Il contratto nullo e annullabile, le differenze e i caratteri

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Come dicevano i latini, gli accordi devono essere sempre rispettati (“pacta sunt servanda”).

I contratti, una volta approvati da entrambe le parti, sia che sia avvenuto per iscritto sia verbalmente, devono anche essere adempiuti.

Questa regola, però, non trova applicazione quando il contratto, per qualsiasi ragione, sia nullo o annullabile.

Anche se nel lessico comune i termini “nullità” e “annullabilità” vengano utilizzati come sinonimi, per il diritto non lo sono affatto.

Nel primo caso, è corretto dire che il giudice “dichiara la nullità del contratto”, mentre nel secondo bisogna più propriamente dire che “il giudice annulla il contratto”.

La nullità è un vizio grave che si verifica subito, indipendentemente dal lavoro del giudice, il quale, non fa che accertare un fatto già realizzato.

Per questo si dice che il giudice “dichiara” la nullità del contratto, egli, cioè, ne prende semplicemente atto.

L’ annullabilità ricorre in presenza di vizi meno gravi e scatta se un soggetto ricorre al giudice e gli chiede di annullare il vincolo.

L’annullabilità, quindi, non agisce automaticamente, ma dopo la pronuncia del giudice e grazie a questo. Senza la sentenza che annulla il contratto, l’accordo resta valido, nonostante i vizi.

 

La tradizionale bipartizione dell’invalidità contrattuale, costituita da nullità e annullabilità, è stata introdotta dal legislatore del 1942, nel precedente codice del 1865 trovava spazio la previsione della nullità sulla base del modello francese.

Secondo l’articolo 1418 del codice civile, il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, quando difetta di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325 del codice civile (accordo delle parti, causa, oggetto, forma), quando la causa o i motivi sono illeciti, laddove determinanti per la conclusione del contratto, quando l’oggetto del contratto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile, negli altri casi stabiliti dalla legge.

La nullità è la più grave patologia contrattuale, consistendo in una sanzione applicata al verificarsi di vizi “genetici” del contratto, in grado di fare venire meno gli effetti prodotti che sono caducati ab origine, come se lo stesso non fosse mai venuto ad esistenza.

Per queste ragioni, l’azione di nullità è imprescrittibile (ex art. 1422 c.c.), può essere fatta valere ad istanza di chiunque vi abbia interesse e rilevata, anche d’ufficio, da parte del giudice (ex art. 1421 c.c.).

La nullità non è sanabile, né convalidabile, salvo che la legge non disponga diversamente (ex art. 1423 c.c.), anche se è relativa esclusivamente a una parte o singole clausole del contratto (c.d. nullità parziale), la stessa si estende all’intero contratto, se risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto (ex art. 1419 c.c.), fatta eccezione per la sostituzione di diritto delle clausole nulle con norme imperative.

A norma dell’articolo 1424 del codice civile, la nullità può produrre gli effetti di un diverso contratto, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora possa ritenersi, avuto riguardo agli scopi perseguiti dalle parti, che le stesse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità (c.d. conversione del contratto nullo).

La nullità può colpire tutto il negozio ovvero soltanto una parte di esso: si parla in questo caso di nullità parziale, che provoca la nullità dell’intero negozio solo se risulta che le parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto.

 

La nullità di singole clausole non importa la nullità del negozio, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.

Nel negozio con più di due parti, nelle quali le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una delle parti non importa nullità del negozio, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Il negozio nullo non può produrre i suoi effetti, ma, a differenza del negozio inesistente, può essere rilevante per il diritto: ad esempio, può essere soggetto a conversione (ex art. 1424), o a conferma (ex artt. 590 e 799 c.c.).

 

L’azione per far dichiarare la nullità è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

Oltre alla nullità, altra causa di invalidità contrattuale che trova apposita disciplina nel codice civile è l’annullabilità.

Sono considerate cause di annullabilità del contratto: l’incapacità di una delle parti, ad esempio nel caso di contratti conclusi da minore o incapace di intendere e di volere, (ex art. 1425 c.c.), il consenso dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, c.d. vizi del consenso, ( ex art. 1427 c.c.).

 

Per essere causa di annullamento, l’errore deve essere essenziale e riconoscibile dall’altro contraente (ex art. 1428 c.c.), la violenza può anche essere esercitata da un terzo (ex art. 1434 c.c.), il dolo deve consistere in raggiri  da uno dei contraenti, che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso (ex art. 1439 c.c.).

Considerata una patologia meno grave rispetto alla nullità, all’annullabilità il legislatore del 1942 ha riservato una disciplina improntata a minore rigore, consentendo che il contratto annullabile produca gli stessi effetti di un contratto valido, i quali possono venir meno ove venga esperita, con successo, l’azione di annullamento.

A differenza della nullità l’annullabilità può essere fatta valere esclusivamente su istanza della parte interessata ed è soggetta a un termine di prescrizione quinquennale.

Il codice prevede, anche, la possibilità di sanare, interamente, o in parte, gli effetti del contratto annullabile, perché si realizzino i presupposti dell’istituto della “convalida” (ex art. 1444 c.c.) o della “rettifica” (ex artt. 1430, 1432 c.c.) e, al fine di tutelare il legittimo affidamento di eventuali aventi causa, precisa che l’annullamento (purché non abbia origine dall’incapacità legale) “non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento” (ex art. 1445 c.c.).

 

In diritto civile, forma di invalidità del negozio giuridico per la quale l’atto esiste e produce i suoi effetti finché non ne venga richiesto (e ottenuto) l’annullamento.

I casi di annullabilità sono tassativamente previsti dalla legge e sono relativi la capacità del soggetto (può validamente compiere un negozio giuridico chi non sia incapace di agire o incapace naturale: ex art. 119, 120, 427, 428, 591, 774, 775, 1425, 1426) e la sua volontà (che non deve essere viziata da errore, violenza morale o dolo: art. 122, 482, 526, 591, 624, 787, 1427-1440).

 

Ci sono altre ipotesi speciali di annullabilità relative ai singoli istituti, ad esempio è annullabile su domanda del rappresentato il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi (ex art. 1394), o su domanda del venditore la vendita conclusa in violazione dei divieti speciali di comprare stabiliti dall’articolo 1471, n. 3 e 4 del codice civile.

 

L’annullabilità è di solito relativa, perché può essere fatta valere esclusivamente dalla parte nel quale interesse è stabilita dalla legge, o da alcuni soggetti espressamente determinati, in pochi casi è assoluta, cioè può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.

L’efficacia provvisoria, tipica del negozio annullabile, può essere resa stabile con la convalida, che costituisce una rinuncia all’azione di annullamento.

 

Nel processo civile è l’invalidità dell’atto processuale ce costituisce la nullità.

Un contratto nullo è privo di effetti, il giudice accerta l’esistenza del relativo vizio con sentenza di mero accertamento, il contratto annullabile produce effetti, che il giudice può rimuovere retroattivamente con sentenza costitutiva.

 

La nullità della sentenza può essere fatta valere solo con i mezzi di impugnazione, a eccezione del vizio di inesistenza (ex art. 161 c.p.c.). Il giudice civile non ha il potere di annullare, né quello di revocare o modificare, un atto amministrativo, ma solo di disapplicarlo in caso di illegittimità (ex art. 4 e 5 l. 2248/1865).

 

I giudici ordinari o speciali non possono disapplicare una legge ordinaria, dovendo rivolgersi alla Corte Costituzionale.

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