Il reato di diffamazione a mezzo stampa e le recenti modifiche

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Il disegno di legge è stato licenziato la scorsa settimana dall’aula del Senato, tra le modifiche anche lo stop al carcere per i giornalisti, e c’è anche il diritto all’oblio e una stretta per le querele temerarie.

Il provvedimento, per avere il via libera definitivo, dovrà ritornare alla Camera.

Il reato di diffamazione a mezzo stampa ritorna a far parlare di sé le cronache giornalistiche di settore e legate all’attualità.

La scorsa settimana è passato al Senato della Repubblica e per potere diventare legge dello Stato, si attende il via delibera da parte dell’altro ramo del Parlamento, la Camera dei Deputati.

Sono state apportate modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, (la cosiddetta Legge Stampa n.d.r.), al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante, nonché di segreto professionale, e altre disposizioni a tutela del soggetto diffamato.

Uno stop al carcere per i giornalisti, introduzione del diritto dall’oblio oltre a quello di rettifica ed estensione delle sanzioni pecuniarie anche per le testate online.

Sono questi alcuni dei tratti salienti del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa sul quale l’Aula del Senato ha votato dopo avere approvato i cinque articoli del provvedimento.

Sul testo, in precedenza modificato in commissione Giustizia, con il parere favorevole del Governo, è stato dato l’assenso anche ad alcuni emendamenti in relazione all’estensione delle multe anche per le testate online.

Lo stop carcere per i giornalisti, è forse la modifica principale del provvedimento che, per chi diffama a mezzo stampa, sostituisce la pena detentiva con una sanzione pecuniaria sino a diecimila euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la quale diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, la multa va dai dieci ai cinquantamila euro.

La rettifica, se conforme alle previsioni del testo, sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità sia per il direttore responsabile sia per l’autore dell’offesa.

L’interdizione dalla professione da uno a sei mesi, con un emendamento approvato in Aula, è prevista esclusivamente nei casi di recidiva reiterata.

In relazione alla rettifica, il direttore o il responsabile, la deve pubblicare gratuitamente, entro due giorni dalla ricezione della richiesta, senza risposta, senza commento e senza titolo e menzionando titolo, data e autore dell’articolo da rettificare.

L’obbligo di rettifica vale per quotidiani, periodici, agenzie di stampa, nonché nelle testate giornalistiche online, che invieranno la rettifica agli utenti che hanno avuto accesso alla notiziaalla quale si riferiscono.

La rettifica non deve essere pubblicata se ha contenuto suscettibile di incriminazione penale o se è documentalmente falsa.

Sul diritto all’oblio, fermo restando la rettifica, l’interessato può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o degli elementi personali trattati in violazione della legge.

In caso di rifiuto lo stesso può chiedere al giudice di ordinare la rimozione.

Uno degli emendamenti approvati, è atto a scoraggiare le querele temerarie.

La modifica prevede che, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza di rigetto, possa condannare al pagamento di una somma in via equitativa chi ha agito in sede di giudizio in malafede o con colpa grave.

Allo stesso modo, il giudice può condannare a un risarcimento “equitativo” il querelante, se risulta la temerarietà della querela.

Al di fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice non rispondono più “a titolo di colpa” a meno che il delitto non sia conseguente alla violazione dei doveri di vigilanza della pubblicazione.

La pena è ridotta di un terzo mentre è esclusa la pena accessoria dell’interdizione dalla professione.

Questi in sintesi, sono caratteri del provvedimento relativo alle modifiche sopra menzionate, riportiamo di seguito l’attuale testo dell’articolo 595 del codice penale rubricato “diffamazione”.

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Dott.ssa Concas Alessandra

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