Assegno di mantenimento e figlio laureato

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Secondo la Suprema Corte di Cassazione, il figlio laureato che non si sia impegnato a cercare un lavoro, anche se non è quello che desidera, non ha diritto al mantenimento dei genitori.

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Il dovere di mantenimento dei figli

Il dovere di mantenimento dei figli grava su entrambi i genitori in proporzione alle rispettive capacità economiche, sino a quando gli stessi abitano insieme.

Se i genitori si separano o divorziano, si hanno due opzioni.

Se i due trovano un accordo sull’assegno di mantenimento per i figli, il genitore presso il quale gli stessi andranno a vivere dovrà essere tenuto a sopportare le spese ordinarie ricevendo dall’ex un contributo annuale diviso in 12 mensilità.

L’importo è parametrato sia alle capacità economiche dei due genitori sia dai bisogni del giovane.

Se tra i genitori non c’è accordo, dovrà essere il giudice del tribunale a fissare la misura dell’assegno di mantenimento per i figli, in relazione unicamente all’interesse degli stessi e garantendo loro lo stesso tenore di vita che avevano sino a quando padre e madre dividevano lo stesso tetto.

Queste regole valgono sia per le coppie sposate sia per quelle che convivono.

L’obbligo di mantenimento dei figli non deriva dal matrimonio ma dal rapporto di filiazione, vale a dire dal fatto stesso della nascita.

Sino a quando il figlio è minorenne, il genitore è obbligato a mantenerlo non gli deve dare esclusivamente un tetto e di che mangiare, ma gli deve consentire anche di studiare e di avere una vita di relazione, partecipando ai vari aspetti dei giovani.

In modo meno astratto, il genitore, dove le sue possibilità economiche lo consentano, gli dovrà comprare un computer, dovrà essere tenuto a finanziare le attività sportive, le gite scolastiche e simili.

Per stabilire sino a quando i genitori devono mantenere i figli, bisogna considerare, come ha detto la Suprema Corte di Cassazione, che il dovere dei genitori di mantenere la prole non cessa con la maggiore età ma quando i giovani conseguono un reddito che li renda autosufficienti.

Un ragazzo può essere ritenuto autonomo sia che ottenga un lavoro part-time sia che ottenga un dottorato di ricerca, mentre non è sufficiente una borsa di studio o un lavoro precario.

La continua reiterazione di un contratto di lavoro a tempo determinato  fa in modo che si possa parlare di autosufficienza.

Il figlio ha lo stesso il dovere di guardarsi intorno e cercare un lavoro oppure studiare e formarsi per rendersi autonomo.

Il figlio pigro che non fa niente non può ricevere il mantenimento.

La giurisprudenza precisa che il dovere di mantenimento non sussiste se lo stato di disoccupazione è determinato da colpa del figlio, perché non ha fatto il possibile per acquisire le competenze necessarie a trovare un impiego o non fa richiesta di assunzione.

Si deve stabilire se la disoccupazione è determinata da inerzia o dalle difficoltà del mercato occupazionale.

Secondo la Cassazione, più avanza l’età del giovane più è possibile presumere che l’assenza di lavoro sia determinata da colpa sua.

Secondo i Supremi Giudici, dopo 30/35 anni cessa in modo definitivo l’obbligo di mantenere i figli, anche per coloro che dovessero avere scelto un percorso di studi più complicato.

Si deve anche considerare un altro aspetto, di carattere non marginale.

Quando cessa il dovere di mantenimento dei genitori, ad esempio per l’acquisizione di una stabile occupazione da parte del figlio, lo stesso non ritorna in seguito di vicende successive che lo riportino in condizioni di incapacità economica.

Il figlio che, prima assunto da un’azienda, viene dopo poco licenziato non ha diritto a ritornare dai genitori e richiedere il mantenimento che, quando si perde, cessa per sempre.

Al figlio laureato non spetta il Niente mantenimento

Non è un dovere del genitore mantenere il figlio ventisettenne, se non prova di essersi impegnato nel cercare un lavoro ridimensionando le sue aspirazioni, senza aspettare l’arrivo di un lavoro perfetto.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 29779/2020, che ha richiamato la sua recente ordinanza n. 17183/2020, nel respingere il ricorso di una madre, dopo che la Corte d’Appello, che si era pronunciata sulla sentenza di divorzio dei coniugi, aveva in parte provveduto a riformare la sentenza di primo grado, mettendo a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento di un unico figlio con la corresponsione di un assegno mensile di 200 euro.

Il ricorso in Cassazione da parte della madre

La madre decide presentare ricorso in Cassazione lamentando due motivi.

Con il primo motivo fa presente che il giudice territoriale, non ha valutato la situazione economica delle parti e ha riconosciuto a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento di un unico figlio, senza disporre niente in favore del figlio maggiore, considerato autonomo in relazione  dell’età di 27 anni, nonostante non ci siano prove del suo raggiungimento di un’indipendenza economica.

Con il secondo motivo lamenta l’omesso esame di quello che era stato indicato nel ricorso introduttivo, che avrebbe dovuto portare la Corte d’Appello a un giudizio di carattere diverso sull’indipendenza economica del figlio.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29779/2020 ha respinto il ricorso motivando in modo corretto le ragioni dell’assegnazione della casa familiare e del riconoscimento del contributo al mantenimento nei confronti di uno dei due figli.

Durante la causa non è stato dimostrato il mancato svolgimento di un’attività lavorativa che potesse rendere, anche in parte, indipendente dal lato economico il figlio di ventisette anni.

Allo stesso modo, risulta che lo stesso si sia impegnato per cercare dei lavori adatti alle sue attitudini, che fossero in grado di soddisfare le sue aspirazioni.

La motivazione del provvedimento impugnato, deve essere modificato, avendo la Suprema Corte di recente affermato che:

il figlio diventato maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori esclusivamente se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di un’opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni”.

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