Il lavoro giornalistico e la tutela dei minori

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“Chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità dei minori”.

Questo è il dettato dell’articolo 52, comma 5, del codice della privacy, che segna una meta in relazione alla tendenza, iniziata alla fine degli anni ’80, a riconoscere al minore una tutela rafforzata in tema di diritto alla riservatezza. 

L’Ordine italiano dei Giornalisti insieme alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e in collaborazione con “Telefono Azzurro”, il 5 ottobre 1990, prima che il Parlamento italiano recepisse la Convenzione di New York, varò la Carta di Treviso.

E’ un manifesto contro lo sfruttamento mediatico del minore, e il suo grande valore è sintetizzato nella seguente affermazione:

“la tutela della personalità del minore si estende anche a fatti che non siano specificamente reati (suicidio di minori, questioni relative ad adozione e affidamento, figli di genitori carcerati, ecc.) in modo che sia tutelata la specificità del minore come persona in divenire, prevalendo su tutto il suo interesse ad un regolare processo di maturazione che potrebbe essere profondamente disturbato o deviato da spettacolarizzazioni del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi o da fittizie identificazioni”.

L’importanza di questa affermazione sta nell’estensione della tutela del minore a fatti che non siano specificamente reati, una tutela che considera il minore un valore “assoluto”, superando l’impostazione tradizionale che vedeva la potenziale lesività del diritto di cronaca solo quando il minore fosse soggetto attivo o vittima di un reato.

La Carta, da una parte salvaguarda il diritto di cronaca, dall’altra pone l’accento sulla responsabilità che i mezzi d’informazione hanno nella costruzione di una società che rispetti in pieno l’immagine di bambini e adolescenti.

Alla base c’è il principio  di difendere l’identità, la personalità e i diritti dei minorenni vittime o colpevoli di reati, o coinvolti in situazioni che ne potrebbero compromettere l’armonioso sviluppo psichico.

Stesse garanzie sono assicurate anche ai soggetti marginali nella società.

Il documento è stato approfondito e integrato dal Vademecum del 25 novembre 1995, il 30 marzo 2006 la Carta è stata aggiornata estendendo la tutela dei minori ai mezzi di comunicazione digitali. Il 25 luglio 2012 i tre firmatari hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la promozione e la diffusione dei principii contenuti nella Carta.

La Carta di Treviso ha fissato alcune norme vincolanti di autoregolamentazione per i giornalisti italiani e, in senso lato, per gli operatori di informazione:

I giornalisti sono tenuti ad osservare la normativa penale, civile e amministrativa che regola la corretta informazione in materia di minori.

I giornalisti sono tenuti a garantire l’anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca giudiziaria e in fatti di cronaca potenzialmente lesivi della sua personalità.

I giornalisti devono evitare di pubblicare qualsiasi elemento che possa portare a identificare un minore coinvolto in procedimenti giudiziari, sia esso un dato (generalità dei genitori, indirizzo di  casa, scuola, ecc.) sia esso una fotografia o un filmato. Analogo comportamento deve essere osservato per episodi di pedofilia e abusi di ogni genere.

Nei casi di separazione dei genitori con figli minorenni, di adozioni o di affidamento, il giornalista è tenuto a non enfatizzare o spettacolarizzare la rappresentazione dei fatti; inoltre deve garantire anche in questi casi l’anonimato dei minori coinvolti.

Il minore non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive o radiofoniche che possano lederne la dignità o turbare il suo equilibrio psicologico, e ciò a prescindere dall’eventuale consenso dei genitori.

Nei casi di minori malati, svantaggiati o in difficoltà, si deve porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e nella narrazione delle vicende, allo scopo di non scivolare nel sensazionalismo o nel pietismo, che potrebbero divenire sfruttamento della persona.

Le precauzioni sinora elencate vanno applicate anche al giornalismo online, multimediale e altre forme di attività giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici.

I giornalisti sono tenuti all’osservanza di queste regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine.

I principi della Carta di Treviso vengono recepiti e rielaborati dal codice di deontologia dei giornalisti.

Il principio fondamentale viene sintetizzato all’articolo 7, dove si dice che “Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca”.

Il rafforzamento della tutela della riservatezza del minore parte dal presupposto che molto spesso  la cronaca ne danneggia lo sviluppo psico fisico.

Anche in presenza di un fatto la quale importanza è tale da generare una “notizia”, non sussiste mai l’interesse pubblico alla identificazione del minore protagonista.

Secondo l’articolo 7 del codice di deontologia, “il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione” (comma 1), anche in relazione a “fatti che non siano specificamente reati” (comma 2).

L’esigenza di garantire l’anonimato del minore attraverso l’occultamento di quei particolari del fatto che possano condurre alla sua identificazione si pone in contrasto con l’articolo 6 del codice di deontologia, secondo il quale “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”.

E’ il cosiddetto principio di essenzialità dell’informazione, ma evidentemente formulato in modo da contenere una sorta di ossimoro. Nel senso che i casi nei quali sono ammesse le eccezioni possono arrivare ad essere più numerosi di quelli per i quali vige la regola dell’essenzialità.

In relazione alla cronaca sui minori il principio di essenzialità dell’informazione è di sicuro salvo, grazie all’apporto che deriva dall’articolo 7 del codice di deontologia, che impedisce al giornalista di consentire l’identificazione del minore.

Quella informazione “dettagliata” che consente l’articolo 6 del codice di deontologia (e che nella maggior parte dei casi rischia di annullare il principio di essenzialità) si deve evitare quando ci si occupa di un minore, perché porterebbe alla sua identificazione.

Il giornalista si dovrà limitare a riportare i fatti che compongono il corpus della notizia nella sua reale “essenzialità”, lasciando i dettagli che possano rendere identificabile il minore.

Il comportamento che il giornalista deve tenere per scongiurare il rischio di identificazione del minore è stato precisato dal Vademecum” del 1995, che è parte integrante della Carta di Treviso. Al punto 3 si legge che va evitata “la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo della abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento”. Una precisazione quanto mai opportuna, perché  alle origini la Carta di Treviso in merito era  lacunosa.

“Gogna mediatica” di cui tuttavia non ha molto senso parlare quando il fatto di cronaca svela una ferocia che non ha precedenti. Si bensi ad Erika e Omar, i due minori protagonisti nel febbraio 2001 della “strage di Novi Ligure”. Tv e giornali non esitarono a diffondere le loro generalità (in alcuni casi le immagini). Da un punto di vista formale, ciò ha rappresentato una palese violazione dell’art. 7 del codice di deontologia dei giornalisti (che vieta di pubblicare “i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca”). Ma è difficile sostenere che tale violazione abbia potuto mettere in crisi il processo di maturazione dei due. In quest’ottica, va avvalorata un’interpretazione dell’art. 7 che permetta al giornalista di pubblicare le generalità del minore quando l’armonico sviluppo della sua personalità sia già compromesso dalla enorme gravità del fatto. Interpretazione che è la stessa norma a suggerire, vietando la pubblicazione dei nomi di minori soltanto “al fine di tutelarne la personalità”.

Interpretazione che trova riscontro nelle modifiche apportate alla Carta di Treviso dal “Vademecum” del 1995, che in generale mantiene fermo il divieto di identificazione del minore. Ma si legge pure, al punto 6, che “nel caso di comportamenti lesivi o autolesivi – suicidi, gesti inconsulti, fughe da casa, microcriminalità, ecc. – posti in essere da minorenni, fermo restando il diritto di cronaca e l’individuazione delle responsabilità, occorre non enfatizzare quei particolari che possano provocare effetti di suggestione o emulazione”. Per come è formulata la norma, sembra che il timore che qualche coetaneo si identifichi in un modello negativo prevalga nettamente sulla preoccupazione di garantire l’anonimato al minore protagonista attivo della cronaca nera.

La tutela della personalità riemerge con pienezza quando il minore può essere oggetto di una cronaca tesa a creare una “spettacolarizzazione del suo caso di vita”, come si esprime la Carta di Treviso, quando il bambino, suo malgrado, finisce al centro della scena perché conteso dai genitori famosi, o perché incappa nella burocrazia delle adozioni. Qui il processo di maturazione del minore verrebbe alterato proprio dalla amplificazione degli effetti negativi che di per sé il caso produce sulla sua personalità.

Anche quei “clamorosi protagonismi” dei quali parla la Carta di Treviso si devono evitare. In questa categoria possono farsi rientrare quei fatti che non rappresentano di per sé un pericolo per il minore, ma rischiano di pregiudicare il suo processo di maturazione solo perché i media ne fanno un “caso”. Una prassi particolarmente diffusa negli Usa, dove non si esita a consegnare al grande pubblico il genio precoce che si laurea a 12 anni con il massimo dei voti o la bambina di due anni che parla correntemente e compie alcune operazioni matematiche. Qui è l’immediata assimilazione della personalità dell’adolescente a quella di un adulto particolarmente dotato a minacciarne seriamente l’armonico sviluppo, che non può prescindere da una crescita graduale e consapevole.

L’identificazione del minore è concessa in un unico caso, quando “la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso”.

Lo dice l’articolo 7 comma 3, del codice di deontologia. Qui anche la diffusione dell’immagine è ammessa. Si tratta però di stabilire quando una notizia viene divulgata nell’interesse oggettivo del minore.

Un altro caso riguarda la pubblicazione “tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando”, come si esprime il “vademecum” del 1995, che è parte integrante della Carta di Treviso. Un principio ribadito dal Garante per la Protezione dei Dati Personali nella Decisione del 6 maggio 2004, secondo il quale si deve ritenere lecita “la diffusione di immagini che ritraggono un minore in momenti di svago e di gioco”.

Secondo il Garante, resta “l’obbligo per il giornalista di acquisire l’immagine stessa correttamente, senza inganno e in un quadro di trasparenza, nonché di valutare, volta per volta, eventuali richieste di opposizione da parte del minore o dei suoi familiari”.

Il fatto che il giornalista debba “valutare eventuali richieste di opposizione” fa pensare che lo stesso goda di una certa libertà nel decidere di pubblicare notizie “innocenti” riguardanti un minore. Sembrerebbe, cioè, che i genitori e lo stesso minore non possano opporsi alla divulgazione di fatti quando sia evidente – per dirla col Garante – il “positivo risalto a qualità del minore” che la pubblicazione assicurerebbe. Qui la pubblicazione non potrebbe mai nuocere all’armonico sviluppo della personalità del minore, essendo divulgati fatti positivi e al tempo stesso non eclatanti.

Ma l’esigenza che il giornalista acquisisca l’immagine “correttamente, senza inganno e in un quadro di trasparenza” fa ritenere inapplicabile l’articolo 2 comma 1, del codice di deontologia nella parte nella quale lo dispensa dall’obbligo di qualificarsi e di comunicare la finalità della raccolta dei dati personali quando questo“renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”.

Se il giornalista si può spacciare per barbone nel carpire notizie o immagini quando questo sia l’unico modo per garantire l’informazione, non altrettanto potrà fare con i genitori dei bambini che giocano nel parco, volendo preparare un bel servizio sull’infanzia e temendo l’opposizione dei genitori a che vengano ripresi i propri figli.

Importante anche la modifica apportata nel 2006 al testo della Carta di Treviso. Vengono ribaditi gli stessi principi,ma al parragrafo 10 viene specificato che le norme “vanno applicate anche al giornalismo on line, multimediale e altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo”. 

Dott.ssa Concas Alessandra

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