Il matrimonio per costrizione, definizione e conseguenze

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Il matrimonio, più che una formalità dettata da uno spirito di effettuare una sorta di “contratto”, dovrebbe essere un lieto evento che sfocia nel coronamento di un idillio d’amore.

Simili scenari a volte si riscontrano esclusivamente nelle favole, perché ci sono circostanze nelle quali il vincolo matrimoniale viene contratto per semplice convenienza, ad esempio per acuisire la cittadinanza, oppure perché per qualche motivo si viene costretti a farlo.

In questa sede tratteremo delle varie questioni e delle relative previsioni legislative a proposito dei matrimoni che possono essere imposti con la forza, mettendo in evidenza eventuali estremi di reato, di che cosa succede se si induce una persona dello stesso sesso a contrarre un’unione civile.

Obbligo di matrimonio e annullamento

Prima di trattare della questione se sia reato obbligare una persona a sposarsi è opportuno scrivere qualcosa sulla disciplina civile del matrimonio per costrizione.

Secondo l’articolo 122 del codice civile, il matrimonio può essere impugnato dal coniuge il quale consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.

In relazione a questo, il matrimonio può essere annullato nelle ipotesi che seguono.

Per violenza morale, che si ha quando il futuro coniuge rivolga delle intimidazioni nei confronti l’altro prospettandogli un male ingiusto e notevole nel caso nel quale non si voglia sposare.

Per paura di subire una male ingiusto da persona diversa dal coniuge, ad esempio, da un membro della sua famiglia.

L’annullamento matrimonio

In presenza di violenza morale o di timore subito da uno dei due coniugi, l’annullamento del matrimonio non si può chiedere se c’è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore.

Questo sta a significare che se la persona costretta a sposarsi convive con il coniuge per oltre un anno ed è cessata ogni forma di violenza o di timore, non potrà più essere chiesto l’annullamento del matrimonio.

Lo stesso risulterà sanato attraverso la volontà della persona indotta a sposarsi di vivere insieme.

Il caso contrario è rappresentato dal fatto che l’azione di annullamento del matrimonio per costrizione può sempre essere esercitata se l’intimidazione, la violenza o il timore non siano cessati, oppure siano cessati da meno di un anno, oppure siano cessati ma non ci sia stata coabitazione.

Al fine di chiarire meglio le questioni, proponiamo due esempi.

Un uomo costringe una donna a sposarlo dicendole che in caso contrario farà del male alla sua famiglia.

Dopo le nozze i coniugi vanno a vivere insieme.

Dopo circa due anni di coabitazione, la moglie chiede l’annullamento del matrimonio perché fu contratto senza che il suo consenso fosse libero.

Un uomo e una donna si sposano.

La donna presta il suo consenso perché ha paura di subire del male da parte della famiglia dell’uomo, che le ha fatto intendere che, se non si sposerà, subirà una ritorsione.

Dopo anni di coabitazione, la donna subisce ancora le intimidazioni dei parenti e si decide a chiedere l’annullamento.

Nel primo esempio proposto, il coniuge costretto a sposarsi non può più chiedere l’annullamento del matrimonio, perché ha coabitato per oltre un anno e la violenza morale è cessata.

Nel secondo esempio, l’azione di annullamento può ancora essere proposta perché, nonostante siano  passati molti anni dal matrimonio ed essendoci stata convivenza, il timore non è cessato.

Quando una persona obbligata a sposarsi si configurano gli estremi di un reato?

Per diversi anni il rimedio al contrarre un matrimonio forzoso è stato esclusivamente di tipo civile. Il coniuge costretto a sposarsi poteva, nei modi e nei termini indicati nei paragrafi precedenti, invocare l’azione di annullamento per sciogliersi dal vincolo matrimoniale.

Per merito di una legge entrata in vigore a partire dal 9 agosto 2019 (Legge n. 69 del 19 luglio 2019), anche il codice penale punisce la persona che obbliga un’altra a sposarsi oppure a contrarre un’unione civile.

Secondo il nostro ordinamento giuridico, chi, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità  psichica  o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità  che deriva dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la porta a contrarre matrimonio o unione civile.

In poche parole la legge penale non punisce esclusivamente chi costringe un’altra persona a sposarsi, o a contrarre unione civile, utilizzando violenza o minaccia, ma anche la persona che raggiunga questo fine abusando del potere o dell’ascendente che ha sulla vittima.

Ad esempio il datore di lavoro che porta il suo dipendente a sposare la figlia dietro la minaccia di un licenziamento, oppure il curatore dell’inabilitato che induca lo stesso a contrarre matrimonio con una determinata persona.

In relazione alle tematiche sopra scritte, il codice penale specifica che costituisce reato anche se la costrizione è commessa all’estero da cittadino italiano, da straniero residente in Italia oppure in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

La costrizione al  matrimonio e le sue aggravanti

La costrizione o induzione al matrimonio è punita più severamente quando le vittime sono minorenni.

In simili circostanze la pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.

Se, poi, la vittima è minore di quattordici anni, la pena è quella della reclusione da due a sette anni.

In relazione alle recenti disposizioni legislative, il reato si configura di costrizione al matrimonio anche se sia stato contratto o si debba contrarre un vincolo matrimoniale privo di effetti civili o al quale non siano riconosciuti questi effetti.

La condotta sanzionata è punita più gravemente se ricorrano le condizioni delle quali si scriverà in altra sede, che sanzionano più gravemente i reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, di resistenza ad un pubblico ufficiale e di violenza o minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario.

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