Assegno divorzile  e recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione

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In seguito ai provvedimenti della Suprema Corte di Cassazione tra il il 2017 e il 2018, i casi nei quali il coniuge divorziato ha diritto al mantenimento sono stati fortemente ridimensionati, come è stato ridimensionato l’ammontare dell’assegno stesso che, secondo il recente orientamento condiviso dai giudici supremi, il contributo mensile versato dal coniuge benestante in favore dell’ex non deve più mirare a garantire “lo stesso tenore di vita” che lo stesso aveva durante il matrimonio ma la sua “autosufficienza economica”.

In questa sede scriveremo sulla questione passando in rassegna le recenti ultime sentenze della Suprema Corte.

Assegno di mantenimento in seguito alla separazione

Si deve distinguere la disciplina prevista per l’assegno di mantenimento, quello versato a seguito della separazione e sino al giorno del divorzio, dall’assegno divorzile, che diventa efficace dal divorzio in poi.

La Suprema Corte di Cassazione ritiene che l’assegno di mantenimento abbia la funzione di garantire all’ex coniuge lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio.

I redditi complessivi dei due coniugi vengono divisi in quote pressappoco uguali, in modo che gli stessi possano avere lo stesso potenziale economico, mentre l’assegno di divorzio non ha più questo stretto legame con il tenore di vita che la coppia aveva in precedenza, ma deve mirare a garantire l’indipendenza economica del beneficiario, con la conseguenza che, al fine della quantificazione dell’assegno, le agiate condizioni economiche del coniuge tenuto a versare l’assegno potrebbero essere irrilevanti.

Qualche giudice applica all’assegno di mantenimento la disciplina disposta per quello di divorzio.

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SU sent. n. 18287/2018) l’assegno di mantenimento è sempre dovuto in favore del coniuge che, rinunciando al lavoro per dedicarsi alle esigenze della casa e della famiglia, ha perso ogni prospettiva di carriera, garantendo all’altro la possibilità di concentrarsi sulla sua attività, con aumento della ricchezza.

Che cosa prevede la legge in relazione all’assegno di divorzio

In base all’articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, al momento del divorzio, il giudice deve effettuare una ridistribuzione della ricchezza fra i coniugi a favore di quello più debole ed in forma di contribuzione periodica al suo mantenimento, a condizione che il beneficiario non abbia mezzi adeguati o, comunque, non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive.

La determinazione dell’assegno deve tenere conto delle condizioni personali dei coniugi, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o dell’altro, del reddito di entrambi e della durata del matrimonio.

Quando il coniuge divorziato non ha diritto al mantenimento

Il coniuge divorziato non ha diritto al mantenimento quando:

  • ha già un reddito che, per quanto più basso rispetto a quello dell’ex, gli consente l’indipendenza economica. Si pensi al caso di un’insegnante che percepisce già uno stipendio adeguato a mantenersi da solo [2];
  • ha una capacità lavorativa – dovuta all’età e/o alla formazione o alle pregresse esperienze – che gli consentono di rendersi indipendente;
  • non dà prova di ragioni oggettive (di cui parleremo più avanti) che gli impediscono di raggiungere l’autosufficienza economica;
  • la brevissima durata del matrimonio non ha potuto ingenerare alcuna aspettativa per il futuro, sicché non si è neanche avuto il tempo per solidificare un tenore di vita diverso da quello che si aveva prima delle nozze (si pensi a un matrimonio durato solo pochi mesi).

Non ha mai diritto all’assegno di mantenimento il coniuge che ha subìto il cosiddetto addebito ossia a cui è imputabile la responsabilità per la fine del matrimonio (ad esempio perché ha tradito, ha abbandonato la casa coniugale o si è reso responsabile di gravi reati o altri comportamenti ai danni dell’ex).

Quando il coniuge divorziato ha diritto al mantenimento

Alla luce di ciò, il coniuge divorziato ha diritto al mantenimento tutte le volte in cui:

  • non è in grado, per ragioni oggettive, di procurarsi di che vivere o il suo stipendio è insufficiente a tal fine;
  • non ha alcun legame con il mondo del lavoro perché, per molto tempo, si è dedicato alla casa, ai figli, al ménage domestico.

Vediamo quali sono le ragioni oggettive che possono giustificare il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica. Innanzitutto, vi sono l’età e le condizioni di salute.

Vi è poi il caso di chi, nonostante la buona volontà, non riesce a trovare un’occupazione.

Assegno di mantenimento al marito

Anche se i numeri vedono in netta prevalenza l’assegno di mantenimento assegnato in favore delle donne (a dimostrazione di come il reddito più importante in famiglia sia ancora ad appannaggio degli uomini), non mancano tuttavia sentenze che attribuiscano il contributo mensile all’ex marito quando questi non abbia l’autosufficienza economica. E ciò succede in caso di disoccupazione o di gravi condizioni di salute [3].

Quando spetta l’assegno di mantenimento: i chiarimenti della Cassazione

Secondo il nuovo orientamento della Cassazione, a giustificare l’attribuzione dell’assegno non è, quindi, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa.

Per determinare la soglia dell’indipendenza economica non ci si può riferire alla soglia della pura sopravvivenza né eccedere il livello della normalità.

Se tanto la moglie quanto il marito lavorano e sono titolari di uno stipendio che consentirebbe loro di essere autonomi e indipendenti, non ci può essere il riconoscimento di un assegno di mantenimento per il solo fatto che l’uno guadagna più dell’altro (anche se questa disparità è netta). L’attribuzione e la quantificazione dell’assegno non dipendono solo dalla differenza del livello economico-patrimoniale tra gli ex coniugi o dall’alto livello reddituale del coniuge obbligato.

>>Si legga anche:“Assegno unico per i figli 2021: a chi spetta?”

L’assegno divorzile mira a garantire solo l’autosufficienza economica; sicché, se questa è già raggiunta dal richiedente o potenzialmente raggiungibile, non conta lo squilibrio tra la condizione dei coniugi.

In applicazione di tale principio, il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo, dunque, non al pregresso tenore di vita familiare, ma in quella misura adeguata innanzitutto a garantire l’indipendenza economica del coniuge non autosufficiente (intendendo l’autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza) ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti, a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, attuali o potenziali [4].

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Note

[1] Cass. sent. n. 22499/21.

[2] Cass. sent. n. 22537/21.

[3] Cass. sent. n. 26594/19. Cass., sent. n. 21228/19.

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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