È tributaria la giurisdizione sull’eccezione di prescrizione dei crediti fiscali

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Eccede la propria giurisdizione il Tribunale che decide sull’eccezione di prescrizione avanzata dal Curatore fallimentare

 

Con la recente pronuncia n. 14648, depositata il 13 giugno, le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute per affermare che, ove in sede di ammissione al passivo sia eccepita dal curatore la prescrizione dei crediti tributari successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la giurisdizione sulla controversia spetta al giudice tributario, da ciò conseguendo in sede fallimentare l’ammissione con riserva del credito in oggetto.

La sentenza è particolarmente interessante in quanto enuncia un principio, in materia di giurisdizione, che chiaramente si estende anche oltre il contesto fallimentare proprio della vicenda specifica.

 

La fattispecie

La pronuncia trae origine dal ricorso presentato dall’Agente della Riscossione avverso una sentenza di un Tribunale ordinario (di Palermo) che, respingendo l’eccezione di difetto di giurisdizione, aveva invece rilevato l’intervenuta prescrizione quinquennale di diversi crediti tributari vantati dall’Agente della Riscossione verso i fallimenti di due soggetti, escludendo dunque tali crediti dai rispettivi stati passivi.

Col proprio ricorso, l’Agente della Riscossione eccepiva dunque la violazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, sostenendo sussistere la giurisdizione tributaria sull’eccezione di prescrizione, e contestava il termine prescrizionale quinquennale, ritenendo applicabile quello decennale alle cartelle non impugnate.

 

La decisione delle Sezioni Unite

La Suprema Corte ha accolto la prima eccezione, rilevando che la giurisdizione tributaria si estende ad ogni questione relativa all’an e al quantum del tributo. Anche l’eccezione di prescrizione, quale fatto estintivo dell’obbligazione tributaria, rientra dunque nella giurisdizione del giudice che abbia giurisdizione in merito alla predetta obbligazione.

Le Sezioni Unite hanno rigettato la tesi del Curatore fallimentare, secondo il quale i fatti estintivi dell’obbligazione tributaria, successivi alla formazione del titolo, rientrerebbero automaticamente nella giurisdizione del giudice delegato per il fallimento o del Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo. Per la Suprema Corte tale interpretazione è errata perché subordina il profilo della giurisdizione sulla cognizione alla disciplina concorsuale, mentre invece il meccanismo di raccordo tra tali due profili va individuato nell’istituto della “ammissione con riserva” del credito al passivo fallimentare[1].

Secondo la pronuncia delle Sezioni Unite, dunque, il Tribunale ordinario, che si è pronunciato sull’eccezione di prescrizione invece che limitarsi ad ammettere con riserva i crediti contestati, ha debordato dalla propria giurisdizione.

Le Sezioni Unite sottolineano infine che l’ammissione con riserva di un credito rientra tra i poteri officiosi del giudice, il quale pertanto, accogliendo una domanda di insinuazione, può sia apporvi una condizione eventualmente prevista dalla legge e risultante dagli atti, sia rettificare l’indicazione della circostanza condizionante eventualmente prospettata.

Vale la pena puntualizzare che, nella sentenza sopra commentata, accolto il motivo sulla giurisdizione tributaria, è risultata assorbita l’ulteriore eccezione dell’Agente della riscossione sulla prescrizione decennale dei crediti portati in cartelle non impugnate. Sull’argomento dei termini prescrizionali merita dunque riprendere quanto enunciato in un’altra importante  pronuncia delle Sezioni Unite, la n. 23397 del 2016, peraltro espressamente citata, in un breve inciso, nella sentenza n. 14648.

 

[1] Ex art. 88, comma 2, del D.P.R. 602/1973, come modificato dal D.Lgs. n. 46/1999, ed art. 96, comma 2, R.D. n. 267/1942.

 

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Francesco Licenziato

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