Il diritto aborigeno tra colonialismo, immigrazione e multiculturalismo: le isole Fiji

di Barbara Faedda

 

a)     La conquista, l'immigrazione indiana, la politica

 

Fiji (Matanitu Ko Viti è il nome nella lingua nativa), caratterizzata da una miscellanea di genti e culture differenti, è sempre stata, nella sua storia, punto d'arrivo di viaggiatori ed emigranti: genti provenienti da Vanuatu, dalle Isole Salomone, da Samoa, Tonga, Rotuma, Kirabatis, Isole Cook, India, Cina, Europa, America, Australia e Nuova Zelanda. È forse il Paese più multietnico del Pacifico. 

Al di là degli approdi "locali", la storia coloniale delle isole Fiji inizia comunque nel 1643, all'arrivo di Abel Tasman. Fu però dopo circa due secoli che iniziò la vera e propria conquista anglosassone quando, a seguito dell'arrivo dei primi missionari europei a Lakeba, Fiji venne ceduta alla sovrana inglese. Quando ebbe inizio la colonizzazione britannica, la popolazione dell’arcipelago, calcolata attorno alle 200.000 unità, era formata per la quasi totalità da Fijiani, giunti in epoca remota dalla Melanesia. Decimati a contatto con i bianchi da gravissime epidemie, gli abitanti delle Fiji si ridussero ben presto a circa 80.000 individui.

Con la colonizzazione inglese ebbe inizio ovviamente anche la colonizzazione giuridico-culturale: il diritto britannico originario si sovrappose così ai costumi locali, agli etno-diritti.

Alla fine del XVIII secolo la costa sud-occidentale di Vanua Levu fu devastata dagli europei a seguito della scoperta del pregio e del notevole valore economico del legno di sandalo. Questo tipico legno profumato aveva, infatti, un costo molto alto in Cina e pertanto attrasse avventurieri che salparono così dai porti di molti Paesi, primo fra tutti l'Australia. Una grossa parte giunse nei primi anni dell'ottocento, ma diminuì di colpo quando le risorse furono in concreto esaurite, tra il 1810 e il 1814. Ma Fiji era un luogo ricco dal punto di vista delle risorse e dopo poco tempo fu scoperta un'altra sua ricchezza: la lumaca di mare, comunemente chiamata beche de mer. Dal 1830 in poi, flotte di marinai e navi mercantili arrivarono a Fiji dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dalla Cina, dagli Stati Uniti e dall'Europa; le armi da fuoco furono barattate (e consegnate ai capi villaggio) con il lavoro di ricerca ed essiccazione della beche de mer. Ciò incrementò negativamente la frequenza e l'intensità delle battaglie tribali.

A questo sfruttamento violento e indiscriminato si univano i problemi crescenti causati dalla cattiva gestione locale del potere: nella piccolissima isola di Bau, l'autoproclamato re delle Fiji si appellò alla regina Vittoria per prendere possesso del gruppo d'isole. Egli inoltre cercò disperatamente l'appoggio della sovrana inglese per porre fine alle ormai croniche guerre tribali e per pagare i suoi inimmaginabili debiti. Gli alti capi firmarono l'atto di cessione il 10 ottobre del 1874; dopo quasi un secolo esatto di controllo e dominio anglosassone, il principe Carlo restituì l'indipendenza alle Fiji lo stesso giorno dell'anno 1970.

Anche il settore demografico subì un forte attacco: già dopo un anno da quando fu proclamata colonia inglese, Fiji aveva perduto circa un quarto della sua popolazione a causa del morbillo, portato nel Paese dai capi tribali che ritornavano dalle loro visite ufficiali in Australia. Fu proprio a causa di queste forti perdite, unite agli effetti micidiali delle guerre interne, che il primo governatore britannico decise di seguire una politica già adottata nelle Mauritius e che consisteva nell'importazione vera e propria, sistematica e massiccia, di lavoratori provenienti dalle Indie. Tra il 1879 e il 1916, con l'arrivo dell'ultima nave, più di sessantamila indiani misero piede nelle isole Fiji. Il sessanta per cento rimase anche dopo la scadenza del contratto di lavoro. Nel tempo, a questa percentuale, si sommarono altri gruppi d'immigrati, quali per esempio la comunità cinese.

Gli immigrati indiani provenivano quasi per la maggioranza dalle caste delle regioni più interne, le più svantaggiate, alle quali purtroppo il lavoro manuale duro e penoso non era affatto sconosciuto. Essi, come in realtà tutti gli immigrati di ogni parte del mondo e di ogni periodo storico, vedevano nelle Fiji una terra promessa, un tentativo estremo per fare fortuna. Una vita dura tra malattie, omicidi, suicidi, ritmi lavorativi eccessivi: ciò non fermò però molti di loro dal rimanere lo stesso nelle Fiji, incoraggiati anche dal governo coloniale e dai datori di lavoro, i quali dettero volentieri il loro benvenuto ad una manodopera così a basso costo. La popolazione indiana crebbe notevolmente attraverso gli anni, fino a superare numericamente, negli anni quaranta, la popolazione indigena. Tuttavia, negli anni novanta i Fijiani riconquistarono il primato numerico, poiché gli indiani iniziarono ad emigrare stavolta in Australia e Nuova Zelanda. 

Fiji ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna, come abbiamo visto, il 10 ottobre del 1970, ma rimase nel Commonwealth fino al 1987, quando un colpo di stato militare rovesciò il governo di maggioranza indiana. A tal riguardo può essere adatta una considerazione, di tipo politico, di Serge Latouche: "La forma di Stato introdotta nei Paesi del Sud del mondo, e che si è sovrapposta a precedenti strutture sociali e politiche, è infinitamente più instabile e più pericolosa. Conseguenze di questo fatto sono la tendenza ricorrente ai colpi di Stato militari, all'esplosione d'interessi particolaristici e all'esasperazione di sentimenti di frustrazione dovuti alla perdita d'identità".

Fiji fu dichiarata repubblica nell'ottobre del 1987, con la creazione di un governo pro tempore, fino alla promulgazione della nuova costituzione nel 1990 e l'elezione di un governo civile due anni più tardi. Nella Camera dei Rappresentanti ci sono trentasette fijiani, ventisette indiani, un rotumano, cinque "misti" (europei, cinesi, isolani del Pacifico, ecc.): ciò a dimostrazione del fatto che oggi il voto è rigorosamente in linea con la rappresentanza numerica etnica. Per lo stesso principio è stabilito che ogni individuo può votare solo un rappresentante che sia del suo stesso gruppo. Il ramo giudiziale indipendente include la Corte Alta, una Corte d'Appello e la Corte Suprema, presieduta quest'ultima da un giudice capo, eletto dal Presidente. Il Parlamento provvede affinché siano applicate le leggi, incluse quelle tradizionali consuetudinarie, e ad oggi, fino a che non si dovesse decidere altrimenti, il diritto consuetudinario fijiano (per quel che ne rimane) ha pieno effetto come una qualsiasi parte del corpus di leggi del Paese. Oltretutto, l'amministrazione fijiana, sotto il controllo del Fijian Affairs Board, si considera un sistema esteso di governo locale, che opera anche per preservare le strutture tradizionali comunitarie.

Prima dei colpi di stato del 1987 vi erano due grandi partiti politici: l'Alliance Party, al potere dall'indipendenza e supportato dai nativi, dagli europei, dai cinesi e per un 25% da indiani, e il National Federation Party, supportato da indiani delle aree rurali ed urbane, a capo dell'opposizione. Altri partiti, il Fijian Nationalist Party (ramificazione estremista dell'Alliance Party) e il Western United Party (a carattere regionale) hanno giocato solo un ruolo minore nella politica nazionale. Nel 1985 fu formato il Fiji Labour Party che provò subito a diventare una forza rilevante delle Fiji: si rivolgeva alla classe operaia in toto, senza particolari riferimenti di tipo etnico, e fece un debutto di notevole impatto vincendo otto seggi su venti nel Consiglio della città di Suva, nel luglio del 1985. Due anni dopo, il National Federation Party e il Fiji Labour Party si unirono per diventare la NFP/Labour Coalition, guidata dal Dr. Timoci Bavadra, un nativo fijiano.

La Coalizione vinse le elezioni nel 1987. Il nuovo governo si sforzò di riflettere accuratamente il carattere multirazziale delle Fiji, dividendo uniformemente i 14 portafogli ministeriali: sette ciascuno a fijiani ed indiani. Ma ciò non bastò ad eliminare la rabbia all'interno del gruppo fijiano, tanto che questo iniziò ad avanzare una serie di richieste e di petizioni, coadiuvate spesso da tumulti popolari. Tale movimento, chiamatosi Taukei Movement, crebbe e continuò a fomentare le agitazioni civili e, sotto la guida del Colonnello Sitiveni Rabuka, occupò il Parlamento e spodestò la Coalizione di governo, sospendendo la costituzione.

Fiji visse allora un momento particolarmente critico: rischiò il completo collasso economico, anche a causa della mancanza di tecnici competenti e dirigenti di medio livello (molti dei quali indiani), emigrati soprattutto in Nuova Zelanda. Fu istituita inoltre una costituzione con pregiudiziali di tipo razzistico. In seguito al suo ritiro dalla vita militare, Sitiveni Rabuka divenne in ogni modo Primo Ministro delle Fiji, leader del Sogosogo ni Vakavulewa ni Taukei (Fijian Political Party). Ma, a causa della generale disaffezione all'interno del partito e della pubblica critica della Kermode Commission of Inquery circa la pessima condotta governativa, il bilancio preventivo presentato da Rabuka nel 1994 fu rigettato, ed egli fu costretto ad organizzare rapide elezioni generali. Sebbene Rabuka fosse rieletto Primo Ministro, fallì nel raggiungere l'obiettivo promesso di un aumento della maggioranza, poiché il nuovo partito rivale indigeno fijiano, il Fijian Association, formato da dissidenti del SVT, conquistò anche alcuni seggi fijiani.

Appena proclamata la propria vittoria, Rabuka fece riferimento a piani di governo d'unità nazionale mediante l'ammissione degli indiani nel governo; ma il grande cambiamento nelle elezioni si verificò tra i seggi indiani, dove il partito moderato National Federation Party, guidato dal leader d'opposizione Jai Ram Reddy, incrementò la forza parlamentare a spese del Fiji Labour Party, guidato dal "trade unionist" Mahendra Chaudhry. Nel frattempo, l'economia si era ripresa dallo scampato collasso e, grazie alla manifattura tessile delle nuove zone franche, si assisteva alla "riabilitazione" dell'economia fijiana che tornava ad essere così una tra le più sane delle isole del Pacifico, sebbene ancora fortemente dipendente dalle esportazioni di zucchero e dal turismo.

Attualmente Fiji ha un PIL rappresentato da un 23% di produzione agricola, un 27% di produzione industriale e un 50% di servizi. Il governo si è prefisso di incrementare l’agricoltura ma per questo settore la situazione è resa complessa dal fatto che l’assoluta maggioranza delle terre appartiene per legge ai Figiani, ma sono in pratica gli immigrati Indiani a dedicarsi ai lavori dei campi. Come avremo modo di vedere più avanti, anche in quest'ambito si ripete la grave questione che interessa da più di un secolo fijiani ed indiani.

 

 

b)     Fiji e il diritto dei popoli

 

L'area del Sud del Pacifico, in questi ultimi anni, è stata teatro di molte iniziative intorno alla questione degli etno-diritti. Sono stati organizzati meetings, convegni e forum a distanza di poco tempo l'uno dall'altro e soprattutto sulla scia dei lavori delle Nazioni Unite circa una Carta dei diritti degli indigeni. Nel 1993, infatti, dopo quasi un decennio di lavori ai quali parteciparono anche gli stessi indigeni, prese forma il fatidico "Abbozzo di Dichiarazione" che, dopo due anni, fu sottoposto alla Commissione dei Diritti Umani (oltretutto fino al 2003 siamo ancora nel Decennio internazionale delle popolazioni indigene del mondo, proclamato dall'Assemblea Generale).

Nel 1995 la Commissione per i Diritti Umani venne incaricata di seguire un progetto di Dichiarazione dei Diritti Indigeni; a tal fine fu istituito un working group che vide l'adesione di tutte le 53 delegazioni degli Stati membri. A tale gruppo di lavoro parteciparono direttamente anche le Organizzazioni indigene.

Nel settembre del 1996 il Primo Ministro delle Fiji Rabuka invitò i rappresentanti dei popoli indigeni del Pacifico nel suo Paese. Intanto, un mese prima, il senatore Alaka degli Stati Uniti aveva organizzato un incontro di un giorno tra i vari Dipartimenti statunitensi e i popoli indigeni del Pacifico: in quell'occasione fu distribuito un elaborato circa la posizione del governo statunitense su ogni articolo dell'Abbozzo di Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni. A Fiji s'incontrarono, invece, in una sessione plenaria, membri degli Stati del Pacifico e funzionari delle Nazioni Unite con l'intento di pianificare e avviare una strategia di tipo regionale sull'Abbozzo di Dichiarazione. Si lavorò cinque giorni attraverso discussioni e presentazioni al Forum Secretariat di Suva. L'ambasciatore degli Stati Uniti Don L. Gevertz condusse la cerimonia d'apertura. Il Primo Ministro, il generale Sitiveni Rabuka, aprì ufficialmente l'"Indigenous Peoples of the Pacific Wordshop on the United Nations Draft Declaration on the Rights of Indigenous Peoples", con un discorso sul diritto all'autodeterminazione senza compromessi, come espresso nella Carta delle Nazioni Unite. Rabuka fu il primo Capo di Stato ad estendere personalmente il suo supporto incondizionato ai popoli indigeni di tutto il mondo, con riguardo all'Abbozzo di Dichiarazione e ai pieni diritti previsti dalla normativa internazionale.

Nel 1998 ebbe luogo a Pohnpei, Micronesia, il Fourth NGO Parallel Forum, che riunì i rappresentanti dei gruppi delle comunità, delle chiese e delle organizzazioni dei popoli indigeni provenienti da tutto il Pacifico. Si tenne in agosto, la settimana precedente il Forum dei Capi di governo del Pacifico del Sud. I partecipanti arrivarono dagli Stati federati della Micronesia, dalle Isole Marshall, Guam, Marianne del nord, Hawaii, Papua Nuova Guinea, Bougainville, Isole Salomone, Vanuatu, Fiji, Tonga, Isole Cook, Polinesia francese, Australia, Nuova Zelanda, Timor Est, Filippine, le First Nations del Canada, Giappone, Stati Uniti d'America. In questo Forum furono riaffermati molti principi e sottolineate, ancora una volta, le esigenze degli indigeni. Si rilevò che molti popoli del Pacifico ancora si trovavano in uno stato di mancato diritto all'autodeterminazione, alla sovranità e all'indipendenza.

Poiché in passato il South Pacific Forum supportò attivamente i paesi colonizzati a riguadagnare la loro indipendenza, i membri del Forum confermarono nuovamente la loro intenzione di continuare a detenere un ruolo di leadership nella decolonizzazione dell'intera area del Pacifico. Per quanto riguardava i diritti umani in queste zone si ritenne che, a dispetto della dichiarazione universale, la violazione di tali principi continuava sicuramente a Timor Est, nella Papua occidentale, a Bougainville e in altri Paesi ancora. I diritti di proprietà intellettuale degli indigeni, soprattutto circa la terra e le sue risorse, erano minacciati continuamente dai cosiddetti "bio-pirati", dalle compagnie farmaceutiche, dalle compagnie minerarie e dalle numerosissime flotte di pescatori stranieri. Per questo in quel Forum si decise di promuovere iniziative con l'intento di stabilire commissioni nazionali per i diritti umani. Si ritenne necessario, ancora una volta, riaffermare il principio internazionale in base al quale i diritti umani sono da considerare "universali ed inalienabili". Fu richiesto, inoltre, di sottoscrivere ed attuare i principi dell'Abbozzo di Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni elaborato dalle Nazioni Unite, di fare pressione nel supportare il diritto di autodeterminazione per i popoli indigeni, inclusi gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres in Australia, i Maori neozelandesi e i Kanaka Maoli delle Hawaii.

Si esortarono infine i Paesi del Forum delle isole ad appoggiare il tentativo degli aborigeni di portare il loro caso all'attenzione della Corte di Giustizia Internazionale, soprattutto con riguardo alla Convenzione sulla prevenzione del genocidio, quindi alla sua applicazione e realizzazione. Si concluse che i popoli indigeni combattono strenuamente, ogni giorno, per proteggere le proprie risorse e il proprio patrimonio culturale e tradizionale: fu ritenuto quindi necessario ed indispensabile il programma d'elaborazione di una legislazione nazionale atta ad arrestare il furto e lo sfruttamento continuo ed autoritario delle risorse e del patrimonio naturali.

Nello stesso anno si svolse invece a Melbourne la Terza Conferenza Nazionale della Family Court: ad essa partecipò, con un interessante intervento sulla diversità etnica come sfida per le Corti, Florence Fenton, direttrice della Commissione di Riforma del Diritto delle Isole Fiji. La sua relazione dette risalto ad una serie ben precisa di questioni: sorgono molte difficoltà e problemi causati dalla diversità etnica nelle isole Fiji, e grande è il divario tra la cultura e le tradizioni autoctone da un lato e il sistema legale formale dall'altro.

Fiji è un esempio di società pluralistica con una storia coloniale che, tra i numerosi aspetti, ha modificato ed influenzato notevolmente anche quello giuridico tradizionale. In questi luoghi, così come in tutti i Paesi vittime della cruda ed etnocentrica colonizzazione europea, la cultura dei "bianchi" ha imposto, con metodologie tipicamente razzistiche e violente, il pieno controllo sulla popolazione indigena, finalizzando ciò alla modificazione e all'annientamento dei valori culturali e perfino degli standard di moralità. Anche la lingua dei colonizzatori, l'inglese, è lingua ufficiale, davanti al Fijiano e all'Hindi.

Oggi Fiji, nel bene e nel male, rappresenta comunque un esempio di multiculturalismo: patria d'indigeni, rotumani, indo-fijiani, banaban, europei, cinesi, isolani del Pacifico e comunità di "meticci". I fijiani rappresentano il 49%, gli indiani il 46%, gli altri gruppi, misti, il 5%. Come abbiamo visto comunque il grosso problema di Fiji è la continua espansione della comunità indiana, soprattutto dal punto di vista economico. Negli anni settanta, riferisce il noto viaggiatore F. Quilici, i giornali locali non parlavano d'altro: "Le Fiji ai fijiani o le regaliamo a Indira Gandhi? … Poiché tutti i soldi in banca sono degli indiani, e le iniziative industriali ed economiche sono loro anch'esse". Questa perciò è stata, e rimane ad oggi, una questione complicata, soprattutto dal punto di vista economico, poiché gli indiani rappresentano oltretutto i maggiori investitori bancari delle isole, al livello nativo. Il divario poggia probabilmente, sempre dalla relazione di Quilici, sulla filosofia di vita: per i fijiani l'esistenza si basa sul kerekere, un'equa ripartizione dei beni fra tutti i membri di ogni famiglia, per questo è difficile per loro accettare una mentalità individualistica e di tipo "capitalistico". Questo esempio riporta facilmente ad una riflessione significativa del Professor Serge Latouche, a mio avviso applicabile a situazioni quali quella fijiana:" non solo l'economia non è complementare alla cultura, ma anche, in Occidente, tende ad assorbire tutte le dimensioni culturali sostituendosi ad esse. Il calcolo utilitaristico può prendere il posto del gioco, dell'arte, dei sentimenti, delle credenze e fagocitarli". Anche dal punto di vista religioso vi è notevole varietà: gli induisti sono il 38%, i metodisti il 37%, i cattolici il 9% e i musulmani l'8%. C'è da sottolineare comunque che la popolazione fijiana è essenzialmente cristiana, a riprova degli effetti del colonialismo (anche di tipo religioso-missionario) che ha quasi totalmente cancellato il substrato tradizionale rituale e religioso indigeno.

Ancora nel 1998, a Sidney, ci fu l'Asia Pacific Solidarity Conference, organizzata dall'Asia Pacific Institute for Democratisation and Development. Questo istituto ha concepito tale conferenza con l'intento di riunire più gente possibile per discutere le questioni e i problemi più impellenti e gravi e per costruire insieme una modalità risolutiva per accelerare il processo di democratizzazione e di sviluppo sociale delle regioni interessate. Tale conferenza ha tentato di riunire inoltre attivisti politici, NGO, lavoratori, intellettuali ed accademici anche provenienti da tradizioni ideologiche differenti, proprio nello spirito generale di rispetto e cooperazione reciproci. L'Asia Pacific Institute for Democratisation and Development rappresenta un'istituzione nuova nella zona asiatica del Pacifico. Durante l'anno 1997 un gruppo di individui coinvolti in movimenti politici, organizzazioni e università discusse circa la necessità di un maggior coordinamento e dialogo riguardo le battaglie contro l'autoritarismo, le violazioni del diritto all'autodeterminazione e gli impatti socio-economici dell'offensiva neo liberale mondiale. Fu istituito un consiglio provvisorio per fondare tale istituto. Gli obiettivi provvisori dell'istituti erano accordati come segue:

1.      Promuovere la ricerca e divulgare le idee sulla questione di come assicurare uno sviluppo giusto e sostenibile incentrato sul concetto di democratizzazione.

2.      Facilitare il dialogo e la cooperazione tra la comunità accademica, le NGO e i movimenti popolari (partiti, commissioni, sindacati, ecc.).

Inizialmente, il consiglio provvisorio comprendeva accademici, leaders politici e attivisti comunitari dell'Indonesia, delle Filippine, Malaysia, Sri Lanka, Australia e Nuova Zelanda. Successivamente l'adesione fu estesa anche a Timor Est, India, Giappone e Corea del Sud e le questioni prioritarie all'ordine del giorno erano:

1.      La battaglia per la democrazia e la fine della dittatura in tutte le sue forme

2.      L'autodeterminazione (soprattutto a Timor Est, Sri Lanka, Papua Occidentale, Bougainville)

3.      Le rivendicazioni territoriali e indigene in Australia e Nuova Zelanda

Effettivamente, governi, corporazioni, banche e istituzioni finanziarie internazionali parlano delle regioni dell'Asia del Pacifico come le regioni del miracolo economico, dello sviluppo accelerato, del boom economico. Ma per milioni di altre persone il retro della medaglia è ben diverso: il quadro comprende battaglie politiche e sociali per i diritti umani basilari, per un'economia sostenibile e l'ordine sociale. Le battaglie dei lavoratori e degli studenti nella Corea del Sud contro le nuove leggi di diritto del lavoro, contro la dittatura e il nepotismo di Suharto in Indonesia, i continui tumulti di Timor Est per l'autodeterminazione del popolo, la situazione critica di guerriglia nell'isola di Bougainville, il conflitto a Sri Lanka sui diritti nazionali della gente Tamil e il governo autoritario, sono solo alcuni esempi della crisi che si vive in questa vasta area. Di certo innumerevoli sono le iniziative sorte per combattere tutto ciò: nuovi movimenti politici sono sorti in Indonesia ed altri, più antichi, si stanno rinnovando e trasformando nelle Filippine. 

 

 

c) L'era post-coloniale fra diritto consuetudinario e discriminazione

 

Dall'attestazione dell'indipendenza, molti Stati delle isole del Pacifico hanno sentito il bisogno di riconoscere e riabilitare le loro tradizioni e il diritto consuetudinario. Dopo anni di governo coloniale, ciò è stato visto ed interpretato come una riaffermazione d'identità e sovranità. A tal fine, alcuni Paesi hanno emanato precisi editti all'interno delle proprie costituzioni e relativi statuti. L'art.186 della Costituzione delle Fiji afferma: "Il Parlamento deve prendere provvedimenti per quanto concerne l'applicazione del diritto consuetudinario e per la risoluzione delle dispute in accordo con i tradizionali processi fijiani … Nel fare ciò il Parlamento deve avere riguardo per i costumi, le tradizioni, gli usi, i valori e le aspirazioni della gente fijiana e rotumana".

Sebbene ci sia un riconoscimento della legge consuetudinaria, spesso, però, non si registra alcuno sforzo per precisare cosa essa in realtà significhi e che tipo di applicazione necessiti. Le donne, in particolare, hanno provato sentimenti contrastanti circa il valore "positivo" del diritto consuetudinario: spesso si ritrovano a domandarsi se la sua applicazione rappresenti effettivamente un vantaggio per loro. In molte società del Pacifico, infatti, la legge consuetudinaria generalmente opera in favore degli uomini a spese delle donne ed è aperta ad ampie interpretazioni, poiché essa non è né uniforme e costante, né scritta e perciò non di rado risulta difficile da verificare. Le richieste operate da gruppi di donne su questo problema di tipo interpretativo sono state viste come infedeltà ai costumi e come una sorta di tradimento nei confronti delle tradizioni.

La reale sfida per le Corti è quella di riuscire a trovare proprio le soluzioni eque, che tengano conto di questioni culturali rilevanti come, ad esempio, la rivisitazione del ruolo femminile all'interno della comunità e della società tutta; nel fare ciò esse devono attentamente evitare che tali operazioni non emarginino certi gruppi. A tal riguardo non sarà superfluo citare un passo significativo (anche se non riferito esattamente alle isole Fiji) da "La cittadinanza multiculturale" di Will Kymlicka: "Vi sono stati casi di mariti che hanno picchiato le mogli che avevano trovato un lavoro fuori casa e che si sono difesi in tribunale citando il fatto che malmenare le mogli è una pratica accettabile nella loro terra d'origine".

Per quanto riguarda invece la riconciliazione, il Codice di Procedura Penale delle Fiji comprende una parte in cui, talvolta e secondo le situazioni, si parla di reale "promozione" di tale istituto. La corte può, infatti, in taluni casi che siano sostanzialmente di natura personale o privata e che non siano aggravati in grado, promuovere la riconciliazione ed incoraggiare e facilitare il ristabilimento di una via amichevole del procedimento, nei termini di un pagamento "di compensazione" o in altro modo approvato dalla Corte. In casi recenti, alcuni imputati, in prevalenza maschi, hanno però utilizzato la difesa di pratica consuetudinaria, cioè la riconciliazione, nei più crudi casi d'accusa sessuale: Nelle Fiji esiste un istituto tradizionale, denominato i bulubulu, una cerimonia nella quale un individuo o la comunità di appartenenza del colpevole chiede il perdono per il reato commesso, al quale fa seguito la riconciliazione. Ad esso si ricorre con molta frequenza e facilità. Uno degli argomenti contro il i bulubulu, in casi particolarmente gravi, è che spesso l'imputato può contattare la famiglia della vittima per il perdono e la riconciliazione, senza consultare in alcun modo la sua vittima: sembra che il bisogno di mantenere coesione di gruppo abbia la priorità sui diritti della vittima di reclamare personali indennizzi di tipo giuridico-legale. Tale usanza si pratica comunemente soprattutto a Vanuatu, Tonga e Samoa.

Eppure, la lista delle accuse comprese nell'ipotesi di riconciliazione non include lo stupro o altre offese di tipo sessuale: a dispetto di ciò, a molti casi di stupro si reagisce considerando che non sia necessario il ricorso ad indennizzi legali. Quindi, molti magistrati, nei casi di stupro e di violenza domestica, tendono ad accettare ugualmente la riconciliazione tradizionale: tale sistema alternativo rappresenta, nelle sue applicazioni errate, un sostituto "morbido" della punizione giuridica formale.

Questa difficoltà applicativa del diritto consuetudinario ha la sua ragion d'essere: alcuni magistrati tentano di bilanciare i due contrastanti punti di vista, la riconciliazione tradizionale da un lato e la sentenza formale dall'altro. È vero che il diritto e le Corti moderne sono un'effettiva e reale mistura di elementi antichi e tradizionali e sistemi nuovi e tipicamente occidentali e che, anche prima delle Corti e degli istituti coloniali, i sistemi familiari e parentali tradizionali prevedevano un'ampia varietà di meccanismi di risoluzione delle dispute, contemplando al loro interno anche forme attive di partecipazione comunitaria nell'amministrazione della giustizia. Purtroppo però, a ben vedere, il sistema di giustizia tradizionale che riguarda la modalità della conciliazione e della compensazione è stato limitato ed indebolito e, in un passato anche recente, non gli è stato dato alcun riconoscimento. Non è stato contemplato neanche nel progetto di programmazione dello sviluppo dei sistemi etnogiuridici del Pacifico.

Tradizione, colonialismo, postcolonialismo, neocolonialismo e multiculturalismo hanno creato un groviglio "giuridico-culturale" per il quale a volte (ne è un chiaro esempio il ricorso "facile" e troppo poco "restitutivo" del i bulubulu nei casi di stupro) sembra impossibile addivenire a soluzioni di tipo equo.

Anche il ruolo degli anziani, decisivo nelle società tradizionali, ha risentito moltissimo degli attacchi di due secoli di violenza coloniale. Questa trasformazione sociale ha condotto, tra le altre cose, a modificare fortemente il ruolo degli anziani e dei capi come arbitri dei modelli di comportamento socialmente accettabili. L'urbanizzazione, la mobilità e l'economia di tipo occidentale sono state i fattori decisivi del cambiamento del modello di leadership. Esse hanno modificato sensibilmente anche la natura stessa del gruppo di parentela e la società di villaggio in generale, una volta forze regolatrici e di equilibrio del comportamento degli individui: uno dei cambiamenti più gravi e rilevanti, nelle loro conseguenze negative, è stato il progressivo allontanamento tra le giovani generazioni e gli anziani.

Nella società del Pacifico in generale, e le Fiji non fanno eccezione, il diritto consuetudinario in passato era interpretato come corpus di norme e come reale meccanismo di risoluzione della disputa. Esso adempiva ciò che il gruppo sociale si aspettava realmente dalle proprie leggi, indicando ciò che costituiva comportamento accettabile e facilitando così il fluire della vita quotidiana. Ma la società odierna è molto meno omogenea di quella che esisteva prima dell'Atto di Cessione del 1874. C'è una miscellanea di valori e istituzioni, da una parte d'origine tradizionale e dall'altra d'origine europea. Talvolta essi si scoprono complementari, altre volte però confliggono. La sfida per Paesi come le Fiji è la possibilità di fruire di questi sistemi, insieme e in un modo sensato. Sarebbe non realistico invocare un ritorno al vecchio sistema: la sfida che si trovano a dover affrontare oggi le Corti è l'uso costruttivo e contemporaneo di concetti e pratiche sia tradizionali che occidentali.

Nel 1986 la Commissione di Riforma del diritto delle Fiji pubblicò un report intitolato "Un esame delle norme e delle pratiche relative alla politica penale nelle Fiji". Fu esaminata la questione della tradizione etnogiuridica e del costume autoctono nell'amministrazione della giustizia. Fu evidenziato e preso in esame il dato inerente al fatto che il modello inglese non armonizzava e talvolta non teneva in alcun conto le condizioni locali o le originali sensibilità e richieste giuridico-culturali dei nativi. Un esempio, anche se di tipo formale, può essere indicativo: nei tribunali di tipo occidentale ci si aspetta che gli imputati stiano in piedi quando viene loro rivolta la parola o quando viene letta la sentenza. Per gli imputati fijiani tale modalità comportamentale e rituale è totalmente sconosciuta, poiché il comportamento usuale per tali occasioni è di stare seduti, evitare il contatto degli occhi e rimanere in silenzio. Non parlare, nel sistema tradizionale, è, infatti, l'espressione esteriore di un profondo rimorso.

La Commissione per la Riforma del Diritto delle Fiji ha tra i suoi principali obiettivi la Riforma del Diritto di Famiglia. La legislazione vigente è anch'essa un'eredità del passato coloniale e i suoi valori di riferimento sono "squisitamente" vittoriani. Eppure il cambiamento, che sarebbe facilmente ipotizzabile su criteri tanto anacronistici, non si verifica a causa del timore che, con una modifica della normativa oramai secolare, si distruggerebbero anche i valori religiosi tradizionali.

Non sembra, in realtà, così difficile un'interpretazione chiara di tanta "preoccupazione": si teme, ancora una volta, da parte della cultura occidentale di perdere il controllo su ciò che ancora si considera in realtà un "dominio coloniale". Oltre ad avere, a suo tempo, imposto una cultura estranea e lontana e disgregato ed annientato il più delle volte il sistema etnogiuridico locale, non si vuole rinunciare oggi a quelle tradizioni anglo-europee che, come i valori vittoriani su citati, rappresentano un'incongruenza anche di tipo storico, oltre che antropologico e quindi culturale.

Per quanto riguarda la riconciliazione coniugale, la risoluzione alternativa alla disputa mira a raggiungere il consenso attraverso meccanismi tradizionali di riconciliazione, raccomandati in casi dove essa sia effettivamente possibile o desiderata. Le strutture informali, disponibili nelle differenti comunità etniche delle Fiji, saranno sempre più chiamate a dividere il peso che le Corti e il sistema legale ufficiale non riescono sempre a sopportare. Esiste, tra le altre, la questione delle famiglie di fatto. Una stima informale ha accertato che il 27% delle coppie musulmane indo-fijiane vive relazioni di fatto. Tali coppie si ritengono sposate avendo partecipato ad una cerimonia religiosa o nikah (il contratto di matrimonio e la cerimonia musulmani). Quando a tali matrimoni segue una rottura coniugale, le donne non hanno quindi diritti sulla proprietà comune. Non avrebbero neanche di conseguenza diritto al mantenimento e i diritti dei loro figli non sarebbero equivalenti a quelli dei figli considerati "legittimi".

Anche in questo caso si ripete ciò di cui Kymlicka si fa portavoce: "Le democrazie liberali possono accogliere e abbracciare molte forme di diversità culturale, ma non ogni forma". Egli in altre parole asserisce, e con lui molti intellettuali, che una tradizione culturale, un gruppo indigeno, non mette a repentaglio la propria sopravvivenza se rispetta i principi dei diritti umani. L'uno non esclude l'altro: "Ogni restrizione interna che un gruppo imponesse ai propri membri non dovrebbe permettere ai membri più potenti del gruppo di sfruttare i più deboli".

 

 

d) Fiji e la violazione dei diritti dei lavoratori

 

La Repubblica delle Fiji, con la Costituzione del 1997, ha voluto dimostrare, in qualche modo, di essere in linea con molte altre Costituzioni scritte, contemplando una speciale Carta dei diritti che, mentre garantisce diritti di protezione e privilegi agli indigeni fijiani e rotumani, allo stesso momento non intende negare diritti e libertà ai cittadini d'altra origine. Eppure qualcosa, dal punto di vista dei diritti umani (soprattutto con riguardo ai diritti della persona) sembra non convincere la comunità internazionale. L'International Confederation of Free Trade Unions il 9 Aprile 1997, a Bruxelles, presentò un report circa numerosi abusi dei diritti dei lavoratori, discriminazioni razziali e sessuali, lavoro minorile e coercizione nelle isole Fiji.

Ciò sembra probabilmente rispondere alla politica governativa nel suo tentativo di creare forza lavoro a buon mercato, per attirare gli investimenti stranieri e incrementare le esportazioni, come affermò allora il Segretario Generale della Confederazione internazionale, Bill Jordan. Le donne sono pagate meno degli uomini, anche se effettuano gli stessi lavori, ed anche i lavoratori d'origine indo-fijiana sono discriminati, sia nei settori agricoli che manifatturieri. Il lavoro minorile aumenta nel settore della canna da zucchero, proprio lì, infatti, dove c'è molta esportazione. Sebbene il lavoro minorile sia proibito per legge al di sotto dei dodici anni, il livello di frequenza scolastica risulta essere solo del 64%: ciò vuol dire che circa ventimila bambini di giorno lavorano, invece di studiare. Anche in questo Paese, come in molti altri posti nel mondo, si ricorre ad una manodopera a basso costo, soprattutto cercandola nei bacini d'immigrazione più recenti: nel 1994 quasi tutti i lavoratori a contratto nell'industria tessile provenivano, infatti, dalla Cina.

Nel 1991 furono introdotte nuove normative di diritto del lavoro che imponevano restrizioni sul diritto di sciopero e sul riconoscimento delle associazioni del lavoro e del commercio. Il governo ricevette allora un'altra forte critica, stavolta dalla Commissione ILO sulla Libertà Associativa, che raccomandò il governo fijiano di mantenere la legislazione nel rispetto degli standards internazionali. Nel frattempo, però, l'economia del Paese aveva già raggiunto i suoi scopi: uno degli effetti di queste nuove leggi di restrizione del diritto di sciopero, infatti, fu che numerose multinazionali avevano ritirato la loro produzione da altri Paesi in via di sviluppo (Isole Cook, per esempio) per impiantare nuove sedi nelle isole Fiji, dove anche le retribuzioni per la manodopera erano molto più basse che altrove.

 

Come abbiamo visto, la società multiculturale delle Fiji lotta costantemente con i dilemmi tra i valori tradizionali e moderni. Il dilemma è molto forte anche tra i diritti umani, i diritti individuali e i diritti collettivi. Il bilanciamento e l'equilibrio di questi diritti, talvolta opposti, determineranno il modo in cui, e la frequenza con la quale, gli individui e le comunità si rivolgeranno, d'ora in poi, proprio ai giudici, nella loro veste di arbitri e custodi dei diritti umani.

Fiji rappresenta anche per noi europei una vera fucina, un laboratorio, in cui ormai da secoli si "combatte" con il problema del post-colonialismo, di nuove forme di colonizzazione politico-economica, di coesistenza (non sempre pacifica) di comunità di diversa cultura e storia, di sovrapposizione di costumi occidentali su tradizioni locali, di imposizione di un diritto "esterno ed estraneo" sugli etno-diritti e sulle usanze aborigene.

Dopo vicissitudini, come abbiamo avuto modo di vedere, più o meno tristi e violente, oggi Fiji si trova a dover fare i conti con la sua storia e il suo presente. In realtà, soprattutto per quanto concerne la questione multiculturale, non è poi così distante dalle numerose situazioni europee, compresa quella italiana.

 

 

Le date storiche delle Isole Fiji

 

-          1643      Abel Tasman avvista Fiji sulla sua imbarcazione "Heemskercq".

-          1774      il Capitano Cook ancora a largo di Vatoa.

-          1789      il Capitano Bligh del Bounty disegna carte approssimative delle isole.

-          1797      il Capitano Wilson "scopre" altre isole dell'arcipelago.

-          1835      i primi missionari europei arrivano a Lakeba con l'aiuto di re Giorgio di Tonga.

-          1840      la prima carta attendibile dell'arcipelago è disegnata dall'Exploring Expedition degli Stati

Uniti sotto il Comandante Wilkes.

-          1874      dopo un lungo dissenso interno, Fiji è ceduta alla sovrana inglese.

-          1875      Sir Arthur Gordon è nominato primo Governatore della nuova colonia.

-          1879      arrivano i primi lavoratori indiani. Il primo gruppo è di circa 500, quasi tutti maschi.

-          1881      Rotuma è aggiunta come dipendenza alle Fiji

-          1929      il diritto di voto è garantito agli indiani.

-          1939      la Seconda Guerra Mondiale conduce alla mobilitazione ed espansione della Fiji Defense

Force. Nel 1942 diviene Fiji Military Forces.

-          1953      è istituito il FVB, Fiji Visitors Bureau.

-          1963      il diritto di voto è esteso alle donne.

-          1970      Fiji diviene indipendente il 10 ottobre.

-          1987      ad aprile, dopo 17 anni di governo l'Alliance Party cede il passo alla Labour-National

Federation Party Coalition, guidata dal medico in pensione Dr. Timoci Bavadra.

Alcuni Indiani entrano nel Consiglio dei Ministri.

-          Il 14 maggio il Colonnello Sitiveni Rabuka organizza il suo primo colpo di stato. Fa arrestare tutti i membri del governo del Primo Ministro Timoci Bavadra e s'impadronisce del potere. Rabuka si dichiara Capo di Stato e forma un Consiglio di Ministri formato unicamente da membri dell'Alliance Party, sconfitto alle elezioni.

-          Il 25 settembre il Colonnello Rabuka effettua il secondo colpo di Stato. Licenzia il Governatore Generale, abroga la Costituzione del 1970 ed instaura un regime militare sotto la sua guida. Il 7 ottobre dichiara Fiji una Repubblica, rompendo ogni legame con la Corona inglese. 

-          1989     Muore Timoci Bavadra. Sessantamila persone si raccolgono attorno al feretro.

-          1990     è promulgata la nuova Costituzione.

-          1994     il più grande tempio hindu del Pacifico del sud è completato ai bordi della città di Nadi.

-          1997     il CAB, il Constitution Amendment Bill passa al Parlamento.

-          Fiji rientra nel Commonwealth britannico. Il Primo Ministro Rabuka rilascia una comunicazione ufficiale circa tale reinserimento il 30 settembre

 

 

Riferimenti bibliografici

 

1.      Bamonte G., Onu e popoli indigeni: attualità di un problema, in Diritti Umani a cura di A. Santiemma, EUROMA, 1998.

2.      Dunlop L., InternetFiji.

3.      Guardian (Australia), Fourth NGO Parallel Forum Communique: the Pacific Way, 2 Sept., 1998.

4.      Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, 1999.

5.      LaborNews, International Confederation of free Trade Unions (ICFTU), Institute for Global Communications, 24 april, 1997.

6.      Latouche S., Il pianeta uniforme, Paravia, 1997.

7.      Losano M.G., I grandi sistemi giuridici, Einaudi, 1988.

8.      Ogden M.R., Republic of Fiji, University of Hawaii at Manoa su World Encyclopedia of Political Systems, 3rd Ed., New York.

9.      Press Release, UN Draft Declaration on Indigenous, Sept. 11th, 1996.

10.  Quilici F., Oceano, De Donato, 1978.