I contratti con efficacia reale

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L’istituto del contratto ad efficacia reale è regolato dall’articolo 1376 del codice civile.

Esso dispone che “Nei contratti che abbiano per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale, vale a direLa regola apparirebbe ovvia ed inutile se non fosse intesa alla luce dei precedenti storici.

 

Nell’ordinamento romano, quando l’accordo prevedeva il trasferimento di un diritto, l’effetto traslativo non si produceva quale conseguenza diretta dell’accordo, ma richiedeva un secondo atto negoziale unilaterale, avente, esso sì, il menzionato effetto: il primo negozio si limitava ad obbligare la parte titolare del diritto a realizzare il successivo negozio di trasferimento.

Si aveva una dissociazione tra il titulus (cioè l’accordo di base, puramente obbligatorio) e il modus (il successivo negozio di trasferimento).

 

Nel XVIII secolo, con l’Illuminismo, si fece strada l’idea che la volontà creatrice potesse fare molto e che perciò, se le parti sol lo volessero, fosse consentito dar luogo al trasferimento quale effetto diretto del negozio tra loro stipulato.

 

Riconosciuto questo potere alle parti, col Codice civile del 1865 quello che era una sempòice facoltà divenne la regola legale posta a presidio di ogni contratto avente ad oggetto il trasferimento di diritti.

 

L’articolo 1376 esprime così la fondamentale norma secondo cui quando il contratto ha per oggetto “il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione di o il trasferimento di un diritto reale, ovvero il trasferimento di un altro diritto” l’effetto in parola è prodotto (non importa se contestualmente o no) unicamente dal contratto medesimo senza la necessità dell’intermediazione di un successivo negozio.

 

Questo è il principio dell’efficacia reale del contratto (regola anche espressa dalla formula “principio consensualistico”).

L’eventuale dubbio in ordine all’applicazione della suddetta regola a contratti aventi ad oggetto diritti su cose altrui, future o generiche è fugato dall’articolo1476, n. 2 del codice civile, dal quale si ricava che in queste ipotesi l’acquisto del diritto in capo al compratore non è effetto immediato del contratto, ma questo non vuole anche dire che l’acquisto medesimo non sia comunque un effetto del contratto.

 

È un errore pensare che i contratti dove il trasferimento del diritto non sia immediato (es. vendita di cosa altrui, di cose generiche, di cose future) non siano anche retti dal principio consensualistico.

Si deve però da notare che i menzionati negozi sono comunque descritti, in dottrina, come contratti ad efficacia obbligatoria, sebbene la locuzione non possa essere intesa con lo stesso significato che assume rispetto all’emptio-venditio o alla compravendita disciplinata dal BGB.

 

In dottrina non c’è unanimità in ordine alla natura derogabile o no dell’articolo 1376 del codice civile.

Secondo alcuni la norma è di ordine pubblico, perciò i privati non potrebbero stipulare contratti aventi per oggetto il trasferimento di un diritto e pretendere di conferire al negozio effetti puramente obbligatori.

 

Secondo altri una simile deroga sarebbe sempre possibile.

In particolare il cosiddetto contratto preliminare ad effetti anticipati sarebbe da questi autori indicato quale esempio di vendita puramente obbligatoria (tale tesi importa, ovviamente, che il contratto menzionato venga completamente sottratto alla qualifica di negozio preliminare). il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.

 

Il principio consensualistico enunciato dall’articolo 1376 del codice civile, comporta che i contratti aventi in oggetto il trasferimento della proprietà o di altri diritti (sia reali sia relativi), cioè la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un diritto reale limitato producono i loro effetti con il semplice consenso delle parti, legittimamente manifestato, e dunque indipendentemente dal trasferimento del possesso e dall’eventuale pagamento del corrispettivo.

 

La prima codificazione del consenso traslativo risale al Code Napolèone, perché in tutti i sistemi giuridici derivati dal Diritto romano occorreva la consegna per il trasferimento della proprietà.

Per il diritto romano, si distingueva tra:

 

titulus adquirendi, che era l’accordo delle parti, cioè la ragione giuridica del trasferimento

 

modus adquirendi, che era la consegna della cosa stessa (c.d. traditio o, in tempi più remoti, mancipatio)

 

Erano due situazioni giuridiche diverse.

La prima costituiva fonte di obbligazione di consegnare la cosa oggetto del contratto, la seconda perfezionava il contratto attuando il trasferimento della proprietà della cosa.

 

Nei territori nei quali vige la legge tavolare, il perfezionamento del contratto ad effetti reali relativi a beni immobili attribuisce attribuire all’avente causa esclusivamente un diritto obbligatorio alla prestazione.

 

Il trasferimento del diritto reale si avrà solo al momento della iscrizione tavolare, all’esito del procedimento regolato oggi dalla legge generale sui libri fondiari allegata al regio decreto 499 del 1929, insegna quindi la Cassazione che il consenso manifestato dai contraenti alla stipulazione di un atto di trasferimento della proprietà o di altro diritto reale su beni immobili, ricadenti in questi territori, genera nell’acquirente un diritto di natura personale nei confronti dell’alienante e non quindi idoneo ad effettuare il trasferimento in questione.

 

La forma contrattuale più diffusa nella pratica commerciale internazionale è la compravendita: le problematiche maggiori derivano dalle differenze tra i sistemi giuridici dei vari Paesi, in quanto alcuni ordinamenti, per il trasferimento della proprietà, richiedono i requisiti del consenso delle parti, della causa e della consegna del bene oggetto del contratto (è questo il caso di nazioni quali ad esempio l’Austria, la Russia, la Spagna, i Paesi Bassi, la Svezia, l’Argentina ed i Paesi dell’ex Jugoslavia).

Altri Paesi (Italia, Francia, Norvegia, Messico, Portogallo) richiedono invece i soli requisiti della causa e del consenso (cd. principio consensualistico).

Altri (Germania, Brasile) ritengono necessari i requisiti del consenso e della consegna.

L’applicazione dei diversi criteri sopra elencati comporta che nei Paesi che individuano nella consegna un elemento fondamentale della compravendita, la proprietà del bene viene trasferita solo con l’effettiva datio della cosa al compratore: in termini pratici, la vendita in sé ha solo effetti obbligatori poiché, in seguito al pagamento del corrispettivo da parte dell’acquirente, determina, relativamente al venditore, l’obbligo di fare acquistare materialmente il bene al compratore; si rende dunque necessario un altro negozio traslativo, il cui perfezionamento avviene appunto tramite la consegna del bene.

Se l’alienante non dovesse prestare il suo consenso alla consegna, all’acquirente sarebbe riconosciuto il diritto di adire il giudice per ottenere una sentenza che prenda il posto del consenso non prestato (ex art. 2932 c.c.).

L’applicazione di tale principio attua di fatto una tutela del proprietario – venditore, per il quale non viene meno la disponibilità del bene fino all’effettivo pagamento del prezzo.

L’applicazione del principio del consenso, per il quale, si ribadisce, la proprietà si trasferisce con la conclusione del contratto, comporta invece il fatto che l’acquirente può entrare nella materiale disponibilità del bene ancor prima del pagamento del prezzo.

 

Questo principio ha i suoi effetti anche su un altro aspetto, quello relativo al passaggio del rischio di perimento della res alienata. A tal proposito, occorre rilevare che nella generalità dei sistemi giuridici vige l’antica regola res perit domino, in base alla quale il venditore si assume il rischio di perimento del bene sinché egli sia proprietario della cosa.

 

L’applicazione del criterio consensualistico determinerà dunque la conseguenza che il rischio del perimento dovrà essere assunto dal compratore a partire dalla conclusione del contratto.

Se il bene dovesse deteriorarsi o addirittura andar perduto, dopo il perfezionamento del contratto e prima della consegna, per cause non imputabili al venditore, l’acquirente dovrà lo stesso pagare il prezzo.

 

La Convenzione di Vienna del 1980 offre una regolamentazione uniforme ai contratti internazionali di vendita. Essa è stata ratificata dall’Italia con la legge n. 765 del 1985, ed il suo ambito di applicazione riguarda i contratti di compravendita di beni mobili stipulati tra contraenti aventi la loro sede in diversi Stati, sotto gli aspetti della procedura di conclusione dei contratti e degli effetti obbligatori scaturenti dai rapporti; restano esclusi altri aspetti contrattuali quali gli effetti reali, l’invalidità, i termini di prescrizione. In particolare, la predetta Convenzione è applicabile allorché le parti contraenti appartengano a Stati aderenti, ovvero allorché le norme di diritto internazionale privato individuino comunque, quale legge disciplinatrice, quella di un Paese aderente.

 

Si deve rilevare anche che non ogni contratto di vendita è regolamentato dalla Convenzione, perché dal suo ambito sono escluse ad esempio le vendite ai consumatori privati, le vendite giudiziali, le vendite che hanno ad oggetto valuta e altre.

Dott.ssa Concas Alessandra

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