I caratteri e gli ambiti del diritto privato dell’economia una materia sempre attuale: intervista al professor Federico Cappai docente di diritto privato dell’economia presso la facoltà di giurisprudenza dell’università degli studi di Cagliari

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Il diritto privato dell’economia è una disciplina che riguarda diversi aspetti giuridici relativi alla vita quotidiana, potrebbe dire di preciso in che consiste e di che si occupa?

Il diritto privato dell’economia si inserisce in un più ampio settore disciplinare, il diritto dell’economia, il quale comprende gli insegnamenti che riguardano la regolamentazione tanto privatistica quanto pubblicistica delle attività economiche.

Il diritto privato dell’economia, come è dato desumere anche dalla denominazione dell’insegnamento, si occupa segnatamente degli istituti di diritto privato maggiormente connessi all’economia in genere.

In concreto, quali sono gli argomenti che riguardano questo insegnamento?

Il corso da me proposto verte sui contratti tipici e atipici maggiormente utilizzati nello svolgimento delle attività professionali e d’impresa.

Il programma in uso qualche anno fa era invece centrato sul diritto dei consumatori ossia sul microsistema normativo, oggi quasi interamente racchiuso nel codice del consumo, posto a protezione dei consumatori.

Come è possibile intuire l’insegnamento abbraccia una ampia varietà di argomenti e si presta quindi ad una offerta didattica diversificata.

Il diritto privato dell’economia è molto vasta come materia?

Si è molto vasto. Il fatto che in questi anni si siano succeduti argomenti apparentemente così lontani, come la tutela dei consumatori da un lato e i contratti di impresa dall’altro è la migliore testimonianza di quanto esteso possa essere l’orizzonte di studio di questo insegnamento.

Qual è l’elemento che li accomuna?

In entrambi i casi si tratta di argomenti che presentano una stretta attinenza con lo svolgimento delle relazioni economiche in genere e più specificamente con le relazioni economiche che coinvolgono le imprese o i professionisti.

Per contro esula dai confini del diritto privato dell’economia, lo studio degli istituti privatistici nei quali la connessione con la dimensione strettamente economica è maggiormente sfumata o marginale come ad esempio gli istituti del diritto di famiglia.

La disciplina giuridica dei contratti è contenuta nel libro quarto “delle obbligazioni” del codice civile.

In riferimento a questi due istituti si può dire che tra loro c’è un rapporto molto stretto?

In qualità di esperto del settore potrebbe dire qualcosa di più dettagliato a riguardo?

Il contratto è una delle possibili fonti delle obbligazioni – forse la più importante – ed è quindi senz’altro esatto dire che tra i due istituti vi sia un rapporto molto stretto.

Le obbligazioni sono rapporti giuridici qualificati che intercorrono tra due soggetti uno dei quali – il debitore – si impegna a porre in essere in favore dell’altro – il creditore – un determinato comportamento – la prestazione – finalizzata a riversare nella sfera giuridica del creditore un determinato risultato utile.

Lo strumento principale che consente ai soggetti giuridici di costituire tra loro rapporti obbligatori è per l’appunto il contratto, principale espressione dell’autonomia negoziale.

In passato il legame tra il contratto e l’obbligazione era forse ancora più stretto, in quanto l’obbligazione era considerata strumento necessario non solo per dar vita alle classiche forme di cooperazione tra privati che ancora oggi si attuano con lo strumento dell’obbligazione ma anche per consentire la circolazione della ricchezza che al contrario nella nostra esperienza giuridica moderna scaturisce direttamente dal consenso con il quale le parti perfezionano il contratto prescindendo dalla costituzione di una obbligazione.

Il che segna una differenza non da poco tra la nostra esperienza giuridica contemporanea e la tradizione di diritto romano.

Il diritto romano non concepisce un contratto che non determini la nascita di una obbligazione tra le parti. Il nostro sistema giuridico contemporaneo al contrario conosce accanto ai contratti produttivi di obbligazioni contratti non produttivi di obbligazioni e tali sono i contratti traslativi ossia quelli che programmano il trasferimento della proprietà o di altro diritto.

Il rapporto privilegiato che esiste storicamente tra contratto e obbligazione si riflette anche nella sistemazione concettuale sottesa al codice civile italiano che infatti dedica una trattazione apposita all’obbligazione ma non anche all’effetto traslativo quantunque siano entrambi effetti disscendenti dal contratto.

La domanda che mi è stata posta è molto interessante da questo punto di vista, perché consente di sottolineare l’esistenza nella sistematica del codice civile di un rapporto privilegiato tra contratto e obbligazione che va per certi versi a scapito dell’altro importante momento effettuale del contratto che è la vicenda circolatoria.

Esistono contratti tipici e contratti atipici, potrebbe illustrare la differenza tra le due tipologie?

I contratti tipici sono quegli schemi contrattuali che l’ordinamento giuridico contempla, e che disciplina in maniera esaustiva e organica.

I contratti tipici presenti nel nostro ordinamento sono innumerevoli.

Soltanto a titolo esemplificativo sono contratti tipici la compravendita, la permuta, il contratto d’opera, l’appalto, il mandato, l’agenzia, l’assicurazione e così via.

A questi si contrappongono i contratti atipici.

I contratti atipici sono quei contratti che l’ordinamento giuridico non contempla, sono le figure negoziali naturalmente create dai privati nell’esplicazione della propria autonomia negoziale in relazione alle quali manca un tessuto normativo e di disciplina di fonte legislativa.

Qui se mi consente è opportuno fare forse una piccola precisazione terminologica.

Non dobbiamo pensare che i contratti atipici siano necessariamente contratti anche innominati, cioè siano contratti del tutto sconosciuti all’esperienza normativa.

I contratti atipici sono quei contratti rispetto ai quali il legislatore non ha proceduto alla costruzione di uno schema contrattuale corrispondente astratto munito di una disciplina completa ed esaustiva. Alcuni contratti pur facendo difetto di questa previsione normativa tuttavia sono previsti, sono contemplati dalla disciplina legislativa, per esempio il contratto di franchising.

Il contratto di franchising è oggi previsto, è contemplato, c’è una legge sul franchising che si occupa di questo contratto, ne abbozza addirittura una definizione, tuttavia la tendenza prevalente in letteratura è di escludere che si tratti di contratto tipico per affermarne il carattere di contratto nominato.

Questo perché il legislatore, pur conoscendo questa figura contrattuale, si è limitato a dettare rispetto ad esso una regolamentazione settoriale e mirata a specifici profili.

Il franchising non può considerarsi tipico in quanto è carente di una disciplina esaustiva ed organica relativa agli effetti giuridici essenziali che connotano questa figura.

Al contempo non possiamo dire che si tratti di contratto innominato poiché il nostro ordinamento ha preso atto dell’esistenza della figura.

La tipicità del franchising è apprezzabile ad ogni modo sul piano sociale ed economico in quanto l’ampia diffusione della figura nella prassi dei rapporti commerciali ha fatto sì che la stessa assumesse nell’ambito di tale prassi una fisionomia ben definita.

Lei è autore di un libro dal titolo: “La natura della garanzia per vizi nell’appalto”, perché questo titolo e quale importanza riveste l’argomento se rapportato alle relative vicende tangibili della comune attualità?

Il libro da me scritto non è certo di larga diffusione. In ragione dell’argomento trattato esso si rivolge non al grande pubblico ma a lettori qualificati.

Il libro si occupa della garanzia per difformità e vizi dell’opera nell’appalto istituto che trova applicazione nell’eventualità in cui l’opera realizzata dall’appaltatore presenti – a processo esecutivo ormai ultimato – difformità e/o vizi, espressioni queste con le quali si allude alla discordanza dell’opera dal progetto o dalle regole dell’arte.

La garanzia per vizi si traduce per l’appaltatore nella soggezione ad una serie di rimedi a favore del committente contemplati nell’art. 1668 c.c.

In estrema sintesi, in forza di tale previsione normativa, il committente al quale sia consegnata un’opera difettosa, può, a seconda dei casi, chiedere all’appaltatore l’eliminazione dei difetti o la riduzione del corrispettivo pattuito o ancora la risoluzione del contratto, rimedi ai quali si aggiunge il risarcimento del danno che stando al dato normativo è però dovuto soltanto in caso di colpa dell’appaltatore.

Questa, la fisionomia essenziale di questo istituto.

La figura di cui mi occupo nel libro è abbastanza complessa, perché dietro di esso si celano una serie di difficoltà di ordine interpretativo.

Quali sono le principali questioni interpretative che si agitano intorno questo istituto?

Il profilo che più di ogni altro, il dato normativo che si occupa della garanzia per vizi non chiarisce in modo esplicito concerne il fondamento dei rimedi diversi dal risarcimento del danno rispetto ai quali l’alternativa è quella di individuarne il presupposto o nell’inadeguata attività esecutiva di un’impresa appaltatrice oppure nell’imperfezione dell’opera in se considerata indipendentemente da qualunque indagine sulle sue cause.

Il grosso nodo interpretativo che si agita dietro l’istituto è questo e la sua soluzione rappresenta un passaggio obbligato per poter correttamente individuare la sua natura giuridica, per coglierne soprattutto la funzione e poter così individuare le categorie concettuali presenti nel sistema che meglio ne riflettono l’essenza.

È un argomento complesso che si riferisce in ogni caso alle vicende concrete attuali?

Se qualcuno dovesse dare in appalto la costruzione di un appartamento a una impresa e in seguito alla consegna dei lavori dovesse riscontrare delle gravi infiltrazioni per esempio all’interno dell’edificio, potrebbe toccare con mano quanto concreto sia questo istituto.

In un capitolo del libro parla dell’appalto dei beni di consumo può dire qualcosa a riguardo?

L’appalto dei beni di consumo non è una figura particolarmente diffusa per una ragione abbastanza semplice, perché in linea di massima ricorre quando l’appalto ha ad oggetto la realizzazione di un bene mobile nel quale il committente sia un consumatore.

È chiaro che l’appaltatore è sempre un imprenditore, è difficile però che il contratto di appalto venga utilizzato per realizzare mobili e che a commissionare la realizzazione dei beni mobili sia un consumatore.

La disciplina della garanzia per difetto di conformità nell’appalto dei beni di consumo ricalca abbastanza da vicino la disciplina di diritto interno della garanzia per difformità e vizi contenuta nel codice civile con qualche differenza non secondaria, ma l’impianto di fondo della disciplina della garanzia europea, così anche si chiama, ricalca molto da vicino l’impianto della garanzia per difformità e vizi.

Dott.ssa Concas Alessandra

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