Diffusione illecita di immagini o video riguardanti minori

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Revenge porn – Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti raffiguranti minori di età
Corte di Cassazione -SS.UU. pen.- sentenza n. 4616 del 2021

Indice

Premessa

L’attuale sviluppo tecnologico e la fruibilità sempre più diffusa di dispositivi di riproduzione di comune impiego, hanno provocato una maggiore esigenza di prevenzione e contrasto dei fenomeni della violenza sessuale, della prostituzione e della pornografia, soprattutto nei riguardi delle persone di minore età, tanto da comportarne la creazione di un vero e proprio sistema di protezione e tutela dei diritti, così come espresso dalle disposizioni contenute nel Capo III del Titolo XII del codice penale. Del resto, negli ultimi anni, è stato evidenziato un crescente sviluppo del fenomeno c.d. sexting, neologismo inglese coniato negli anni 2000, e consistente nella condotta di chi provoca la diffusione, tramite dispositivi elettronici, di testi, immagini o video sessualmente espliciti. A tal proposito, dottrina e giurisprudenza, da uno studio sempre più approfondito della materia, hanno consentito di distinguere la fattispecie del sexting primario e secondario, definendo il primo come l’attività posta in essere da chi autoproduce il materiale pornografico con minore e ne curi, successivamente, la cessione a terzi, ed il secondo, come quello relativo alla successiva utilizzazione del materiale pedopornografico ricevuto senza il consenso del minore ritratto. Al riguardo, il punto di partenza del ragionamento è costituito dall’esistenza dell’alterità e della diversità, quali presupposti logici, prima ancora che giuridici necessari, per distinguere l’autore della condotta dal soggetto ripreso, difettandone diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore (Cass. pen. n. 11675 del 2016). Per tali ragioni, l’esame della questione non può prescindere dalla illustrazione della fattispecie criminosa del c.d. “Revenge porn”, congiuntamente, ai rilevanti interventi giurisprudenziali in materia da parte della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
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1. Inquadramento sistematico ed evoluzione giurisprudenziale.

Tra le nuove fattispecie delittuose introdotte dalla l. 19 luglio 2019, n. 69 – c.d. Codice Rosso – volte a disciplinare l’annoso tema della “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (c.d. Revenge porn), è rinvenibile l’art. 612 ter c.p.; trattasi di norma di particolare rilevanza che, approfondendo la delicata materia del sexting, fortemente lesiva dei diritti della persona, ha avuto il  principale scopo di inasprire la punibilità della violenza di genere, fenomeno oggi in espansione. L’art. 612 ter c.p., considerato un reato comune per la cui configurabilità non è richiesto, necessariamente, che il soggetto attivo sia anche autore materiale delle riprese (essendo ricompresa nella fattispecie anche l’ipotesi di sottrazione e successiva divulgazione) punisce al primo comma l’invio, la consegna, la cessione, la pubblicazione e la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate; il secondo comma, invece, punisce con le stesse sanzioni le condotte di invio, consegna, cessione, diffusione o pubblicazione delle immagini o dei video sessualmente espliciti, ma diversamente da quando indicato nel primo comma, richiede l’esistenza del dolo specifico al fine di poter recare nocumento alle persone rappresentate.  Ebbene, la diffusione del delitto di pornografia, soprattutto nei confronti dei minori di età, ha spinto il legislatore alla realizzazione di un corpus normativo ad hoc, capace di tutelare, in certo qual modo, la loro immagine, oltre che la loro dignità ed il corretto sviluppo sessuale.  A tale scopo, la L. 3 agosto 1998, n. 269 – in adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e quella del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale approvata a Lanzarote nel 2007 – grazie all’introduzione della fattispecie criminosa di cui all’art. 600 ter c.p., ha consentito di proteggere e tutelare la libera e incondizionata determinazione del minore nelle scelte di natura sessuale, tanto da divenirne oggetto di rilevanti interventi giurisprudenziali, tali da averne comportato un’esegesi approfondita, con specifico riferimento non solo alla previsione delle modalità di produzione del materiale pornografico, ma anche in merito al concetto di “utilizzazione” e di “consenso” del minore. Orbene, la norma de qua, ha rappresentato un punto di svolta soprattutto alla luce della modifica introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. l) della L. n. 172 del 2012 che, reprimendo le condotte lesive dell’autodeterminazione e della maturità sessuale del fanciullo, ha consentito di condannare il reato di pornografia minorile in maniera ancora più stringente, definendola, al contempo, come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”. Ciò posto si deve rilevare che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il delitto di pornografia minorile ha natura di reato di pericolo concreto, laddove la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto, tale da introdurlo nel circuito della pedofilia. (Cass. S.U. n. 13 del 2000). A questo orientamento, si è poi contrapposto quello affermato dalla sentenza n. 51815 del 2018 che, ricostruendo la fattispecie in termini di reato di danno, ha consentito di affermare la piena configurabilità del reato di cui all’art. 600 ter, comma 1, c.p. a prescindere dall’accertamento del pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, soprattutto alla luce dell’attuale e pervasiva influenza delle moderne tecnologie, capaci di diffondere con maggiore facilità e velocità qualsiasi produzione di immagini o video. Tuttavia, l’innovazione più significativa rispetto alla precedente formulazione dell’art. 600 ter c.p., è stata l’introduzione del sintagma “utilizzando minori di anni diciotto” che, in assenza di indicazioni univoche circa la sua esatta determinazione, ha provocato l’intervento delle Sezioni Unite.

2. Le soluzioni adottate dalle Sezioni Unite.

La soluzione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4616 del 2021, ha consentito di delineare un chiaro e preciso principio di diritto, riconoscendo l’esistenza di “utilizzazione” del minore, tutte quelle volte in cui “all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo quelle condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso”. Difatti, è stato più volte ribadito in giurisprudenza che elementi dai quali è possibile rilevare stati di dipendenza nei confronti della vittima minore di età, siano non solo la superiorità – in termini di età – dell’autore di cui all’art. 600 ter c.p., ma anche la sua posizione, oltre che le modalità di approccio e di realizzazione del materiale pornografico (nella specie violenza, minaccia, inganno). D’altra parte, non può trascurarsi che, l’esegesi della nozione di “utilizzazione” non può, in alcun modo, prescindere da una specifica riflessione circa la maturità del minore, vittima, molto spesso, dell’opera di convincimento del soggetto terzo, autore di rilevanti pressioni, in grado di provocare un abuso e un approfittamento delle condizioni del minore stesso.   Del resto, la limitata capacità di cogliere le situazioni per sé svantaggiose, oltre il limitato grado di maturità raggiunto nella fase di sviluppo psico-fisico del fanciullo, giustifica la tutela rafforzata a lui riconosciuta, in particolare per l’età compresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età. Per tali ragioni, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600 ter, comma 1, c.p., l’eventuale consenso prestato alla vittima, anche se prossima al raggiungimento della maggiore età, non può assumere, in alcun modo, valore esimente, in quanto il concetto di utilizzazione deve essere inteso come vera e propria degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni (Cass. pen. n. 34162 del 2018). Va da sé che il mancato raggiungimento da parte del minore di una maturità tale da esprimere un consenso libero e consapevole, comporta il riconoscimento del delitto di cui all’art. 600 ter, comma 1, c.p. anche nei confronti di colui che pur non realizzando materialmente il materiale pedopornografico, ha istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo (Cass. pen. n. 26862 del 2019).  In questo contesto, con il termine di induzione, si è voluto intendere quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione oltre che di rafforzamento della decisione a discapito del minore. L’intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2252 del 2021 ha posto un punto di svolta in materia, rilevando che il minore non può mai prestare validamente il proprio consenso alla circolazione del materiale pornografico realizzato, ciò in quanto soggetto non ancora in grado di valutare in modo consapevole, gli effetti negativi della mercificazione del proprio corpo attraverso la divulgazione di immagine erotiche. Tuttavia, ribadito il principio di diritto espresso nella necessaria alterità tra l’agente autore di una delle condotte previste al primo comma dell’art. 600 ter c.p. ed il minore, ai fini dell’applicazione della norma suddetta, in alcune limitate ipotesi non è richiesta la eteroproduzione del materiale pedopornografico; in particolare, con specifico riguardo al rapporto intercorrente tra il primo comma ed i successivi dell’art. 600 ter c.p., è stato osservato che i commi 2, 3 e 4 nel riferirsi al materia pornografico, si riferiscono non tanto alle sue modalità di produzione, quanto invece alle caratteristiche del materiale prodotto, oltre all’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma sette della norma citata. Pertanto, ai fini dell’incriminazione del fatto tipizzato nei commi successivi al primo dell’art. 600 ter c.p., non rileva la modalità di produzione o il reato di produzione pornografica in sé considerati, semmai risulta essere necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto con e senza il consenso del minore.

3. Concorso tra reati

In tema di rapporti con altri reati, risulta essere configurabile il concorso formale tra il delitto di detenzione materiale pedopornografico e quello di divulgazione di notizie finalizzate allo sfruttamento dei minori, diversamente, secondo recente giurisprudenza, non appare configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 quater c.p. ed il reato di cui all’art. 600 ter, comma 3, c.p. dovendosi applicare in virtù della clausola di riserva di cui all’art. 600 quater c.p. la più grave fattispecie prevista all’art. 600 ter c.p. a condizione che vi sia sovrapposizione o comunque tendenziale identità tra materiale detenuto e divulgato. Difatti, proprio in riferimento all’art. 600 quater c.p. ed in tema di detenzione di materiale pornografico, la suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di statuire che “il reato di detenzione di materiale pornografico e quello di pornografia minorile, non integrano due distinti illeciti, ma due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato, con la conseguenza che non possono concorrere tra loro se riguardano lo stesso reato” (cfr. Cass. pen. n. 2252 n. 2021).  

4. Conclusione

In conclusione, in conformità a quanto sopra espresso, appare evidente come la pratica – sempre più pregiudizievole – del fenomeno del “Revenge porn” abbia, negli ultimi anni, destato particolare allarme sociale, tanto da spingere il legislatore alla previsione di maggiori forme di tutela al fine di garantire, in piena attuazione del supremo  principio della dignità umana sancito all’art. 2 della Costituzione, una protezione più stringente dei consociati contro forme di illegalità in alcun modo giustificabili e tollerabili.

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