Il mantenimento negato alla ex moglie “scansafatiche”

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Un argomento di stretta attualità, del quale hanno parlato le recenti cronache e del quale si è saputo a cominciare dalle agenzie di stampa nazionali, che hanno subito battuto la notizia.

In costanza di separazione, se la donna è in grado di lavorare e ha l’età per farlo, però non cerca lavoro, il giudice può interrompere il pagamento dell’assegno di mantenimento da parte dell’ex marito.

Per approfondire leggi anche “La tutela del marito nella crisi della famiglia” a cura di Giuseppe Cassano e Ida Grimaldi

La posizione della Suprema Corte di Cassazione

A partire dal momento nel quale la Suprema Corte di Cassazione ha detto che l’assegno di divorzio deve avere come esclusiva finalità quella di garantire l’autosufficienza economica della donna e non una forma di assistenzialismo che possa essere assimilato alla figura del parassita, in diversi Tribunali italiani si sono moltiplicate le sentenze secondo le quali la ex moglie deve dimostrare di avere fatto il possibile per trovare un lavoro che le consentisse di mantenersi da sé.

Senza questa prova, perde il diritto agli alimenti.

Si fa un’eccezione per coloro che, nel decidere di dedicarsi al lavoro di casalinghe, si sono dedicate per tempo immemore ai figli e alla famiglia, non potendo avere in questo modo nessun contatto con il mondo del lavoro.

Queste donne vantano uno stato di disoccupazione senza colpa, mentre le altre devono almeno tentare di trovare un’occupazione, pena la sospensione del mantenimento.

Alcuni fatti recenti sulla questione del mantenimento negato alla ex moglie

Le recenti cronache, hanno dato notizia di una circostanza nella quale questi importanti principi sono stati ribaditi.

Si tratta precisamente di una sentenza del tribunale di Treviso.

Una simile regola può trovare applicazione sia nel corso del giudizio di divorzio, sia dopo, in sede di revisione delle condizioni economiche.

Nel primo caso, l’ex marito, nel negare il diritto dell’ex moglie alla corresponsione dell’assegno dovorzile per il mantenimento, potrà dimostrare la circostanza che la giovane età della moglie e la sua formazione le consentono di trovare un posto di lavoro.

La donna, da parte sua,  dovrà provare che la sua non è un’inerzia volontaria, ma uno stato di disoccupazione determinato dalla congiuntura del mercato.

Al fine di convincere  di una simile realtà il giudice, l’ex moglie dovrà dimostrare di avere inviato il suo curriculum alle aziende, di essersi iscritta ai centri per l’impiego, di avere partecipato a concorsi pubblici, di avere chiesto un contratto di lavoro anche part-time.

Su di lei ricade la responsabilità dell’onere della prova di uno stato di incapacità economica, non determinato da sua colpa.

Una simile incapacità, una volta raggiunti i cinquant’anni, si presume sempre involontaria, per il fatto che dopo questa età è noti sia più difficile, se non in alcuni casi impossibile,  trovare lavoro, in maggiore misura per chi, sino a quel momento si sia dedicata in modo esclusivo al lavoro domestico.

In queste circostanze, la condizione di casalinga deve essere stata concordata con il marito e non deve essere frutto di una scelta individuale della donna che, al lavoro, ha preferito le faccende di casa.

La sentenza di divorzio però non garantisce un mantenimento a vita.

Anche dopo questo momento la moglie deve continuare a cercare un lavoro.

Se non lo fa, e si tratta sempre di una donna giovane e capace di lavorare, il marito potrà ricorrere al tribunale per la revisione delle condizioni di divorzio.

In questa sede giuridica potrà chiedere la cancellazione dell’assegno divorzile che configura il mantenimento perché non meritato.

Se l’ex moglie è una “scansafatiche”, aggettivo presente nei titoli delle agenzie di stampa che hanno dato la notizia di un caso concreto alcuni giorni fa, non ha diritto agli alimenti.

Di seguito, per dovere di cronaca, riportiamo la notizia sopra menzionata.

Nel caso deciso dal tribunale di Treviso, una donna di trentacinque anni veniva accusata dall’ex marito di “inerzia colpevole nel reperire un’occupazione” e di conseguenza, una fonte di reddito.

Secondo i giudici, la giovane donna aveva un’età che le consentiva di reinserirsi nel mondo del lavoro, oltre ad essere in possesso di un titolo di studio facilmente spendibile.

La sentenza del Tribunale di Roma  

Si è da qualche tempo consolidato il filone giurisprudenziale secondo il quale il mantenimento  non è dovuto all’ex moglie ancora giovane e in grado di lavorare.

Le precedenti esperienze lavorative, la formazione, l’età giovane e l’idoneità al lavoro costituiscono un facile e indiscutibile parametro  atto a determinare la misura del mantenimento e, in alcuni casi, possono giustificare la completa negazione dell’assegno.

Ci fu un precedete del tribunale di Roma tre anni fa, che ha negato l’assegno a una donna di quarant’anni con una discreta formazione professionale (Trib. Roma, sent. n. 24007/16.).

Anche dopo avere ottenuto dal giudice l’assegno di mantenimento, a conclusione della causa di separazione o divorzio, la moglie potrebbe non dormire sonni tranquilli, in ragione del fatto che è sempre tenuta a cercare un’occupazione che la renda autonoma.

Lo deve fare se ha le condizioni di salute adeguate, nel senso  che non deve essere completamente inabile al lavoro, e deve avere l’età per essere ancora appetibile sul piano occupazionale.

Secondo le ultime sentenze della Suprema Corte di Cassazione, al di sotto dei cinquant’anni si è ancora giovani per trovare un impiego.

La recente sentenza del Tribunale di Udine

La stessa opinione è stata espressa dal Tribunale di Udine, che attraverso la sentenza numero 652 del 2018, ha stabilito che se l’ex moglie non cerca un posto di lavoro, le deve essere negato l’assegno divorzile che determina il mantenimento, sempre che sia ancora in età per impiegarsi e che le condizioni di salute glielo consentano.

Il fatto che, dopo il divorzio, possa scattare l’obbligo di mantenere l’ex moglie che, per conto suo non riesce a farlo, non può garantire alla stessa “rendite parassitarie”, locuzione utilizzata dai giudici friulani che, in questo, dimostrano di dichiarare le cose come stanno.

Il matrimonio non è un’assicurazione sulla vita.

Se una donna si sposa con un uomo ricco e per amore suo decide di non lavorare, non significa avere una specie di vitalizio a tempo indeterminato.

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La tutela del marito nella crisi della famiglia

Aggiornato ai nuovi orientamenti giurisprudenziali in materia di assegno divorzile di cui alla sentenza della Corte di Cassazione 10 maggio 2017, n. 11504, il testo affronta le tematiche riguardanti la figura del padre/marito nelle vicende della crisi familiare. Il commento è di taglio operativo, costantemente arricchito da riferimenti normativi schematizzati e tavole sinottiche processuali; si vuole in tal modo garantire un sussidio pratico e di immediata utilità. Ogni capitolo è corredato da una selezione di quesiti ricorrenti nella giurisprudenza. Con questo approccio, si illustrano le varie situazioni giuridiche della crisi familiare in cui la figura paterna potrebbe subire un pregiudizio nell’applicazione degli istituti del diritto di famiglia. L’analisi e la ricerca giurisprudenziale riservano grande attenzione agli aspetti processuali. Tra gli altri, i temi affrontati sono:- la tutela del patrimonio personale del marito;- il risarcimento del danno a seguito di infedeltà coniugale;- il mantenimento dei figli e i criteri di determinazione dell’assegno;- l’assegnazione della casa coniugale;- la tutela del rapporto del padre con i figli in caso di ostacolo alla sua genitorialità e il mobbing familiare in danno del marito;- la punibilità delle condotte illegittime della moglie nei confronti del marito anche sotto il profilo penale, ad esempio in caso di sottraGiuseppe Cassano Già Docente di Istituzione di Diritto privato nell’Università LUISS di Roma, è Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche di Roma e Milano della European School of Economics. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia e della responsabilità civile, dirige collane giuridiche per i principali editori giuridici. Ha al suo attivo oltre duecento pubblicazioni incentrate sulle figure emergenti del diritto, con particolare riferimento al nuovo impianto del danno non patrimoniale.Ida Grimaldi Avvocato cassazionista, rappresentante istituzionale dell’avvocatura italiana, componente della Commissione Lavoro sul Diritto di Famiglia dell’Ordine Avvocati di Vicenza, nonché del Comitato di redazione della Rivista Giuridica “La Previdenza Forense”. Relatrice in numerosi convegni nazionali in materia di diritto di famiglia, contrattualistica, previdenza e assistenza forense. Autrice e curatrice di numerose pubblicazioni giuridiche per le principali Case Editrici.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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