Il diritto dell’Unione Europea- una breve introduzione

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Il diritto dell’Unione europea, anche diritto unionale europeo o diritto unionale, noto come diritto delle Comunità Europee o diritto comunitario, in inglese European Union law, identifica l’insieme di norme giuridiche relative all’organizzazione e allo sviluppo dell’Unione europea.

     Indice

  1. Le origini
  2. La descrizione
  3. Le fonti
  4. Le violazioni e sanzioni

1. Le origini

Nelle origini dell’Unione Europea, alla nascita delle prime forme embrionali come la CECA (1951) e la CEE (1957), non esisteva un autentico diritto comunitario, ma le Comunità esistenti svolgevano la loro attività come organizzazioni internazionali dotate di particolari poteri.

Un vero e proprio diritto comunitario sorse con l’esercizio, da parte degli organi comunitari, della potestà di emanare atti nelle materie di competenza, in virtù dell’attribuzione pattizia della competenza per materia.

In questo modo fu accettato, da parte degli stati membri, il metodo comunitario, a discapito del metodo tradizionale intergovernativo che era stato seguito dalla fine della seconda guerra mondiale e che aveva dato numerosi risultati.

2. La descrizione

L’insieme di queste norme non si inquadra all’interno del diritto internazionale pubblico.

Anche se condivida con lo stesso il carattere di “sovranazionalità”, allo stesso tempo se ne distacca per la presenza in sé di una serie di elementi tipici del diritto “nazionale”.

Il sistema comunitario prevede:

  • La prevalenza degli organi di individui, che siedono negli stessi a titolo individuale e non in rappresentanza di Stati.
  • Il principio maggioritario, che sostituisce quello dell’unanimità e rende più efficace il processo di formazione delle decisioni comunitarie.
  • Il potere di adottare atti vincolanti, e non esclusivamente di natura raccomandatoria.
  •  L’adozione di un sistema di controllo giurisdizionale di legittimità sugli atti così emanati.

Ad esempio, nel diritto comunitario è presente un sistema sanzionatorio in caso di non osservanza delle sue norme.

C’è la possibilità che destinatari delle norme di questo ordinamento siano anche i privati e non esclusivamente gli Stati Membri dell’Unione.

Simili caratteristiche evidenziano come il diritto comunitario si collochi in posizione intermedia tra il diritto internazionale e il diritto nazionale, rappresentando una sorta di terzo genere a sé stante.

Il connotato è rafforzato dal fatto che gli Stati membri hanno trasferito all’Unione Europea, in determinate materie, una parte delle proprie prerogative e della propria potestà normativa e amministrativa.

Il diritto sovranazionale dell’Unione europea non produce un effetto invalidante e derogatorio del diritto nazionale.

Il primato di applicazione del diritto europeo non investe le disposizioni contrastanti del diritto dello Stato membro nella loro pretesa di validità, ma si limita a inibirne l’applicazione nella misura nella quale i trattati lo prescrivono e nella misura nella quale l’ordine di esecuzione nazionale, dato dalla legge di ratifica, lo permette.

Il diritto nazionale in contrasto con il diritto comunitario e dell’Unione è disapplicabile esclusivamente nella misura nella quale lo pretende il contenuto normativo opposto del diritto comunitario e dell’Unione.

Il primato di applicazione del diritto europeo resta anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, un istituto derivato, fondato su un trattato internazionale che in virtù dell’ordine di esecuzione contenuto nelle leggi nazionali di ratifica produce effetti giuridici negli Stati membri. L’istituto del primato di applicazione non è esplicitamente previsto nei trattati, ma si è formato, in via interpretativa, per merito della giurisprudenza della Corte di giustizia nella prima fase dell’integrazione europea e questo non cambia il nesso di derivazione.

Sino al Trattato di Lisbona, diritto penale e diritto amministrativo, nelle materie non di competenza dell’Unione, restavano competenza esclusiva degli Stati membri ed erano oggetto di metodo intergovernativo nell’ambito dei cosiddetti “secondo pilastro” e “terzo pilastro” del Trattato di Amsterdam.

Il Trattato di Lisbona ha introdotto la possibilità per l’Unione Europea di legiferare in materia penale con direttive, non con regolamenti subito esecutivi, che devono poi essere recepiti dagli Stati membri.

Il primo testo di questo tipo era la Direttiva 2011/36/UE relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.

Il secondo è la Direttiva 2011/92/UE che armonizza le legislazioni penali in tema di pedofilia e pedopornografia.


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3. Le fonti

Diritto primario

I trattati istitutivi dell’Unione Europea e i testi con valore equiparato, in particolare il Trattato di Maastricht, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i loro allegati, compreso lo Statuto della Corte di Giustizia, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Principi generali di diritto comuni agli Stati membri, tra i quali:

Principio della certezza del diritto

Principio di irretroattività della legge penale

Principio di proporzionalità dell’azione amministrativa

Principio del rispetto dei diritti acquisiti

Principio dell’affidamento dei terzi in buona fede

Principio di sussidiarietà

Principio di leale cooperazione

Principio di legalità

Principio di non discriminazione:

desunto dall’articolo 12 TCE, che vieta le discriminazioni in base alla nazionalità, e dall’articolo 13 per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età e le tendenze sessuali.

Principio di precauzione, in relazione ai rischi per la sicurezza, la salute e l’ambiente.

Principi generali propri del Diritto Comunitario, come:

Principio di libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali

Principio dell’effettività e non discriminatorietà della tutela giurisdizionale

Principio di solidarietà tra gli Stati membri

Principio della preferenza comunitaria

Principio del mutuo riconoscimento

Principio della diretta applicabilità del Diritto comunitario.

Diritto internazionale

Si pone in una posizione intermedia tra diritto primario e diritto derivato, ed è composto da:

Consuetudinario, quando non derogato dai Trattati istitutivi

Pattizio, quando vincola l’Unione.

Diritto comunitario derivato, che si esplica nei seguenti atti:

Regolamenti: atti a portata generale e astratti, direttamente applicabili negli ordinamenti di tutti gli Stati membri a tutti i soggetti.

Direttive: atti che vincolano gli stati membri al raggiungimento dei risultati per i quali sono state emanate, lasciando a questi la scelta della forma e dei mezzi giuridici più idonei con i quali raggiungerli.

Le direttive, in genere, non sono direttamente applicabili e obbligatorie negli stati membri. Esistono dei casi nei quali si ritiene che questo avvenga quando impongano un obbligo negativo e non necessitino di norme applicative, quando si limitino a chiarire norme presenti nei Trattati, quando impongano obblighi chiari, precisi e incondizionati, direttive dettagliate o self executing, ovale a dire, lascino agli Stati uno spazio discrezionale minimo o nullo nella scelta delle modalità per raggiungere il risultato voluto.

Si ritiene che, nel caso delle direttive dettagliate non tempestivamente recepite, l’efficacia diretta si manifesti in senso verticale, vale a dire, nei rapporti tra soggetti privati e amministrazione pubblica, comportando un obbligo risarcitorio da parte dello Stato nei confronti del singolo, persona fisica o persona giuridica, che abbia subito danni a causa della mancata attuazione della direttiva.

La giurisprudenza comunitaria esclude, al contrario, un’applicabilità orizzontale, nei rapporti tra privati.

Il tema non è pacifico e non mancano casi nei quali si è data applicazione orizzontale ad determinate direttive non attuate, ad esempio, in materia di pari opportunità o di sicurezza sul lavoro.

Le Direttive possono essere generali se indirizzate alla generalità degli Stati membri, o particolari se previste nei confronti di uno o alcuni di essi.

Decisioni

Atti con portata individuale, indirizzati a singoli Stati membri o a soggetti privati e obbligatori in tutti i loro elementi soltanto per i destinatari.

Raccomandazioni

Atti non vincolanti diretti a sollecitare il destinatario ad adottare un determinato comportamento, o a cessare da un comportamento specifico (in relazione agli interessi comuni dei Paesi membri).

Pareri

Atti non vincolanti destinati a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette, in ordine a una specifica questione.

Atti atipici

Regolamenti interni delle Istituzioni Comunitarie, risoluzioni, accordi interistituzionali, dichiarazioni comuni, posizioni comuni, codici di condotta, libri “verdi” e libri “bianchi”.

Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea

La Corte di giustizia dell’Unione europea è l’istituzione giurisdizionale dell’Unione europea che ha sede a Lussemburgo (CGUE) istituita con lo specifico compito di garantire l’osservanza del diritto comunitario nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione europea.

La sua interpretazione del diritto primario o derivato dell’Unione entra a far parte a sua volta, con la forza del giudicato, delle fonti vincolanti dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

La tutela giurisdizionale dell’Unione europea è affidata a tre organi giurisdizionali con diverse e coordinate competenze: la Corte di giustizia (creata nel 1952), il Tribunale (creato nel 1988) il Tribunale della funzione pubblica (creato nel 2004 e soppresso nel 2016).

4. Le violazioni e le sanzioni

La giurisprudenza europea prevede che gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative e gli enti locali, sono tenuti a disapplicare la normativa nazionale contrastante con il diritto dell’Unione provvisto di efficacia diretta, oppure, dove possibile, ad interpretare la prima conformemente al secondo, adottando i provvedimenti necessari ad assicurare ed agevolare la piena efficacia di tale diritto, al fine anche di non coinvolgere la responsabilità dello Stato di appartenenza.

Se viene meno a un dovere che deriva dal diritto dell’Unione, lo Stato ne dovrà rispondere senza potersi trincerare dietro le prerogative della funzione esercitata da chi abbia materialmente commesso il danno, in considerazione dell’indifferenza dell’organo che abbia causato il danno.

Per il persistente inadempimento della normativa europea, che derivasse dalla condotta o dalla mancata condotta di altri soggetti pubblici (regioni, altri enti pubblici o soggetti equiparati) agisce la Legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Norme sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, che all’articolo 37 prevede un discorso del Presidente del Consiglio nell’ambito delle misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi che derivano dall’ordinamento dell’Unione europea, mentre all’articolo 43 prevede il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea.

Dott.ssa Concas Alessandra

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