Il nesso di causalità, definizione e caratteri

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Il nesso di causalità è la relazione che lega in senso naturalistico un atto, o un fatto, e l’evento che deriva da esso.

Si rileva da un lato la prospettiva di chi agisce, e dall’altro la prospettiva dell’osservatore che riceve il risultato dell’azione, e la sintesi delle due prospettive si chiama nesso (da nectere, legare), e rappresenta la forza naturalistica che causa l’evento.

Il nesso di causalità è il rapporto tra le due prospettive, studiato al fine di ricavare la riconducibilità di un determinato evento all’atto o al fatto presupposto.

Quello che presuppone l’evento è un fatto oppure un atto.

Se si tratta di un atto, questo può prendere le forme di una determinata condotta umana e il prodotto della stessa viene giuridicamente individuato come evento.

Se si tratta di un fatto, questo viene considerato irrilevante per il diritto penale.

Lo studio della causalità della condotta, per il diritto non sorge dal bisogno di determinare categorie astratte di cause e conseguenze, o se nell’ordine che si intende dare alla società debba prevalere un concetto indeterministico o deterministico di causalità.

La questione nasce per determinare cosa sia la causa giuridica di un evento ben determinato e le soluzioni che vengono offerte sono studiate al fine di evitare i risultati aberranti  ai quali si può arrivare.

Lo scopo dello studio della causalità è individuare dei correttivi che evitino la responsabilità per fatti che non cadono sotto il dominio dell’uomo, che non controlla che alcune condizioni siano in grado di causare l’evento.

Alcune teorie relative all’argomento sono state abbandonate, esse sono:

La teoria della causa prossima, che individua la causa nell’ultima condizione che completando la serie degli antecedenti causali, determina di sicuro il risultato.

La teoria della causa efficiente, che separando gli antecedenti causali, ravvisa nella causa la forza che produce l’effetto, la condizione che consente alla causa di agire, l’occasione di una semplice circostanza che invita all’azione.

La teoria dell’equivalenza, in base alla quale non vi sono elementi distintivi di tipo efficiente, potendo la condizione essere rappresentata dal semplice fenomeno naturale.

La teoria dell’univocità dell’azione, sviluppata per reperire elementi di distinzione tra gli elementi causali sulla base dell’univocità dell’azione, che deve essere oggettivamente diretta a un determinato evento.

Ci sono quattro sono teorie principali che hanno affrontato e affrontano la questione:

La teoria della causalità naturale o teoria della condicio sine qua non, secondo la quale per la causalità nel reato basta una qualsiasi azione che abbia posto in essere un antecedente indispensabile per la realizzazione dell’evento.

Questa teoria in alcune applicazioni pratiche da molti giuristi è stata considerata molto severa e aberrante.

Il rischio della stessa è il cosiddetto regressum ad infinitum.

Ad esempio Tizio, commerciante di armi, responsabile dell’omicidio posto in essere da Caio perché ha venduto l’arma.

Secondo la condicio sine qua non se non vi fosse stata la vendita dell’arma non si sarebbe potuto verificare l’evento e cioè l’omicidio.

Alcuni correttivi sono stati studiati nella teoria della causalità adeguata, nata in Germania, secondo la quale la causalità nasce con un evento adeguato, cioè con un’azione idonea a generarlo, escludendo gli effetti impossibili.

La teoria è stata giudicata inidonea all’accertamento caso per caso della straordinarietà oppure no dell’azione che ha causato l’evento, molto blanda per l’imputato e molto discrezionale per il giudice.

La teoria della causalità umana che propone una lettura della causalità condizionalistica secondo un adeguamento che considera le variabili che sfuggono all’uomo.

Questa lettura spiega la sua efficacia migliorativa della tenue causalità adeguata quando restituisce alla punibilità gli effetti atipici della condotta umana, escludendo gli eventi eccezionali, e al di fuori del dominium umano sta il fatto eccezionale, che si verifica in casi molto rari.       

Un soggetto per avere causato un evento a lui imputabile, deve avere in  positivo posto in essere una condizione dell’evento che non si sarebbe altrimenti verificata, e in negativo quello che ha causato non deve essere in concorso con fattori eccezionali.

Questa teoria è però accusata di presentare gli stessi limiti della causalità naturale e di compiere una contaminazione tra elemento oggettivo e soggettivo, visto che la punibilità dipende da un’ambigua prevedibilità o dominabilità dell’evento.

La teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento è di derivazione oltralpina.

La teoria della causalità scientifica, definita come causalità “vera”, fondata sullo studio scientifico del fenomeno.

Il nesso di causa va indagato secondo un’”uno studio controfattuale” che riveli se in mancanza della condotta l’evento non si sarebbe verificato, il quale deve condurre a un’”alta possibilità logica e una credibilità razionale”, scientifica del fatto.

Il diritto positivo italiano ha recepito, agli articoli 40 e 41 del codice penale, gran parte della teoria della condicio sine qua non, mettendo però una disposizione molto controversa di sbarramento nel comma 2 dell’articolo 41, cioè le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state in esclusiva sufficienti a determinare l’evento.

La disposizione è in sé contraddittoria (non è dato di ipotizzare “concause esclusive sufficienti a causare l’evento”),se letta accanto all’articolo 40 sarebbe superflua, e se letta come limitazione della causalità condizionalistica equivalente è inutile, ingiusta o di nulla applicazione (si dovrebbe ipotizzare una serie causale parallela a quella efficiente, la quale rimane condicio sine qua non dell’evento).

A chiarire la disposizione, coerentemente con la relazione illustrativa al codice penale ha pensato dopo anni la Corte Suprema di Cassazione che ha stabilito come l’evento previsto nel comma 2 sia frutto di fattori concausali sopravvenuti di carattere eccezionale, oppure imprevedibili e anormali.

Questa lettura ricondurrebbe nell’alveo della comprensibilità logica la previsione detta.

Non risulta conforme a giustizia il diverso trattamento delle cause sopravvenute rispetto a quelle concomitanti o antecedenti, e al fine di evitare gli effetti aberranti di una simile applicazione, sarà necessario applicare l’analogia in bonam partem facendo ricorso agli elementi sulla causalità (ex art.41-45 c.p. compresi caso fortuito e forza maggiore).

In caso di omissione è importante il fatto che il nesso causale sussiste esclisivamente quando questa sia stata indispensabile per la realizzazione dell’evento, e che il reo non abbia avuto ostacoli nel potere agire.

L’articolo 40 del codice penale, stabilisce anche che questo impedimento dell’evento deve essere un obbligo giuridico sancito dalla legge.

Un importante aiuto nella definizione del nesso di causalità è l’utilizzo della “terminologia di possibilità del nesso causale” , defindeno la possibilità di esistenza del nesso nella seguente scala: “impossibile”, “poco possibile”, “possibile”, “molto possibile” e “sicura”.

La validità del nesso dal lato giuridico sussisterà esclusivamente negli ultimi due casi.

Il caso fortuito e la forza maggiore, studiati anche come  cause di esclusione della colpevolezza o della cosiddetta suitas dell’evento, cioè la riconducibilità del fatto al soggetto, sono elementi giuridici che negano la seriazione causale, per l’evidente incompatibilità tra causalità e casualità.

Il caso fortuito indica quei fattori causali che si presentano come impossibili secondo la migliore scienza ed esperienza, mentre la forza maggiore indica le forze esterne che determinano inevitabilmente il soggetto a un atto o a una condotta.

Negli stessi casi non sarà rappresentabile nessuna forma di colpevolezza, e nel caso dei reati di semplice condotta, la causalità non entra interamente a far parte della fattispecie tipica.

Il giudizio sull’esistenza del nesso di causalità è fondato su un sistema di reperimento degli elementi ipotetici (possibilistici, scientifici e sociali), di causazione dell’evento, mentre il giudizio sulla causalità dell’omissione è un giudizio doppiamente ipotetico, rivolto a verificare sulla base di uno studio che prevede l’utilizzo del doppio meccanismo logico della cosiddetta eliminazione mentale e della addizione mentale, la effettiva possibilità scientifica del verificarsi dell’evento, e la sua credibilità logica e razionale.

La doppia ipotesi risiede nell’individuazione delle cause naturali dell’evento (eliminazione), e nella sostituzione mentale dell’omissione con l’azione impeditiva (addizione).

Questi risultati mentali vanno poi corretti, ritenendo esistente il nesso laddove vi sia un pari grado di possibilità dell’evento, in relazione alle possibili situazioni fattuali (casi) da risolvere e con un rigore di accertamento uguale a quello utilizzato per la causalità commissiva, non potendosi ritenere suffragato dalle norme di legge un trattamento attenuato della causalità omissiva.

Dott.ssa Concas Alessandra

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