Il piccolo imprenditore

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Un’altra figura importante nella disciplina dell’impresa è il piccolo imprenditore che viene contrapposto all’imprenditore medio grande.

La nozione di piccolo imprenditore la ritroviamo sia nel codice civile all’articolo 2083 sia all’articolo 1 della cosiddetta legge fallimentare, più precisamente il regio decreto 16 marzo 1942 numero 267.

Prima di tratare nello specifico le due nozioni, possiamo dire che il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore e anche se esercita attività commerciale è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili e non è soggetto al fallimento a differenza dell’imprenditore commerciale.

In precedenza non era prevista neanche l’iscrizione nel registro delle imprese, è stata prevista solo di recente, precisamente dalla legge 29 dicembre 1993 numero 580.

L’iscrizione nel registro delle imprese non ha funzione di pubblicità legale.

Andiamo a vedere la nozione di imprenditore data dall’articolo 2083 del codice civile.

L’articolo 2083 del codice civile rubricato “piccoli”imprenditori” recita testualmente:

“sono piccoli imprenditori coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.

La prima parte dell’articolo indica quali sono le figure tipiche di piccolo imprenditore, e precisamente: i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani e i piccoli commercianti.

La seconda parte dell’articolo stabilisce che sono piccoli imprenditori coloro che esercitano un’attività che deve essere professionale, quindi non occasionale, ma deve essere un’attività svolta abitualmente dal soggetto, questa attività deve essere un’attività organizzata, e da questo si deduce che la disciplina del piccolo imprenditore è sottoposta allo statuto generale dell’imprenditore, quindi ci riferiamo all’articolo 2082 che parla di professionalità e di organizzazione, il 2083 riporta questi requisiti che abbiamo detto essere fondamentali perché si abbia la qualità di imprenditore, in questo caso sono fondamentali perché si abbia la qualità di piccolo imprenditore.

L’attività del piccolo imprenditore oltre ad essere professionale e organizzata deve essere caratterizzata dalla prevalenza del lavoro proprio e del lavoro dei componenti della famiglia sempre a norma dell’articolo 2083.

La prevalenza del lavoro proprio familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori.

Perché si abbia piccola impresa è perciò necessario che:

-l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa.

-Il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa siano prevalenti sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale proprio oppure altrui investito nell’impresa.

Non è perciò piccolo imprenditore chi investa ingenti capitali anche se non si avvale di nessun collaboratore (ad esempio, un gioielliere).

Come si diceva all’inizio l’articolo 2083 del codice civile non è l’unica norma che dia la nozione di piccolo imprenditore, la quale viene data anche dall’articolo 1 della legge fallimentare.

A questo riguardo bisogna fare una precisazione.

L’articolo 1 della legge fallimentare si deve considerare nella sua versione originaria e nelle versioni modificate e per forza di cose essendo la legge fallimentare del 1942 sono state introdotte per adeguarsi ai tempi delle modifiche di carattere economico.

La definizione di piccolo imprenditore è stata riformulata dapprima con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 e dopo con il decreto legislativo 12 settembre 2007 n. 169.

La versione originaria dell’articolo 1, comma 2 , della legge fallimentare, nel ribadire che i piccoli imprenditori commerciali non falliscono, stabiliva:

“sono considerati piccoli imprenditori, gli imprenditori esercenti un’attività commerciale, i quali sono stati riconosciuti, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile.

Quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un’attività commerciale nella quale azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire 900.000″.

La terza norma fallimentare disponeva poi che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali”.

Dal tenore della norma possiamo rilevare subito una differenza tra l’articolo 1 della legge fallimentare e l’articolo 2083 del codice civile.

Nella legge fallimentare il piccolo imprenditore persona fisica era individuato esclusivamente in base ai parametri monetari, perché si parla di reddito di ricchezza mobile accertato oppure capitale investito, e quindi con un criterio che non coincide con quello fissato dal codice civile che all’articolo 2083 parla di prevalenza funzionale del lavoro familiare.

Bisognava trovare un coordinamento tra le due norme e non era facile.

Ma questo era venuto meno per effetto di due modifiche del sistema normativo.

-L’imposta di ricchezza mobile stata soppressa a partire dal 1 gennaio 1974 aprì(d.p.r. 29 settembre 1973 numero 597 che istituito l’Irpef) ed il suo posto è stato preso, per le persone fisiche da una diversa imposta: l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche). Il criterio del reddito fissato dalla legge fallimentare non era perciò più applicabile, per implicita abrogazione della relativa previsione normativa.

-Il criterio del capitale investito non superiore a lire 900.000, sopravvissuto secondo l’opinione prevalente alla riforma tributaria fu dichiarato incostituzionale nel 1989, perché non più idoneo, in seguito alla svalutazione monetaria a fungere da scriminante tra imprenditori commerciali soggette al fallimento di quelli esonerati.

Nella nozione originaria data dalla legge fallimentare sopravviveva perciò solo la parte secondo la quale in nessun caso erano considerati piccoli imprenditori le società commerciali, essendo stata più volte respinta l’eccezione di incostituzionalità della stessa per disparità di trattamento rispetto al piccolo imprenditore individuale.

Il permanere in vigore della sola definizione codicistica di piccolo imprenditore individuale ammette però non trascurabili inconvenienti pratici in sede di dichiarazione di fallimento, perché accertare in concreto la prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi non è sempre agevole e potrebbe richiedere anche indagini lunghe e complesse.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:

G.Campobasso- Manuale di Diritto Commerciale Giappichelli 2011

Codice Civile Giuffrè 2011

Dott.ssa Concas Alessandra

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