La tutela europea della
proprietà a confronto con l’istituto
dell’“occupazione acquisitiva” LARA SERENO INTRODUZIONECAPITOLO PRIMO CENNI SULLA TUTELA DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ NELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI 1.1. L’oggetto dell’art.1 del Protocollo Addizionale n.1 1.2. Le specie di lesione della proprietà: in particolare, le categorie di “privazione della proprietà”, “disciplina dell’uso dei beni” e “lesione della sostanza” 1.3. L’accertamento della violazione del diritto di proprietà 1.4. Il diritto di cui all’art.1 Prot.1 come diritto condizionato CAPITOLO SECONDO LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO A CONFRONTO CON IL PRINCIPIO GIURISPRUDENZIALE ITALIANO DELL’ “OCCUPAZIONE ACQUISITIVA”:
PARALLELO TRA DUE DECISIONI (sentt. “Carbonara e Ventura c. Italia” e
“Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia”) 2.1. Le fattispecie litigiose 2.2. L’origine dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva:” Cass. S.U. 26 febbraio 1983 n.1464 2.3. Gli sviluppi dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva” successivi alla sentenza 1464/1983 2.4. Le decisioni della Corte Europea 2.5. L’istituto dell’“occupazione acquisitiva” e il diritto di proprietà di cui all’art.1 Prot.1: tra principio di legalità e “funzione sociale” BIBLIOGRAFIAINTRODUZIONEIl presente lavoro, dopo un
sommario esame dello stato dell’arte della giurisprudenza della Corte Europea
dei Diritti dell’uomo in materia di tutela del diritto di proprietà, si
misurerà con due decisioni specifiche vertenti sugli effetti applicativi
dell’istituto pretorio italiano dell’“occupazione acquisitiva.” Quest’ultimo costituisce un modo di acquisto della proprietà
immobiliare a favore della Pubblica Amministrazione, operante in virtù
dell’occupazione illegittima di un fondo e della destinazione irreversibile
dello stesso ad una pubblica utilità. È quindi evidente che un siffatto principio è al vivo del rapporto tra
la tradizionale natura conservatrice del diritto di proprietà e la funzione
sociale immanente allo stesso. Ecco perché, pur con tutti i limiti connaturati ad un’analisi
programmaticamente così circoscritta, le due decisioni prescelte possono
rivelarsi emblematiche dell’essenziale tema della tutela, nel quadro della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, del diritto di proprietà tra diritti civili di libertà e diritti
sociali. Si tratterà pertanto di verificare se le aspettative di risolvere un
tale contrasto, riposte nell’operato della Corte, siano o no state soddisfatte
dalla stessa. CAPITOLO PRIMO CENNI SULLA TUTELA DEL
DIRITTO DI PROPRIETÀ NELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E
DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI SOMMARIO: 1.1. L’oggetto dell’art.1 del Protocollo Addizionale n.1 -
1.2. Le specie di lesione della
proprietà: in particolare, le categorie di “privazione della proprietà”,
“disciplina dell’uso dei beni” e “lesione della sostanza”- 1.3. L’accertamento della violazione del diritto di proprietà: 1.3.1. il controllo delle condizioni
giustificative 1.3.2. il controllo
di proporzionalità - 1.4. Il
diritto di cui all’art.1 Prot.1 come diritto condizionato - Art.1 Protocollo n.1
alla Convenzione Europea
per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[1]
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai princìpi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altre contribuzioni o delle ammende.”[2] 1.1. L’oggetto dell’art. 1
del Protocollo Addizionale n. 1 — I redattori dell’art.1 del Protocollo
Addizionale n.1 alla
Convenzione Europea hanno scelto di adottare, per l’enunciazione del diritto da
consacrare, una formula “neutra” priva di alcun riferimento alla proprietà:
“diritto al rispetto dei propri beni” (“droit au respect de ses propres biens”,
“right to peaceful enjoyment of possessions”). E la giurisprudenza europea,
chiamata a materializzare le solenni proclamazioni di principio, ha oramai
univocamente chiarito essere oggetto della norma la garanzia del diritto di proprietà in quanto tale:[3]
non quindi protezione di un diritto alla proprietà[4]
ma neppure mera tutela contro la confisca arbitraria dei beni. Pertanto, pur restando
l’unico diritto “economico” protetto dal corpus
europeo dei diritti dell’uomo,[5]
quello di cui all’art.1 Prot.1 pare strutturalmente ben lontano dai diritti
sociali ed altrettanto dalle accese dispute che hanno condotto alla sua
inclusione in un Protocollo distinto anziché nel testo della Convenzione. Tuttavia, difettando anche
nello strumento regionale europeo una definizione del concetto di proprietà,
essa è stata in sostanza deferita agli organi di supervisione. E quindi solo analizzandone
la giurisprudenza si può misurare quali e quante delle potenzialità, anche
sociali, insite nella tutela del diritto di proprietà siano espresse nel quadro
europeo. Anzitutto gli organi di
Strasburgo hanno dato della nozione di “beni”, sub art.1 Prot.1, un’interpretazione estensiva che copre i beni
immobili e mobili,[6] ivi compresi
i diritti immateriali, come i diritti di credito suscettibili di valutazione
economica,[7]
numerosi interessi economici[8]
e l’avviamento commerciale o professionale (goodwill).[9] In ogni caso
l’interpretazione autentica della Convenzione è nel senso che in essa non trovi
riconoscimento un generale diritto a prestazioni sociali ed in particolare alla
sicurezza sociale, per quanto si ammetta che “il versamento di contributi
obbligatori ad una cassa-pensione può creare, in date circostanze, un diritto
di proprietà su una parte dei fondi e questo diritto potrebbe essere violato
dalle modalità di ripartizione dei fondi stessi.”[10]
Insomma, la sussistenza o meno di un “bene” dipenderebbe dal sistema di
sicurezza sociale in questione e sarebbe affatto esclusa là dove quest’ultimo
si fondasse sul principio di solidarietà. Ad aver poi tracciato una
vera e propria metodologia dell’art.1 Prot.1 è stata la sentenza Sporrong e Lönnroth.[11]
In quella sede la Corte
europea dei Diritti dell’Uomo ha precisato che esso contiene tre norme
distinte: la prima, di ordine generale, espressa nella prima frase del primo
comma, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda,
contemplata nella seconda parte dello stesso alinea, ha riguardo alla privazione
della proprietà e la sottopone a determinate condizioni; infine, la terza, di
cui al secondo comma, riconosce agli Stati il potere, tra gli altri, di
disciplinare l’uso dei beni in conformità all’interesse generale. I termini di tale analisi
sono stati ripresi e sviluppati dalla sentenza James e altri,[12]
che ha puntualizzato non trattarsi di tre regole sconnesse: la seconda e la
terza concernono esempi specifici di lesione del diritto di proprietà e
pertanto vanno interpretate alla luce del principio consacrato dalla prima. Comunque ne sia di ciò, la ricostruzione
analitica summenzionata induce la Corte a distinguere tre categorie di lesione
della proprietà, se non addirittura quattro, ove vi si aggiunga quella
derivante dal potere statuale di imposizione ed ammenda. E proprio di questa
classificazione si passa subito a parlare. 1.2. Le specie di lesione
della proprietà: in particolare, le categorie di “privazione della proprietà”,
“disciplina dell’uso dei beni” e “lesione della sostanza” — Perché
possa trovare applicazione l’art.1 del Protocollo Addizionale n.1, occorre
anzitutto che si sia verificato un attentato alla proprietà. E varie sono le
misure che possono concretarlo. La norma fa espressa
menzione di tre tipologie di lesione: la privazione della proprietà, la
disciplina dell’uso dei beni e la lesione cagionata dal potere di imposizione
statuale, della quale ultima non ci si occuperà in questa sede. La distinzione di massima
tra le prime due è la seguente: mentre la privazione implica il trasferimento
del bene, la disciplina dell’uso non intacca la titolarità bensì solo gli
attributi della proprietà. Di diritto dunque
espropriazione e nazionalizzazione rientrano nel concetto di privazione
previsto dalla seconda parte del primo paragrafo dell’art.1 Prot.1. Può però anche accadere che,
nonostante il proprietario non sia stato spogliato del titolo e quindi
formalmente il suo diritto sia intatto, di fatto egli sia invece stato
irrevocabilmente privato dell’esercizio degli attributi della proprietà nonché
della facoltà di disposizione del bene. In tal caso, pur in assenza
di un trasferimento della cosa, gli effetti sono del tutto equivalenti a quelli
di un’espropriazione formale e si parla pertanto di “espropriazione di fatto.”[13] Quanto, poi, alla seconda specie
di lesione della proprietà, benché secondo la lettera dell’art.1 Prot.1,
secondo paragrafo, la “disciplina” si riferisca solo all’uso, essa in realtà
può anche inerire all’attributo della libera disposizione del bene. Così, la
restrizione della libertà contrattuale in materia di locazioni viene
qualificata appunto come disciplina dell’uso dei beni. La Corte Europea ha infine
enucleato una categoria ulteriore di attentato alla proprietà, fondata sulla
prima frase del nostro art.1: la cosiddetta “lesione della sostanza.” Essa ricorrerebbe allorché
gli attributi dell’uso e della libera disposizione del bene siano limitati ma
non nullificati e ne sia quindi ancora possibile l’esercizio da parte del
proprietario.[14] Si tratta tuttavia di norma
pretoria controversa: secondo qualche autore ed anche secondo alcuni giudici
del caso Sporrong e
Lönnroth,
le specie di lesione della proprietà si riducono alla privazione e alla
disciplina dell’uso. Ovvero tertium non
datur: o al proprietario resta in parte l’esercizio degli attributi della
proprietà, ed allora si ha disciplina dell’uso dei beni, o, al contrario,
quegli attributi si riducono irrevocabilmente a niente, con o senza
trasferimento del bene, e si ha privazione. V’è però chi evidenzia come
il riconoscimento di una terza categoria di ingerenza nella proprietà apra in
realtà la strada allo sviluppo di obbligazioni positive a carico dello Stato
nei riguardi del diritto di proprietà.[15] 1.3. L’accertamento della
violazione del diritto di proprietà — Non è sufficiente una
lesione della proprietà perché si possa parlare di violazione del diritto
protetto dall’art.1 Prot.1: occorre anche che quella lesione sia ingiustificata
e sproporzionata. 1.3.1. il controllo delle condizioni giustificative: sono due le verifiche cui va
sottoposta l’interferenza nel diritto di proprietà per poter essere considerata
giustificata: l’accertamento della finalità e quello della legalità della
lesione. a.
la condizione di finalità: la lesione della proprietà
per non degenerare in arbitrio deve anzitutto essere conforme all’utilità
pubblica (in caso di privazione) o all’interesse generale (in ipotesi di
disciplina dell’uso). Una ingerenza più o meno grave nel diritto di proprietà, infatti, non
può essere tollerata che qualora essa abbia per scopo la realizzazione di un
obiettivo degno di una tutela maggiore di quella di cui può godere il diritto
del singolo. Per distinguere si potrebbe dire che, mentre l’utilità pubblica
beneficia una ristretta porzione di popolazione, l’interesse generale avvantaggia
invece gruppi di parecchie migliaia di persone. A parte l’inaffidabilità di
un criterio meramente quantitativo, v’è da dire però che la Corte in sostanza
non fa distinzione tra i due parametri. Ciò che invece preme
sottolineare è che il suo controllo di finalità non interviene che a titolo
sussidiario: “La Corte rispetta il modo in cui il legislatore nazionale
concepisce gli imperativi dell’utilità pubblica, salvo che il suo giudizio sia
manifestamente sprovvisto di base ragionevole.”[16]
In altri termini, i concetti
di “utilità pubblica” ed “interesse generale” si ricollegano all’ampio margine
di apprezzamento riservato a beneficio dello Stato in materia di lesioni della
proprietà. b.
la condizione di legalità: l’art.1 Prot.1 prevede che la privazione della proprietà avvenga
“nelle condizioni previste dalla legge” e che la disciplina dell’uso del bene
sia fondata su “le leggi da essi [gli Stati] ritenute necessarie.” Il principio di legalità vuol costituire una garanzia contro
l’arbitrario. Esso richiede l’esistenza ed il rispetto di norme di diritto interno
sufficientemente accessibili, precise e prevedibili.[17]
Di più, il rinvio all’ordinamento nazionale non è solo formale ma riguarda
anche la qualità della legge: essa dev’essere compatibile con il principio
della preminenza del diritto. La preminenza del diritto, uno dei princìpi fondamentali in una società
democratica, è immanente all’insieme degli articoli della Convenzione[18]
e postula il dovere dell’autorità pubblica di conformarsi alle sentenze rese
nei suoi confronti.[19] Tuttavia, la competenza della Corte europea è limitata per quanto
concerne la valutazione circa la conformità di una misura al diritto interno.[20]
Anche in questa materia, spetta in primo luogo alle autorità nazionali, ed alle
autorità giudiziarie in particolare, applicare ed interpretare le norme
interne, il controllo operato a Strasburgo limitandosi in tal caso a verificare
l’assenza di carattere arbitrario nell’interpretazione o nell’applicazione
della legge. 1.3.2. il controllo di proporzionalità: questo controllo,
logicamente successivo a quello delle condizioni giustificative,[21]
consiste nella verifica dell’adeguatezza e proporzionalità della misura di
ingerenza nella proprietà rispetto allo scopo della legge, ovverossia
nell’accertamento della “necessità” della lesione. In altre parole,
proporzionalità equivale a bilanciamento tra interesse collettivo ed interesse
individuale. “Il rispetto del rapporto di
proporzionalità deve dipendere essenzialmente dalla severità delle restrizioni
imposte,” cioè dall’intensità dell’attentato alla proprietà.[22] Così, in materia di
imposizione il controllo di proporzionalità è assai ristretto, se non
addirittura formale. Anche nell’ambito della
disciplina dell’uso dei beni, è riconosciuto allo Stato un ampio margine
d’apprezzamento quanto al contemperamento tra gli imperativi dell’interesse
generale e quelli della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
Purtuttavia in alcuni casi la Corte ha reputato che l’interferenza dei pubblici
poteri nella proprietà imponesse un peso speciale ed eccessivo a carico delle
vittime e quindi spezzasse l’equilibrio fra la protezione del diritto di queste
ultime al rispetto dei propri beni e le esigenze della collettività.[23] Al contrario, nel quadro
della cd. “lesione della sostanza,” il controllo di proporzionalità appare più
rigoroso, avvicinandosi ad un vero e proprio controllo di opportunità. Infine, in ipotesi
privazione della proprietà, “per apprezzare se sia stato conservato un giusto
equilibrio tra i diversi interessi in causa e, tra l’altro, se non sia stato
imposto un peso eccessivo alla persona privata della proprietà, occorre
indubbiamente aver accesso alle condizioni di risarcimento.”[24]
Invero, la Corte ha statuito
che il rispetto del rapporto di proporzionalità[25]
esige la previsione del diritto ad un indennizzo di un ammontare ragionevole a
favore del soggetto spogliato della proprietà:[26]
perciò, l’entità della compensazione è un elemento che va preso in
considerazione per valutare, in definitiva, se l’esproprio è o non è
giustificato. “Senza il versamento di una
somma […] la privazione della proprietà normalmente costituirebbe una lesione eccessiva che non
potrebbe giustificarsi sul terreno dell’art.1.”[27] Il principio appare dunque
di applicazione pressoché assoluta. E d’altro canto anche la maggior parte
delle Carte costituzionali europee richiede la corresponsione di un’indennità
in caso di espropriazione o nazionalizzazione. Secondo la giurisprudenza di
Strasburgo, la somma da versare deve ragionevolmente riflettere il valore del
bene espropriato. Tuttavia, non può essere garantito a colui che ne è stato
privato un indennizzo che ripari integralmente il pregiudizio subìto: obiettivi
legittimi di pubblica utilità, quali ad esempio riforme di carattere economico
o misure decise nel quadro di una politica di giustizia sociale, possono
giustificare una compensazione inferiore al valore di mercato del bene. Ma anche quanto all’importo
dell’indennità di espropriazione va rispettata la volontà del legislatore nazionale,
salvo, ancora una volta, che l’esercizio dei poteri ad esso riservati si riveli
manifestamente sprovvisto di base ragionevole. 1.4. Il diritto di cui
all’art.1 Prot.1 come diritto condizionato — Da tutto quanto detto
emerge che i margini entro i quali gli Stati possono adottare misure
restrittive della proprietà privata sono molto estesi. Dal momento che gli Stati Contraenti aderiscono a concezioni sui
diritti umani diverse e spesso confliggenti, è compito della Corte Europea
ricomporre tale disomogeneità con il riconoscimento e lo sviluppo di un
effettivo e ragionevolmente uniforme standard di protezione dei diritti della
Convenzione e il margine di apprezzamento, che è principio di giustificazione
più che di interpretazione, le consente di indicare il grado di rispetto degli
obiettivi che le Parti potrebbero aspirare a perseguire. In linea di massima non si
dubita della convenienza di una pressoché assoluta deferenza nei riguardi della
scelta degli scopi che lo Stato può legittimamente porsi: solo in casi del
tutto eccezionali la Corte ha qualificato come contrastante con la Convenzione
una norma interna sulla base dell’obiettivo che essa mirava a realizzare. D’altro canto, però, quella
cui mostra di conformarsi la giurisprudenza europea in materia di margine di
apprezzamento è un’interpretazione indubbiamente, finanche troppo, estensiva:
vasti settori politici e decisionali risultano così sottratti ad un effettivo
scrutinio dell’organo di Strasburgo. In altre parole, si può dire
che la Convenzione europea e gli annessi Protocolli paiono in realtà riposare
sul consenso delle Parti Contraenti.[28] D’altronde, però, quella medesima flessibilità ermeneutica che lascia
spazio alla discrezionalità degli Stati e quindi ad una certa disarmonia
complessiva del sistema può anche consentire a criteri latamente sociali di
fare il loro ingresso nel campo dei diritti civili e di libertà, tra i quali il
diritto di proprietà: ad esempio, è indubbio che l’eliminazione delle
ingiustizie sociali è uno degli scopi principali che i legislatori democratici
si prefiggono ed a cui possono sacrificare diritti e posizioni soggettive. In conclusione, mutuando da
Drzemczewski[29] la
classificazione dei diritti protetti dal corpus
europeo in “diritti assoluti”, che non soffrono alcuna deroga, “diritti
minimi”, costituenti il minimo comun denominatore accettabile dagli Stati
Contraenti, ed infine “diritti condizionati”, sottoposti nel loro esercizio ad
un certo numero di restrizioni, non si può che convenire che il diritto di
proprietà protetto dall’art.1 Prot.1 rientra in quest’ultima categoria. E la
sua conciliabilità con i diritti sociali nonché la sua maggiore o minore
prossimità al concetto di “diritto alla proprietà,” di cui al capitolo
precedente, dipendono proprio dalla qualità e quantità delle restrizioni cui
esso viene sottoposto nel quadro della Convenzione europea. Un’esaustiva analisi di tale
questione esula dall’oggetto del presente lavoro, che invece si concentrerà
esemplificativamente su due casi giurisprudenziali europei in materia di
“occupazione acquisitiva,” rapportandoli proprio al parametro della “funzione
sociale” della proprietà. CAPITOLO SECONDO LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO A CONFRONTO CON IL PRINCIPIO
GIURISPRUDENZIALE ITALIANO DELL’“OCCUPAZIONE ACQUISITIVA”: PARALLELO TRA DUE
DECISIONI (sentt. Carbonara e Ventura c. Italia e Belvedere Alberghiera
c.Italia) SOMMARIO: 2.1. Le fattispecie litigiose - 2.2. L’origine dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva:” Cass.
S.U. 26 febbraio 1983 n. 1464- 2.3.
Gli sviluppi dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva” successivi alla
sentenza 1464/1983 - 2.4. Le
decisioni della Corte Europea - 2.5. L’istituto
dell’“occupazione acquisitiva” e il diritto di proprietà di cui all’art.1
Prot.1: tra principio di legalità e “funzione sociale” - 2.1. Le fattispecie
litigiose — Ci si confronta ora con i due casi giurisprudenziali europei, decisi
con sentenze di pari data ed inerenti entrambi, pur con delle differenze,
all’applicazione del principio giurisprudenziale italiano dell’“occupazione
acquisitiva”: la sent.Carbonara e Ventura
c. Italia[30] e la sent. Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia.[31] La lettura della regola
pretoria de quo[32] alla luce dell’art.1 Prot.1 consentirà
infatti di vagliare il concreto atteggiarsi del parametro della “funzione
sociale” della proprietà nel quadro europeo: il tema propone una “paradigmatica
ipotesi di conflitto tra interessi pubblici ed interessi privati ed una
altrettanto paradigmatica ipotesi di soluzione.”[33] Ambedue le fattispecie
sottoposte all’esame della Corte Europea hanno tratto origine dall’occupazione sine titulo di tutto o parte di un fondo
privato ad opera della Pubblica Amministrazione. Però in nessuna delle due
vicende l’apprensione materiale del terreno da parte dei pubblici poteri poteva
qualificarsi illegittima ab initio. Invero, nel caso Carbonara e Ventura l’illegittimità è
sopravvenuta allorché l’occupazione si è protratta al di là della scadenza
autorizzata, mentre nel caso Belvedere
Alberghiera s.r.l. il titolo su cui la presa di possesso si fondava è stato
successivamente annullato, seppure con efficacia ex tunc. Ma andiamo con ordine. La prima controversia può
essere sintetizzata come segue. Scaduto il termine fissato
per l’occupazione d’urgenza, da parte del Comune di Noicattaro, di una porzione
del fondo di loro proprietà ai fini di edificazione di una scuola e non essendo
intervenuti per circa otto anni né un
decreto formale di espropriazione né la corresponsione di un’indennità in loro
favore, i ricorrenti, i cittadini italiani Carbonara e Ventura appunto, si
determinavano ad esperire un’azione civile per ottenere il risarcimento dei
danni e ciò facevano nella primavera del 1980. Il contenzioso si
concludeva, esauriti tutti e tre i gradi di giudizio, ben 13 anni dopo, con
sentenza definitiva di rigetto della richiesta risarcitoria degli attori, sul
presupposto della prescrizione del loro diritto ad esser tenuti indenni del
pregiudizio subìto, prescrizione che, in forza dell’applicazione del principio
dell’“occupazione acquisitiva,” doveva ritenersi intervenuta decorsi cinque
anni dalla conclusione dell’opera pubblica (fine del 1972). In particolare, né la Corte
d’Appello né la Corte di Cassazione avevano accolto l’allegazione dei
ricorrenti secondo cui una simile interpretazione sarebbe equivalsa ad
un’applicazione retroattiva del termine quinquennale di prescrizione del
risarcimento dei danni, dato che la giurisprudenza aveva definitivamente
enucleato la succitata regola, detta anche dell’“espropriazione indiretta,”
solo con la sentenza del Supremo Collegio n.1464 del 16.2.1983, cioè più di
dieci anni dopo la data di compimento dei lavori per la costruzione della
scuola e a tre anni dalla pendenza della causa intentata dai ricorrenti stessi. I signori Carbonara e
Ventura si rivolgevano quindi a Strasburgo lamentando una lesione
ingiustificata del loro diritto al rispetto dei propri beni, in particolare per
violazione del principio della preminenza del diritto nonché di quello di
proporzionalità. Analoga doglianza veniva
addotta dalla Belvedere Alberghiera s.r.l., società di diritto italiano, nella
seconda controversia in esame, ma in circostanze di fatto diverse. In questo caso,
l’Amministrazione comunale di Monte Argentario aveva proceduto alla materiale
apprensione del terreno di proprietà della ricorrente in forza di un’ordinanza
di occupazione d’urgenza, emanata in conformità al progetto, precedentemente
approvato dal Comune medesimo, di costruzione di una strada su quel suolo. La proprietaria del fondo adiva quindi il giudice amministrativo, che
all’esito della procedura annullava, perché non atta a realizzare un interesse
pubblico, la delibera di approvazione del progetto, unitamente agli atti
conseguenti. A questo punto, dopo una
serie di lettere di diffida alla rimessione in
pristino rimaste inevase, la Belvedere Alberghiera promuoveva un giudizio
di ottemperanza avanti al T.A.R., ovvero una procedura esecutiva al fine di
ottenere la restituzione del terreno. Il T.A.R., però, con
decisione confermata in appello dal Consiglio di Stato, rigettava il ricorso
sul presupposto che l’esecuzione della prima sentenza di annullamento era di
fatto resa impossibile dal sopraggiunto trasferimento della proprietà del suolo
in capo al Comune di Monte Argentario, trasferimento intervenuto, in virtù di
“espropriazione indiretta,” alla conclusione dei lavori di costruzione della
strada, salva comunque restando la facoltà della ricorrente di agire, nel
termine di prescrizione di cinque anni, per il risarcimento del danno subìto. Prima di procedere oltre,
però, appare opportuna una breve digressione sull’istituto giurisprudenziale
dell’“occupazione acquisitiva.” 2.2. L’origine dell’istituto
dell’“occupazione acquisitiva:” Cass. S.U. 26 febbraio 1983 n. 1464— Quello dell’“occupazione
acquisitiva” è un istituto di creazione pretoria attraverso il quale i giudici
civili italiani hanno cercato di riparare con un’anomala legittimazione a quei
casi in cui una Pubblica Amministrazione abbia occupato sine titulo, ab initio o
in base ad atti amministrativi poi annullati ovvero oltre i termini fissati nel
decreto di occupazione d’urgenza, e perciò in modo illecito, immobili di
proprietà privata, realizzandovi opere pubbliche o comunque dandovi di fatto
una destinazione pubblica. Casi questi con i quali le
autorità giudiziarie ordinarie si son trovate purtroppo a doversi confrontare
con una certa frequenza nel corso degli anni ’70. Prima della consacrazione
del principio de quo con la sentenza
della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 26 febbraio 1983 n. 1464,[34]
gli orientamenti giurisprudenziali sul controverso problema erano
essenzialmente tre. Secondo un primo indirizzo,[35]
prevalente, la realizzazione di opere destinate in via permanente al
soddisfacimento di un pubblico interesse su un fondo privato occupato
illegittimamente privava il proprietario della facoltà di chiedere la
restituzione del fondo o la demolizione dell’opera e lo legittimava soltanto ad
ottenere il risarcimento del danno causato dal fatto illecito della Pubblica
Amministrazione, lasciando peraltro inalterato il diritto di proprietà,
ancorché svuotato in via definitiva di contenuto economico. Cosicché era solo
il successivo decreto di espropriazione eventualmente intervenuto a
regolarizzare l’assetto proprietario del bene. Il secondo orientamento
riteneva possibile, in ipotesi di mere attività materiali compiute senza il
consenso del proprietario sul fondo privato ad opera della Pubblica
Amministrazione, la condanna della stessa ad uno specifico facere (rilascio o demolizione o altro).[36]
Il che, peraltro, non toglieva che il giudice preposto all’esecuzione di quelle
sentenze di condanna non avrebbe potuto prescindere dalle peculiari
caratteristiche del debitore e dunque, in nome della tutela dell’indipendenza
dell’amministrazione, sarebbe di fatto rimasto impossibilitato a soddisfare in
forma specifica le ragioni del proprietario, facendogli ottenere la
restituzione del bene occupato, là dove quest’ultimo fosse già stato fatto
oggetto di opere pubbliche intrasportabili o irreversibili. Entrambi questi indirizzi si
fondavano quindi sul presupposto che l’esecuzione di attività da parte dei
pubblici poteri su suolo altrui non incidesse sulla titolarità del diritto di
proprietà, diritto di proprietà in pratica però neutralizzato per
l’irreparabile perdita non solo del godimento ma anche di tutte le utilità
ricavabili dal bene. Al contrario, il terzo
orientamento giurisprudenziale[37]
ricollegava alla costruzione dell’opera pubblica l’effetto estintivo del
diritto di proprietà sul suolo privato illecitamente occupato, avendo in comune
con il primo l’impossibilità per il soggetto spogliato di ottenere altro dal
risarcimento pecuniario del danno, ma differenziandosi nettamente da entrambi
sotto il profilo della (non più) perdurante titolarità del diritto di proprietà
del fondo in capo al privato. La sentenza 1464/1983 ha
aderito sostanzialmente a tale ultimo indirizzo. La Corte aveva dinanzi a sé
due punti fermi ed un’apparente situazione di impasse. Le due certezze erano,
l’una, la realizzazione dell’opera ormai destinata in via permanente al
soddisfacimento del pubblico interesse così da non consentire in modo assoluto
l’ipotesi di reintegrazione in forma specifica[38]
connessa al permanere del diritto di proprietà in capo al privato, l’altra, era
la sicura illiceità dell’attività materiale eseguita dalla Pubblica
Amministrazione sul fondo privato che, sebbene fonte di responsabilità,
sembrava d’altro canto ostare ad ogni effetto appropriativo del bene in favore
della Pubblica Amministrazione stessa. La presunta impasse era data
proprio dalla difficoltà di ricomporre in modo soddisfacente l’assetto
proprietario del bene, senza dover ricorrere, per giustificare il formale
trasferimento del bene, ad un tardivo decreto di espropriazione, volto a
frustrare in pratica la fondata pretesa risarcitoria del privato.[39] La sentenza n. 1464 ha
superato l’ostacolo, negandolo in radice: il completamento dell’opera pubblica,
che implica la radicale trasformazione del fondo, può ben costituire al contempo
sia fattispecie acquisitiva-estintiva del diritto di proprietà, sia momento di
consumazione dell’illecito che abilita al risarcimento del danno pari al valore
venale del bene. “Nelle ipotesi in cui la
pubblica amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà
privata e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di
provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali
l’occupazione si configurava legittima,[40]
la radicale trasformazione del fondo- ove sia ritenuta dal giudice di merito
univocamente interpretabile nel senso dell’irreversibile destinazione di esso
al fine della costruzione dell’opera pubblica- da un lato comporta
l’estinzione, in quel momento,[41]
del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo
originario della proprietà del suolo in capo all’ente costruttore e dall’altro
costituisce un illecito (istantaneo, ad effetti permanenti) che abilita il
privato a chiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della
trasformazione del fondo nei sensi prima indicati, la condanna dell’ente
medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà,
mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva in quel
momento (oltre che del danno derivante dal mancato godimento del fondo nel
periodo di occupazione illegittima anteriore all’estinzione del diritto di
proprietà privata […]), con la rivalutazione […].”[42] Pertanto, l’acquisto della
proprietà a favore della Pubblica Amministrazione si verifica solo per la
congiunta presenza di due distinti presupposti: a) che si sia verificata la
radicale trasformazione del fondo occupato in conseguenza della realizzazione
di un’opera pubblica (anche in corso e prima della effettiva utilizzazione come
tale); b) che si versi in stato di illiceità del comportamento della Pubblica
Amministrazione stessa per inesistenza del provvedimento d’occupazione o per
sua sopravvenuta inefficacia. Ovverossia l’acquisizione non viene subordinata
al pagamento del prezzo del suolo, che sarà invece onere del privato
espropriato rivendicare. La regola dell’“occupazione
appropriativa” (altrimenti detta “espropriazione indiretta” o “accessione
invertita”), la quale in sostanza costituisce un’eccezione alla regola generale
secondo la quale la mancanza di un titolo valido ed efficace per la occupazione
dovrebbe comportare la restituzione dell’area occupata abusivamente anche nel
caso che su di essa fosse stata compiuta un’opera pubblica, è stata dalla
sentenza 1464/1983 enucleata ispirandosi ai “princìpi generali
dell’ordinamento.” In particolare, di quel principio che il Supremo Collegio
ritiene essere sotteso alla disciplina codicistica del fenomeno della
edificazione su suolo altrui invito
domino[43] ed in virtù
del quale regola per la composizione del conflitto tra costruttore e
proprietario sarebbe l’attribuzione della proprietà sia del suolo sia della
costruzione al soggetto portatore dell’interesse ritenuto prevalente secondo
una valutazione d’ordine economico-sociale. E, nel caso di occupazione sine titulo di un fondo privato per la
realizzazione di un’opera pubblica, tale valutazione comparativa si
risolverebbe in favore dell’ente pubblico avendo quest’ultimo agito, nel dare
al suolo quella destinazione, per la soddisfazione di un interesse non proprio
ma della collettività dei cittadini. Il principio-guida dell’istituto dovrebbe
quindi ricondursi a quella “funzione sociale” della proprietà che è consacrata
nell’art.422 della Carta Costituzionale italiana. 2.3. Gli sviluppi dell’istituto dell’“occupazione
acquisitiva” successivi alla sentenza 1464/1983 — Sin dal suo primo apparire
la sopra cita sentenza delle Sezioni Unite ha suscitato un vivacissimo
dibattito, soprattutto in dottrina.[44] Così, alcuni hanno
sottolineato come il venir meno di ogni facoltà di godimento del suolo occupato
non possa tout court assimilarsi ad
estinzione del diritto di proprietà su di esso, dovendosi ritenere ricompresi
nel diritto di proprietà anche i poteri di azione, ricuperatoria e risarcitoria,
la cui esperibilità viene legittimata proprio dalla perdita della cosa. E
questa tesi, seguita da qualche giudice di merito,[45]
trovava autorevole riscontro in una decisione del Supremo Collegio.[46] Si è poi rilevato che alla
base della cosiddetta “occupazione appropriativa” sta un atto illegittimo
(volontà dell’ente di impadronirsi della proprietà aliena), contrario ai
princìpi dell’ordinamento, i quali, a’ sensi dell’art.423 Cost.,
prevedono, invece, per l’acquisto della proprietà pubblica, l’osservanza delle
regole generali del procedimento di espropriazione: essa contraddirebbe quindi
il fondamentale principio di legalità cui si informa, o dovrebbe informarsi,
l’intera condotta della Pubblica Amministrazione. E così si discostavano dalle
Sezioni Unite del 1983 altri giudici di merito.[47] Tanto più, s’è evidenziato,
che la costruzione illegittima di un’opera su fondo altrui viene invece
considerata un illecito permanente se posta in essere da un soggetto privato,
sicché si hanno qualificazioni giurisprudenziali difformi dello stesso fenomeno
a seconda che l’agente sia un ente pubblico ovvero un privato.[48] Il che equivarrebbe alla
consacrazione del potere di supremazia della Pubblica Amministrazione.[49] Inoltre, stando all’editto
delle Sezioni Unite, il profilo dell’interesse pubblico verrebbe a confondersi
con la circostanza che l’occupante sia un soggetto pubblico e si farebbe così
luogo ad una situazione di privilegio soggettivo legata allo status della
Pubblica Amministrazione: la pubblica utilità, in questa logica, sarebbe
presunta iuris et de iure, non
essendo richiesta una previa ponderazione degli interessi, privati e
amministrativi, coinvolti.[50] Parte delle riserve espresse
confluirono nella su richiamata sentenza della Cassazione 3872/1987, la quale
dichiarò l’istituto dell’“occupazione appropriativa” in netto contrasto con la
disciplina sia costituzionale che codicistica sull’acquisto della proprietà e
propose una soluzione originale, interpretando la proposizione dell’azione di
risarcimento contro la Pubblica Amministrazione da parte del privato occupato
come volontà di abbandonare il diritto di proprietà a favore dell’occupante. Nonostante ciò, l’indirizzo
avviato con la sentenza 1464/1983 è stato efficacemente ribadito da altra
pronuncia delle stesse Sezioni Unite,[51]
pur con il correttivo dell’indefettibilità della dichiarazione di pubblica
utilità dell’opera e con l’esclusione quindi, pare, delle mere occupazioni di
fatto (ossia in assenza assoluta di titolo) dall’ambito di operatività
dell’istituto.[52] Nonostante le riserve
dottrinali,[53] lo sfavore
della giurisprudenza amministrativa[54]
e le timide correzioni apportate dalla Cassazione, l’istituto dell’“occupazione
acquisitiva” ha trovato definitivo avallo da parte del legislatore (art.3
l.27.8.1988 n.458),[55]
che per la verità, più che sancire la regola dell’accessione invertita, l’ha
“data per scontata.”[56] I contrasti[57] in merito alla durata quinquennale[58] o decennale[59] del termine di prescrizione del diritto al
risarcimento del danno subìto dal privato proprietario per la perdita del
diritto di proprietà in forza del principio dell’“occupazione acquisitiva” sono
poi stati definitivamente risolti dalle Sezioni Unite della Cassazione[60]
nel primo senso. Gli ultimi sviluppi
dell’istituto dell’“espropriazione indiretta” vanno nella direzione di una
progressiva ed ulteriore erosione del suo ambito di applicabilità: è oramai
pacifico che esso non si estenda alle ipotesi in cui i provvedimenti della
Pubblica Amministrazione, costituenti titolo per l’occupazione del suolo, siano
nulli ab initio[61] ma neppure allorché la dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera eretta o erigenda sul fondo privato venga annullata
dalle giurisdizioni amministrative.[62] La Corte Costituzionale è
stata chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’istituto
dell’“occupazione acquisitiva,”[63]
ma, preliminarmente dichiarandosi incompetente a giudicare di un principio
giurisprudenziale quale quello de quo,
ha comunque ritenuto legittimo il termine prescrizionale quinquennale
dell’azione di risarcimento correlativa ed ha affermato che il fatto che la
Pubblica Amministrazione acquisti una proprietà in virtù di un suo
comportamento illegittimo è compatibile con i princìpi costituzionali di
prevalenza dell’interesse pubblico, nella specie alla conservazione dell’opera
realizzata, sull’interesse del privato, al diritto di proprietà. Per una prima conclusione
non definitiva si può dire che il giudizio di valore sotteso al principio
dell’“occupazione appropriativa” conduce per un verso alla ratifica di quanto
compiuto contra legem
dall’Amministrazione e per altro verso priva l’Amministrazione stessa dello
strumento espropriativo, una volta decorso il termine di occupazione legittima.
Quindi, protezione sì dell’interesse pubblico, ma in un certo senso compensata
dall’obbligo della P.A. di corrispondere il valore effettivo del bene in moneta
rivalutata,[64] compenso che peraltro viene duramente pagato
dal privato con la prescrizione quinquennale del suo diritto.[65] Peraltro, il Governo
italiano, nel documento inviato all’Esperto indipendente incaricato dalla
Commissione sui Diritti Umani di stendere un rapporto sul diritto di proprietà,[66] mentre significativamente non fa espressa
menzione dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva,” riferisce che nel nostro
ordinamento costituisce requisito essenziale per l’espropriazione non solo
l’esistenza di un interesse pubblico ma anche il versamento di un equo
indennizzo e che qualsiasi esproprio posto in essere per uno scopo diverso da
quelli previsti dalla legge non può essere considerato legittimo (sic!). 2.4. Le decisioni della Corte Europea— Veniamo finalmente ai
nostri due casi giurisprudenziali europei e, per prima cosa, seguiamo passo
passo l’iter argomentativo sviluppato
dalla Corte nel vaglio degli stessi. Ciò che anzitutto balza agli
occhi è che, dietro un percorso logico puntualmente consequenziale, domina un
approccio eminentemente pragmatico: il giudice europeo in linea di massima si
astiene da un giudizio sull’istituto giuridico di cui gli organi nazionali
hanno fatto applicazione nonché sul modo in cui tale applicazione hanno dato e
focalizza la propria attenzione sugli aspetti concreti delle fattispecie
sottopostegli. In primis, in ambedue i casi in
esame, la Corte accerta l’esistenza, peraltro non contestata dalle parti in
causa, di lesioni della proprietà che qualifica come “privazioni,”
riconducendole sub art.1 Prot.1, I
alinea, II frase. Ma ciò essa fa non tanto, in abstracto, sul presupposto
dell’operatività dell’istituto dell’“occupazione acquisitiva,” quanto piuttosto
richiamandosi alla già ricordata nozione di “espropriazione di fatto,” il che
le consente di non ingerirsi nel merito del principio de quo e di attenersi quindi all’effettualità concreta delle
circostanze di fatto. Circostanze di fatto che si
traducono nell’impossibilità per i ricorrenti di ottenere, nel caso Carbonara e Ventura, il risarcimento dei
danni subìti per la perdita del loro fondo e, nel caso Belvedere Alberghiera, la restituzione del proprio suolo. A questo punto, la Corte
segue lo schema delineato nel capitolo precedente per l’accertamento della
violazione del diritto di proprietà, sottoponendo le due fattispecie di lesione
al vaglio preliminare delle condizioni giustificative e solo la prima anche a
quello, logicamente successivo, di proporzionalità. Per la precisione, il
controllo sulla condizione di finalità pare del tutto omesso nel caso Carbonara e Ventura, quasicché l’utilità
pubblica della privazione sia qui da reputarsi in re ipsa, non essendo stata caducata la dichiarazione di pubblica
utilità che ha originato il procedimento di occupazione d’urgenza, protrattosi
però oltre i termini. Al contrario, di verifica di
finalità il giudice europeo parla espressamente con riferimento al caso Belvedere Alberghiera, là dove,
nonostante l’annullamento, per inattitudine alla realizzazione dell’interesse
pubblico appunto, dei provvedimenti amministrativi incidenti sul diritto di
proprietà dei ricorrenti, gli organi giurisdizionali italiani hanno negato a
questi ultimi la rimessione in pristino
e dunque la restituzione del terreno illegittimamente occupato dalla Pubblica
Amministrazione. Comunque, anche in questa
seconda decisione, il controllo sulla condizione di finalità viene nei fatti
omesso, in quanto assorbito, o meglio superato, da quello sulla condizione di
legalità. Ed è questo il vaglio che si
rivela decisivo per la risoluzione di entrambe le controversie nel senso della
loro incompatibilità con l’art.1 Prot.1. La Corte ravvisa invero
nelle due fattispecie sottoposte al suo esame una violazione del principio di
preminenza del diritto. Nel suo ragionamento, ad
essere incompatibile con il requisito di legalità non è tanto il fatto che
quello dell’“occupazione acquisitiva” sia un principio di creazione meramente
pretoria che va a collocarsi nel quadro di un ordinamento continentale in cui i
precedenti giudiziari non sono vincolanti e le regole giurisprudenziali
risultano sottratte al sindacato di costituzionalità. Piuttosto, per i giudici di
Strasburgo, il principio di preminenza e certezza del diritto non è stato
rispettato data l’imprevedibilità ed arbitrarietà dei risultati
dell’applicazione dell’istituto in questione, imprevedibilità ed arbitrarietà
che discendono dalla contraddittorietà e non univocità degli orientamenti
giurisprudenziali in materia.[67] La Corte Europea non si
esime peraltro dal decretare una sorta di condanna dell’istituto
dell’“occupazione appropriativa” in sé, formulando delle riserve “sulla
compatibilità con il principio di legalità di un meccanismo che, in linea
generale, consente all’Amministrazione di trarre beneficio da una situazione
illegale e per effetto del quale il privato si ritrova di fronte al fatto
compiuto.”[68] A questo punto, però, le
argomentazioni, sin qui del tutto omogenee per le due fattispecie, vengono a
differenziarsi, stante i petita
diversi. Nel caso Carbonara e Ventura, data
l’imprevedibilità, o quantomeno la non prevedibilità all’epoca della scadenza
dei termini fissati nell’ordinanza d’occupazione d’urgenza, del trasferimento
del suolo all’Amministrazione, la certezza del quale trasferimento i ricorrenti
hanno raggiunto solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza che
decideva sulla loro domanda di riparazione, la tutela data dal risarcimento dei
danni è stata affatto vanificata ed è proprio per renderla effettiva che i
sigg.ri Carbonara e Ventura hanno adìto la Corte di Strasburgo. Perciò, qui la Corte non
dubita dell’effettivo acquisto della proprietà da parte della Pubblica
Amministrazione e mostra di ritenere che si tratti di un’espropriazione alla
quale fa difetto il pagamento di un’equa compensazione. In questo senso si può dire
che essa pervenga ad un esito negativo anche del controllo di proporzionalità.[69] Discorso diverso va fatto
invece per il caso Belvedere Alberghiera,
nel quale la Corte ha concluso per l’illegalità della privazione di proprietà
in sé, definendola come una “mainmise de l’Etat sur le terrain de la
requérante” (par.68), posto che la sentenza con cui il giudice amministrativo
aveva dichiarato l’illegittimità e la carenza di interesse pubblico
dell’occupazione del suolo non ha condotto alla restituzione dello stesso. Tale constatazione esonera
nella specie il giudice europeo dalla verifica della sussistenza di un giusto
equilibrio tra l’interesse generale e l’interesse individuale. In conclusione, i
dispositivi di entrambe le decisioni in esame contengono l’accertamento della
violazione dell’art.1 Prot.1 e la riserva a successivo procedimento, anche in
ragione di un eventuale accordo tra le parti in causa, della questione
dell’equa soddisfazione a’ sensi dell’art.41 della Convenzione, ritenuta non
matura per la decisione. Rimane dunque aperta una
questione di grande interesse con riferimento specialmente alla sentenza Belvedere Alberghiera, ove la ricorrente
ha chiesto innanzitutto e soprattutto la restituzione e la rimessa in pristino del fondo in contestazione,
atteso che sul punto dell’applicazione dell’art.41 il Governo italiano ha in
giudizio rappresentato che la detta restituzione, oltre ad essere impossibile
in forza del principio dell’“occupazione acquisitiva,” esulerebbe dall’ambito
di operatività dell’articolo de quo. 2.5 L’istituto dell’“occupazione acquisitiva” e il
diritto di proprietà di cui all’art.1 Prot.1: tra principio di legalità e
“funzione sociale” — L’istituto dell’“occupazione acquisitiva” si pone come emblematico
terreno di confronto/scontro, oltreché tra tutela della funzione amministrativa
e tutela del diritto di proprietà, tra la dogmatica del valore della legalità,
“pensosa dello stato di diritto e della garanzia,” e i caratteri dello stato sociale,
significativamente connessi al principio di efficienza.[70] Ecco perché nella
valutazione di quel principio dovrebbe rivestire un ruolo essenziale, accanto
al controllo sulla condizione di legalità, quello sulla condizione di finalità,
ovverossia sulla sussistenza o meno di un’utilità pubblica giustificativa della
privazione della proprietà. Dovrebbe, si diceva, poiché
in realtà le due decisioni della Corte Europea prese in esame hanno mostrato di
lasciare in ombra questo profilo: nel caso Carbonara
e Ventura, pur vertendosi in una fattispecie di illegittimità sopravvenuta
dell’occupazione del suolo, ed addirittura nel caso Belvedere Alberghiera, nel quale era causa di provvedimenti
amministrativi, incidenti su diritti soggettivi, annullati, ex tunc, proprio in quanto non idonei a
realizzare un interesse generale, l’organo di Strasburgo pare abbia preferito
glissare sull’aspetto dell’utilità pubblica e confinare al piano del controllo
di legalità il giudizio di incompatibilità delle fattispecie di “occupazione
appropriativa” con l’art.1 Prot.1. Così, si è legittimati a
ritenere che la Corte abbia finito per far propria una sorta di principio di
“intangibilità delle opere pubbliche,” sulla premessa, implicita, che le opere
pubbliche, una volta costruite, non vadano, sol perché violano le ragioni della
proprietà privata, demolite.[71] È questo un principio
vigente in numerosi ordinamenti giuridici, in forza del quale, di norma,
l’invasione fisica della proprietà privata da parte dell’Amministrazione al
fine di costruire un’opera pubblica determina la sottrazione del bene
all’originario proprietario, verso il pagamento di un’indennità. Del resto è quanto
apertamente emerge nell’opinione concordante alla decisione Belvedere Alberghiera espressa dal
giudice Rozakis, il quale all’uopo distingue tra “interesse pubblico
inesistente all’origine,” così come accertato dal giudice amministrativo che su
tale base ha annullato l’ordinanza di occupazione d’urgenza, ed “interesse
pubblico su cui riposa[va] l’espropriazione indiretta,” ovverossia interesse
alla protezione delle opere pubbliche già compiute. E ciò in perfetta assonanza
con la citata sentenza della Corte Costituzionale italiana n.188/1995. In questo stesso ordine di
idee, i giudici Lorenzen e Baka, nella loro comune opinione concordante alla
medesima sentenza, hanno giustamente sottolineato come nel caso Belvedere Alberghiera mai è stato
dubitato, né da parte degli organi giurisdizionali interni adìti né da parte
del Governo italiano, che la privazione della proprietà subìta dai ricorrenti
fosse stata posta in essere in spregio del requisito dell’interesse pubblico e
per ciò stesso in contrasto con l’art.1 Prot.1. In sostanza, poca attenzione
la Corte Europea ha riservato al controllo di finalità con riferimento ad un
principio, quello dell’“occupazione acquisitiva,” che è invece stato
concettualmente ispirato proprio dalla nozione di “funzione sociale” della
proprietà. Su questa linea, infatti,
v’è addirittura chi si è spinto tanto oltre da arrivare ad ipotizzare che
l’idea-base del nuovo modo di acquisto della proprietà da parte della Pubblica
Amministrazione possa estendersi ai rapporti tra privati: una interpretazione
del principio della “funzione sociale” attenta, ad esempio, alle esigenze della
produzione, potrebbe portare ad attenuare od offuscare la tradizionale regola
dell’accessione di mobili a immobili, res
solo cedit, nei casi in cui un terzo, pur non avendone titolo, trasformi un
suolo altrui in una nova res che
renda produttivo ciò che prima non lo era o comunque realizzi sullo stesso un
manufatto destinato a soddisfare interessi pubblici o collettivi di particolare
rilievo.[72] Così, “l’orientamento
giurisprudenziale avviato per risolvere i problemi nascenti dall’illegittima
utilizzazione dei suoli privati da parte della pubblica amministrazione, al di
là dei fatti contingenti che ne hanno costituito l’occasio, potrebbe essere considerato come la fase iniziale di un
processo di più vasta portata, destinato ad erodere ulteriormente alcuni dei
connotati tradizionali della proprietà immobiliare, ed il cui esito finale
potrebbe essere rappresentato dalla radicale trasformazione del vigente regime
della circolazione dei beni immobili:” la considerazione che gli usi del
territorio debbano soddisfare, prima ancora che gli interessi individuali dei
proprietari, l’insieme degli interessi (ambientali, paesaggistici, urbanistici,
igienico-sanitari, etc.) riferibili all’intera collettività che in quel
territorio hanno il punto di riferimento obiettivo logicamente non potrebbe che
suggerire di rendere accessibile e consentire la fruizione delle utilità
offerte da talune categorie di beni- particolarmente e socialmente rilevanti-
anche a soggetti diversi da quelli indicati dal regime di appartenenza dei beni
stessi, in modo da raccordare, appunto, in presenza di un conflitto tra più
soggetti circa l’uso su di un determinato terreno, le norme che ne disciplinano
l’appartenenza con la considerazione dell’utilizzazione concreta dello stesso
terreno. E ciò anche considerando che la crescente scarsità della
risorsa-suolo, specialmente nelle aree densamente abitate o intensamente
sfruttate, rende sempre meno tollerabili, pure rispetto ai princìpi
solidaristici, gli usi economicamente non efficienti delle stesse.[73] In altre parole, a sommesso
parere della scrivente, il confronto con l’istituto dell’“occupazione
acquisitiva” avrebbe potuto consentire alla Corte Europea di indicare sino a
che punto possano esplicarsi le potenzialità sociali insite nel diritto di
proprietà, se solo essa non avesse preferito non prendere partito sul punto per
muoversi invece, al fine di dare una soluzione alle questioni sottopostele, sul
più consolidato terreno del principio di legalità: un’occasione perduta! BIBLIOGRAFIA VINCENT BERGER, “La jurisprudence de la Cour européenne des Droits de l’Homme
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8.7.1986, Serie A n°102 Sent. Gillow, 24.11.1986, Serie A n°109 Sent. Tre Traktörer AB, 7.7.1989, Serie A n°159 Sent. Mellacher e altri c.
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19.12.1989, Serie A n°169 Sent. Håkansoon e Sturesson, 21.2.1990, Serie A n°171-A Sent. Kruslin c. Francia, 24.4.1990, Serie A n°176-A Sent. Hentrich c. Francia, 22.9.1994, Serie A n°296-A
Sent. I santi monasteri c. Grecia, 9.12.1994, Serie A n°301-A Sent. Papamichalopoulos c. Grecia, 31.10.1995, Serie A
n°330-B Sent. Zubani c. Italia, 7.8.1996, rich. n°14025/88 Sent. Guillemin c. Francia, 21.2.1997, rich.
n°19632/92 Sent. Iatridis c. Grecia, 25.3.1999, rich. n°
31107/96 Sent. Immobiliare Saffi c. Italia, 28.7.1999, rich.
n°22774/93 Sent. Beyeler c. Italia, 5.1.2000, rich. n°
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Carotenuto «Giust.civ.», 1983, I, 707, annotata «Resp.civ.», 1983, 397, annotata «Riv.amm.», 1983, 337, con nota di Pallottino «Riv.giur.edilizia», 1983, I, 218, annotata Trib. Napoli 9.12.1983 in «Giur.it.», 1984, I, 2, 463, con nota di Annunziata CASS. 15.7.1986 n. 4567 in «Rep.Foro it.», 1986 Trib. Torino 23.1.1987 in «Giur.it.», 1988, I, 2, 522 CASS. 18.4.1987 n. 3872 in «Giust.civ.», 1987, I, 1662 T.A.R. Lazio 19.5.1988 n. 632 in «Foro Amm.», 1988, 3763 Cons. di Stato 28.5.1988 n.475 in «Cons. Stato», 1988, III, 1249 CASS., S.U., 10.6.1988 n. 3940 in «Giur.it.», 1988, I, 1, 1960 Trib. sup. acque pubbl., 22.4.1989 n. 36 in «Giur.it.», 1990, III, 1,
25 CASS., S.U., 8.8.1990 n. 8065 in
«Giur.it.», 1992, I, 1, 571, con nota di Baiocco CASS. 17.7.1991 n. 7952 in «Mass.Foro it.», 1991, n.296 CASS. 13.4.1992 n.4477 in «Mass.Foro it.», 1992, 392 CASS. 8.10.1992 n. 10979 in «Foro it.», 1993, I, 87 CASS., Sez.Un., 25.11.1992 n. 12546 in «Foro it.», 1993, I, 87 C.COST. 23.5.1995 n. 188 in «Giust.civ.», 1995, I, 1711 Cons. di Stato 12.7.1996 n. 874 in «Foro it.», 1996, III, 485 C.COST. 2.11.1996 n. 369 in «Foro it.», 1996, I, 3257 CASS. 16.7.1997 n. 6515 in «Foro it.», 1997, I, 3592 C.COST. 30.4.1999 n. 148 in «Foro it.», 1999, I, 1715 [1] La Convenzione è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950, il Protocollo Addizionale, al contrario, il 20 marzo 1952. Entrambi sono stati ratificati e resi esecutivi in Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848. [2] La versione inglese dell’articolo è la seguente: “Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law. The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a state to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties.” Mentre quella francese recita così: “Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international. Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes.” [3] Sent. Marckx c.
Belgio, 13.6.1979, Serie A n°31, par.63, la quale, tra l’altro, ha
specificato che l’art.1 Prot.1 si riferisce solo ai beni attualmente esistenti
nel patrimonio della persona (n.50). [4] LAURENT SERMET, La
Convention européenne des Droits de l’Homme et le droit de propriété,
Strasbourg, 1991, p.18. [5] ABR. FROWEIN, “The protection of property” in The European system for the protection of
Human Rights, Dordrecht, 1993, p.515. [6] N° 7456/76, Wiggins c. Regno Unito, decisione della Commissione 8.2.1978, D.R.13, p. 40. [7] Sent. Mellacher
e altri c. Austria, 19.12.1989, Serie A n°169, p. 38. [8] Ad esempio le autorizzazioni e licenze necessarie all’espletamento di attività economiche. Cfr. sent. Tre Traktörer AB, 7.7.1989, Serie A n°159, sulla configurabilità come bene protetto dall’art.1 Prot.1 di una licenza di commercio. [9] Sent. Van Marle
e altri, 26.6.1986, Serie A n°101. [10] N° 4139/69, X c. Paesi Bassi, decisione della Commissione 20.7.1971, D.R.38, p.9. In seguito, la Commissione ha precisato che, pur essendovi “bene”, non potrebbe essere garantito il “diritto ad un importo determinato”, benché “in certi casi, una riduzione sostanziale dell’ammontare della rendita potrebbe essere considerata lesiva della sostanza stessa del diritto di restare beneficiario del sistema di assicurazione per la vecchiaia” (N° 5849/72, Müller c. Austria, decisione della Commissione 16.12.1974, D.R.1, p.46, corsivo aggiunto). [11] Sent. Sporrong
e Lönnroth c. Svezia, 23.9.1982, Serie A n°52, par.61. [12] Sent. James e
altri c. Regno Unito, 21.2.1986, Serie A n°98-B, par.37. Cfr. anche le
sentt. I santi monasteri c. Grecia,
9.12.1994, Serie A n°301-A, par.56, e Iatridis
c. Grecia, 25.3.1999, rich. n° 31107/96, par.55. [13] “In assenza di un’espropriazione formale, cioè di un
trasferimento di proprietà, la Corte ritiene di essere tenuta a guardare al di
là delle apparenze e ad analizzare la realtà della situazione controversa. La
Convenzione protegge i diritti «concreti e effettivi». Ciò richiede che si
verifichi se la detta situazione equivalga ad un’espropriazione di fatto, come
assunto dagli interessati”: sent.
Sporrong e Lönnroth, cit. Cfr.
anche sent. Papamichaloupoulos e altri c.
Grecia, 31.10.1995, Serie A n°330-B, con riferimento alla perdita di
qualsiasi disponibilità del bene accompagnata dall’insuccesso dei tentativi
volti a porre rimedio alla situazione dannosa. [14] Sent. Sporrong e Lönnroth, cit. Nella fattispecie i ricorrenti lamentavano l’ingerenza nel loro diritto di proprietà dovuta a permessi di esproprio concessi dalla Giunta Comunale di Stoccolma. Secondo la Corte, tali permessi riducevano il diritto di proprietà in modo da renderlo precario e revocabile, in quanto soggetto ad una eventuale esecuzione della decisione di esproprio. La Corte ha osservato che la durata della procedura (ventitrè anni) aveva fatto sì che i proprietari rimanessero per tale lasso di tempo in una completa incertezza. In più, la legislazione non prevedeva la possibilità di controllare ad intervalli ragionevoli il peso rispettivo da attribuire agli interessi della città e a quelli dei proprietari. A ciò si aggiungeva la misura del divieto di costruzione che aumentava il pregiudizio a carico dei ricorrenti. [15] CATARINA KRAUSE, “The right to property,” in Economic, social and cultural rights, Dordrecht, 1995, p. 153. [16] Sent. James e altri c. Regno Unito, cit., par. 46. [17] Cfr. sent.
James e altri c. Regno Unito, cit.,
par. 67; sent. Lithgow e altri c. Regno
Unito, 8.7.1986, Serie A n°102, par. 110; sent. Kruslin c. Francia, 24.4.1990, Serie A n°176-A; sent. Hentrich c. Francia, 22.9.1994, Serie A
n°296-A, par. 42. [18] Sent. Iatridis c. Grecia, 25.3.1999, rich. n° 31107/96, par. 58. [19] Sent. Belvedere
Alberghiera S.r.l. c. Italia, 30.5.2000, rich. n°31524/96, par. 56. [20] Sent. Håkansson e Sturesson, 21.2.1990, Serie A n°171-A, par. 47. [21] Sent. Iatridis c. Grecia, cit., par. 58; sent. Beyeler c. Italia, 5.1.2000, rich. n° 33202/96, par. 107. [22] Sent. Gillow,
24.11.1986, Serie A n°109, parr. 148 e 157. [23] Cfr. sent. Immobiliare Saffi c. Italia, 28.7.1999, rich. n°22774/93, par. 59. [24] Sent. Lithgow e altri c. Regno Unito, cit., par. 120. [25] Il diritto ad indennità in caso di espropriazione vien fatto discendere dalla struttura complessiva dell’art.1 Prot.1 piuttosto che dagli ivi richiamati “princìpi generali del diritto internazionale”, tra i quali pure è rinvenibile la regola secondo cui ogni privazione della proprietà comporta un’indennità pronta, adeguata ed effettiva. Invero, essendo la giurisprudenza costante della Corte nel senso di escludere l’applicabilità dei suddetti princìpi all’esproprio dei cittadini, il fondare sugli stessi princìpi il diritto ad una giusta compensazione costituirebbe motivo di ingiustificata discriminazione tra stranieri e cittadini. [26] Sent. James e altri c. Regno Unito, cit., par. 54. La Corte Europea, nella sent. Guillemin c. Francia, 21.2.1997, rich. n°19632/92, ha ritenuto conforme ai dettami dell’art.1 Prot.1 la sottoposizione della domanda di risarcimento, proposta dal proprietario di un terreno illegittimamente occupato da una Pubblica Amministrazione, a un defatigante percorso giudiziario articolato in una pluralità di gradi e distribuito fra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria, purché il risarcimento intervenga entro un tempo ragionevole. Del pari, non è stata ritenuta in contrasto con i princìpi sulla tutela della proprietà la legge nazionale che garantisca l’interesse della collettività nel caso di esproprio o di occupazione illegittima, escludendo la restituzione dell’area e prevedendo però a favore del proprietario il risarcimento integrale del pregiudizio subìto (comprensivo di rivalutazione monetaria a far tempo dal provvedimento illegittimo). Un importo del genere, tuttavia, non è stato reputato sufficiente qualora il proprietario che abbia subìto un esproprio illegittimo abbia dovuto proporre un iter processuale inammissibilmente lungo e complesso: sent. Zubani c. Italia, 7.8.1996, rich. n°14025/88. Allorché, invece, si versi in un’ipotesi di lesione della proprietà diversa dalla privazione la Corte è chiamata preliminarmente a constatare la violazione dell’art.1 Prot.1 ai fini della concessione di un’“equa soddisfazione” a’ sensi dell’art.41 della Convenzione. [27] Sent. Lithgow e altri c. Regno Unito, cit., par. 121, corsivo aggiunto. [28] R.ST.J. MACDONALD, “The margin of appreciation in the
jurisprudence of the European Court of Human Rights” in Collected courses of the Academy of European law, Dordrecht, 1992,
p.162. [29] ANDREW DRZEMCZEWSKI, “Le droit à la propriété et la Commission européenne des Droits de l’Homme” ne Il diritto di proprietà nel quadro della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 1989. [30] Dec. 30.5.2000, rich. n° 24638/94. [31] Dec. 30.5.2000, rich. n° 31524/96. Si legge anche in «Guida al diritto», n. 39/2000, p. 108, con nota di SALVATORE MEZZACAPO. [32] La quale per il momento può essere così riassunta: occupato illegittimamente dalla Pubblica Amministrazione un fondo di proprietà privata per la costruzione di un’opera pubblica, la sua radicale trasformazione, in quanto irreversibilmente destinato alla realizzazione dell’opera pubblica stessa, produce l’acquisto a titolo originario della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione e l’insorgere del diritto del privato al risarcimento del danno derivante dalla perdita del proprio diritto dominicale. [33] MARIO CALOGERO, L’occupazione
acquisitiva, Milano, 1996, p.13. [34] In «Foro it.», 1983, I, 626, con nota di Oriani;
«Giur.it.», 1983, I, 1, 1629, con nota di Annunziata; «Giur.it.», 1983, I, 1,
674; «Giust.civ.», 1983, I, 1736, con note di Mastrocinque, Annunziata e
Carotenuto; «Giust.civ.», 1983, I, 707, annotata; «Resp.civ.», 1983, 397,
annotata; «Riv.amm.», 1983, 337, con nota di Pallottino; «Riv.giur.edilizia»,
1983, I, 218, annotata. [35] Cfr. CASS., Sez. I, 14.4.1982 n. 2341, in «Mass. Foro it.», 1982; CASS., Sez. Un., 23.7.1981 n. 4741, in «Giust.civ.Mass.», 1982; CASS., Sez. I, 13.12.1980 n.6452, in «Foro it.», 1981, I, 1082; CASS., Sez. I, 3.12.1980 n. 6308, in «Giust.civ.Mass.», 1980. [36] Cfr., tra le altre, CASS., Sez.Un., 4.5.1976 n. 1578, in «Giur.it.», 1977, I, 1, 1571 e CASS. 22.10.1980 n. 5679, in «Giust.civ.Rep.», 1980. Il divieto di revoca dell’atto amministrativo imposto all’autorità giudiziaria ordinaria dall’art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, l.20 marzo 1865, n.2248, all.E (II comma: “L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”) nell’interpretazione tradizionale impediva al giudice ordinario di condannare la Pubblica Amministrazione ad un facere. La giurisprudenza richiamata, invece, secondo una lettura più attenta al dettame costituzionale dell’art.113 (garanzia al privato della più ampia tutela nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione), considerava il suddetto art.4 applicabile esclusivamente agli atti costituenti legittimo esercizio di potestà amministrativa o ad attività esecutive di questi, ma mai a meri comportamenti materiali. [37] Avviato da CASS., Sez.I, 8.6.1979 n. 3243, in «Giust.civ.», 1979, I, 1629. [38] Espressivo è il vecchio adagio “ouvrage public mal planté ne se détruit pas.” In questo senso MARIO CALOGERO, op.cit., p. 15, parla di “chimera della restituzione del suolo.” [39] Invero, l’indennità di espropriazione è ben inferiore al valore venale del bene. [40] Secondo l’art.73 della legge sulle espropriazioni forzate per causa di utilità pubblica, l.25.6.1865 n.2359, le occupazioni temporanee “non possono in nessun caso essere protratte oltre il termine di due anni decorrenti dal giorno in cui ebbero luogo,” cosicché alla scadenza del biennio divengono illegittime. La legge 22 ottobre 1971 n. 865, Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica e norme sull’espropriazione per pubblica utilità, disciplina poi una procedura di espropriazione accelerata: dichiarata la pubblica utilità dell’opera erigenda ed adottato il progetto di costruzione, la Pubblica Amministrazione può decretare l’occupazione d’urgenza delle zone da espropriare per un periodo determinato inferiore ai cinque anni, entro il quale devono intervenire il decreto di espropriazione formale e il pagamento di un’indennità. [41] Per la precisione, questo è il momento di perfezionamento della fattispecie estintivo-acquisitiva esclusivamente nell’ipotesi in cui un provvedimento di autorizzazione all’occupazione del fondo privato manchi del tutto, laddove, se un tale provvedimento sia stato originariamente emanato, è solo alla scadenza del periodo di occupazione legittima che il privato perde la proprietà e la Pubblica Amministrazione la acquista (CASS. 1464/1983, cit., n.9). [42] Massima di CASS. 1464/1983, cit. [43] Del quale, peraltro, regola base, ben sintetizzata nell’antico aforisma “omne quod inaedificatur solo cedit,” è quella, inversa, dell’accessione del mobile all’immobile, cioè dell’attribuzione della proprietà dell’opera costruita al titolare del fondo sul quale essa insiste. [44] Di cui dà conto ALESSANDRA BAIOCCO, Note minime in tema di occupazione appropriativa, nota a CASS., Sez.Un., 8.8.1990 n. 8065, in «Giur.it.», 1992, I,1, 571 ss. [45] Trib. Napoli 9.12.1983, in «Giur.it.», 1984, I, 2, 463, con nota di Annunziata. [46] CASS., 18.4.1987 n. 3872, in «Giust.civ.», 1987, I,
1662. [47] Trib. Torino 23.1.1987, in «Giur.it.», 1988, I, 2, 522. [48] A.C.V.C., nota a CASS. 1464/1983, in
«Riv.giur.edilizia», 1983, I, 231. [49] R. ORIANI, nota a CASS. 1464/1983, in «Foro it.»,
1983, I, 627; ALESSANDRA BAIOCCO, op.cit.,
574. Secondo RENATO MASTROCINQUE, Il
potere e il diritto, nota a CASS. 1464/1983, in
«Giust.civ», 1983, I, 1739, la Corte di Cassazione, con la sent. 1464/1983, ha
inopinatamente esteso una regola tipica del solo diritto privato, ossia una
regola di composizione di conflitti tra soggetti posti su di un piede di
parità, all’ambito del diritto pubblico, il quale è invece per definizione
dominato dal principio della prevalenza dell’interesse generale sull’interesse
privato. Contra,
MICHELE PALLOTTINO, Occupazione illecita
di un fondo e realizzazione dell’opera pubblica: acquisto istantaneo della
proprietà da parte dell’Amministrazione, nota a CASS. 1464/1983, in
«Riv.amm.», 1983, 342. [50] GAETANO CAROTENUTO, L’opera pubblica su suolo privato. Una soluzione che lascia perplessi, nota a CASS. 1464/1983, in «Giust.civ», 1983, I, 1742 ss. pone l’accento sul fatto che il carattere pubblico dell’opera che insiste sulla proprietà privata, il quale solo giustifica l’acquisto in capo alla Pubblica Amministrazione, richiede necessariamente un segno non equivoco di riconoscimento, che però non può essere costituito dalla sola circostanza che l’opera sia intrapresa dall’Amministrazione (elemento soggettivo): occorre anche l’elemento oggettivo o teleologico dato dall’atto formale con il quale viene dichiarata la pubblica utilità dell’opera stessa. Analogamente, MARIO CALOGERO, op.cit., p. 18: “Si deve riconoscere che [la P.A.] non ha una posizione di rispetto innanzi ai privati sol perché deputata al soddisfacimento di interessi generali, ma solo in quanto essa eserciti le potestà che la legge le attribuisce, secondo le forme tipiche loro proprie: al di fuori dell’esercizio della funzione mediante il procedimento e l’atto in cui il procedimento culmina e di cui è forma, l’azione amministrativa rientra […] sotto la disciplina del diritto comune.” [51] CASS., Sez.Un., 10.6.1988 n. 3940, in «Giur.it.», 1988, I, 1, 1960. [52] Questo è l’indirizzo che pare oramai consolidato: nello stesso senso CASS., 13.4.1992 n.4477, in «Mass.Foro it.», 1992, 392, per la quale l’“occupazione appropriativa” “postula la dichiarazione di pubblica utilità di tale opera, per un necessario riscontro della rispondenza della medesima agli interessi generali; in difetto di detto requisito, pertanto, il privato non perde il diritto di proprietà e può agire davanti al giudice ordinario per il recupero del bene in via tanto petitoria quanto possessoria.” [53] Tra cui anche una serie di perplessità di ordine tecnico-giuridico, in merito al regime del bene occupato e a quello della sua circolazione (pubblicità; trascrizioni; tutela del terzo in buona fede, dell’originario proprietario e dello stesso occupante illecito; profili fiscali; coesistenza di altri diritti sul bene; e così via). Cfr. A.C.V.C., nota a CASS. 1464/1983, cit., p. 230. [54] T.A.R. Lazio, 19.5.1988 n. 632, in «Foro Amm.», 1988, 3763; Cons. di Stato, 28.5.1988 n.475, in
«Cons. Stato», 1988, III, 1249; Trib. sup. acque pubbl., 22.4.1989 n. 36, in «Giur.it.», 1990, III, 1, 25. [55] “Il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, ad esclusione della retrocessione del bene. […]” [56] FRANCESCO PUGLIESE, “Occupazione nel diritto
amministrativo” in Digesto delle
Discipline Pubblicistiche, Torino, 1995, p. 270. [57] Anche in dottrina si sono levate voci critiche non solo della quinquennalità del termine di prescrizione (“una prescrizione così breve, in relazione ai lunghi termini già stabiliti dalla legge per il compimento della procedura di esproprio ed alla normale lentezza delle pratiche burocratiche [è destinata a paralizzare] la maggior parte delle azioni risarcitorie dei proprietari privati contro la P.A.:” A.G., nota a CASS. 1464/1983, in «Resp.civ.», 1983, p. 410) ma pure dell’incertezza del dies a quo, coincidente con la radicale ed irreversibile trasformazione del suolo. Così, R. ORIANI, op.cit., p. 628 paventava che nell’indagine rivolta all’individuazione di tale momento fosse fortemente probabile assistere ad una frequente inversione degli atteggiamenti del privato e della Pubblica Amministrazione secondo il contenuto della causa: posto che lo stesso fatto produce sia il diritto del privato al risarcimento del danno sia l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione del diritto, e cioè un effetto favorevole ed uno sfavorevole per entrambe le parti, la P.A. talvolta avrà interesse a sostenere che la trasformazione si è verificata (come nella pratica si è verificato sin da subito con una certa frequenza: MICHELE ANNUNZIATA, Ancora sull’accessione invertita come modo di acquisto della proprietà in favore della Pubblica Amministrazione, nota a Trib.Napoli, 9.12.1983, in «Giur.it.», 1984, I, 2, p.465), onde veder maturato il termine di prescrizione, talaltra avrà invece interesse ad escludere che le medesime innovazioni abbiano provocato la trasformazione irreversibile del bene, per farne discendere la legittimità del decreto di espropriazione e quindi il pagamento dell’indennità in luogo del molto più oneroso risarcimento del danno. MICHELE PALLOTTINO, op.cit., p. 354, si poneva poi il problema, con riferimento alla sent. n.1464, della sorte delle vicende allora in corso in cui da molto più di cinque anni (e dunque con azione prescritta) le Amministrazioni occupavano illecitamente terreni privati con opere pubbliche in esercizio: ai proprietari degli stessi non avrebbero dovuto essere riconosciuti neppure gli indennizzi di espropriazione. [58] CASS. 1464/1983. [59] CASS. 17.7.1991 n. 7952, in «Mass.Foro it.», 1991, n.296; CASS. 8.10.1992 n. 10979, in
«Foro it.», 1993, I, 87. [60] CASS., Sez.Un., 25.11.1992 n. 12546, in «Foro it.», 1993, I, 87. [61] CASS. n.1907/1997: il privato resta titolare del diritto di proprietà sul suolo, il che lo legittima a richiedere, con azione imprescrittibile, la restitutio in integrum dello stesso o, alternativamente, il risarcimento dei danni. [62] Cons. Stato, 12.7.1996 n. 874, in «Foro it.», 1996, III, 603; CASS., 16.7.1997 n. 6515, in «Foro it.», 1997, I, 3592. L’interessato è legittimato a chiedere la remissione in pristino o, in alternativa, il risarcimento del danno, nel termine di prescrizione di cinque anni decorrenti dal passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo. [63] C.COST., 23.5.1995 n. 188, in «Giust.civ.», 1995, I,
1711. [64] In realtà, mentre la giurisprudenza si è sempre pronunciata per una riparazione integrale, commisurata al valore venale del fondo, del danno da “espropriazione indiretta”, il legislatore ha invece cercato di ancorare in qualche modo l’ammontare del risarcimento all’importo dell’indennità di espropriazione: prima, equiparandolo tout court a quest’ultimo, con l’art.5bis del decreto-legge 11.7.1992 n. 333, dichiarato però incostituzionale con sent. 2.11.1996 n. 369, in «Foro it.», 1996, I, 3257, poi, con la legge finanziaria n.662 del 1996, dichiarata costituzionale sul punto dalla sentenza C.COST. 30.4.1999 n. 148, in «Foro it.», 1999, I, 1715, quantificando il ristoro, in ipotesi di occupazione per causa di pubblica utilità intervenuta dopo il 30 settembre 1996, in misura pari all’indennità di esproprio riveduta in aumento per l’operare di coefficienti determinati. [65] R. ORIANI, op.cit., p. 628. [66] LUIS VALENCIA RODRÌQUEZ, The right of everyone to own property alone as well as in association with others, UN doc.E/CN.4/1994/19, nn. 413-417. [67] Cfr. par. precedente. [68] Carbonara e Ventura, n.66; Belvedere Alberghiera, n.59. Nella sua opinione concordante alla decisione Belvedere Alberghiera, il giudice Bonello manifesta forti perplessità sul fatto che la somma di due atti illegali dia luogo a dei diritti in favore del contravventore. [69] La Commissione, nel suo rapporto sul caso Carbonara e Ventura, aveva reputato sufficiente a concludere per la violazione dell’art.1 Prot.1 l’accertamento del mancato versamento di un’indennità ai ricorrenti. [70] FRANCESCO PUGLIESE, op.cit., p. 271. [71] MARIO CALOGERO, op cit., p. 122, con riferimento al caso, sotto questo profilo sostanzialmente analogo, Papamichaloupoulos e altri c. Grecia, cit. [72] MARIO CALOGERO, op cit., pp. 200 e s. [73] Ibidem. |
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