inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2004

La protezione delle minoranze nell'ambito del Consiglio d'Europa: la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali.

di Avv. Marco Dugnani

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La necessità di un Trattato specifico relativo alla protezione delle minoranze nazionali fu avvertito in seno al Consiglio d'europa a seguito dei tragici eventi politici che contraddistinsero le regioni balcaniche dopo il disfacimento dell'Unione sovietica.

La stabilità europea iniziò a sentirsi minacciata dalle tensioni che sarebbero potute scaturire dai numerosi Stati che comprendevano al loro interno, e tutt'ora comprendono, delle minoranze nazionali.

Aperta alla firma il 1 febbraio 1997, la Convenzione quadro sulla protezione delle minoranze nazionali è entrata in vigore il 1 marzo 1998. Si connota come il primo Trattato internazionale multilaterale sui diritti delle minoranze.

Una delle questioni più controverse e dibattute a riguardo attiene alla definizione giuridica del concetto di "minoranza nazionale".

Non esiste, infatti, nel diritto internazionale positivo (nè la Convenzione quadro ha posto rimedio a tale lacuna) alcuna definizione giuridica di tale categoria.

La problematica attinente alle garanzie da assicurare agli appartenenti di minoranze nazionali impone, inoltre, a priori una scelta tra due differenti concezioni d'intendere la categoria dei diritti e delle libertà:

 

1) I diritti e le libertà che, garantiti senza alcuna discriminazione, pongono le minoranze sullo stesso piano degli altri cittadini dello Stato.

 

2) I diritti e le libertà che conferiscono una sorta di trattamento preferenziale alla minoranza, al fine di salvaguardare le proprie caratteristiche e, soprattutto, di assicurare alle stesse un'uguaglianza reale ed effettiva.

 

La Convenzione quadro oggetto della presente dissertazione, invece, pur rilevando che (art. 4): "le parti s'impegnano a garantire ad ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale il diritto all'eguaglianza di fronte alla legge e ad una eguale protezione della legge", riconosce agli appartenenti alle minoranze nazionali alcune prerogative specifiche (di seguito meglio esplicitate) connaturate alla propria specificità.

La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e specificamente il suo art. 14, non riconosce, invece, che la prima delle su menzionate categorie, precisando che: "il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione".

 

Le fondamenta per la redazione convenzionale vennero gettate nell'ambito del Consiglio d'Europa dalla Raccomandazione 1201 dell'Assemblea parlamentare, rivolta al Consiglio dei Ministri.

Tale Raccomandazione propose l'aggiunta di un protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo teso a garantire ed assicurare i diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, all'interno del quale avrebbe potuto ricevere finalmente codificazione la definizione giuridica di "minoranza nazionale", e sarebbe stata prevista la competenza di un organismo giurisdizionale internazionale (la Corte europea dei diritti dell'uomo) per il controllo del rispetto e dell'attuazione delle disposizioni della Convenzione, tutte direttamente ed immediatamente applicabili.

 

Proprio a causa delle sua grande incisività e determinatezza, la Raccomandazione 1201 non mancò di suscitare la ferma opposizione di alcuni Stati membri, quali la Francia, la Turchia e la Grecia.

Il concetto politico di Stato nazione proprio di questi ultimi Stati, infatti, si opponeva ex se al riconoscimento giuridico delle minoranze nazionali effettivamente presenti sul loro territorio.

Secondo quanto sostenuto dai propri rappresentanti diplomatici, tali Stati, fondati sul principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, non potevano che respingere il riconoscimento di determinati ed ulteriori diritti nei confronti di una solo categoria di cittadini, ritenendo che il principio di uguaglianza fosse di per sè sufficiente alla protezione delle minoranze.

Tali opposizioni causarono il definitivo abbandono dell'idea di un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e portarono alla redazione di una Convenzione quadro sulla protezione delle minoranze nazionali tuttavia sprovvista dell'efficacia e della diretta applicabilità garantite, invece, dal Protocollo.

Infatti, il concetto stesso di "Convenzione quadro", cioè di uno strumento giuridico definito limitatamente agli obiettivi da perseguire ma non nelle modalità per conseguirli, rivela evidentemente la volontà degli Stati contraenti di lasciarsi un ampio spazio di manovra politica nell'attuazione delle disposizioni della Convenzione.

 

Un'ulteriore debolezza della Convenzione, si concretizza nell'ormai cronica assenza della definizione del concetto di "minoranza nazionale". Le divergenze tra le delegazioni degli Stati contraenti circa il contenuto preciso di tale definizione hanno impedito qualunque tentativo di codificazione.

La mancata definizione permette ad alcuni paesi, quali la Francia e la Turchia, di non addivenire alla ratifica della Convenzione, facendo apparire non giuridicamente contestabile la pretesa degli stessi di non avere al proprio interno alcuna minoranza nazionale.

In merito, invece, agli Stati che hanno già provveduto alla ratifica la Convenzione (l'Italia ha reso esecutiva la Convenzione con la legge n. 302, del 28 agosto 1997), si deve rilevare che la stessa lacuna genera una grave situazione di incertezza giuridica in merito all'esatto campo d'applicazione ed alle modalità di attuazione della Convenzione stessa.

Alcuni Stati membri, infatti, al momento della ratifica della Convenzione hanno ritenuto di formulare delle dichiarazioni unilaterali precisando la loro interpretazione del concetto di minoranza nazionale, con l'evidente finalità di allontanare o di limitare quanto più possibile il campo di applicazione della Convenzione stessa.

Eccone una disamina:

La Repubblica d’Austria dichiarò che il termine "minoranze nazionali" ai sensi della Convenzione va inteso come indicante i gruppi che rientrano nel campo di applicazione della legge austriaca sui gruppi etnici (Volksgruppengesetz, Bundesgesetzblatt n. 396/1976), che vivono e che hanno avuto tradizionalmente il proprio domicilio in regioni del territorio della Repubblica d’Austria e sono composti di cittadini austriaci di lingua materna diversa da quella tedesca e aventi culture etniche proprie.

La Repubblica dell’Azerbaigian e l'Assemblea nazionale della Repubblica bulgara dichiararono che la ratifica della Convenzione e l’attuazione delle sue disposizioni non implicano nessun diritto a svolgere un’attività che violi l’integrità territoriale e la sovranità o la sicurezza interna e internazionale delle stesse.

La Danimarca dichiarò che la Convenzione quadro si applicha alla minoranza tedesca nello Jutland meridionale, facente parte del Regno di Danimarca.

La Repubblica d’Estonia dichiarò d'intendere il termine "minoranze nazionali" riferito ai cittadini d’Estonia che risiedono sul territorio dell’Estonia, mantengono legami di lunga data, stabili e duraturi con l’Estonia, si distinguono dagli Estoni per le proprie caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche, si adoperano per preservare le proprie tradizioni culturali, la propria religione o la propria lingua, che costituiscono la base della loro identità comune.

La Repubblica federale di Germania dichiarò di considerare minoranze nazionali i Danesi di nazionalità tedesca e i membri del popolo sòrabo di nazionalità tedesca. Dichiarò di applicare la Convenzione anche ai gruppi etnici residenti tradizionalmente in Germania, quali i Frisoni di nazionalità tedesca e i Sinti e i Rom di nazionalità tedesca.

Il Principato del Liechtenstein ed il Governo di Malta dichiararono d'interpretare gli articoli 24 e 25 della Convenzione considerando che minoranze nazionali ai sensi della Convenzione quadro non esistono sul territorio del Principato del Liechtenstein e su quello di Malta. I due Stati considerarono la ratifica della Convenzione un atto di solidarietà in vista degli obiettivi della Convenzione.

La Repubblica di Macedonia dichiarò che le disposizioni della Convenzione saranno applicate alle minoranze nazionali albanese, turca, valacca, rom e serba viventi sul territorio della Repubblica di Macedonia.

La Repubblica di Polonia dichiarò di intendere come "minoranze nazionali" i residenti sul territorio della Repubblica di Polonia, i cui membri sono pure cittadini polacchi.

La Federazione di Russia considerò che nessuno è abilitato a introdurre unilateralmente nelle riserve e dichiarazioni fatte al momento della firma o della ratifica della Convenzione una definizione del termine "minoranza nazionale" non figurante nella Convenzione stessa. Secondo la Federazione di Russia, sono contrari ai fini della Convenzione i tentativi di escludere dal campo di applicazione della Convenzione le persone residenti in modo permanente sul territorio degli Stati Parte della Convenzione, le quali siano state private arbitrariamente della nazionalità che avevano precedentemente.

Il Governo della Repubblica di Slovenia dichiarò di considerare quali minoranze nazionali le popolazioni italiane e ungheresi autoctone. Dichiarò di voler applicare le disposizioni della Convenzione anche ai membri della comunità rom della Repubblica di Slovenia.

La Svezia dichiarò che le minoranze nazionali in Svezia sono rappresentate dai Sami, dai Finno-svedesi, dai Tornedalers, dai Rom e dagli Ebrei.

La Svizzera dichiarò di considerare minoranze nazionali ai sensi della Convenzione i gruppi di persone numericamente inferiori al resto della popolazione del Paese o di un Cantone, che sono di nazionalità svizzera, mantengono legami antichi, solidi e duraturi con la Svizzera e sono animati dalla volontà di preservare ciò che costituisce la loro identità comune, principalmente la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione o la loro lingua.

 

Una molteplicità di dichiarazioni unilaterali, dunque, tale da affievolare notevolmente la portata delle stesse disposizioni convenzionali.

 

Quanto, invece, al contenuto della Convenzione, questo consta di 32 articoli ripartiti in 5 titoli.

 

Il titolo I enuncia un certo numero di principi generali, trai quali il principio secondo cui la protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a queste minoranze fa parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell'uomo e, come tale, costituisce un settore della cooperazione internazionale (art. 1).

Viene, poi, affermato il principio secondo cui tutte le persone appartenenti a minoranze nazionali hanno il diritto di scegliere liberamente di esssere o meno trattate come tali, e che alcuno svantaggio deve derivare da tale scelta: niente assimilazioni forzate, dunque, nè della maggioranza sulla minoranza nè da quest'ultima sulla maggioranza (art. 3).

 

Nel titolo II sono enunciate le garanzie che la Convenzione riconosce agli appartenenti alle minoranze nazionali.

Gli Stati s'impegnano a promuovere un'uguaglianza piena ed effettiva tra le minoranze nazionali e la maggioranza, così come a conservare e sviluppare la cultura delle minoranze nazionali ed a preservare la loro religione, la loro lingua e le loro tradizioni (art. 4/2).

Gli Stati s'impegnano a promuovere le condizioni adatte a permettere alle persone appartenenti a minoranze nazionali di conservare e sviluppare la loro cultura, nonchè di preservare gli elementi essenziali della loro identità (art. 5).

Gli Stati s'impegnano, del pari, ad assicurare alle minoranze nazionali le libertà di riunione pacifica, di associazione, di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione (art. 7) e ad assicurare loro l'accesso ai media ed il loro utilizzo (art. 9).

Gli Stati s'impegnano ad adottare tutte le misure appropriate per proteggere le persone che potrebbero essere vittime di minacce o di atti di discriminazione, di ostilità o di violenza in ragione della loro identità etnica, culturale, linguistica e religiosa (art. 6/2).

Gli Stati s'impegnano, altresì, ad autorizzare l’uso delle lingue minoritarie in privato come in pubblico sia innanzi alle autorità amministrative, a riconoscere il diritto di utilizzare il proprio nome espresso nella lingua minoritaria, a riconoscere il diritto di presentare nella lingua minoritaria delle informazioni di carattere privato, ad impegnarsi nel presentare le indicazinoni topografiche nella lingua minoritaria (artt. 10, 11).

In materia d’educazione, gli Stati s’impegnano ad assicurare che le persone appartenenti a minoranze nazionali abbiano la possibilità d’apprendere la propria lingua minoritaria o di ricevere un insegnamento in questa lingua, ed a riconoscere alle minoranze nazionali il diritto di creare scuole d’insegnamento e formazione (artt. 12, 13).

Gli Stati s'impegnano a garantire il diritto di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale di essere informata, nel più breve termine e in una lingua che la stessa comprenda, delle ragioni del suo arresto, della natura dell’accusa portata contro di lei, nonché di difendersi nella propria lingua (art. 10).

Gli Stati s’impegnano, inoltre, a non impedire od ostacolare i contatti transfrontalieri degli appartenenti alle minoranze (art. 17), a favorirne la partecipazione alla vita economica, culturale, sociale, alla vita pubblica (art. 15), e ad astenersi dal prendere misure che, modificando le proporzioni della popolazione in un'area geografica ove risiedono persone appartenenti a minoranze nazionali, abbiano lo scopo di attentare ai diriti ed alle libertà enunciate dalla Convenzione quadro (art. 16).

Gli Stati s'impegnano a non ostacolare il diritto delle persone appartenenti a minoranze nazionali di partecipare ai lavori delle organizzazioni non governative tanto sul piano nazionale quanto internazionale (art. 17).

 

Il titolo III sancisce un principio (la cui affermazione limita grandemente l'efficacia stessa dei principi proclamati nella Convenzione) teso ad assicurare gli Stati che abbiano motivo di temere che la concessione di diritti specifici alle proprie minoranze nazionali possa alimentare tendenze secessionistiche: nessuna disposizione della Convenzione potrà, infatti, essere interpretata come implicante per un individuo un qualunque diritto di darsi ad un'attività o di realizzare un atto contrario ai principi del diritto internazionale e specialmente alla sovrana eguaglianza, all'integrità territoriale ed all'indipendenza politica degli Stati contraenti (art. 21).

Nessuna disposizione della Convenzione potrà essere interpretata come limitatrice o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che potrebbero essere riconosciuti conformemente alle leggi di ogni Stato membro o di ogni altra Convenzione alla quale questo Stato contraente è parte (art. 22).

 

Il titolo IV assicura che la valutazione dell’attuazione della Convenzione è affidata al Comitato dei Ministri, assistito a tal fine da un Comitato consultivo composto da esperti indipendenti (artt 24, 25, 26).

Le parti sono invitate a sottoporre periodicamente un rapporto implicante informazioni complete sulle misure legislative e di altro tipo, prese per attuare i principi della Convenzione quadro.

I rapporti degli Stati sono dapprima esaminati dal Comitato consultivo, che elabora un parere sulle misure prese da ciascuna parte. In seguito alla ricezione di tale parere, il Comitato dei Ministri si pronuncia circa l’adeguatezza delle misure prese dallo Stato interessato.

Il Comitato, potrà, in ogni modo, adottare delle raccomandazioni all’indirizzo della parte.

 

Il titolo V enuncia le modalità della firma, dell'entrata in vigore, nonchè della denuncia della Convenzione stessa (artt. 27-31).

 

La Convenzione quadro, pur rilevando innegabilmente come il primo Trattato politico internazionale per la protezione delle minoranze e codificando per la prima volta importanti principi, risulta non sufficientemente incisiva nè giuridicamente utile.

Le garanzie concesse alle minoranze, infatti, risultano assolutamente teoriche e, a causa della mancata definizione della nozione di "minoranze nazionali", inapplicabili proprio nei confronti di quelle entità statali che più grandemente hanno legiferato ed agito in violazione dei diritti delle minoranze (si pensi alla Turchia ed alla politica repressiva di quest'ultima nei confronti della minoranza curda).

Lo stesso titolo III della Convenzione, per contro, concede a qualsivoglia Stato la comoda protezione dei principi di tutela dell'integrità territoriale e dell'indipendenza dello stesso contro la concessione di qualunque non gradita garanzia e libertà. Tali principi, infatti, la cui definizione risulta tanto forte e così incontrovertibilmente devoluta all'autorità nazionale maggioritaria, possono agevolmente limitare e giungere paradossalmente a negare finanche lo stesso portato e le stesse garanzie proclamate nella Convenzione.

Quest'ultima, dunque, ben lungi dall'avere istituito effettivi meccanismi di attuazione delle garanzie proclamate (che rimangono, pertanto, astratte considerazioni) parrebbe aver inopportunamente codificato "la sovrana uguaglianza, l'integrità territoriale e l'indipendenza politica degli Stati", rafforzandole a discapito delle stesse minoranze.

Le minoranze nazionali, così prive di una concreta tutela giurisdizionale, si vedeno costrette per la difesa della propria identità ad un ricorso improduttivo (se non inesistente) innanzi ad organi di giurisdizione nazionale od innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, quest'ultima certo competente per la tutela dei diritti delle minoranze contro le discriminazioni (art. 14 CEDU), ma incapace di assicurare alle stesse ulteriori ed indispensabili forme di garanzia.

Un simile quadro giuridico non è in grado d'impedire (e nemmeno di punire) l'eventuale attuazione di politiche di assimilazione forzata.

Avv. Marco Dugnani