inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2003

Dai diritti dell’infanzia alla carta europea dei diritti dei bambini in ospedale

Renzo Remotti


Giornalista pubblicista

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In un famoso saggio del 1958 per la prima volta l’opinione pubblica venne resa consapevole che l’ospedalizzazione per un bambino è sempre un trauma (J. Robertson, Bambini in ospedale, Feltrinelli, I ed. it. 1973). Robertson dimostrerà con dovizia di prove sperimentali che l’allontanamento dei piccoli pazienti dai propri genitori durante la degenza in ospedale provocava gravi sofferenze mentali. Per quegli anni tale conclusione fu tutt’altro che scontata, dato che persino la pediatria, sulla base di una definizione della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, era considerata semplicemente una branca specialistica della medicina generale. Il bambino era un “piccolo adulto”, con la conseguenza che i problemi psicologici dell’ospedalizzazione erano i medesimi di quelli propri degli adulti. Per le stesse ragioni non si sentiva nemmeno l’esigenza di elaborare un diritto speciale dei bambini in ospedale. Nel 1959 la Commissione ministeriale inglese Platt giungerà confermerà le argomentazioni di Robertson.

L’effetto di queste teorie furono immediate. Se il fanciullo aveva una sensibilità differente da quella adulta e se il ricovero in ospedale gli aggiungeva un ulteriore stato di sofferenza psicologica, sul piano giuridico emergeva la necessità di un diritto speciale.

Il riconoscimento dei diritti individuali, tuttavia, da parte di uno Stato o della comunità internazionale non è mai un’operazione neutrale; un’attività tanto solenne, quanto priva di effetti pratici. Se ciò fosse vero non si spiegherebbero le difficoltà, i ritardi e talvolta l’opposizione dichiarata degli Stati a firmare dichiarazioni di tale natura. Benché, come lucidamente scritto da un’autorevole penna: “Che gli individui e i popoli vengano considerati [...] soggetti di diritto internazionale mi sembra dunque un fatto acquisito. [tuttavia] essi rimangono sforniti delle armi per far valere quei diritti e poteri. Se questi vengono violati o misconosciuti i popoli possono ribellarsi e financo ricorrere alla forza armata, gli individui, invece, rimangono impotenti e devono subire l’arbitrio [...]” (A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, 1994, pp. 88-89), è certo che le dichiarazioni universali abbiano un valore giuridico fondamentale. Riconoscere un diritto, infatti, significa prima di tutto ammettere la soggettività giuridica della persona, dotata di dignità e individualità proprie. Senza questa prima fase non esisterebbe nemmeno la giuridica necessità di tutela né ci si potrebbe richiamare ad alcunché. Per la stessa ragione fin dalle origini le Nazioni Unite, dopo aver riconosciuto la generica categoria di “uomo”, ne ha individuato molte altre (i migranti etc.) in un processo molto complesso teso a riconoscere bisogni sempre più specifici. Al di là delle differenze più o meno evidenti che distingue l’uno o l’altro documento, l’aspetto che accomuna tutte queste realtà è proprio il riconoscimento della soggettività giuridica di ciò che si potrebbe chiamare la specificità dei bisogni umani. E’, infatti, attraverso la differenziazione di categorie sempre più strette in seno alla più ampia di uomo che il diritto fa emergere lentamente diritti che rispecchiano sempre più i bisogni specifici.

Questo lavoro delle Nazioni Unite non è stato vano, in quanto ha permesso l’introduzione in molti ordinamenti statali di questi documenti, che una volta recepiti divengono diritto interno, tutelato dai vari Tribunali statali.

Peraltro, almeno a livello europeo, con la costituzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo si è riconosciuto anche il diritto di presentare ricorso davanti a un collegio di giudici indipendenti contro gravi violazioni dei diritti individuali. Ciò significa che la carta europea dei diritti fondamentali dell’uomo, presto testo integrante della II parte della costituzione europea, e tutte le carte di simile natura, saranno atti giuridici vincolanti per i governi degli Stati che l’hanno ratificata o la ratificheranno.

Il riconoscimento del bambino come soggetto giuridico rientra proprio in questo processo di specificazione dei bisogni umani e l’introduzione dei diritti del bambino ospedalizzato un’ulteriore passo avanti. Non vi è dubbio che la tutela della salute rimane l’obiettivo primario, tanto maggiore se coinvolge i bambini.

Nel 1924 la Quinta Assemblea Generale della Lega delle Nazioni approvò la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del bambino. Essa consisteva di cinque principi: il bambino ha diritto a uno sviluppo fisico e mentale, a essere nutrito, curato, ha il diritto di essere riportato ad una vita normale se vive in ambienti demoralizzati, accudito e aiutato, se orfano.

Poco tempo dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 da un lato introdusse, con l’art. 2, il principio dell’uguaglianza e della non discriminazione, secondo cui a ciascuna persona è riconosciuta la qualità di soggetto giuridico capace di godere di tutti i diritti e di tutte le libertà che sono enunciate senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di ogni altra opinione, d'origine nazionale o sociale, di condizioni economiche, di nascita o di ogni altra condizione; dall’altro ai sensi dell’art. 25, comma secondo si sancì la necessità di concedere una protezione speciale alla maternità e all’infanzia. Si introdusse così l’idea di un diritto speciale per i bambini, esattamente perché portatori di esigenze diverse dagli adulti.

Il 20 novembre 1959 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tornò sul tema dei diritti dell'infanzia con una nuova Dichiarazione sui Diritti del Bambino, poiché: "il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolare, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita." La Dichiarazione constava di 10 principi in cui si ribadivano i diritti a un sano sviluppo psico-fisico, a non subire discriminazioni, ad a vere un nome, una nazionalità, assistenza e protezione dallo Stato di appartenenza. Il primo principio contenuto in questa dichiarazione stabilisce: “Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione  e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico intellettuale morale spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità. Nell'adozione delle leggi rivolte a tal fine la considerazione determinante deve essere del fanciullo.” Si approfondisce il concetto di protezione speciale, ma in materia più strettamente sanitaria il principio quarto prevede genericamente un diritto a ricevere cure mediche adeguate, senza una vera e propria differenziazione con interventi sanitari rivolti agli adulti. In particolare si legge nel documento: “Il fanciullo deve beneficiare della  sicurezza sociale. Deve poter crescere e svilupparsi in modo sano. A tal fine devono essere assicurate, a lui e alla madre le cure mediche e le protezioni sociali adeguate, specialmente nel periodo precedente e seguente alla nascita Il fanciullo ha diritto ad una alimentazione, ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate.”

Di particolare interesse, infine, anche ai fini del riconoscimento dei diritti sanitari del bambino, è inoltre il diritto all'educazione e a cure particolari nel caso di handicap fisico o mentale.

Un altro aspetto appare evidente. La dichiarazione del 1959 non fa alcun cenno al diritto d’opinione, come, invece, l’art. 12 della Convenzione universale dei diritti dei bambini del 1989. I bambini devono essere protetti, curati, devono poter avere spazi dove sviluppare la propria creatività, ma si pensa che non abbiano ancora il diritto di esprimere una vera e propria opinione, in quanto, essendo ancora immaturi, non sono capaci di scelte autonome. Questa concezione è particolarmente aggravata in ospedale, dove il bambino è trattato come una persona malata e non viene considerata la parte sana, proprio quella che potrebbe compensare e talvolta superare la malattia. 

Altre dichiarazioni in ambito internazionale specifiche sono la Dichiarazione sui principi sociali e giuridici relativi alla protezione al benessere dell'infanzia con particolare riferimento all'affidamento e all'adozione su piano nazionale ed internazionale (risoluzione 41/85 dell'Assemblea generale, del 3 dicembre 1986), dell’insieme di regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia minorile ("regole di Bering" risoluzione 40/33 dell'Assemblea generale del 29 novembre 1985) e della Dichiarazione sulla protezione delle donne e dei fanciulli nelle situazioni di emergenza e di conflitto armato (risoluzione 3318 (XXIX) dell'assemblea generale, del 14 dicembre 1974), oltre ai protocolli facoltativi della convenzione sui diritti dell’infanzia riguardanti il coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati e il traffico di bambini, la prostituzione infantile e la pornografia infantile. Il diritto alla salute parve accantonato.

Solo con la Convenzione del 20 novembre 1989 che si ottiene una protezione piena e completa dell'infanzia. Quest’ultimo documento, infatti, non si limita ad una dichiarazione di principi generali, ma, se ratificata, rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli Stati contraenti, che dovranno uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione per far sì che i diritti e le libertà in essa proclamati siano resi effettivi. La Convenzione ribadisce tutti i diritti già in precedenza riconosciuti, ma aggiunge l’obbligo internazionale in capo a tutti gli Stati di introdurre leggi e politiche a favore dell’infanzia e perciò ad essi si rivolge direttamente. Il diritto alla salute è garantito dall’art. 24, ma ancora una volta in un ottica di tutela, piuttosto che di valorizzazione della personalità del bambino. Viene, cioè, introdotto l’obbligo di assistenza, prevenzione, informazione in materia sanitaria, ma nulla è previsto in tema di trattamento dei bambini ospedalizzati.

Del resto nemmeno la Carta dei diritti dell’Unione Europea approvata a Nizza il 7 - 9 dicembre 2000 ha introdotto novità in merito. L’ articolo 24 prevede il diritto alla protezione ed alle cure necessarie per il benessere dei bambini, la libertà di esprimere la propria opinione, la preminenza dell’interesse superiore del bambino negli atti compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, il diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori “qualora ciò non sia contrario al suo interesse”.

Nel 1986 venne abbozzata una Carta Europea dei Diritti dei bambini, proposta dalla European Association for Children in Hospital, documento che, pur di grande rilievo, rimane sprovvisto di una vera e propria veste giuridica, nonostante sia stata oggetto, sempre nel 1986, di una raccomandazione del Parlamento Europeo e, sulla base di quest’ultima, nel 1988 dodici di associazioni impegnate nel volontariato in ospedale si siano incontrate a Leida, nei Paesi Bassi, su iniziativa dell'associazione "Kind en Ziekenhuis" (Bambino e ospedale) dove fu redatta la carta di Leida (universalmente conosciuta come carta di Each). Essa riassume in dieci punti i diritti del bambino in ospedale.

Attualmente, sulla base di un progetto depositato presso il Parlamento Europeo, si vuole trasformare questo documento, opportunamente modificato, in una vera e propria Carta Europea dei diritti dei bambini in ospedale, giuridicamente vincolante per le famiglie e il personale sanitario. Il bambino ospedalizzato verrebbe riconosciuto in modo completo come soggetto giuridico dotato di specifici diritti, scaturenti dal suo essere ricoverato in un’istituzione sanitaria.

La Carta si presenta in otto punti essenziali, con i quali vengono introdotti il diritto al ricovero del bambino solo se l’assistenza non può essere fornita altrettanto bene a casa o in regime ambulatoriale; il diritto ad avere accanto, in ogni momento del ricovero, i genitori o un loro sostituto senza costi aggiuntivi; il diritto ad essere informato in modo adeguato ad età e capacità di comprensione (i genitori o i tutori, invece, hanno il diritto di essere informati in modo completo), il diritto di partecipare al consenso, soprattutto quando viene coinvolto in un progetto di ricerca o sperimentazione clinica; il diritto ad essere assistito insieme a bambini con le stesse esigenze psicofisiche, evitando il ricovero in reparti per adulti; il diritto ad avere piena possibilità di gioco, ricreazione e studio; il diritto all’assistenza da parte di personale con preparazione adeguata alle sue necessità fisiche, emotive e psichiche; il diritto ad essere trattato con tatto e comprensione e a veder rispettata l’intimità in ogni momento.

In conclusione si può dire che, una volta approvata questa Carta europea, il diritto farà un passo avanti in direzione dei diritti dell’individuo, piuttosto che di prerogative di Stati.