Il reato di favoreggiamento personale, disciplina giuridica e caratteri

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La disciplina giuridica del reato di favoreggiamento personale è contenuta all’articolo 378 del codice penale, rubricato “favoreggiamento personale” che recita: Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte o ( l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni. 

Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416 bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni. 

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a cinquecentosedici euro.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

La disposizione tutela l’interesse all’accertamento e alla repressione dei reati, evitando nello specifico che questa attività venga intralciata. 

In che cosa consiste e quali sono le caratteristiche del reato

Il favoreggiamento personale si concretizza nell’aiutare un’altra persona a sfuggire alla giustizia, agevolando la sua sottrazione alle autorità.

I requisiti necessari a integrare questo reato sono che l’aiutato abbia commesso un delitto punito con il carcere, e che l’aiutante non abbia partecipato al fatto delittuoso dell’aiutato.

Il bene giuridico tutelato dal reato di favoreggiamento personale è l’amministrazione della giustizia. Il comportamento di coloro che commettono il reato di favoreggiamento è punito perché è di intralcio alla giustizia, ostacola il normale procedere delle indagini, per questo, nonostante non aggredisca nessuna persona e non faccia vittime, costituisce reato.

Il comportamento del reo è diretta a danneggiare lo Stato stesso e, in particolare, la macchina della giustizia.

L’elemento soggettivo, psicologico del reato è il dolo generico.

Il favoreggiatore deve essere consapevole di aiutare una persona a sottrarsi alle autorità.

Se, al contrario, colui che presta aiuto è assolutamente ignaro del delitto commesso prima dal favorito, non potrà rispondere del reato in questione.

Il reato di favoreggiamento personale si commette se il favoreggiatore non è in nessun modo coinvolto nella realizzazione dello stesso, commesso dalla persona aiutata.

Il favoreggiatore non è il complice del favorito, egli entra in gioco in un momento successivo, quando il delitto commesso dalla persona aiutata è stato perfezionato e compiuto in ogni suo elemento.

Il ruolo del favoreggiatore non è quello di aiutare il favorito a commettere il delitto, ma a sottrarsi alla giustizia.

Un altro elemento fondamentale, è che si commetta un crimine.

La condotta tipica del reato

Colpevole di questo reato è colui che, ad esempio, aiuti un delinquente a mettersi in salvo dall’inseguimento della polizia, oppure che gli offra ospitalità per nascondersi in attesa che la situazione si risolva.

Il favoreggiamento personale, però, si può concretizzare anche in condotte molto meno plateali.

Le cronache di settore riportano il seguente esempio.

Commette favoreggiamento personale colui che, sentito dai carabinieri o dalla polizia come persona informata sui fatti, mente oppure omette di dire quello che sa per aiutare il suo amico criminale.

In questo caso anche una menzogna o il semplice silenzio sono idonei a integrare il delitto in questione.

Il comportamento rileva in senso penale se l’aiuto fornito sia oggettivamente idoneo a intralciare il corso della giustizia.

In mancanza di un’attitudine a deviare in modo apprezzabile le indagini, verrebbe meno la pericolosità della condotta favoreggiatrice e, perciò, la stessa offesa al bene tutelato.

Esempio

Una persona, sentita dai carabinieri e al fine di aiutare un suo amico indagato, mente su alcuni elementi non importanti, oppure omette di fornire alcuni dettagli irrilevanti.

Se le indagini vengono davvero sviate si potrà parlare di favoreggiamento personale.

Quando il favoreggiamento non configura un reato

Non sempre aiutare qualcuno ad eludere le investigazioni comporta favoreggiamento personale.

A parte i casi che si evincono dalle argomentazioni sopra riportate, non si commette favoreggiamento:

Quando il reato è rivolto a se stessi (cosiddetto autofavoreggiamento).

Quando il favoreggiamento è reciproco (classica ipotesi è quella di due persone entrambe imputate e persone offese nello stesso procedimento, come nel caso di lesioni reciproche a seguito di colluttazione.

In questa circostanza, le menzogne sono finalizzate a raggiungere l’impunità.

Quando il favoreggiamento è rivolto verso una persona che ha commesso un delitto in presenza di una causa di giustificazione.

Ad esempio, Tizio aiuta Caio il quale ha sì aggredito Sempronio, ma esclusivamente per difendersi dallo stesso che lo intimidiva con una pistola.

In questo caso, sussistendo la causa di giustificazione della legittima difesa, nessun reato è stato commesso e, viene meno il presupposto del favoreggiamento personale.

La posizione della giurisprudenza

 Secondo la Corte di Cassazione, configura il delitto di favoreggiamento personale l’avvertimento, dato di chi è a conoscenza dell’avvenuto reato, del sopraggiungere della polizia, al fine di eludere le indagini (Cass., sent. n. 7325 del 22/07/1981).

Allo stesso modo, fornire a un ufficiale di polizia giudiziaria spiegazioni false sulla propria condotta al fine di nascondergli l’imminente sopraggiungere di un ricercato e di consentirne la tempestiva fuga integra gli estremi del delitto in questione.

 

Il rifiuto dell’acquirente di sostanza stupefacente di rivelare il nome del fornitore costituisce ugualmente favoreggiamento personale (Cass., sent. n. 391 del 16.01.1986.)

Il reato di favoreggiamento commesso dal difensore

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, commette il reato il difensore che attesta in modo falso al giudice che il suo cliente non è imputabile a causa dell’età, ottenendone la scarcerazione e pregiudicando in modo irreparabile le indagini.

Allo stesso modo, il difensore che induce il suo assistito a fornire false informazioni alla polizia giudiziaria al fine di aiutare qualcuno a sfuggire alle autorità risponde di concorso nel reato di favoreggiamento personale.

Non determina il reato di favoreggiamento personale il comportamento del difensore che, visione degli atti processuali dai quali affiorano gravi indizi di colpevolezza a carico del suo assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare, favorendo la latitanza dell’indagato.

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Autori e vittime di reato

Il presente volume, pubblicato grazie al sostegno economico dell’Università degli Studi di Milano (Piano di sostegno alla ricerca 2016/2017, azione D), raccoglie i contributi, rivisti ed aggiornati, presentati al convegno internazionale del 7 giugno 2016, al fine di consentire, anche a coloro che non hanno potuto presenziare all’evento, di vedere raccolte alcune delle relazioni, che sono confluite in un testo scritto, e i posters scientifici che sono stati esposti, in quella giornata, a Palazzo Greppi (Milano) e successivamente pubblicati sulla Rivista giuridica Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it). Raffaele Bianchetti è un giurista, specialista in criminologia clinica; lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e come magistrato onorario presso il Tribunale di Milano. Da anni insegna Criminologia e Criminalistica e svolge attività didattica all’interno di corsi di formazione post-lauream e di alta formazione in Italia e all’estero; partecipa come relatore a convegni, congressi e incontri di studio nazionali ed internazionali; fa parte di gruppi di ricerca, anche di natura transnazionale, coordinandone alcuni come responsabile dei progetti. È autore di scritti monografici e di pubblicazioni giuridiche di stampo criminologico, alcune delle quali sono edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Membro componente di comitati scientifici e di comitati redazionali, è condirettore  di due collane editoriali.Luca Lupária Professore Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Roma Tre e visiting professor  in Atenei europei e americani, è autore di scritti monografici su temi centrali della giustizia penale e di oltre cento pubblicazioni scientifiche, apparse anche su riviste straniere e volumi internazionali. È responsabile di programmi e gruppi di ricerca transnazionali sui diritti delle vittime, sulle garanzie europee dell’imputato e   sui rimedi all’errore giudiziario. Condirettore di collane editoriali, è vice-direttore della rivista “Diritto penale contemporaneo” .Elena Mariani è laureata in giurisprudenza e specialista in criminologia clinica. Da oltre dieci anni collabora con la Catte- dra di Criminologia e Criminalistica del Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, effettuando seminari e attività di ricerca sui temi della giustizia penale minorile, della vittimologia, dell’esecuzione penale e delle misure di prevenzione. Svolge da anni attività didattica in corsi di formazione post-lauream e di alta formazione presso diversi atenei italiani. È autrice di una monografia in tema di sistema sanzionatorio minorile e per gli adulti edita in questa Collana e di varie pubblicazioni in materia criminologica, edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Attualmente   è componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Milano e dottoranda di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano. 

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Dott.ssa Concas Alessandra

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