Il carcere in Europa, le origini e i caratteri

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La base giuridica del diritto penitenziario è molto complessa.

La risoluzione 73 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è una raccomandazione che si riferisce alle Regole minime delle Nazioni Unite, sino alla loro emanzazione, non esistevano norme di diritto internazionale che riguardavano il trattamento dei condannati.

Nonostante l’evoluzione del diritto internazionale umanitario (protezione Croce Rossa, protezione dei prigionieri di guerra, lotta contro la schiavitù e la prostituzione), il dominio della repressione resta sempre nella sfera del potere sovrano di ogni stato.

Le Regole delle Nazioni Unite e quelle del Consiglio d’Europa risultano essere esclusivamente raccomandazioni date dalla necessità di evoluzione dei paesi dell’Europa occidentale detti di “alta civiltà”.

Al finire della seconda guerra mondiale, i paesi europei hanno riconosciuto la necessità di rinnovare e adattare il sistema penitenziario alle condizioni del mondo contemporaneo.

Questo movimento è stato definito di “riforma penitenziaria”.

Nato per fare fronte alla criminalità, propone una politica di prevenzione del crimine e del trattamento dei delinquenti.

In Europa si moltiplicano le leggi sulle prigioni e le riforme del sistema penitenziario, e ogni stato introduce nel proprio ordinamento i principi che devono regolare l’esecuzione delle pene.

La riforma penitenziaria si è affermata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nella seconda metà del XX secolo, per fare fronte al crollo dei sistemi totalitari del nazismo e del fascismo, grazie al grande movimento umanitario del 1948, e al movimento di cooperazione internazionale delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa.

Il movimento si basa su tre principi fondamentali che si possono riassumere schematicamente in questo modo:

La pena privativa della libertà deve consistere strettamente nella sola privazione della libertà, senza aggiungere ulteriore sofferenza alla pena.

L’esecuzione della pena deve tendere principalmente alla rieducazione e al reinserimento del delinquente.

Il regime e l’azione penitenziaria devono assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Si devono tenere presente le diverse circostanze nelle quali si è sviluppato il sistema penitenziario. Ci si trova di fronte a diverse forme di violenza, date da molti elementi perturbatori.

La Francia si trova impegnata nella guerra in Algeria, l’Inghilterra è impegnata negli avvenimenti in Irlanda, ovunque aumentano la criminalità e le manifestazioni spettacolari di violenza, soprattutto lo sviluppo del terrorismo ha, come conseguenza immediata, una diffusa inquietudine dell’opinione pubblica e lo smarrimento di coloro che avrebbero dovuto controllare la criminalità.

Si sviluppa una legislazione frammentaria e contraddittoria, la legislazione del “panico”, che risulta essere il contrario di una politica criminale coerente e ponderata.

Non bisogna dimenticare un fenomeno importante di questa stessa epoca, le rivolte dei detenuti nelle prigioni.

Queste manifestazioni si sono propagate da paese a paese, e anche da continente a continente, passando dall’America all’Europa.

A volte si sono presentate in modo molto violento e altre volte con forme non violente, però questi movimenti di rivolta hanno inciso positivamente sulla riconsiderazione da parte delle autorità responsabili del problema penitenziario e sul regime normalmente applicato ai detenuti.

Una parte delle leggi e delle riforme di questa materia dopo gli anni settanta, proviene anche, indirettamente o meno, dalle rivolte della popolazione penitenziaria.

Il termine “diritti dei detenuti”, si è costituito in tempi recenti, andando e ha affiancato quello che viene chiamato il “Diritto penitenziario”.

Questa nozione si è affermata dopo la seconda guerra mondiale, inizialmente nei paesi scandinavi, nei quali era stata sottolineata in Norvegia con la riforma del 1973, ma si trova anche nel codice di procedura penale svedese del 1975, e nelle Regole minime delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa.

L’articolo 5 delle norme europee stabilisce che ” la privazione della libertà deve avere luogo nelle condizioni materiali e morali che assicurino il rispetto della dignità umana”.

I paesi scandinavi cercano di assicurare il massimo rispetto ai diritti dei condannati privati della loro libertà.

Il principio fondamentale è quello di concedere alla persona privata della propria libertà i diritti, eccetto quelli che gli sono stati ritirati espressamente dal giudizio di condanna.

Il detenuto continua a beneficiare degli altri diritti, nella misura compatibile con le necessità di detenzione.

A questo proposito emerge una questione molto importante, molto discusso dai penalisti, e mai preso seriamente in considerazione dai regolamenti penitenziari, è la questione della sessualità nelle prigioni.

Si sa bene a quali abusi e a quali deviazioni possa portare.

Sono da notare le regole stabilite dalla Danimarca che autorizzano “visite coniugali”, nelle quali i detenuti possono avere relazioni sessuali con i loro compagni, che ha portato a considerare la possibilità di creare prigioni miste, delle quali si hanno alcuni esempi in America latina.

Sembra che l’esperienza abbia portato buoni risultati.

La protezione dei diritti dei detenuti pone due questioni particolari.

Quella dei reclami che possono formulare i detenuti in caso vengano ignorati i loro diritti e come deve essere organizzato il controllo dell’esecuzione delle pene.

In riferimento al primo, la via da seguire è molto lunga e difficile, sono stabilite delle sanzioni disciplinari se vengano lesi i diritti dei detenuti, ma queste dipendono essenzialmente dalle autorità amministrative.

Il secondo, è stato particolarmente dibattuto nel XX secolo e studiato approfonditamente dal Diritto penitenziario.

Emergono due tipi di controllo:

Il controllo amministrativo, esercitato attraverso un servizio di ispezione delle prigioni, o con l’istituzione negli stabilimenti penitenziari di una commissione o di un comitato incaricato di sorvegliare il modo nel quale vengono trattati i detenuti.

In questo caso si deve considerare il grado di indipendenza di questo organismo nei confronti del direttore della prigione e di conseguenza dell’amministrazione penitenziaria.

Il controllo giudiziario, in questo caso è stato nominato un giudice di sorveglianza in Italia, un giudice che si occupa dell’applicazione delle pene in Francia e un tribunale di esecuzione in Portogallo.

Si deve anche menzionare una istituzione originale:

l’ombudsman, sviluppatasi principalmente nei paesi scandinavi.

L’ombudsman è il consueto difensore dei diritti dei cittadini.

In materia penitenziaria può visitare gli stabilimenti, ricevere i reclami dei detenuti e, nel caso lo ritenga necessario, può sia ordinare un’azione giudiziaria (quando si tratta di un’infrazione), sia fare un rapporto al governo.

Queste sono le tre vie (amministrativa, giudiziaria e quella dell’ombudsman), attraverso le quali viene controllata l’esecuzione della pena, cercando di tutelare le prospettive del diritto penitenziario e i diritti dell’uomo; ma la materia è ancora in evoluzione.

Sul piano internazionale, l’attenzione verso il rispetto della dignità umana, in particolare nelle carceri, è oggetto di un dibattito pluridecennale, culminato nel nostro continente con la formulazione delle “Regole penitenziarie europee”.

Queste disposizioni, contenute nell’allegato alla raccomandazione numero 87, approvate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 1987, costituiscono la versione aggiornata delle “Regole minime per il trattamento dei detenuti”, a loro volta adottate nel 1973 dal Comitato dei Ministri con la risoluzione 739.

Il “Preambolo” individua tre aspetti, in funzione dei quali sono poi previste le disposizioni specifiche:

le necessità dell’amministrazione penitenziaria, le esigenze dei detenuti e quelle degli operatori interni.

L’indicazione precisa dei soggetti da considerare ai fini dello sviluppo è una innovazione rilevante, indice della volontà di strutturare le norme in modo pratico e operativo. Nel preambolo si chiarisce che “Gli scopi di queste regole sono i seguenti:

Stabilire un insieme di regole minime, relative agli aspetti dell’amministrazione penitenziaria, che sono essenziali per assicurare condizioni umane di detenzione e un proficuo trattamento nel quadro di un sistema moderno ed avanzato.

Sollecitare le amministrazioni penitenziarie a sviluppare una politica, una gestione e una prassi fondate su criteri moderni di finalizzazione e di equità.

Incoraggiare il personale penitenziario a conformarsi al ruolo professionale e alla funzione sociale che è chiamato ad adempiere, nonché a svolgere la propria attività in maniera da soddisfare al meglio gli interessi della collettività e dei detenuti che gli sono affidati.

La definizione dei criteri di base realistici che consentano alle amministrazioni penitenziarie e ai servizi d’ispezione di formulare validi giudizi sui risultati ottenuti e di migliorare ulteriormente questi ultimi”.

I principi sui quali si regge l’impianto delle regole minime sono sei, contenuti nella prima parte del testo.

Il rispetto della dignità umana è evidenziato come presenza necessaria in ogni sistema d’esecuzione penale, che deve quindi attuare la privazione di libertà in condizioni materiali e morali adatte a questo.

L’imparzialità nell’applicazione delle regole è finalizzata a evitare discriminazioni di trattamento, fondate sulla diversità di razza, colore, sesso, lingua, opinioni personali, nazionalità, estrazione sociale, situazione economica o di altro tipo, un particolare richiamo è dedicato a “le convinzioni religiose ed i principi morali del gruppo al quale il detenuto appartiene”, che “devono essere rispettati”.

Dott.ssa Concas Alessandra

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