I caratteri e la disciplina giuridica del diritto di proprietà

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La proprietà è un diritto reale.

Si parla di proprietà privata, o pubblica, con riferimento allo status – privato o pubblico – del soggetto giuridico cui spetta la titolarità del diritto.

Nel linguaggio comune, il termine “proprietà”, oltre alla situazione giuridica soggettiva designa anche il bene oggetto del diritto.

La disciplina principale del diritto di proprietà è dettata, nell’ordinamento italiano, dall’articolo 832 e successivi del codice civile e dall’articolo 42 e successivi della Costituzione.

Il dettame congiunto delle due norme fissa i principi ed i limiti che regolano il diritto di proprietà nell’ordinamento italiano.

L’art. 832 del codice civile rubricato “Nozione” recita testualmente:

“ la proprietà è il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.

Questa è una norma che, al costo di un notevole grado di astrazione, identifica gli elementi comuni ai vari contenuti che il diritto di proprietà può assumere in rapporto alle varie categorie di beni.

La proprietà è il nome di un diritto ma non essendo un diritto un’entità astratta, ma l’immagine riflessa della realtà sociale, il concetto costituisce il modo per evocare in maniera generale e astratta una pluralità di qualificazioni di comportamento che si collegano cumulativamente ad una pluralità di fattispecie delle quali una si suppone alternativamente verificata quando si usa il termine proprietà.

Il diritto di proprietà è un diritto assoluto.

È, cioè, una pretesa giuridica che l’ordinamento riconosce e tutela versochiunque e a favore di chi ne è titolare.

Si usa anche dire che esso è un diritto soggettivo su una cosa, alludendo al potere di appartenenza che il proprietario ha nei confronti della cosa, oggetto del diritto.

Si discute, in dottrina, se il diritto di proprietà sia o meno un rapporto giuridico, non senza la presenza di teorie intermedie.

Gli autori che negano che la proprietà sia un rapporto giuridico affermano che è una vera finzione l’individuare parte della struttura del diritto di una pretesa erga omnes, nello stesso tempo la relazione tra il titolare del diritto e la cosa diventa paradigma fondamentale di questo diritto assoluto, adesso colto come relazione tra il titolare e la res.

L’esito di questa scelta interpretativa permette di ravvisare nella responsabilità aquiliana, extracontrattuale, l’azione prima a difesa della proprietà.

La diversa tesi affermativa poggia sulla lettera del codice che, alla definizione di contratto come “accordo tra due o più parti teso a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico” (articolo 132 delcodice civile), include implicitamente la proprietà tra i diversi rapporti giuridici, possibili oggetti di una negoziazione.

In più si sostiene sull’idea che:

  1. l’azione di rivendica sia lo strumento per eccellenza a difesa del diritto di proprietà

  2. la responsabilità del possessore risulta essere uguale a quella prevista per il debitore, una responsabilità di tipo contrattuale, che ha bisogno di un previo rapporto giuridico:

il possessore soccombente risponde per fatto proprio oppure non risponde per caso fortuito o per forza maggiore, così anche il debitore inadempiente.

L’assolutezza della proprietà è stata poi oggetto di revisione da parte degli scrittori della Costituzione italiana.

È la facoltà di utilizzare o non utilizzare la cosa (cosiddetta “disposizione materiale”) per trarne tutte o nessuna utilità.

Questa facoltà contempla anche la possibilità di trasformare, e, al limite, di distruggere la cosa.

Per le cose fruttifere implica il diritto di farsene propri i frutti, sia naturali sia civili.

Il godimento della cosa realizza quello che è il suo valore d’uso.

La cosiddetta “disposizione giuridica” della cosa, implica la facoltà di venderla o di non venderla, di donarla, lasciarla per testamento a Tizio o a Caio, di costituire sulla cosa diritti reali minori o diritti reali di garanzia, o , secondo una diversa lettura dottrinale, il potere di disposizione si sostanzierebbe nella sola possibilità di appropriarsi o meno del valore economico del bene, relegando, così, la semplice facoltà di alienare tra i poteri di godimento.

Il proprietario può fare della cosa tutto quello che non sia espressamente vietato.

Quando sulla cosa siano istituiti diritti reali minori, la proprietà cessa di essere piena per diventare nuda proprietà, tuttavia resta potenzialmente piena.

Nel momento nel quale il diritto reale minore si estingue, il contenuto del diritto di proprietà si espande e riacquista, automaticamente, tutta la sua pienezza (cd. elasticità della proprietà).

Il proprietario può escludere chiunque altro dal godimento e dalla disposizione della cosa (il diritto di proprietà rende legittima la pretesa del singolo di servirsi delle cose con esclusione degli altri). La pretesa del proprietario è protetta erga omnes, vale a dire contro chiunque la violi, attraverso norme del codice penale e con le azioni civili.

L’art. 832 introduce anche dei correttivi ai caratteri di pienezza ed esclusività del diritto di proprietà. Con essi l’ordinamento cerca il punto di equilibrio fra opposti interessi, fra quello del proprietario di godere e disporre della cosa a suo vantaggio e a suo piacimento e l’interesse della collettività ad un impiego della ricchezza che vada a vantaggio o che almeno non arrechi pregiudizio alla collettività e ai singoli.

Il volto concreto che al di là dell’art. 832 il diritto di proprietà assum, è quello che risulta dalla estensione e dalla qualità dei limiti alla proprietà e degli obblighi al proprietario che la mutevole legislazione in materia introduce.

I limiti alle facoltà di godere e disporre sono posti dal codice e soprattutto dalla legislazione speciale in rapporto alle diverse categorie di beni.

Un limite alla facoltà di godimento è quello, che risale al diritto romano, del divieto di atti di emulazione (art. 833 del codice civile).

Il proprietario non può utilizzare la cosa per compiere atti che non abbiano altro scopo se non quello di nuocere o recare molestia agli altri.

Più vasta possibilità di applicazione ha una norma ritenuta implicita nel sistema legislativo, e della quale l’art. 833 è una specificazione, che reprime ogni forma di abuso di diritto.

Questo consiste nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli in vista dei quali il diritto stesso è riconosciuto dall’ordinamento.

Un altro limite è costituito da quella serie di norme, cosiddette regole di vicinato, poste nell’interesse privato e caratterizzate dall’automaticità , dalla reciprocità e la gratuità.

Un limite generale è quello del divieto di immissioni (esalazioni, fumi, rumori e scuotimenti) per impedire le fastidiose conseguenze dell’attività del vicino.

Il criterio scelto è quello della normale tollerabilità, spetterà al giudice contemperare, se del caso, le ragioni della proprietà con quelle della produzione tenendo conto dei due interessi in gioco in termini di utilità sociale.

La seconda fonte di limiti di vicinato è data dalle norme sulle distanze minime nelle costruzioni (tre metri, secondo quanto previsto dall’articolo 873) al fine di evitare intercapedini troppo strette.

Chi costruisce per primo lo può fare anche sul confine, salvo i regolamenti comunali non dispongano altrimenti.

L’altro proprietario potrà costruire in aderenza, oppure rispettare la distanza costruendo in posizione arretrata all’interno del proprio fondo.

Se il primo proprietario costruisce non sul confine, ma ad una distanza dal confine minore della metà di quella prescritta dal codice o dai regolamenti, l’altro ha il diritto potestativo di ottenere la comunione forzosa del muro, della quale dovrà pagare il valore.

Il primo potrà impedire l’occupazione del suo suolo portando la sua costruzione al confine, o arretrandola sino alla metà della distanza prevista (art.875 c.c.).

Gli ‘obblighi’ del proprietario sono anche essi relativi alle diverse categorie di beni.

Ad esempio, il proprietario del suolo deve consentire l’accesso al vicino, che costituisce una servitù, che abbia bisogno di entrare per eseguire lavori sul proprio fondo, il proprietario ha inoltre l’obbligo di pagare le imposte su quel determinato bene.

Accanto, però, a questa amplissima prima definizione del diritto di proprietà, ci sono anche delle profonde limitazioni.

Da un lato lo stesso Codice Civile, limita l’esercizio del diritto di proprietà con il dettato della seconda parte dell’art 832.

La norma stabilisce che, l’ordinamento giuridico, può limitare l’ampiezza e le modalità di esercizio del diritto.

Allo stesso modo l’art 42 della nostra Costituzione stabilisce al comma 2:

“La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.”

La norma da un lato si accompagna al dettato codicistico riconoscendo e garantendo il diritto di proprietà, dall’altro si preoccupa di limitare grandemente la libertà di esercizio del diritto stesso.

La costituzione stabilisce che è la legge a determinare i modi di acquisto e di godimento del diritto, sottraendo all’autonomia privata la facoltà di scegliere liberamente le modalità di acquisto e di godimento dello stesso.

Altro elemento introdotto dall’art. 42 costituzione è la cosiddetta funzione sociale del diritto di proprietà.

L’articolo 42, comma 2 Cost. enuncia il principio secondo il quale la legge determina, della proprietà privata, i “modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

La contraddizione apparente nella duplice natura della proprietà si può superare considerando che la funzione sociale da “assicurare” non va riferita alla proprietà privata come diritto sulle cose ma alle cose oggetto di proprietà privata.

La norma costituzionale esprime il bisogno di una destinazione per il vantaggio di tutti delle risorse e va riletta come riferita alla destinazione sociale della ricchezza.

La funzione sociale si presenta così come un vincolo esterno al diritto di proprietà che lascia intatta la sua natura di diritto soggettivo, riconosciuto e garantito solo nell’interesse del proprietario.

Le implicazioni che potenzialmente si possono trarre dalla funzione sociale della proprietà sono molteplici, anche se mancano significative esperienze giurisprudenziali, a cominciare dall’area del diritto del lavoro.

È grazie a questa norma che nel comma successivo si prevede la facoltà di espropriazione della proprietà da parte dello Stato.

Lo Stato avrà la facoltà di spogliare il titolare del diritto di proprietà, in cambio di un equo indennizzo, per realizzare ad esempio una costruzione che vada a vantaggio della collettività, e realizzando così quella funzione sociale del diritto di proprietà espressa dalla nostra Costituzione.

Le caatteristiche del Dirittodi Proprietà sono:

-Realità: la proprietà rientra tra i diritti reali, caratterizzati dalla assolutezza, dalla immediatezza del rapporto sulle cose, e dalla inerenza.

– Pienezza: il diritto di proprietà consente al titolare di un bene di servirsi della cosa e di disporre del suo diritto trasferendolo ad altri o creando diritti altrui sulla cosa.

– Elasticità: il diritto di proprietà in talune circostanze può essere compresso, ma caratteristica di tale diritto è che al cessare della causa che ha compresso il diritto, esso si riespande automaticamente.

– Imprescrittibilità: il diritto di proprietà non si estingue per non uso. Va tuttavia segnalato che nell’inerzia del titolare altri potranno acquistare la proprietà sul bene, ricorrendone le condizioni, attraverso l’istituto dell’usucapione.

– Perpetuità: una proprietà ad tempus non ha senso.

Quindi il diritto di proprietà non si estingue con il passare del tempo.

Dott.ssa Concas Alessandra

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