inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2001

Collocazione europea dell’Imposta sul Valore Aggiunto e linee evolutive.

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Di Stefano Compagno

 

Il decreto istitutivo dell’Iva è il D.P.R. 26/10/1972 n° 633, entrato in vigore l’1 gennaio 1973, il quale ha rappresentato il volano della riforma tributaria nel settore delle imposte indirette.

L’introduzione dell’Iva nel sistema tributario italiano ha costituito l’adempimento di un preciso obbligo comunitario derivante dalle due direttive Cee del 1967 (n° 67/227/Cee[1] e n° 67/228/Cee[2]), che prevedevano l’introduzione negli Stati membri di un sistema di tassazione indiretta sui consumi trasparente, neutrale e uguale per tutti, cui già avevano dato attuazione la Francia[3], la Germania (1968), i Paesi Bassi (1969), il Lussemburgo (1970).

In particolare, la I Direttiva (67/227/Cee) ha fissato le linee ed i principi generali di quella che è, oggi, l’imposta sul valore aggiunto come definita nelle successive direttive ed applicata nei paesi membri dell’Unione Europea.

Detta direttiva, considerando che il conseguimento dell’obiettivo essenziale del Trattato Ce[4] di realizzare un mercato comune richiede un’armonizzazione delle legislazioni nazionali relative all’imposta sulla cifra d’affari, con pregiudiziale eliminazione dei sistemi di imposta cumulativa a cascata (quali l’IGE, istituita in Italia con R.D.L. 9/1/1940 n° 2), ha fatto obbligo agli Stati membri di sostituire il loro sistema di imposta sulla cifra d’affari con il sistema comune di imposta sul valore aggiunto, entro il 1° gennaio 1970[5] (art.1, I Direttiva).

Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto –come definito nell’art. 2 della I Direttiva- consiste nell'applicare ai beni ed ai servizi un'imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi , qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell'imposizione. Su ciascuna transazione, l'imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al suddetto bene o servizio , è esigibile , previa deduzione dell'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo. Il sistema comune d'imposta sul valore aggiunto è applicato, in linea di principio, fino allo stadio del commercio al minuto incluso.

E’ la I Direttiva, dunque, a tracciare le linee del nuovo sistema comune d’imposta sul valore aggiunto: un’imposta generale (si applica su tutte le cessioni e prestazioni imponibili, “qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione” e “fino allo stadio del commercio al minuto incluso”), con aliquota proporzionale la cui base imponibile è costituita dal prezzo del bene o del servizio. E’ un’imposta istantanea, perché si applica “a ciascuna transazione”, ossia ad ogni singolo scambio di beni o servizi. Il meccanismo d’applicazione, infine, è imperniato sulla detrazione dall’Iva applicata sul prezzo del bene ceduto o del servizio effettuato (c.d. Iva a valle) dell’Iva che ha gravato sul costo dei beni o servizi acquistati, a sua volta, dal cedente o prestatore per effettuare la transazione (c.d. Iva a monte). Tale meccanismo di detrazione “Iva da Iva” rende l’imposta neutrale (incide solo sul valore aggiunto in ciascuna fase di produzione o di scambio) ed, infine, gravante sul consumatore finale (in quanto non potendo detrarre alcunché resterà inciso dal tributo)[6].

         E’, invece, la II  Direttiva (coeva alla I ) a delineare la struttura e la modalità d’applicazione del sistema comune di imposta sul valore aggiunto e, primo fra tutti, a definire le operazioni che sono assoggettate ad Iva: a) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso, all’interno del paese, da un soggetto passivo; b) le importazioni di beni (art.2, II Direttiva) . E’ interessante notare, in particolare, che l’art. 12 espressamente prevede l’obbligo per il soggetto passivo di tenere una contabilità sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’Iva ed i controlli dell’amministrazione fiscale, di rilasciare fattura per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi e di presentare apposite dichiarazioni. Ed invero, sono gli adempimenti “formali” che consentono, -oltre ai controlli fiscali-, di far sì che l’Iva sia un’imposta neutrale e trasparente.

L’armonizzazione venne, comunque, espressamente programmata per tappe e nella prima di esse fu ritenuto opportuno limitare l’obbligo degli Stati membri alla sola adozione del sistema comune dell’Iva, senza la contemporanea armonizzazione delle aliquote[7] e delle esenzioni e lasciando, altresì, agli Stati membri -con riserva di una consultazione preventiva- la facoltà di applicare il sistema comune solo fino allo stadio del commercio all'ingrosso incluso e di applicare, se del caso, allo stadio del commercio al minuto, ovvero allo stadio antecedente a quest'ultimo, un'imposta complementare autonoma.

 

Successivamente, una prima grande revisione della disciplina dell’Iva in Italia si rese necessaria per dare attuazione alla VI direttiva Cee (n° 77/388/Cee del 17/5/1977[8]) adottata dalla Comunità europea al fine di ulteriormente realizzare l’armonizzazione dei sistemi fiscali dei paesi membri in materia di imposta sulla cifra d’affari. La sesta direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con i D.P.R. n° 24/1979 e n° 94/1979, che apportarono notevoli modifiche al decreto istitutivo dell’Iva.

La sesta direttiva è stata adottata, -dopo che tutti gli Stati membri avevano adottato il sistema Iva in conformità alle direttive del 1967-, fra l’altro, per precisare talune nozioni fondamentali quali quella di operazione imponibile, soggetto passivo, momento impositivo (“fatto generatore ed esigibilità”), nonché per armonizzare la base imponibile, il calcolo del prorata di deduzione, i regimi speciali.

Resta però sostanzialmente immutata la nozione di operazione imponibile. L’art. 2 della VI direttiva, infatti, nel definire il campo di applicazione dell’Iva, conferma che sono soggette all’imposta (1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo in quanto tale e (2) le importazioni di beni.

La definizione è analoga a quella di cui all’art. 1 del DPR n° 633/1972, salvo l’apparente differenza avuto riguardo al mancato espresso richiamo all’onerosità nella norma nazionale. Tuttavia, l’apparente differenza risulta subito eliminata ove si abbia riguardo alle definizioni di “cessione di beni” e di “prestazione di servizi” contenute nei successivi artt. 2 e 3 del medesimo DPR n° 633/1972, laddove rispettivamente si fa riferimento ad atti “a titolo oneroso” che importano il trasferimento di beni di ogni genere[9] ed alle prestazioni “verso corrispettivo”[10].

Entrambi gli ordinamenti (quello comunitario[11] e quello nazionale[12]) prevedono, poi, deroghe al requisito dell’onerosità, sia pure con disposizioni fra loro non perfettamente sovrapponibili, assoggettando ad Iva, a date condizioni[13], le cessioni e prestazioni gratuite nonché l’autoconsumo esterno di beni o servizi, al fine di evitare l’evasione dell’Iva tramite operazioni gratuite “fittizie” ovvero per garantire una parità di trattamento tra il soggetto passivo che prelevi un bene dalla sua impresa per destinarlo al consumo personale e un consumatore comune che acquisiti un bene dello stesso tipo. In questa ipotesi, infatti, il soggetto passivo, che ha potuto detrarre l’Iva sull’acquisto del bene destinato all’impresa, sfuggirebbe al pagamento dell’Iva quando preleva il bene stesso dal patrimonio della sua impresa per fini privati, così godendo di indebiti vantaggi rispetto al consumatore comune che acquista un bene pagando l’Iva[14].

Sotto il profilo, poi, della cooperazione amministrativa[15] tra gli Stati membri della Comunità Europea, in materia di scambio di informazioni per il corretto accertamento dell’Iva, va menzionata la direttiva Cee n° 77/799/Cee del 19/12/1977, come modificata dalla direttiva Cee n° 79/1070/Cee del 6/12/1979[16] (espressamente richiamate nell’art. 66 del D.P.R. n° 633/1972), cui ha fatto seguito il Regolamento Cee  n° 218/92 del 27/1/1992[17] che ha istituito un sistema comune di scambio di informazioni sulle transazioni intracomunitarie, che completa[18] le disposizioni delle anzidette direttive n° 77/799/Cee e n° 79/1070/Cee, che continuano, dunque, a trovare applicazione. Entrambi gli strumenti giuridici (Direttiva 77/799/Cee e Regolamento 218/92), pertanto, non hanno per oggetto l’armonizzazione delle disposizioni fiscali ma sono intesi ad assicurare il buon funzionamento del mercato interno facilitando la cooperazione amministrativa tra le amministrazioni nazionali nel settore della fiscalità indiretta. La Commissione Europea, peraltro, considerando che la lotta contro le frodi e l’evasione dell’Iva esige ormai una stretta cooperazione amministrativa tra le autorità fiscali dei Paesi membri e rilevando, inoltre, che i due strumenti giuridici sono ormai insufficienti per far fronte alle nuove esigenze derivanti dall’integrazione sempre più stretta delle economie nel mercato interno, ha recentemente adottato una proposta di regolamento[19] che riunisce in un unico strumento giuridico tutte le norme  sulla cooperazione amministrativa in materia di Iva, prevedendo l’abrogazione del Reg. 218/92 e predisponendo, nel contempo, una proposta di direttiva[20] secondo la quale i riferimenti alla Direttiva 77/799/Cee per quanto riguarda l’Iva devono intendersi fatti al nuovo regolamento. Il Regolamento proposto non mira soltanto a mere finalità di razionalizzazione della disciplina bensì consegue, altresì, le finalità di rafforzare la cooperazione amministrativa rendendo nel contempo le indagini amministrative più incisive.

Attualmente le linee d’evoluzione del sistema comune dell’Iva possono essere colte nella proposta[21] di direttiva sul regime Iva applicabile a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici (direttiva sull’Iva nello e-commerce) e nella proposta[22] di direttiva sulla fatturazione e archiviazione elettronica. Il legislatore nazionale, poi, dovrebbe recepire entro la fine del 2001 (art. 2) la direttiva Ce n° 2000/65/Ce del 17/10/2000[23] sul rappresentante fiscale, secondo la quale occorre che la designazione di un rappresentante fiscale sia d’ora in poi soltanto facoltativa per i soggetti non residenti sicchè vanno ampliate correlativamente le ipotesi in cui l’Iva è dovuta dal cessionario del bene o dal committente del servizio[24].

La principale imposta indiretta dell’ordinamento tributario italiano, dunque, trova le sue premesse ed i suoi limiti nell’ordinamento comunitario. Questo fa sì che l’azione del legislatore italiano, in materia di Iva, debba sempre, comunque, risultare compatibile con le direttive comunitarie. Non solo. Anche lo stesso giudice nazionale[25] così come l’interprete, -sia esso il funzionario dell’amministrazione finanziaria o l’operatore economico o il suo rappresentante-, devono sempre tenere presente la “natura” comunitaria di detta imposta, e tra più interpretazioni possibili di una norma nazionale in materia di Iva dovrà sempre accogliersi quella compatibile con le direttive comunitarie.

Il giudice nazionale, poi, ove avesse dubbi interpretativi in ordine alla portata delle norme comunitarie- potrà (d’iniziativa o a seguito d’eccezione pregiudiziale sollevata dalle parti) sollevare questione pregiudiziale dinanzi la Corte di Giustizia della Comunità Europea[26], cui compete,  ai sensi dell’art. 234 (ex art. 177[27]) del Trattato Ce, assicurare l’uniforme interpretazione del diritto comunitario. Tale istituto ha avuto una vastissima applicazione e non poche sono annualmente le sentenze del giudice europeo di interpretazione delle direttive afferenti il sistema comune di imposta sul valore aggiunto. Al riguardo, si tenga presente che, sebbene le pronunce siano relative a controversie specifiche e vincolino lo Stato cui appartiene il giudice che ha fatto il rinvio, esse assumono una valenza generale tracciando gli orientamenti giurisprudenziali[28] della Corte.

La disciplina dell’Iva, dunque, è modellata, non solo in Italia bensì in tutti i paesi membri dell’Ue, sulla base delle Direttive emanate in materia dalla Comunità Europea sicché la legislazione comunitaria e le pronunce della Corte di Giustizia Ce costituiscono i criteri guida al fine di interpretare correttamente le normative degli ordinamenti interni dei singoli Paesi membri[29].

Al fine di cogliere pienamente la rilevanza dell’Iva nell’ambito comunitario si tenga presente, infine, che detto tributo non solo –come sopra esposto- è il perno dell’armonizzazione fiscale europea in materia di tassazione indiretta ma, oggi, costituisce anche una “risorsa propria” della Comunità Europea (pari all’1% dei proventi Iva dei singoli paesi membri[30]), insieme ai prelievi riscossi sulle importazioni di prodotti agricoli, ai dazi doganali ed alla c.d. quarta risorsa o risorsa PNL. Sicché l’evasione dell’Iva non solo sottrae risorse allo Stato ma parimenti sottrae risorse al bilancio comunitario. Sebbene sia una “risorsa propria” della Comunità Europea, la quota d’Iva nazionale alla stessa spettante è, comunque, accertata e riscossa dai singoli Stati membri, che poi provvedono al successivo trasferimento alla Comunità, sicché, in dottrina, si attribuisce ad essa natura di mera risorsa finanziaria non costituendo autonomo tributo comunitario[31].


[1] “Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari”, in G.U.C.E. 14/4/1967 n° 71. La nuova imposta sulla cifra d’affari va calcolata sul prezzo del bene o del servizio; da essa va dedotta l’imposta che ha gravato sui diversi elementi concorrenti alla formazione del prezzo.

[2] “Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema comune di imposta sul valore aggiunto”, in G.U.C.E. 14/4/1967 n° 71. Questa seconda Direttiva ha definito i profili tecnici e strutturali della nuova imposta; è stata poi espressamente abrogata dalla sesta Direttiva del 1977 (art. 37), che ha interamente ridisciplinato l’intera materia.

[3] Già dal 1954 la Francia aveva adottato un sistema di imposta sul valore aggiunto, con la TVA (Tax sur la valeur ajoutè) che costituì il modello cui si ispirò la Comunità Economica Europea.

[4] Trattato di Roma del 25/3/1957, che ha istituito la Comunità Economica Europea (Cee). Il Trattato di Maastricht, in vigore dal 1/11/1993, ha però sostituito l’espressione “Comunità Economica Europea” con “Comunità Europea” (Ce) in tutto il Trattato di Roma; ciò in quanto l’azione della Comunità non è più limitata alle sole relazioni economiche ma si estende ad altri campi prima di competenza esclusiva degli Stati membri.

[5] Detto termine finale, tuttavia, sarà più volte prorogato, fra gli altri, per l’Italia, fino al 1° gennaio 1973. In particolare le proroghe sono state disposte con la III (n°69/463/CEE del 9/12/1969), la IV (n°71/401/CEE del 20/12/1971) e la V (n° 72/250/CEE del 4/7/1972) Direttiva Cee.

[6] In base alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia CE le caratteristiche essenziali del tributo comunitario sono: “esso si applica in modo generale alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi; è proporzionale al corrispettivo pagato; viene riscosso in ciascuna fase del processo produttivo e distributivo, compresa quella della vendita al minuto; si applica al solo valore aggiunto, poiché l’imposta dovuta in relazione ad una operazione viene calcolata previa detrazione di quella pagata a monte; il tributo, pertanto, incide, in definitiva, solo sul consumatore finale”:così espressamente, Bucci-Farano, Rassegna di Giurisprudenza della Corte CE, par. 1; in Rass. Trib. n° 5/2000.

[7] Il “ravvicinamento” delle aliquote Iva è stato previsto con la Direttiva n° 92/77/Cee in G.U.C.E. 31/10/92 n° 316.

[8] “Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme”, in G.U.C.E. 13/6/1977 n° 145. La sesta direttiva, tuttavia, è stata più volte emendata, sicché è consigliata la consultazione del testo “consolidato” disponibile nel sito internet della Commissione europea.

[9] Art. 2, comma 1 del DPR n° 633/1972 (Cessioni di beni): “Costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento delle proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere”.

[10] Art. 3, comma 1 del DPR n° 633/1972 (Prestazioni di servizi): “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, non fare, permettere. (…)”

[11] Art. 5, comma 6 e art. 6, comma 2, lettere a) e b) della VI Direttiva.

[12] Art. 2, comma 2, n. 4 e 5 e art. 3, comma 3 del DPR n° 633/1972.

[13] Richiederebbe una separata e ben ampia trattazione la dettagliata analisi comparata della disciplina delle deroghe al requisito dell’onerosità in entrambi gli ordinamenti.

[14] In tal senso espressamente, vedi: Corte di Giustizia CE, sez. V, del 17/5/2001 cause riunite C-322/99 e C-323/99, con richiami a precedenti conformi (sentenza 8/3/2001, causa C-415/98 e giurisprudenza ivi citata).

[15] Sull’argomento si segnalano: Tagliaferro, Le frodi nell’Unione europea, in Il Fisco n° 29/2000; Costantini, I controlli fiscali multilaterali nell’ambito della Comunità europea – Prospettive per un’azione comune, in Il Fisco n° 31/2000; Farabbi, La struttura ed il funzionamento del Vat – Information Exchange System, nel sito Internet del Ministero delle Finanze e dell’Economia all’indirizzo www.finanze.it/osservatoriointernazionale/docs/ita/pg-far.rtf (visitato in data 13/9/01).

[16] “Direttiva relativa alla reciproca assistenza delle autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e dell’Iva”, in G.U.C.E. 27/12/1977 n° 336 (Direttiva n° 77/799) e in G.U.C.E. 27/12/1979 n° 331 (direttiva n° 79/1979). Art. 1: <<Le competenti autorità degli Stati membri scambiano, conformemente alla presente direttiva, ogni informazione atta a permettere loro una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio e dell’Iva>>.

[17] “Regolamento concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (Iva)”, in G.U.C.E. 1/2/1992 n° 24. Detto regolamento ha previsto l’istituzione di un sistema di scambi di informazioni tra gli Stati membri, attuato al I e II livello tramite una rete telematica denominata Vies (Vat Information Exchange System) che consente di attingere ai data base dei singoli Stati membri per acquisire –on line e in tempo reale- informazioni quali: situazione anagrafica di un contribuente identificato da un codice Iva, importo delle transazioni intracomunitarie,…Al III livello lo scambio di informazioni avviene “su base cartacea”, a richiesta di uno Stato membro, che può sfociare nell’acquisizione presso l’impresa nazionale dei documenti e delle scritture contabili.

[18] In senso conforme, vedi: Adoninno, Lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie; in: Corso di Diritto Tributario Internazionale, coordinato da Uckmar – ed. Cedam, 1999. “E’ bene precisare qual è il rapporto tra le norme del Regolamento Cee 218/92 e le norme sullo scambio di informazioni contenute nella Direttiva 77/799/Cee. Lo scambio di informazioni –nei casi diversi da quelli indicati negli artt. 4 e 6 del Regolamento 218/92- è regolato dagli artt. 5 e 7 del Regolamento nei limiti di quanto negli stessi è previsto; per tutto il resto è regolato dalle disposizioni della Direttiva”, così Adonnino, op. cit., pag. 906.

[19] “Proposta di regolamento relativo alla cooperazione amministrativa in materia di Iva”, n. 2001/C-270-E/10 presentata dalla Commissione in data 18/6/2001: Com (2001) 294 def. - 2001/0133(COD); in G.U.C.E. n° C 270 del 25/9/2001. Per i primi commenti si segnalano: Rosati, Lotta europea all’evasione dell’Iva, in ItaliaOggi del 20/6/2001; Ue, più informazioni contro le frodi Iva, in Il Sole 24 ore del 20/6/2001; Ricca, Iva Europea, controlli più incisivi, in ItaliaOggi del 21/6/2001; Tiralongo, Cooperazione rafforzata per le Amministrazioni fiscali dei Paesi dell’Unione europea, in Il Fisco n° 34/2001.

[20] “Proposta di direttiva che modifica la direttiva 77/799/Cee relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette”, n. 2001/C-270-E/11 presentata dalla Commissione in data 18/6/2001: Com (2001) 294 def. – 2001/0134(COD) in G.U.C.E. n° C 270 del 25/9/2001.

[21] “Proposta di direttiva che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il regime di imposta sul valore aggiunto applicabile a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici”, Com (2000) 349 def. – 2000/0148 (CNS) del 7/6/2000, in G.U.C.E. - C 337 E del 28.11.2000. Il documento è stato da ultimo discusso dal Consiglio dei Ministri Economici e Finanziari dell’Unione Europea in data 5 giugno 2001. In quella sede, però, ne è stato rinviato l’esame al secondo semestre 2001. Sull’argomento vedi: Melis, Osservazioni a margine della proposta di modifica della VI Direttiva Cee sul regime Iva applicabile a determinati servizi prestati mediante mezzi elettronici, in Rass. Trib. n° 3/2001; Luca Dell’Anese, Commercio elettronico e imposizione indiretta, in Il Commercio Elettronico, a cura di Sacerdoti – Marino, ediz. Egea; 2001. Per la cronaca dell’iter delle proposte si segnalano: Santacroce, Iva sull’e-commerce: Ue divisa, in Il Sole 24 Ore del 3/6/2001; Santacroce, Ue divisa sull’e-com, in Il Sole 24 Ore del 7/6/2001; Santacroce, Presidenza belga dell’Unione e Commissione europea: obiettivi a confronto in materia di politica fiscale, in Guida Normativa - Il Sole 24 Ore n° 165 del 14/9/2001. Il parere del Comitato economico e sociale sulla proposta di direttiva è pubblicato nella G.U.C.E. n. C 116 del 20/4/2001.

[22] “Proposta di direttiva che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare, modernizzare e armonizzare le modalità di fatturazione previste in materia di imposta sul valore aggiunto” n. 2001/C 96 E/07, in G.U.C.E. - C 96 E del 27.04.2001: Com (2000) 650 def. - 2000/0289(CNS).

[23] “Direttiva che modifica la direttiva 77/388/Cee quanto alla determinazione del debitore dell’Iva”, n° 2000/65/Ce, in G.U.C.E. 21/10/2000 n° 269.

[24] “Deve, tuttavia, essere segnalato che le modifiche alle normative interne previste dalla citata direttiva sembrano interessare maggiormente gli altri Stati membri piuttosto che l’Italia, la cui disciplina Iva è già in buona parte in linea con quanto ora imposto a livello comunitario”; così, David, L’Iva sulle operazioni internazionali; in Guida Teorico-Pratica alla fiscalità internazionale – Inserto n° 7 alla Guida Normativa del Sole 24 Ore del 11/6/2001.

[25] La Corte Costituzionale, con sentenza 7/10 novembre 1994, n° 384 ha stabilito che, quando davanti ad un giudice interno si pone un conflitto insanabile fra norma comunitaria e norma interna, il giudice –senza che occorra sollevare questione di legittimità costituzionale- ha il preciso dovere di applicare direttamente la norma comunitaria, anche se successiva alla norma nazionale.

[26] Le sentenze della Corte di Giustizia CE  hanno diretta efficacia negli ordinamenti nazionali. Per la giurisprudenza nazionale, vedi: C. Cost. 23/4/1985 n. 113; C. Cost. 18/4/1991 n° 168; C. Cost. 4/7/1989 n° 389. Per la giurisprudenza comunitaria, vedi: Corte di Giustizia CE, sentenza 2/2/1988, causa 309/85 (Caso Barra).

[27] Tra parentesi è indicata la numerazione vigente anteriormente al 1/5/1999, data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, ratificato in Italia con L. 16/6/1998 n° 209, che, tra l’altro, ha proceduto ad un’opera di razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni dei Trattati comunitari.

[28] Per una rassegna dei più recenti orientamenti della Corte di Giustizia CE  in materia di Iva, vedi: Rass. Trib. n° 5/2000 (periodo 1/1/1999-30/6/2000) a cura di Bucci-Farano, op. cit., e Rass. Trib. n° 2/2000 (periodo 1994-1998) a cura di Bucci-Farano.

[29] In tal senso, Luca Dell’Anese, op. cit.

[30] “Per essere più precisi, quasi la metà del bilancio dell’Unione è finanziata con l’imposta sul valore aggiunto, applicata ad una base imponibile uniforme”, così Tagliaferro, Le Frodi Iva nell’Unione europea, op. cit.

[31] Sull’argomento si segnala Roccatagliata, Diritto Tributario Comunitario, pag. 659, con ampie citazioni in nota n. 3; in: Corso di Diritto Tributario Internazionale, coordinato da Uckmar , op. cit.