Il reato di diffamazione a mezzo stampa, internet e social network Intervista all’avvocato Salvatore Madau del Foro di Cagliari

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Il reato di diffamazione secondo il Codice Penale è un reato a forma libera, nel senso che può essere realizzato con qualsiasi modalità.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Salvatore Madau del Foro di Cagliari.

 

Avvocato Madau, in che consiste il reato di diffamazione?

Il reato di diffamazione è disciplinato dal codice penale vigente, all’articolo 595, e si configura come una manifestazione del pensiero la quale rileva ai fini della consumazione del reato stesso, nella misura nella quale risulti essere offensiva per il destinatario e al contempo sia portata a conoscenza di altre persone, dalle stesse venga percepita.

La norma è stata inserita dal legislatore, nel capo II, “dei diritti contro l’onore”, all’interno del titolo XII del libro II del codice penale, laddove sono disciplinati i reati contro la persona.

L’onore, considerato nel nostro ordinamento ai fini penalistici, rileva sia sotto il profilo soggettivo, vale a dire il sentimento del proprio valore sociale che viene rimesso all’apprezzamento dell’individuo stesso; sia sotto il profilo oggettivo, cioè il giudizio degli altri sulle doti, sulla reputazione, sulla considerazione di cui l’individuo offeso gode all’interno della sua comunità di appartenenza.

Rispetto alla diffamazione la giurisprudenza richiama il senso di dignità personale, in conformità a quella che è l’opinione che il gruppo di appartenenza ha rispetto al soggetto, e si va a richiamare se le circostanze concrete permettano quello che è il decoro professionale.

Talvolta, viene tutelata quella che è la posizione sociale dell’individuo, anche in relazione alla sua attività professionale; in questo senso si parla di relatività della prestazione, quindi l’offesa va commisurata in concreto, in relazione al rispetto che si ritiene dovuto a determinate categorie.

 

In che modo è perseguibile il reato di diffamazione?

La diffamazione si configura come un reato perseguibile a querela di parte, cioè il soggetto che ritenga essere stato vittima della condotta criminosa che si realizza con una manifestazione del pensiero offensiva a opera di terzi, qualora voglia far valere in sede penale la tutela dei propri diritti, dovrà segnalare il fatto, all’autorità giudiziaria competente, entro i termini di legge, entro novanta giorni dalla scoperta del fatto di reato.

 

Chi è il soggetto attivo del reato?

Il soggetto attivo del reato in esame, è colui il quale attribuisca al destinatario qualità o fatti che si configurino come disonoranti, ledendo l’altrui reputazione e altresì colpendo il destinatario nel proprio onore, tale da risentirne la sua reputazione, causando la perdita dell’autostima.

Il bene giuridico leso dal reato è inquadrabile nella categoria dei cosiddetti beni morali, e diventa difficile capire sino a che punto ci si trovi in presenza di una effettiva lesione della reputazione, del bene giuridico protetto.

 

Il reato di diffamazione può essere qualificato come un reato di danno o un reato di pericolo?

Questa distinzione è importante, perché rileva ai fini della comprensione della ratio della norma incriminatrice, ovvero bisogna capire se la lesione deve essere individuata con il semplice pericolo di lesione del bene giuridicamente protetto dalla norma, la reputazione, l’onore del soggetto destinatario, oppure se debba essere un effettivo danno rispetto alla reputazione della persona offesa.

A questa domanda, risponde la Suprema Corte di Cassazione, che sembra non avere dubbi nell’affermare che con il reato di diffamazione ci troviamo di fronte a un reato formale e istantaneo. Infatti, la diffamazione trova la sua consumazione nel momento nel quale la comunicazione lesiva dell’altrui reputazione venga a conoscenza dei terzi soggetti.

In dottrina, invece, si riscontra al riguardo una divisione, tra coloro che ritengono si sia in presenza di un reato di pericolo, in quanto non rileverebbe il danno effettivo alla reputazione, e coloro che allineandosi alla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, ritengono che il reato si configuri esclusivamente nel momento in cui si assista a un’’effettiva lesione del bene protetto.

 

Quali sono i requisiti che caratterizzano la diffamazione?

La lettera della norma ci pone di sicuro davanti a un requisito negativo che aiuta a marcare la netta distinzione tra il reato di diffamazione e quello rubricato all’articolo 594 del codice penale che è il reato di ingiuria.

Tale requisito negativo è dato dall’assenza del destinatario della manifestazione di pensiero offensiva nel momento in cui essa viene proferita. Dunque, l’assenza del soggetto offeso, lo rende impossibilitato a giustificarsi invece che rispondere all’offesa ricevuta. In ragione di tale valutazione, il reato di diffamazione è da ritenersi più grave rispetto all’ingiuria, innanzitutto per la maggiore quantità ed estensione del danno e perché viene luce la viltà di chi pone in essere la condotta diffamatoria, in assenza del destinatario.

Altro requisito che fonda la diffamazione è la divulgazione dell’offesa, ovvero la comunicazione offensiva viene riferita, ad altre persone, tale da recare nocumento alla reputazione della persona offesa.

 

In riferimento alla sua disciplina giuridica come viene sanzionato questo reato?

L’articolo 595 del codice penale rubricato “diffamazione”, si compone di quattro commi, che disciplinano la fattispecie di reato, seguendo una sorta di gradualità delle sanzioni, che diventano maggiormente afflittive in considerazione delle diverse ipotesi formulate dal legislatore ed espressamente previste dalla lettera della norma..

Il comma 1 dell’articolo 595 del codice penale, configura la diffamazione cosiddetta semplice, cioè quella per la quale, dice la norma: “chiunque al di fuori dei casi indicati nell’articolo precedente comunicando con più persone offende l’altrui reputazione e punito all’con la reclusione fino a un anno con la multa sino a € 1032,00″.

La seconda ipotesi è quella per cui, il legislatore considera attribuito a un soggetto un fatto determinato e in questo caso la pena aumenta sino a due anni di reclusione con la multa che va al raddoppio, quindi a € 2065,00.

L’ipotesi prevista dal comma 3 è quella della diffamazione a mezzo stampa, e in questo caso la pena oscilla tra un minimo edittale di sei mesi e un massimo di tre anni di reclusione nonché la multa non è inferiore € 526,00.

Questa ipotesi,come facilmente si evince dalla sanzione della pena prevista dal legislatore è di sicuro più grave, anche ragione della potenzialità offensiva della diffamazione, che, compiuta a mezzo stampa è di sicuro maggiore, e la cui eco risulta quasi incontrollabile per certi versi.

L’’ultimo comma fa riferimento al fatto che destinatari del reato siano determinati soggetti. Ci dice che se l’offesa viene arrecata a un corpo politico amministrativo o giudiziario, o una sua rappresentanza o un’autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

 

Lo accennava prima, entriamo un po’ nello specifico del reato di diffamazione a mezzo stampa e della sua disciplina giuridica, ce ne può parlare?

La diffamazione mezzo stampa è disciplinata dal comma 3 dell’articolo 595 del codice penale.

Il legislatore fa riferimento all’ipotesi in cui il pregiudizio venga arrecato alla reputazione del soggetto offeso, attraverso strumenti tipografici, fisico chimici, meccanici, diretti a pubblicare e diffondere al pubblico notizie informazioni o commenti.

Questa particolare ipotesi di diffamazione, trova inoltre, un’apposita disciplinata nella legge sulla stampa, all’articolo 13, laddove viene l’aggravante per diffamazione a mezzo stampa, e la accorpa a quella del comma 2 dell’articolo 595 del codice penale, che è l’attribuzione di un fatto determinato.

Importanti problemi rispetto ad essa nascono, allorquando si pensa che possa entrare in contrasto con il diritto libera manifestazione del pensiero e quello di cronaca e , che trovano fondamento della nostra costituzione all’articolo 21, laddove il legislatore costituente sancisce e afferma per tutti i cittadini, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola con la scrittura e con ogni altro mezzo di diffusione.

Talvolta, dunque, si corre il rischio che la norma penale incriminatrice vada a collidere con il principio costituzionale dell’articolo 21; da un lato il diritto che sussiste in capo ciascuno di tutelare il proprio onore e la propria reputazione, dall’altro,il diritto costituzionalmente tutelato, alla libera di manifestazione del pensiero.

Dottrina e giurisprudenza, al fine di dirimere questo conflitto hanno delineato quella che comunemente viene indicata come nozione di limite del diritto, ovvero sono stati elaborati nel corso degli anni, anche attraverso numerose sentenze della Corte di Cassazione, i limiti che il legislatore pone al diritto di cronaca. Pertanto, affinché trovi applicazione il diritto di cronaca quale causa di giustificazione che rimuove l’antigiuridicità della condotta, è richiesta la sussistenza di un interesse pubblico alla notizia, che i fatti narrati corrispondano a verità, che l’esposizione di questi fatti sia corretta e volutamente offensiva.

Il giudice, trovandosi di fronte al caso concreto, dovrà, in presenza di tali elementi, dichiarare la non punibilità di chi ha scritto l’articolo o di chi ha scritto la frase diffamatoria.

Se, tuttavia, vi fosse discrepanza tra i fatti narrati e quelli effettivamente accaduti, non si escluderebbe la possibilità di invocare il diritto di cronaca anche sotto il profilo della putatività, ovvero allorquando, il soggetto, agente pur avendo assolto quelli che sono gli oneri, gli obblighi e i doveri connessi alla sua posizione, si sia trovata ad avere una percezione difettosa ed erronea della realtà. Infine, non potrà essere considerato diffamatorio il servizio televisivo che sia caratterizzato da toni, da modalità espositive e di presentazione visiva continenti, cioè che non si traducano in attacchi personali, che vadano a colpire sul piano personale e individuale il destinatario e senza un pubblico interesse.

 

Oltre la diffamazione a mezzo stampa oggi con Internet e i social network, c’è la possibilità che si configuri lo stesso tipo di reato?

Per rispondere a questa domanda bisogna partire da un presupposto di fatto.

La sempre maggiore diffusione di tecnologie informatiche, ha posto in passato la questione della difficoltà ad approntare un’idonea tutela dei diritti della personalità, perché esistendo il principio cardine in materia penale del divieto di analogia, stante l’assenza di apposita disciplina, c’era la difficoltà a reprimere quelle condotte che anche se meritevoli di condanna non potevano essere previste come ipotesi di reato.

Questa situazione ha spinto il legislatore a emanare nel 1983 la legge n. 547, che ha introdotto altre fattispecie di reato.

La legge nasce per contrastare i cosiddetti reati informatici, lesivi della libertà informatica degli utenti, e in questa prospettiva tra i diritti della personalità c’è proprio il diritto alla propria reputazione e al proprio onore, diritti minacciabili anche attraverso la diffusione di notizie false e diffamatorie ai danni di un determinato soggetto attraverso Internet, una situazione del genere consente una capillare e rapidissima diffusione di quelli che sono i contenuti pubblicati sul web.

Esiste una posizione in dottrina, peraltro minoritaria, che ritiene Internet alla stregua di un territorio completamente libero, un territorio senza regole, aperto alla ammissione di qualsiasi contenuto e messaggio, sostenendo che esso non debba essere soggetto all’inserimento delle indicazioni di divieto.

Un’altra opinione, quella prevalente, invece, ritiene che la pubblicazione su Internet di qualsiasi testo o notizia debba essere regolamentato, per consentire da una parte il diritto della personalità, e dall’altra la possibilità di salvaguardare il diritto alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero sancito dalla Costituzione.

Questa seconda posizione appare quella preferibile, proprio perché Internet rappresenta uno dei mezzi di diffusione di dati e notizie più utilizzati allo stato attuale, e si ritiene non debba essere escluso da una forma di disciplina.

In tema di diffamazione a mezzo Internet, dottrina e giurisprudenza si sono chieste se questo reato, dovesse avere una particolare disciplina, e dovesse essere disciplinato e inquadrato alla stregua di ipotesi particolari, così come avviene per la diffamazione a mezzo stampa o a mezzo trasmissioni televisive.

Le pur generiche definizioni contenute anche nelle normative europee di riferimento in materia, pongono in evidenza come, in ossequio al principio di stretta legalità, la trasmissione via Internet non possa certo essere equiparata alla trasmissione a mezzo stampa o a mezzo radio e televisione, proprio in riferimento al fatto che siano diverse e incomparabili le modalità tecniche di diffusione.

Di recente si è aperto uno spiraglio per l’equiparazione di Internet e degli altri mezzi di comunicazione, in relazione alla questione dei diritti d’autore, anche se ad altri fini abbiamo la definizione di prodotto editoriale che si estende a ricomprendere qualsiasi prodotto, sia che esso sia supporto cartaceo, sia che sia supporto informatico, purché sia destinato alla diffusione con ogni mezzo elettronico, stante questa premessa la diffamazione mezzo Internet, quindi l’aggravante speciale alla quale essa andrebbe ricondotta, non è tanto il mezzo della stampa, ma gli altri mezzi di pubblicità.

In questo senso la Corte di Cassazione si è rivelata incline ad ascrivere la diffamazione a mezzo internet, all’ipotesi aggravata del secondo comma, che va rinvenuta sull’espressione “ con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

Una parte della dottrina dubita che Internet sia riconducibile all’estensione semantica “ altro mezzo di pubblicità”, così come contenuta nel comma tre dell’articolo 595 del codice penale, e per questo alcuni autori ritengono che l’estensione numerica degli utenti raggiungibili attraverso Internet può incidere sulla sanzione e sulla discrezionalità del giudice rispetto alla stessa, ma non può fungere di per sé come elemento di distinzione tra un normale modo di comunicazione e un mezzo di pubblicità.

Il requisito della comunicazione tra più persone richiede la potenzialità divulgativa, e questa parte della dottrina ritiene che la distinzione si dovrebbe fondare più su un connotato che vada valutato in maniera aprioristica, e che quantifichi il mezzo divulgativo utilizzato in base alla sua natura e non in base al risultato concreto sortito sul presupposto di un dato variabile come la consistenza numerica di coloro che accederanno alla notizia.

Altra dottrina ritiene che il reato essendo istantaneo di quella condotta, si consumi nel momento nel quale la comunicazione avvenga con i terzi edotti della notizia, nel momento nel quale i destinatari percepiscano il messaggio diffamatorio.

Il momento consumativo del reato di diffamazione a mezzo Internet, non pare doversi rinvenire nella diffusione del messaggio offensivo, ma in quello della percezione da parte dei terzi che vengono a conoscenza del fatto stesso, e questo fa sì che si possa escludere la configurabilità del tentativo di diffamazione.

Una parte della dottrina ritiene che esso sia possibile, ma a pronunciarsi in maniera dirimente è la Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale questa ipotesi non è da considerare.

 

Che succede se il messaggio diffamatorio viene pubblicato sul web ma nessuno ha la possibilità di prenderne conoscenza?

La dottrina prevalente ritiene si tratti di un reato di pericolo concreto, quindi se da una parte non c’è la necessità di accertare che la reputazione e l’onore abbiano subito un danno per effetto della condotta diffamatoria, è essenziale che il giudice esamini il fatto concreto, la singolarità storica del fatto e gli elementi costitutivi dell’evento, al fine di trarre il suo convincimento rispetto alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della lesione.

Si potrebbe affermare e ribadire che sia le ragioni della dottrina sia quelle della giurisprudenza, ritengono opportuno differenziare il mezzo di comunicazione Internet dai mezzi comunicazione di massa tradizionali, come la stampa, la radio e la televisione.

Nell’ipotesi in questione, dunque, la consumazione del reato si realizza con la semplice pubblicazione, la trasmissione dei contenuti diffamatori, anche in assenza di una effettiva percezione dell’offesa.

 

Secondo lei norme che in Italia sanzionano questo tipo di reato sono abbastanza efficaci o si potrebbe o si dovrebbe fare di meglio?

È sempre difficile parlare dell’efficacia concreta di una norma, in relazione al reato di diffamazione, pare possibile affermare che le sanzioni penali disposte dal legislatore appaiono essere eque e congrue, soprattutto alla luce del fatto che il reato di diffamazione va talvolta a collidere con il diritto, costituzionalmente riconosciuto, alla manifestazione del pensiero.

Verosimilmente, la sanzione potrebbe essere rimodulata in relazione a fattispecie particolari, nelle quali la manifestazione del pensiero si esplica con il diritto di cronaca. Ipotesi in cui si potrebbe aumentare la pena pecuniaria, ma assolutamente dovrebbe essere eliminata dal legislatore la pena detentiva, nel senso che chi nell’esercizio della sua professione di giornalista si ritrovi a oltrepassare i limiti tra il suo diritto di cronaca e la diffamazione, si ritrovi se riconosciuto colpevole del reato a non dovere scontare per quella che è stata la sua manifestazione del pensiero nell’esercizio della sua professione, una pena detentiva.

Ne costituisce riprova il recentissimo “caso Sallusti”, laddove il direttore di un giornale, caso ancor più clamoroso perché caratterizzato dalla responsabilità oggettiva, risponde non per una colpa non propria ma per quella che può essere considerata una culpa in vigilando rispetto alla pubblicazione dell’articolo, appare eccessivo e sotto certi profili disdicevole che debba addirittura rischiare la privazione o la limitazione della libertà personale.

Dott.ssa Concas Alessandra

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