I diritti delle persone omosessuali in Italia: i report

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I diritti delle persone omosessuali in Italia sono meno tutelati rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale.
I cittadini italiani omosessuali affrontano ostacoli dal punto di vista legale non incontrati da cittadini non omosessuali in relazione alle adozioni e al riconoscimento del matrimonio egualitario, a causa della mancanza di specifiche norme nel Paese.
L’opinione pubblica sull’omosessualità è di solito considerata sempre più liberale, più o meno in linea con la media europea.
Nonostante questo, nel Paese sono ancora numerosi i casi di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali.
Secondo un sondaggio realizzato da Eurispes nel 2022, la maggioranza degli italiani è a favore delle unioni civili (68%) e del matrimonio egualitario (62%), mentre il 48,3% è a favore dell’adozione congiunta da parte di coppie dello stesso sesso.
I rapporti tra persone dello stesso sesso sia maschili sia femminili non sono più puniti per legge dall’1 gennaio 1890, con l’entrata in vigore del Codice Zanardelli.
Le persone transgender possono cambiare legalmente sesso dal 1982.
Da giugno 2016 le coppie dello stesso sesso possono accedere alle unioni civili, istituite con la Legge 20 maggio 2016 n. 76, che garantisce la maggior parte dei diritti del matrimonio, con l’eccezione delle adozioni.
L’Italia fu uno degli ultimi Paesi dell’Europa occidentale a procedere all’approvazione di una legge sulle unioni civili.
La legge n. 76 fornisce, inoltre, alle coppie conviventi, siano esse dello stesso sesso o di sesso opposto, alcuni diritti minimi.
Il diritto all’adozione del consiglio, rimosso all’ultimo dalla legge, è stato al centro di diverse sentenze giuridiche, inclusa una della Corte suprema di cassazione.
Anche se le discriminazioni in ambito lavorativo basate sull’orientamento sessuale siano vietate dal 2003, in attuazione di una direttiva dell’Unione europea, nessun’altra legge nazionale contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o l’identità di genere è stata al momento introdotta ampliando il divieto di discriminazione negli altri settori.
Alcune regioni italiane si sono mosse in questo senso con alcune leggi a efficacia limitata sin dal 2004.
Nonostante sia dal 2006 che il Parlamento Europeo richiede all’Italia di colmare questo vuoto legislativo, l’ultimo tentativo (Ddl Zan del 2021) si è rivelato fallimentare.
Secondo il rapporto ILGA-Europe del 2022, l’Italia si classifica 33ª su 49 Paesi europei in relazione ai diritti delle persone omosessuali.

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Indice

1. Legalità dei rapporti tra persone dello stesso sesso


L’Unità d’Italia e il Codice Zanardelli
Nella prima metà dell’Ottocento diversi Stati preunitari adottarono dei codici penali che, prendendo a modello il codice penale francese del 1810, non prevedevano pene per i rapporti tra persone dello stesso sesso.
Questi Stati furono il Regno delle Due Sicilie nel 1819, il Ducato di Parma e Piacenza nel 1820, il Granducato di Toscana nel 1853 e il Ducato di Modena e Reggio nel 1855.
I rapporti omosessuali restarono criminalizzati nel Regno di Sardegna, dove l’articolo 425 del codice penale sabaudo puniva gli atti di “libidine contro natura” con il carcere o i lavori forzati sino a dieci anni, nel Regno Lombardo-Veneto, dove l’articolo 129 del codice penale austriaco del 1852 puniva gli atti di “libidine con persone dello stesso sesso” con il carcere duro da uno a cinque anni, e nello Stato Pontificio, dove l’articolo 178 del Regolamento su i delitti e sulle pene del 1832 puniva i “colpevoli di delitto consumato contro natura” con l’ergastolo.
Con la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, il codice penale sabaudo fu esteso al resto della penisola, ma con alcune notevoli eccezioni.
Il codice penale toscano del 1853, che non criminalizzava i rapporti omosessuali, continuò ad essere applicato nei territori dell’ex Granducato di Toscana, e una serie di articoli, compreso il numero 425, non furono estesi alle province napoletane dell’ex Regno delle Due Sicilie.
Si venne a creare una situazione decisamente anomala nella quale i rapporti tra persone dello stesso sesso erano illegali in alcune zone del paese e legali in altre.
Questa bizzarra situazione venne sanata  con l’approvazione del codice penale italiano del 1889, entrato in vigore l’ 1 gennaio 1890, che si applicava all’intero territorio del Regno d’Italia.
Il codice, comunemente noto come Codice Zanardelli dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia, non conteneva nessuna menzione di “atti contro natura” e decriminalizzò di conseguenza i rapporti tra persone dello stesso sesso nell’intero Paese.
Questa decisione non fu però motivata da un atteggiamento liberale nei confronti dei rapporti omosessuali ma dall’idea che gli stessi dovessero essere considerati “come peccati alla sanzione della religione e della privata coscienza”.
L’articolo 331 fissava l’età del consenso a 12 anni, senza fare distinzioni tra rapporti omosessuali ed eterosessuali.
 
La dittatura fascista e il Codice Rocco
La situazione non venne modificata neanche 40 anni dopo dal fascismo con la promulgazione del Codice Rocco il 19 ottobre del 1930, nonostante la bozza di legge contenesse, in origine, un articolo, il 528, rubricato come “relazioni omosessuali”, che prevedeva pene sino a 3 anni per chiunque compisse “atti di libidine su persona dello stesso sesso”, ma esclusivamente in caso di “pubblico scandalo”, e con aumenti sino a 5 anni di pena se fossero coinvolti soggetti minorenni, all’epoca sino ai 21 anni di età.
Lo stralcio della norma non fu dovuto a una sorta di benevolenza nei confronti di queste pratiche, ma al fatto, spiega la relazione parlamentare stesa dallo stesso Alfredo Rocco, che il “turpe vizio non è così diffuso in Italia da richiedere la presa di posizione della legge penale: il legislatore, deve agire in cospetto di forme di immoralità se si presentino nella convivenza sociale in forma allarmante”.
L’età del consenso venne fissata a 14 anni (articolo 519, dal 1996 articolo 609-quater), senza distinzioni tra rapporti omosessuali ed eterosessuali.
Questo non impedì al fascismo di colpire i comportamenti omosessuali maschili con punizioni amministrative, come l’ammonizione e il confino.
 
Dal secondo dopoguerra a oggi
La situazione del Codice Rocco, che resta il codice penale ancora oggi in vigore, non è stata modificata dai decenni successivi.
Nel secondo dopoguerra i legislatori hanno continuato a rifiutare l’approvazione di leggi che toccassero il tema dell’omosessualità, sia in senso protettivo sia repressivo, trattandola come questione estranea allo Stato, e riconducibile al campo della morale e della religione.
Un simile atteggiamento divenne noto come “tolleranza repressiva”.
Paradossalmente, questo atteggiamento ha impedito che nel dopoguerra venissero approvate in Italia leggi che criminalizzassero l’omosessualità, nonostante ci siano stati almeno tre tentativi di introdurle durante i primi anni ’60.
A bloccare questi tentativi fu soprattutto la contrarietà della Democrazia Cristiana, partito maggioritario dell’epoca e principale sostenitore della “tolleranza repressiva”.
Nel 1960 l’On. Clemente Manco, del Movimento Sociale Italiano (MSI) presentò la proposta di legge n. 2990:
Chiunque ha rapporti sessuali con persona dello stesso sesso è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni…
Se dal fatto deriva pubblico scandalo, la pena è aumentata…”.
Nel 1961 l’On. Bruno Romano, del PSDI, presentò una proposta di legge che vedeva la “condanna sino a dieci anni per chiunque avesse rapporti omosessuali, e sino a venti se ci fossero aggravanti”.
In questo periodo si ebbe lo Scandalo dei balletti verdi (1960) e il Caso Braibanti (1964), nel quale i genitori dell’amante dell’uomo lo accusarono di manipolare mentalmente il proprio figlio con l’intenzione di trasformarlo in omosessuale.
Nel 1968 Aldo Braibanti fu condannato a 9 anni di reclusione, che furono successivamente ridotti a 6 e portati a 4.
A differenza dello scandalo precedente, il caso fu manipolato dai conservatori per dimostrare la perversione della sinistra, i quali valori sostenevano essere atti a corrompere i giovani e l’istituzione della famiglia tradizionale, perché Braibanti era comunista oltre ad essere stato partigiano.

2. Le Unioni Civili

Da giugno 2016 le coppie dello stesso sesso residenti in Italia possono accedere alle unioni civili, un istituto giuridico di diritto pubblico introdotto dalla Legge 20/05/ 2016 n. 76 che garantisce quasi gli stessi diritti e doveri del matrimonio, con l’eccezione dell’adozione coparentale e congiunta e dell’obbligo di fedeltà.
La stessa legge prevede anche forme di tutela per le coppie conviventi, siano le stesse formate da persone dello stesso sesso o di sesso opposto.
Nel 2022, l’Italia risulta essere uno dei pochi paesi dell’Europa occidentale a non riconoscere e celebrare i matrimoni tra persone dello stesso sesso, insieme alla Repubblica di Andorra, dove verranno celebrati a partire dal 2023, Grecia, Liechtenstein, San Marino e Città del Vaticano.
La prima volta che in Italia si parlò di celebrazioni di unioni tra persone dello stesso sesso avvenne nel settembre 1976, con Massimo Consoli, il quale “celebrò” una sorta di “matrimonio laico” per alcune coppie.
Il 27 giugno 1992, Paolo Hutter celebrò a Milano le prime unioni civili simboliche in Italia. Nonostante si discutesse di un’ipotetica istituzione delle unioni civili in Italia sin dal 1986, con una prima proposta di legge del febbraio 1988 fu dopo 30 anni di proposte discusse e bocciate in Parlamento che una legge vide la luce.
 
La Legge n. 76 del 20 maggio 2016
La senatrice Monica Cirinnà è stata relatrice della legge sulle unioni civili del 2016.
Nel 2014 la Commissione Giustizia del Senato iniziò ad esaminare in modo congiunto una serie di disegni di legge sulle unioni civili proposti a partire dal 2013.
Il 24 giugno venne depositata una prima proposta di testo unificato e la senatrice Monica Cirinnà del Partito Democratico fu nominata relatrice.
Una seconda proposta venne depositata il 2 luglio, seguita da una terza a marzo 2015.
Sempre in marzo la terza proposta fu adottata come testo base per il proseguimento della discussione in Commissione.
Questa proposta prevedeva il riconoscimento di quasi i completi benefici riservati al matrimonio, tra i quali l’eredità, la pensione di reversibilità e l’adozione del configlio, vietando esplicitamente però l’adozione congiunta da parte della coppia.
Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà si dichiararono favorevoli alla proposta, mentre Nuovo Centrodestra, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Forza Italia si dichiararono contrari.
Il 6 ottobre 2015 il Governo presentò un disegno di legge basato su questa proposta, che il 14 ottobre venne introdotto al Senato.
La discussione in Senato iniziò il 2 febbraio 2016 con il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità, respinte con ampia maggioranza.
Sempre a febbraio il Movimento 5 Stelle ritirò il suo appoggio al disegno di legge, perché contrario all’utilizzo della “regola del canguro” per eliminare gli “emendamenti fotocopia” presentati con il fine di ostruire l’approvazione della legge.
Il 23 febbraio il Governo presentò una serie di emendamenti al testo, inclusa la rimozione dell’adozione coparentale e dell’obbligo di fedeltà, con il fine di ottenere l’appoggio di Nuovo Centrodestra, alleato di governo.
Il 25 febbraio, il testo emendato, sul quale venne posta la questione di fiducia, fu approvato dal Senato con 173 voti favorevoli e 71 contrari.
In maggio il disegno di legge passò all’esame della Camera, dove venne approvato l’11 maggio con 372 voti favorevoli, 51 contrari e 99 astenuti, sempre ricorrendo al voto di fiducia.
La legge venne firmata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 20 maggio, entrando in vigore in giugno.
Il 14 gennaio 2017 i decreti attuativi furono approvati in via definitiva dal Consiglio dei ministri del Governo in carica.
Il 24 giugno 2016, nel comune di Lugo (RA), venne celebrata la prima unione civile. L’approvazione della legge fu bene accolta dal movimento LGBT, anche se non mancarono disappunti legati alla rimozione dell’adozione coparentale.
Gli organizzatori della manifestazione Family Day a favore della “famiglia tradizionale” e parte del centro-destra annunciarono di volere avviare una raccolta firme per dare forma a un referendum abrogativo, che non fu però mai portata avanti.
 

Dott.ssa Concas Alessandra

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