descrive la violenza contro le donne come:

Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.

La violenza alle donne da alcuni anni è diventato argomento e dibattito pubblico.

Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo.

Le vittime e i loro aggressori appartengono a diverse classi sociali o culturali, e a diversi ceti economici.

Secondo alcune statistiche, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita-

Il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici, vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.

Molte ricerche evidenziano che la violenza di genere si esprime su donne e minori in vari modi ed in qualsiasi paese del mondo.

Esiste la violenza domestica esercitata soprattutto nell’ambito familiare o nella cerchia di conoscenti, attraverso intimidazioni, maltrattamenti fisici e psicologici, atteggiamenti persecutori, percosse, abusi sessuali, delitti d’onore, uxoricidi passionali o premeditati.

I bambini, gli adolescenti, ma in primo luogo le bambine e le ragazze adolescenti sono sottoposte all’incesto.

Le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie e abusi sessuali, a stupri e a ricatti sessuali.

In molti paesi le ragazze giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni riparatori, o costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata, o sono vittime di tratta.

Altre forme di violenza sono le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni come in un recente passato le fasciature dei piedi, l’utilizzo dell’acido per sfigurare, lo stupro di guerra ed etnico.

A questo proposito si deve menzionare il cosiddetto “femminicidio” che in alcuni paesi, come si concretizza nell’aborto selettivo (le donne vengono indotte a partorire solo figli maschi, perché più riconosciuti e accettati socialmente) mentre in altri addirittura nell’uccisione sistematica di donne adulte.

Esistono anche violenze relative alla riproduzione (aborto forzato, sterilizzazione forzata, contraccezione negata, gravidanza forzata).

A partire dagli anni settanta del XX secolo il movimento delle donne e il femminismo in Occidente hanno iniziato a mobilitarsi contro la violenza di genere, sia in relazione allo stupro sia in relazione al maltrattamento e alla violenza domestica.

Il movimento ha messo in discussione la famiglia patriarcale e il ruolo dell’uomo nella sua funzione di “marito/padre-padrone”, non volendo più accettare nessuna forma di violenza esercitata sulla donna fuori o dentro la famiglia.

La violenza alle donne, in qualunque forma si presenti, e in particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei fenomeni sociali più nascosti, ed è considerato come il livello più elevato dell’esercizio di potere e controllo dell’uomo sulla donna che si estrinseca in diverse forme come violenza fisica, psicologica e sessuale, fuori e dentro la famiglia.

Negli anni settanta le donne hanno istituito i primi Centri antiviolenza e le Case delle donne per ospitare donne che hanno subito violenza e che potevano trovare ospitalità nelle case rifugio gestite dalle associazioni di donne.

In Italia i primi Centri antiviolenza sono nati alla fine degli anni novanta, creati da associazioni di donne provenienti dal movimento delle donne, tra le quali la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna e la Casa delle donne maltrattate di Milano.

Oggi le organizzazioni che lavorano sui vari tipi di violenza di genere sono varie.

I Centri antiviolenza in Italia si sono riuniti nella Rete nazionale dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne.

Nel 2008 è nata una federazione nazionale che riunisce 65 Centri antiviolenza in Italia dal nome “D.i.Re: Donne in Rete contro la violenza alle donne”.

D.i.Re fa parte dell’organizzazione europea WAVE, network Europeo dei Centri antiviolenza, che raccoglie oltre 5.000 associazioni di donne.

Abbiamo parlato dell’argomento con la dott.ssa Michela Capone, giudice presso il Tribunale dei minori di Cagliari autrice del libro “per sempre lasciami” e con Maria Mantega, autrice del libro “Io sola”.

Il libro della dott.ssa Capone parla della violenza di un padre ai danni di una ragazza da quando era minorenne sino alla maggiore età, quando la giovane donna ebbe il coraggio di denunciare il suo aguzzino.

Dott.ssa Capone, lei è un giudice, alla luce della sua esperienza professionale e della sua opinione a riguardo, pensa che le attuali leggi e le norme cotenute nel nostro codice penale tutelino le persone vittime di questi reati o la situazione dovrebbe essere migliorata?

La violenza sessuale oggi è un ambito che comprende vari tipi di crimini, non esclusivamente la congiunzione carnale, e questo è stato molto importante, perché in precedenza esisteva il reato di violenza sessuale e gli atti di libidine, la distinzione era la congiunzione carnale, e la vittima era costretta a raccontare con dovizia di particolari quello che le era accaduto.

Adesso con il termine di violenza sessuale si intendono atti che ledono la libertà sessuale anche se non arrivano alla congiunzione carnale, e l’interrogatorio della vittima che li ha subiti è più “morbido”.

Come sono adesso le pene?
Le pene sono state leggermente aumentate, sono ancora pene basse, e qui forse ci sarebbe un ritocco da fare, soprattutto nel rispetto delle vittime, e per la gravità del tipo reato.

Quale è la sua opinione sulle attuali modalità di perseguibilità di questo tipo di reati?

Secondo me per questi tipi di reato ci dovrebbe essere la perseguibilità d’ufficio, essendo ancora perseguibile a querela, anche se con la riforma la querela si può presentare dopo sei mesi e una volta proposta è irrevocabile.

La perseguibilità a querela è stata voluta dalle donne, però, io penso che sia importante anche per riconoscere la gravità del fatto, ridisegnarli come atti perseguibili d’ufficio, e sarebbe importante perché è un modo attraverso il quale si libera la persona dalla colpa di avere lei (dico lei perché sono di più le donne ad essere vittime) ad avere denunciato il fatto che ha portato in galera il marito, l’amante, il fidanzato, l’uomo al quale era legata, penso che questa sia una riforma che dovrebbe avvenire.

Che importanza riveste la tutela delle vittime e in che modo deve avere luogo?

La tutela delle vittime è importante non esclusivamente durante il processo, per il raggiungimento della verità, ma dopo il processo.

Spesso la vittima con il processo perde il marito, perde il fidanzato, perde la persona cara, oltre la ferita che ha avuto.
Le donne dovrebbero essere aiutate e capire che lo Stato le aspetta, le accoglie, le aiuta nel lavoro, nella casa.
Le vittime devono essere accompagnate, anche nel percorso di riavvicinamento alla psicologa, che spesso viene fuggita perché è la figura che le ha accompagnate nel processo, c’è una sorta di legame di amore odio, bisogna aiutare le donne economicamente e moralmente.

Il libro di Maria Mantega, parla di una violenza coniugale, un marito che commette violenza sulla moglie per diversi anni, sino a quando la protagonista decide anche lei di denunciare il suo “carnefice”.

Maria, perché ha dato al suo libro il titolo “Io sola”?

Perché le donne che hanno subito violenza, devono affrontare un mondo pieno di pregiudizi, perché non vengono credute, perché spesso le violenze, soprattutto quelle psicologiche avvengono in modo nascosto, oppure il carnefice anche a livello fisico cerca di mantenerle nascoste dentro le mira domestiche, manifestandosi come una persona buona e perfetta, un perfetto marito o compagno davanti agli altri, e la violenza non emerge, e quando la donna decide si separarsi si trova sola.

La protagonista del libro naviga in un mondo di solitudine, per questo “Io sola”.

In realtà questo titolo è stato scelto dalla dott.ssa Michela Capone, che per questo motivo è la madrina, è stata la prima lettrice e mi ha detto “io lo intitolerei Io sola, perché emerge una profonda solitudine”.

Scrivendo un libro sulla violenza coniugale, ha voluto in qualche modo dare un messaggio alle donne che ne sono vittima e non riescono a uscirne?

Nel libro racconto la storia di una violenza coniugale durata circa quindici anni.

L’intento è dire alle donne che ne sono coinvolte che non mai tardi e bisogna trovare il coraggio di rivolgersi a qualcuno che le possa aiutare.

La protagonista del libro si rivolge a un centro antiviolenza, che è di sicuro il passo migliore che si possa fare.

Vorrei dire alle donne che si trovano in situazioni simili, di non avere paura di uscire allo scoperto, perché essendoci la tutela della privacy nessuno le obbligherà a fare niente contro la loro volontà.

Il libro vuole essere anche una denuncia alle Istituzioni?

Si, c’è anche una denuncia alle Istituzioni.

Si sente molto spesso parlare di donne che vanno a denunciare un fatto di violenza e si vedono congedare da carabinieri o polizia con la frase “ la situazione si metterà a posto, si tratta di un normale litigio”.

Secondo me le Istituzioni dovrebbero essere più preparate nell’ accogliere queste donne che spesso hanno difficoltà a parlare, aiutandole a tirare fuori quello che hanno dentro, non sottovalutando niente, perché quello che si vive in determinate situazioni è davvero un inferno.

Dott.ssa Concas Alessandra

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