Il contratto di commissione, definizione e disciplina giuridica

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In diritto si definisce commissione il contratto con il quale una parte, detta commissionario, si obbliga all’acquisto o alla vendita di beni in nome proprio (obbligandosi cioè personalmente nei confronti di terzi con i quali entra in contatto) e per conto di un’altra parte detta committente.

La commissione è un contratto a titolo oneroso.

La sua nozione è contenuta all’articolo 1731 del codice civile.

Nel codice la commissione è ricondotta a un mandato, connotato però da due note caratterizzanti. Una è la specificità dell’oggetto dell’incarico, che deve consistere nella conclusione, da parte del commissionario, di contratti di compravendita, l’altra è l’assenza di poteri di rappresentanza in capo all’agente, il commissionario provvede alla stipula in nome proprio e per conto del committente.

Le compravendite affidate al commissionario non devono necessariamente rientrare nell’attività professionale del committente, mentre è dibattuto se il commissionario debba esercitare la sua attività professionalmente o se questo non sia necessario.

La commissione è onerosa.

Si differenzia dal contratto di agenzia, dal procacciamento di affari e dalla mediazione perché mentre in questi (anch’essi di lavoro autonomo) l’oggetto è costituito da un’attività materiale che agevola la stipula di contratti futuri, nella commissione l’oggetto è proprio la stipula di un contratto futuro, e l’attività che il commissionario compie è esclusivamente funzionale a questo scopo (non è, cioè, oggetto dell’obbligazione principale).

Netta è anche la differenza con il franchising e con le concessioni di vendita in genere.

Nella commissione a vendere, non c’è azione di scambio tra il committente-produttore e il commissionario-intermediario.

Il commissionario acquista in via strumentale allo scopo di poter vendere i prodotti per conto del committente.

Nelle altre figure menzionate, tra fabbricanti e intermediario c’è un vero e proprio rapporto di scambio e l’intermediario, successivamente, venderà la merce ricevuta in nome e per conto propri. La commissione è regolata dalle norme sul mandato in nome proprio, fatta salva la prevalenza di quelle speciali dettate agli articoli 1731-1736 del codice civile.

A norma dell’articolo 1732 comma 1 del codice civile, il commissionario è autorizzato a concedere dilazioni nel pagamento dei beni che ha venduto per conto del committente solo in conformità agli usi del luogo in cui l’affare è stato concluso o in virtù di apposito patto.

Il comma 2 stabilisce che se concede dilazioni in assenza di questi presupposti, il committente potrà esigere direttamente dal commissionario il pagamento immediato.

Il comma 3 dispone che il commissionario che abbia accordato una dilazione deve indicare al committente la persona del contraente ed il termine concesso per il pagamento.

In difetto l’azione si considererà fatta senza dilazione e si applicherà il comma 2.

Il comma 2 così descritto rappresenta una deroga al principio in tema di eccesso di mandato (ex articolo 1711 c.c.).

La concessione di una dilazione al di fuori dei presupposti legali costituisce un atto eccedente rispetto ai limiti dell’incarico ricevuto, così la norma aggiunge alla facoltà del mandatario (committente) di rifiutare l’incarico il potere di esigere direttamente ed immediatamente dal commissionario il prezzo pattuito.

Il comma 3 è una sanzione per il caso di omessa comunicazione dei dati richiesti al committente.

In dipendenza di un patto espresso o (e questa è una notevole differenza rispetto alla corrispondente disciplina del mandato) in virtù di apposito utilizzo normativo, il commissionario è tenuto allo “star del credere”, e deve mantenere indenne il committente a fronte dell’eventuale inadempimento del terzo con cui ha contrattato.

Le consuetudini si individuano rispetto al luogo di svolgimento dell’incarico.

Anche nella commissione lo star del credere rappresenta una modifica al regime comune del rischio dell’inadempimento del terzo, che di solito è a carico del committente.

Si promette il fatto del terzo e si assume un’obbligazione di garanzia del tipo di quella regolata dall’articolo 1381.

Nella pratica, lo star del credere non pone a carico del commissionario tutto il rischio dell’inadempimento, ma solo una sua percentuale.

Con la legge 21 dicembre 1999 n.526, la normativa in merito allo “star del credere” è stata abolita in relazione al contratto di agenzia, andando così a sollevare da qualsiasi partecipazione alle perdite l’agente (è stato aggiunto un comma 3 all’art.1746 c.c. secondo il quale è vietato il patto che ponga una responsabilità, anche solo parziale, a carico dell’agente per ciò che attiene l’inadempimento del terzo).

Questa decisione risulta controversa, se da un lato allevia le questioni dell’agente, dall’altro secondo alcuni giuristi, lo “deresponsabilizza” andando a creare pericolose situazioni di “superficialità” nel trattamento del credito verso il cliente.

Il “commissionario contraente in proprio” è disciplinato dall’articolo 1735 del codice civile.

Nella commissione a vendere o acquistare titoli, divise o merci aventi un prezzo corrente (che risulta da atto della pubblica autorità o da listini di borsa e mercuriali), salva diversa disposizione del committente, il commissionario può fornire ai prezzi specificati i beni che deve comprare o acquistare per sé e i beni che deve vendere, mantenendo in entrambi i casi il diritto alla provvigione. Questo è un legittimo modo di adempimento dell’obbligazione assunta dal commissionario, se avesse ritenuto, il legislatore non avrebbe mantenuto il diritto alla provvigione.

Sono numerose le tesi proposte in materia di ricostruzione strutturale della fattispecie, per un primo gruppo di autori, a seguito dell’entrata del commissionario nel contratto non si instaura tra costui e il committente un rapporto in più rispetto a quello di mandato, che resta unico e perciò, secondo questa prospettiva, sarebbe l’unica fonte degli effetti giuridici dell’entrata.

Un’altra tesi, ritiene che un rapporto contrattuale di compravendita andrebbe ad affiancarsi a quello di mandato, o che addirittura questo rapporto ulteriore si sostituirebbe a quello nascente dal mandato. 

A favore della seconda tesi sta il rilievo secondo il quale, escludendo che un rapporto di compravendita si sommi a quello di mandato, si andrebbe a stravolgere il profilo funzionale del mandato stesso, che si troverebbe a svolgere compiti tipici della vendita, si attribuirebbe alla commissione il ruolo di titolo giustificativo dello scambio di attribuzioni patrimoniali, che è una funzione tipica della compravendita.

Se si ritenesse esistente esclusivamente il mandato, sarebbe difficile risolvere, per mezzo delle norme ad esso relative, questioni  pratiche che si possono porre nell’esecuzione del contratto (si pensi, ad esempio, ai vizi della cosa venduta o acquistata).

Se si accetta la tesi secondo la quale, in aggiunta al rapporto di mandato, nasce anche un rapporto di compravendita tra committente e commissionario, si deve verificare quale sia la fonte.

La questione è di difficile soluzione, soprattutto se si muove dalla prospettiva che considera essenziale, per potersi parlare di contratto, la bilateralità dello stesso e il consenso.

Una parte della dottrina, rileva che non si possa parlare di dogma del consenso, visto come la legge stessa, in alcuni casi, configura un contratto al di fuori di un accordo.

In questo senso si parla di contratto a formazione unilaterale, dove il contratto stesso si origina da un’unica manifestazione di volontà negoziale, in modo da rendere applicabile al rapporto che nasce le norme sul contratto e quelle specifiche che regolano un determinato genere convenzionale.

In mancanza di accordo il contratto si potrà considerare come presente esclusivamente nei casi stabiliti dalla legge.

Dott.ssa Concas Alessandra

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