COMITATO DI STUDIO

SULLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE

Rapporto al Presidente

della Camera dei deputati

23 ottobre 1996

 

INDICE

1. Finalità e articolazione del presente rapporto

2. Dimensioni, tipologia e cause della corruzione

a) Casi esaminati dalle procure e dai giudici.

b) Settori in cui la corruzione si manifesta....

1) La spesa dell’amministrazione pubblica per beni e servizi offerti da privati

2) Le prestazioni e i servizi offerti dall’amministrazione

3) Ipotesi autoritativi dell’amministrazione

c) Condizioni che favoriscono la corruzione

1 ) L ‘ampiezza dell’area pubblica

2) IL disordine normativo e la negoziazione della disciplina da applicare

3) Le modalità di attuazione del decentramento amministrativo

4) Il finanziamento della politica .

5) La confusione di ruoli tra personale politico e personale burocratico .

6) L ‘inefficienza amministrativa

7) L’insoddisfacente disciplina delle procedure amministrative

8) La debolezza dell’amministrazione e l ‘assenza di corpi tecnici

9) L’inefficienza dei controlli

  1. La sfiducia dei cittadini nella garanzia dei loro diritti
  2. Le distorsioni del sistema economico e le strutture d ‘impresa.

12) L ‘assenza di prestigio e di spirito di corpo dei dipendenti pubblici

3. Studi, proposte e riforme in alcuni ordinamenti stranieri

a) L’esperienza della Francia

b) L’esperienza del Regno Unito

c) L’esperienza degli Stati Uniti d’America

d) L’esperienza della Spagna

e) L’esperienza del Portogallo

4. Mezzi per prevenire la corruzione

4.1. Criteri per individuare i rimedi e loro articolazione

  1. Che si semplifichi e riordini la normazione
  2. Che si assicuri la trasparenza delle procedure di privatizzazione e delle attività amministrative in forma privatisti
  3. Che si liberino da vincoli pubblici le attività private e si riducano e semplifichino i procedimenti amministrativi di controllo
  4. Che si disciplini il finanziamento dell’attività politica

4.6. Che si consideri l’eventualità di regolare l’attività di pressione (lobbyng)

4.7 Che si tuteli effettivamente la segretezza del voto

4.8. Che si precisino i limiti all’accesso alle cariche elettive

  1. Che si stabiliscano le incompatibilità degli impieghi pubblici ed i vincoli di

avanzamento in carriera

4.10. Che si disciplinino i conflitti di interessi

4.11. Che si riformi la disciplina delle nomine politiche

4.12. Che si rafforzino i corpi tecnici

4.13. Che si sottraggano la selezione e la carriera dei dipendenti pubblici alla commistione con la politica

  1. Che si migliorino le condizioni dei dipendenti pubblici che ci si adoperi per il

recupero del prestigio della funzione pubblica

4.15. Che si promuovano i codici di comportamento

4.16. Che si prevedano dichiarazioni patrimoniali dei dipendenti pubblici

4.17. Che si disciplinino le attività successive al rapporto di impiego

4.18. Che si adegui il procedimento disciplinare alle risultanze del giudizio penale

4.19. Che si assicurino trasparenza e controllo dell’attività contrattuale

4.20. Che si disciplinino i procedimenti ispettivi e di verifica

4.21. Che si passi dai controlli di processo ai controlli di prodotto

4.22. Che si rafforzino i controlli interni delle società per azioni

4.23. Che si promuova la disciplina nelle professioni

5. Interventi di breve, di medio e di lungo periodo

Appendice.

1. FINALITA’ E ARTICOLAZIONE DEL PRESENTE RAPPORTO

 

I1 Comitato di studio istituito con provvedimento del Presidente della Carnera dei

deputati del 27 settembre 1996 e insediato il 2 ottobre 1996, aveva per scopo la

"elaborazione, nell’ambito dei princìpi fondamentali dell’ordinamento amministrativo italiano, di ipotesi di intervento legislativo per prevenire fenomeni di corruzione, tenendo conto delle caratteristiche del sistema delle imprese e delle principali esperienze straniere".

I1 Comitato ha anzitutto condotto un’analisi delle varie situazioni di corruzione in Italia, delle istituzioni che ne sono colpite e delle conseguenze che esse comportano per il buon funzionamento di queste. Ha considerato i luoghi della corruzione quali si delineano nel triangolo dei rapporti tra potere economico privato, pubblica amministrazione e personale politico. La corruzione è vista generarsi grazie alle possibilità che hanno i privati di accumulare ingenti somme in nero, che gli amministratori delle società sono in grado di utilizzare allo scopo sia di arricchimento personale, sia di proteggere la loro impresa, comprando l’aiuto di politici o funzionari. Gli appartenenti alla pubblica amministrazione vengono coinvolti sia per desiderio di arricchimento personale, sia per accrescere il loro potere nei confronti del personale politico. Questo, a sua volta, è interessato a trarre vantaggi da rapporti corrotti, sia per desiderio di arricchimento personale, sia per rafforzare la sua posizione, di partito, o di corrente, o personale, nei confronti di coloro con cui è in competizione.

Indipendentemente dalle varie fattispecie legali che essa assume, la corruzione è, quindi, una forma di accordo fra una minoranza allo scopo di appropriarsi di beni che spettano alla maggioranza della popolazione, considerata questa, o come insieme di consumatori, o come insieme di cittadini elettori. Poiché i danni in termini di consumo, o in termini di domanda politica, si ripartiscono su di un’ampia popolazione (che, inoltre, è poco ascoltata), essi tendono a venire giudicati irrilevanti da coloro che perpetrano atti corrotti.

A tale tipo di autogiustificazione, alla quale è immaginabile che l’individuo corrotto possa far ricorso per superare eventuali resistenze morali, si aggiungono altre considerazioni, correnti nella letteratura internazionale, volte a circoscrivere gli effetti reali della corruzione. Si sostiene (soprattutto per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo) che la corruzione serve a oliare meccanismi burocratici, che altrimenti non funzionerebbero e, quindi, ostacolerebbero iniziative i cui effetti sono positivi per lo sviluppo economico. Oppure si sostiene che, se molti atti sono punibili per legge, ciò è perché la legge non aderisce al costume, che invece è

molto più permissivo. O si osserva che nella corruzione c’è un elemento di equità, in quanto tende ad attenuare l’inferiorità di trattamento di cui godono, pur a pari o simile responsabilità, i dipendenti pubblici nei confronti di quelli privati. Infine ci si riferisce agli inevitabili costi delle democrazia, che difficilmente possono venire sostenuti senza l’apporto di denaro raccolto in maniera inevitabilmente illecita.

I costi della corruzione vanno, però, calcolati in maniera diversa. Anzitutto, dal punto di vista economico, come si dirà più avanti, episodi di corruzione provocano situazioni di rendita, lievitazione dei costi, selezione negativa delle imprese e incentivi all’opportunismo.

Ma oltre a questi danni immediatamente misurabili, la corruzione comporta due tipi di conseguenze di lungo periodo. La prima riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione. I1 diffondersi della corruzione in un’amministrazione incide non solamente introducendo diseconomie nelle operazioni condotte con intenzioni corrotte, ma anche erodendo i rapporti di fiducia fra gli appartenenti all’organizzazione non direttamente coinvolti, provocandone un cattivo funzionamento generalizzato. Dati raccolti da questo Comitato, inoltre, tendono a suggerire che, quando il numero di funzionari corrotti supera una certa soglia, o, in ogni caso, quando i singoli funzionari corrotti non si sentono più isolati, si mette in opera un meccanismo di assorbimento dei funzionari inizialmente resistenti, che finisce per obbligarli a colludere.

La seconda conseguenza è di natura simile alla prima, ma riguarda il sistema politico, e, più esattamente, il consenso dato dalla popolazione alla classe e alle istituzioni politiche nel loro complesso. Nell’introduzione al cosiddetto Nolan Report, sugli Standards in Public life, presentato al Parlamento del Regno Unito nel 1995, si sottolineano con allarme i dati dei sondaggi di opinione, che indicano un livello di fiducia riposta nel personale politico e nei membri del governo inferiore a quella riposta nei membri di tutte le altre istituzioni del paese (ecclesiastici, medici, insegnanti, giudici, funzionari, uomini d’affari e altre sette categorie); e inoltre, si registra negli anni recenti, una ulteriore caduta di fiducia per i politici e membri del governo. E si giustificano le proposte di più rigorosi principi di comportamento nella vita pubblica, proprio sulla base della constatazione di tale crescente discredito in cui cade chi vi partecipa. Ora, i periodici rapporti dei sondaggi comparativi fra i vari paesi europei, condotti dall’Eurobarometro, collocano regolarmente l’Italia nella posizione più bassa (e assai inferiore a quella della Gran Bretagna), quanto a consenso, o fiducia, della popolazione nella classe e nelle istituzioni politiche. E ugualmente indicano una forte caduta negli ultimi tempi. A tutto ciò si aggiunga quanto mettono in evidenza

recenti ricerche condotte in Italia sul fenomeno che potrebbe chiamarsi della "corruzione della politica non corrotta". In queste ricerche si mostra che, in presenza di corruzione, anche i politici non corrotti sono portati a non denunciare la corruzione di cui vengono a conoscenza, e ad usare, invece, le loro informazioni al riguardo per ottenere vantaggi "politici" dai loro colleghi di altri partiti, pur senza seguirli sulla via della corruzione.

I1 rapporto è diviso in quattro parti:

a) nella prima, sono valutate le dimensioni del fenomeno della corruzione ed individuate tipologia e cause;

  1. nella seconda, vengono brevemente esaminati studi, proposte e riforme adottate in alcuni ordinamenti stranieri;
  2. nella terza, più ampia, vengono elencati i mezzi atti a prevenire la corruzione o

a disincentivarla (con esclusione del profilo repressivo);

d) nell’ultima parte sono indicati i tempi per l’attuazione delle diverse proposte.

Le analisi e le proposte contenute nel presente rapporto sono dirette principalmente a fornire un quadro di insieme e costituiscono, quindi, solo una base per una

elaborazione compiuta.

 

2. DIMENSIONI, TIPOLOGIA E CAUSE DELLA CORRUZIONE

 

a) Casi esaminati dalle procure e dai giudici

 

Negli ultimi quattro anni, fatti di corruzione hanno dato luogo a centinaia di inchieste giudiziarie, a decine di migliaia di avvisi di garanzia, ad alcune migliaia di provvedimenti di carcerazione preventiva e di rinvii a giudizio a carico di funzionari e amministratori pubblici ed imprenditori privati, spesso di primo piano. La corruzione appare uniformemente distribuita sul territorio nazionale, a diversi livelli, e riguarda politici eletti, amministratori e dirigenti privati, anche se non con la stessa intensità e frequenza.

Gli ambiti principali in cui gli episodi di corruzione si consumano sono i seguenti: contratti di appalto e di fornitura, strumenti urbanistici e concessioni edilizie, finanziamenti alle imprese, assunzioni, finanziamento dei partiti politici, controlli fiscali, associazioni che agiscono in modo occulto.

Quanto alle figure di reato, esse sono ben note: peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, violazione della legge sul finanziamento dei partiti, ricettazione. Per ciascuna di queste fattispecie, si riscontra negli ultimi anni un progressivo aumento di fatti denunciati all’autorità giudiziaria e di condanne. Alcuni dati relativi ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione illustrano efficacemente il fenomeno.

Per quanto riguarda il peculato, i delitti denunciati, dai quali ha avuto inizio l’azione penale, erano circa 450 all’anno fino al 1989 e più di 1000 all’anno a partire dal 1991. I condannati (42 nel 1988, 57 nel 1989) sono circa 300 all’anno a partire dallo stesso anno.

Analoga progressione si registra con riferimento alla concussione. Dai circa 100 casi denunciati all’anno (1988 e 1989) si passa dal 1992 a cifre oscillanti tra 450 e 750. Il numero dei condannati cresce continuamente dal 1988 (14) al 1995 (248).

Notevole è anche l’aumento dei casi di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Le azioni penali sono meno di 100 fino al 1991, più di 400 all’anno dal 1993. I condannati, 12 nel 1988, sono 258 nel 1995. I casi denunciati di istigazione alla corruzione sono meno di 100 fino al 1991, circa 200 all’anno dal 1993; i condannati per lo stesso motivo sono meno di 30 all’anno fino al 1992, 82 nel 1995.

Meno numerosi, ma comunque in aumento, i casi di corruzione per un atto d’ufficio e di corruzione di persona incaricata di pubblico servizio.

Altrettanto vistoso l’aumento dei casi di omissione o rifiuto di atti d’ufficio (fattispecie, peraltro, non direttamente legate a fenomeni di corruzione). I casi denunciati sono meno di 2000 fino al 1990, più di 5000 dal 1993. Rimane basso, comunque, il numero dei condannati (sempre meno di 50 all’anno).

Infine, il numero di azioni penali iniziate per abuso d’ufficio, a partire dal 1992, oscilla tra 6000 e 10000. I1 numero dei condannati cresce tra il 1992 ed il 1995 da 54 a 226. Con riferimento a questa figura di reato, va anche rilevato che, dopo il 1990, si è registrata una notevole varietà, a livello territoriale, nel numero di azioni penali: in particolare, mentre in tutti gli altri distretti di Corte d’appello il passaggio dalla vecchia alla nuova formulazione dell’articolo 323 c.p. ha determinato un netto calo di tale numero, nel distretto di Corte d’appello di Torino è avvenuto il contrario; rilevante è il numero di azioni avviate anche con riferimento ai distretti di Palermo e dell’Aquila.

A1 di là delle singole figure di reato, la sola Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, nell’ambito dei vari procedimenti dell’inchiesta "Mani pulite", ha chiesto fino a questo momento il rinvio a giudizio di 2319 persone, e lo ha ottenuto per 715 persone, delle quali 266 sono state condannate in primo grado; le posizioni definite dal Giudice per le indagini preliminari sono finora 541, di cui le assoluzioni sono circa il 10 per cento; le condanne inflitte dal Giudice per l’udienza preliminare o patteggiate dinanzi ad esso sono state 386, i proscioglimenti 157; 1319 posizioni sono state trasmesse ad altre procure per competenza. I1 reato contestato più frequentemente nell’ambito di questa inchiesta è la corruzione (in senso stretto, come figura di reato); meno numerose le accuse di concussione e di finanziamento illecito dei partiti.

Le indagini della Guardia di finanza hanno individuato pagamenti illeciti per circa 1150 miliardi di lire, di cui oltre 970 in Lombardia.

Per quanto riguarda il personale, negli ultimi anni, circa il 2 per cento di quello statale è stato sottoposto ad azione penale (solo nella metà circa dei casi, peraltro, si tratta di reati di corruzione). Tra le amministrazioni statali, la più colpita da episodi

di corruzione noti è quella delle finanze. In tutti i ministeri, il numero dei procedimenti disciplinari è inferiore (a volte, notevolmente inferiore) al numero dei procedimenti penali avviati per fatti commessi da dipendenti nell’esercizio delle proprie funzioni.

Nella interpretazione di questi dati, occorre tenere conto di circostanze come la riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione del 1990 ed il fatto che, ovviamente, i dati relativi all’esercizio dell’azione penale vanno raffrontati con quelli relativi alle condanne non dello stesso anno, ma di quelli successivi. Per quanto riguarda le tangenti scoperte dalla Guardia di finanza, non di tutte le somme percepite è stata individuata anche la provenienza.

Alcune osservazioni sono comunque immediate: in primo luogo, l’aumento dell’emergere di episodi di malcostume è netto e costante; nell’esercizio dell’azione penale, si nota una fortissima prevalenza numerica dell’abuso d’ufficio rispetto alle altre fattispecie rientranti nella corruzione in senso ampio, prevalenza che non si riscontra a livello di condanne (rimangono più numerose quelle per corruzione e per concussione, mentre le accuse di abuso d’ufficio solo raramente danno luogo a condanne); inoltre, il contrasto tra i dati relativi alle diverse aree territoriali, con riferimento all’abuso d’ufficio, indica la difficoltà di una precisa configurazione della fattispecie. Infine, le statistiche dimostrano che la responsabilità disciplinare viene fatta valere molto raramente: nel complesso, essa appare più una conseguenza eventuale del procedimento penale che uno strumento di valorizzazione del prestigio e di difesa preventiva delle amministrazioni.

I casi che determinano l’intervento del giudice penale sono i più visibili, ma rappresentano una parte di un più ampio fenomeno di cattiva amministrazione sulle cui dimensioni si possono solo fare ipotesi. In generale, i reati contro la pubblica amministrazione (proprio perché il fatto costitutivo può facilmente essere tenuto nascosto) sono tra quelli per i quali il rapporto tra numero di denunce e numero di fatti accaduti è minore.

Gli episodi di corruzione sono evidentemente molto più numerosi di quelli scoperti. In effetti, le indagini ed i processi hanno svelato un sistema nel quale la necessità di pagare tangenti per ottenere sovvenzioni o per concludere contratti, la donazione di denaro agli organi di controllo, il finanziamento illecito dei partiti, i fondi neri delle imprese ed i redditi illeciti degli amministratori pubblici erano spesso assurti a regole generali: è possibile, dunque, ritenere che i casi scoperti non siano eccezioni, ma una parte forse piccola di una patologia ben più ampia.

D’altra parte, gli episodi di malcostume anche recenti, messi in luce dalle ultime indagini, dimostrano che scandali e processi, lungi dall’eliminare la corruzione, in molti casi hanno soltanto reso le tangenti più rischiose (e, quindi, più cospicue), la corruzione più sofisticata e quindi la lotta alla corruzione più difficile.

Per quanto riguarda la quantità di denaro illecitamente versata’ la cifra che si è indicata, relativa alle indagini della Guardia di finanza, è certamente molto al di sotto della realtà, come dimostrato dal fatto che in alcune regioni non è stata accertata alcuna tangente. Stime precise sono impossibili: tutte quelle fin qui proposte, comunque, parlano di versamenti per varie migliaia di miliardi di lire.

É ovvio, comunque, che i costi della corruzione non sono dati soltanto dal denaro pubblico oggetto di indebita appropriazione, dalla mancata sottoposizione al prelievo fiscale di molte operazioni finanziarie e dall’estorsione di risorse private, ma anche dagli incalcolabili danni prodotti dall’inefficienza e dagli sprechi che a tutto ciò sono connessi (si pensi alle conseguenze della cattiva scelta nella collocazione o dell’imperfetta esecuzione di un’opera pubblica, ai prezzi superiori a quelli di mercato pagati dalle amministrazioni pubbliche ai loro appaltatori e fornitori, al danno arrecato dal rifiuto o dal ritardo di un provvedimento favorevole per mancata corresponsione della tangente richiesta).

Nel complesso la morfologia della corruzione, quale si evince dai casi oggetto di indagine in Italia, è caratterizzata dal carattere collettivo, piuttosto che individuale, dei comportamenti devianti, che costituiscono fatti seriali, non isolati, nei quali si presentano frequentemente più corruttori, più corrotti, nonché intermediari.

Tuttavia il fenomeno della corruzione, pur diffusa, non pare generale, riguardando alcuni settori della società e dell’amministrazione, e non altri

.

 

b) Settori in cui la corruzione si manifesta

Rispetto ad altri paesi occidentali, l’esperienza italiana si contraddistingue, oltre che per la scala di diffusione della corruzione rivelata dalle indagini giudiziarie, anche per la capillare penetrazione del fenomeno nei gangli vitali dell’amministrazione pubblica. Episodi di corruzione si sono verificati tanto a livello di grandi decisioni che coinvolgono ingenti risorse finanziarie, come, ad esempio, in materia di urbanistica o di lavori pubblici, quanto nell’ordinaria attività amministrativa. Vi sono tre diversi tipi di corruzione, a seconda del modo in cui si viene a configurare lo scambio occulto tra risorse pubbliche e risorse private.

1) La spesa dell‘amministrazione pubblica per beni e servizi offerti da privati

Un primo tipo di attività pubblica soggetto alla corruzione è la domanda, da parte dell’amministrazione pubblica, di beni e servizi offerti dai privati.

Rientrano in questo campo le decisioni di spesa degli enti pubblici, come, ad esempio, l’attività contrattuale per opere o forniture, la compravendita di immobili e l’assegnazione di incarichi a professionisti.

In questi casi la corruzione è resa possibile dal pagamento di un prezzo superiore a quello minimo accettabile dall’offerente privato: si viene, così, a creare una rendita, spartita tra il decisore pubblico e l’assegnatario privato attraverso il versamento di una tangente. La scelta del contraente non riflette, dunque, i principi di imparzialità, di merito e di concorrenzialità ai quali si

ispirano le procedure ufficiali, poiché l’individuazione del beneficiario privato scaturisce da un accordo illecito.

L’interesse dei soggetti coinvolti nell’illecito converge verso l’accrescimento discrezionale del prezzo di ciò che viene acquistato dall’ente pubblico, poiché questo consente di accrescere i margini di guadagno illecito. In taluni casi, si sono verificate attività di influenza illecita anche nel corso della stessa formulazione della domanda pubblica, funzione propria degli organi di direzione politica, ad opera di: intermediari specializzati nel coordinare l’attività delle autorità pubbliche preposte all’allocazione delle risorse finanziarie con quella dei centri di spesa locali; imprenditori o cartelli di imprese che, contando sulla loro posizione monopolista o sulle protezioni politiche acquisite, si trovano in una posizione privilegiata rispetto all’aggiudicazione delle successive gare di appalto. In questa fase, la corruzione indirizza

l’impiego delle risorse pubbliche in funzione degli interessi contingenti di tali soggetti, indipendentemente da principi di razionalità e di interesse pubblico.

 

2) Le prestazioni e i servizi offerti dall‘amministrazione

Un secondo tipo di attività pubblica esposto al rischio di transazioni corrotte è legato alla distribuzione o all’offerta, da parte degli enti pubblici, di prestazioni, risorse e servizi richiesti dai privati.

Anche in questo caso, una posizione di rendita viene assegnata discrezionalmente dal decisore pubblico, talora accettando una somma inferiore al prezzo che i privati sarebbero disposti a pagare per ottenere la disponibilità di quella risorsa, in altri casi monetizzando risorse non monetarie (legate all’esercizio di compiti amministrativi che rivestono valore economico per i privati). In cambio della sua decisione, l’amministratore pubblico corrotto riceve sotto forma di tangente parte di quella rendita, come contropartita dello scambio occulto.

Questo tipo di corruzione può insorgere in svariati campi di attività amministrativa, come, ad esempio, il rilascio di concessioni edilizie, licenze o autorizzazioni al commercio, la concessione di crediti agevolati, l’inserimento di farmaci nel prontuario, i provvedimenti amministrativi che aumentano il prezzo di mercato di beni di proprietà privata (specie nel settore dell’urbanistica), la vendita di beni di proprietà pubblica.

Talora la prestazione richiesta all’amministratore pubblico corrotto consiste semplicemente nella rimozione di ostacoli al godimento di un certo bene o diritto, oppure nell’accelerazione dell’iter burocratico di una determinata pratica. Per questi motivi la corruzione trova un fertile terreno di coltura nelle aree di estesa regolazione pubblica delle attività economiche ed in tutti i settori dell’apparato pubblico caratterizzati da una persistente inefficienza.

 

 

3)

I poteri autoritativi dell’amministrazione

Il terzo tipo di attività pubblica nel quale possono emergere occasioni di corruzione è connesso all’esercizio del potere autoritativo di cui dispone l’ente pubblico, e che può concretizzarsi nell’imposizione di costi ai privati.

In questo caso, il corruttore è disposto a pagare una tangente pur di non effettuare un certo esborso, nonché per ritardare od evitare di essere assoggettato a sanzioni e provvedimenti punitivi. L’amministratore corrotto si appropria di una quota di questo valore economico, sotto forma di tangente, astenendosi, in cambio, dall’esercitare i poteri che collidono con gli interessi esclusivamente privati.

Esempi di questo tipo si presentano con riferimento ai controlli amministrativi e fiscali, al potere discrezionale di emanare provvedimenti che diminuiscono il valore di risorse private, o di revocare licenze, autorizzazioni, concessioni, ecc.. In questi campi di attività, le occasioni di corruzione crescono quanto più elevati sono i costi che gli amministratori pubblici possono imporre discrezionalmente. Si può rilevare ancora una volta come il fenomeno si intrecci strettamente con alcuni fattori di cattiva amministrazione. Per un verso, la stratificazione e la complessità della legislazione relativa a tali attività di controllo accresce il potere di ricatto di chi esercita le relative funzioni: la certezza di poter comunque rilevare irregolarità ed i costi subiti dai privati per il semplice esercizio del controllo creano le condizioni per la ricerca di patteggiamenti occulti. Inoltre, interesse dei corruttori privati è in taluni casi il rallentamento delle procedure che li riguardano, di modo che effetto immediato della corruzione diviene l’ulteriore rallentamento dell’attività amministrativa.

 

c) Condizioni che favoriscono la corruzione

Come emerge dall’analisi che precede, occasioni di corruzione possono presentarsi in tutti i campi di attività pubblica in cui i privati cercano di influenzare a proprio vantaggio l’esercizio del potere pubblico, o di ottenere informazioni riservate che consentano loro di avere un accesso privilegiato alle posizioni di rendita che derivano dall’azione degli enti pubblici.

In generale, le decisioni pubbliche risultano più o meno vulnerabili alla corruzione a seconda dell’ammontare delle risorse in gioco, del grado di discrezionalità della decisione, della generalità e della prevedibilità dei loro effetti. Quanto maggiore è la quantità di risorse pubbliche destinate ad un determinato impiego, tanto minori sono i vincoli alla creazione di posizioni di rendita, presupposto per la realizzazione dello scambio corrotto. Quanto più estesa è la discrezionalità dell’azione

amministrativa in quel settore, tanto più agevole e al riparo da rischi risulta la conclusione del patto illecito. Inoltre, quanto più ad ampio raggio e di portata generale sono gli effetti del provvedimento, tanto maggiori sono le difficoltà dei potenziali beneficiari nell’organizzare congiuntamente un’attività di pressione illecita per influenzare la decisione pubblica: per questo motivo, gli atti che assegnano benefici, a individui o a gruppi ristretti di soggetti, sono più facilmente monetizzabili. Infine, la prevedibilità dei beneficiari di un dato provvedimento - inversamente proporzionale all’astrattezza e all’imparzialità della relativa procedura - accresce la convenienza della corruzione per i soggetti ad esso interessati.

I luoghi privilegiati della corruzione sono quelli in cui queste condizioni ricorrono simultaneamente, ma le indagini giudiziarie mostrano come l’illecito abbia trovato un terreno fertile in numerosi settori "sensibili" dell’amministrazione italiana: i mercati pubblici; gli enti locali; le concessioni di pubblici servizi; le concessioni per la progettazione e la costruzione di opere pubbliche; il commercio e la cooperazione internazionale; l’urbanistica; gli apparati che dispongono di poteri autorizzativi, ispettivi e di controllo; le amministrazioni centrali che gestiscono i maggiori flussi di spesa; le aree di intersezione tra pubblico e privato, con particolare riferimento alle società - locali o nazionali - a capitale pubblico o a capitale misto, per le quali la privatizzazione della forma giuridica sembra poter garantire l’elusione sia dei controlli amministrativi che di quelli relativi alle società private, nonché di quello del mercato.

Bisogna considerare che la corruzione può avere molte cause, che possono variare da Paese a Paese. Essa è diffusa in Paesi con un’amministrazione robusta, come il Giappone, ma anche in Paesi con un’amministrazione debole, come l’Italia; in Paesi dove il sistema politico è caratterizzato dalla alternanza di partiti al potere, come gli Stati Uniti, e in Paesi dove lo stesso partito è al potere dal dopoguerra, come in Giappone; negli enti locali di Paesi con antiche tradizioni di "self government", come il Regno Unito, e nelle amministrazioni locali di Paesi dove il decentramento è un fatto recente, come la Francia.

Molto relative sono anche la visibilità, la percezione e la conoscenza del fenomeno, che, per il fatto di svolgersi in modo occulto, viene portato agli occhi di tutti dallo scoppio di scandali e dall’azione di organi di accusa più attivi.

Con queste cautele va considerato l’elenco delle cause, che segue, nel quale si è tentato di classificare i fattori ricorrenti che, nel nostro ordinamento, producono la corruzione.

 

1) L’ampiezza dell’area pubblica

L’estensione della corruzione è legata, in un sistema politico-amministrativo come quello italiano, all’ampiezza dell’intervento statale. In particolare lo sviluppo dei finanziamenti pubblici e della gestione pubblica di affari economici sono occasione frequente di reati contro la pubblica amministrazione. La regolazione e la presenza pubblica in numerosi campi di attività economica determina, inoltre, ampie e consistenti posizioni di rendita, la cui assegnazione ai privati viene spesso decisa con larghi margini di discrezionalità.

Le relative scelte amministrative divengono, così come si è già detto, influenzabili da negoziazioni occulte, che introducono distorsioni del principio di economicità e frequenti elusioni di quello di separazione tra patrimonio pubblico e patrimonio privato, che interessano, spesso, i vertici di nomina politica delle imprese pubbliche.

 

2) Il disordine normativo e la negoziazione della disciplina da applicare

Uno dei fattori di inefficienza e di arbitrarietà del sistema, condizioni che, a loro volta, favoriscono la corruzione, è la proliferazione di norme.

L’inflazione legislativa, nei suoi vari aspetti, fa sì che gli amministratori possano scegliere quale norma applicare, interpretarla così da favorire l’una o l’altra parte in gioco, aggirare i vincoli da essa imposti. La discrezionalità, traducendosi nella scelta del parametro normativo da applicare, si trasforma in arbitrio. Tale fenomeno accresce il potere di ricatto del funzionario nei confronti del privato che, seppure convinto di essere in regola, non può avere certezza del risultato e spesso preferisce pagare.

Si comprende, allora, che il disordine normativo è fattore di cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, con aggravi procedurali, ritardi ed altre disfunzioni che ostacolano o vanificano il raggiungimento degli stessi interessi collettivi che tali norme si propongono di perseguire. Questo fa sì che il valore del fattore tempo aumenti, e parallelamente crescano per i privati gli incentivi a comperarne l’impiego. Inoltre, l’inflazione normativa genera un’alta conflittualità; per prevenire o dirimere le controversie, che sono un fattore di costo per i privati, talvolta questi acquistano, tramite tangenti, una generale protezione politica presso i centri di potere che sono in grado di condizionare stabilmente l’azione amministrativa.

 

3) Le modalità di attuazione del decentramento amministrativo

Il trasferimento di numerose funzioni e di ingenti risorse dal centro alla periferia, a partire dagli anni ‘70, è stato accompagnato dall’aumento dei reati contro la pubblica amministrazione commessi in sede locale. Vari fattori possono spiegare il fenomeno.

In generale, gli enti locali appaiono come luoghi privilegiati di possibili decisioni corrotte, per via dell’alto numero di amministratori politici e di provvedimenti individualizzati che in essi sono adottati e la minore esperienza delle burocrazie. Inoltre, nel caso italiano, la moltiplicazione e il rafforzamento dei centri di potere locale non ha dato luogo ad una corrispondente crescita di responsabilità della classe politica locale, non essendo prevista una diretta correlazione tra erogazione di servizi ed esazione fiscale, ed essendo inadeguato l’ammontare delle indennità previste per gli incarichi degli amministratori.

Alcuni di questi ultimi hanno, così, trovato conveniente tessere una serie di rapporti di scambio, da un lato con gli organi centrali erogatori di risorse, dall’altro con le imprese e con gli interessi privati. L’azione di figure di intermediazione specializzata - talvolta collegate ad imprese di servizi a capitale pubblico - ha, poi, contribuito ad irrobustire questo mercato politico sotterraneo. Esse hanno svolto una funzione informale di supplenza rispetto ad alcune inefficienze organizzative delle strutture locali, favorendo il progressivo spostamento da fattispecie di scambio clientelare verso la corruzione in senso proprio. A questo vanno aggiunte l’inadeguatezza e la politicizzazione dei controlli previsti per gli enti locali, che hanno contribuito in taluni casi ad espandere ulteriormente in direzione dei controllori, anziché a contrastare, le reti di transazioni occulte.

 

4) Il finanziamento della politica

Il finanziamento della politica di per sé non genera corruzione. Lo fa solo

quando si effettua in presenza delle seguenti condizioni:

a) quando lo Stato ha larghi poteri di nomina a cariche pubbliche e private. Chi va ad occupare tali cariche tende ad acquistare la disponibilità di fondi che può

in parte usare per sovvenzionare illegalmente il partito - o i partiti -, della cui

protezione ha bisogno;

b) quando i partiti vedono diminuire le fonti interne di finanziamento (iscrizioni,

donazioni disinteressate, lavoro volontario di iscritti o simpatizzanti) e si trovano, quindi, a dover mantenere con fondi scarsi un apparato costoso;

c) quando si moltiplicano i soggetti politici (nuovi partiti, correnti o frazioni autonome, gruppi o individui non legati a partiti), che non ricevono fondi dagli organi centrali di un partito e debbono, quindi, procurarseli autonomamente;

d) quando mancano automatismi inerenti alla competizione politica (quali, ad

esempio, un’effettiva alternanza al potere), che inducano i soggetti politici a denunciare reciprocamente le pratiche di finanziamenti illegali;

e) quando mancano precisi limiti di legge alle spese dei soggetti politici e efficaci forme di sovvenzioni "in natura" da parte dello Stato.

Queste condizioni si sono verificate in Italia.

 

 

5) La confusione di ruoli tra personale politico e personale burocratico

Amministratori elettivi e burocrati, nella diversità di funzioni, sono in grado di esercitare un certo grado di controllo sulle reciproche attività, denunciando l’eventuale corruzione. Di fatto, però, le parti trovano spesso conveniente la negoziazione piuttosto che il controllo.

A partire dal dopoguerra, si è spesso verificato uno scambio complesso, volto a minimizzare gli inevitabili attriti, per meglio soddisfare i rispettivi interessi, sul

quale si sono inserite, in seguito, le dinamiche della corruzione. Se, da un lato, la collaborazione dei burocrati è indispensabile per l’attuazione dei provvedimenti propiziati dagli amministratori elettivi, per un altro verso, questi ultimi esercitano poteri rilevanti riguardo all’organizzazione degli uffici e alle possibilità di carriera dei primi. Inoltre, una notevole percentuale degli amministratori elettivi negli enti locali è costituita da dipendenti pubblici. Anche a causa degli scarsi vincoli posti dalla normativa italiana, si è, cosi, formata una classe intermedia tra politica ed amministrazione, formata da burocrati impegnati nella politica. Ad esempio, vi è un gran numero di dipendenti pubblici (statali, regionali e locali) che ricoprono cariche elettive negli enti substatali.

Infine, altri fattori hanno favorito questa confusione di ruoli: il modello di amministrazione prevalente in Italia - contrattuale-convenzionale, piuttosto che razionale-legale - l’atteggiamento legalistico e difensivo che porta a privilegiare la non decisione, e persino l’eccessivo aumento del numero dei dirigenti.

E’ in questo intreccio di relazioni di scambio e di solidarietà occulta che si sono delineati molti casi di corruzione. In alcuni casi, gli esponenti politici hanno impiegato i loro poteri sul personale pubblico per consentire ai soggetti privati un accesso privilegiato all’amministrazione o una protezione selettiva dall’inefficienza propria della macchina amministrativa. In cambio della loro prestazione, i burocrati hanno ottenuto un appoggio nella carriera 0 una maggiore libertà d’azione, oppure hanno riscosso una quota delle somme scambiate (talvolta fungendo da intermediari nella consegna). In altri casi, invece, tra i due soggetti si è realizzata un rapporto di non ingerenza e di tolleranza della corruzione, tramite la suddivisione del mercato occulto - espressa o tacita - per sfere d’influenza.

 

6) L ‘inefficienza amministrativa

L’inefficienza amministrativa è causa di corruzione. Essa attribuisce agli amministratori un potere arbitrario relativo al compimento degli atti d’ufficio, poiché si estende la gamma di risposte alternative che essi possono dare alle domande e agli impulsi provenienti dall’esterno o dai livelli superiori della struttura amministrativa. Viene talora espressa l’opinione, in base alla quale la corruzione può indurre gli agenti pubblici a svolgere con maggiore diligenza i propri compiti, dato che la tangente è un incentivo occulto che sopperisce all’inadeguatezza delle procedure ufficiali ed accresce così l’efficienza di strutture amministrative irrazionali. In realtà, il caso italiano mostra come, di regola, la corruzione produca inefficienza, e a sua volta il cattivo funzionamento dell’amministrazione crei migliori occasioni di corruzione.

Oltre ai costi che gravano sui bilanci pubblici, il sistema della corruzione produce anche costi sociali, rappresenta cioè un "gioco a somma negativa". Anche la corruzione apparentemente "benefica" per tutti i soggetti coinvolti nello scambio ha di solito effetti che danneggiano altri individui: l’accelerazione di una procedura ottenuta pagando una tangente può determinare un rallentamento di pratiche che interessano altri soggetti; ogni atto di corruzione politica può dar luogo ad attività di influenza per appropriarsi delle rendite rese disponibili dall’intervento pubblico; dal momento che l’inefficienza genera occasioni più propizie di corruzione, gli amministratori corrotti hanno un incentivo ad allentare intenzionalmente i vincoli dei controlli, ad incrementare la spesa pubblica ed a promuovere quelle condizioni di vischiosità, ritardi procedurali e imprevedibilità che allargano i margini per concludere transazioni corrotte.

 

7)

L’insoddisfacente disciplina delle procedure amministrative

Tra i fattori di inefficienza, vanno segnalati l’inadeguata disciplina delle procedure amministrative, la debolezza tecnica delle amministrazioni pubbliche e l’inefficacia dei controlli.

Spesso la disciplina delle procedure amministrative è antiquata e troppo complessa. Tale disciplina ignora la limitatezza di risorse umane, temporali ed organizzative disponibili nelle amministrazioni pubbliche, col risultato di determinare un sovraccarico di compiti ed attività rispetto a quelle espletabili dagli agenti. Questi ultimi acquisiscono, così, il potere di decidere quali pratiche far viaggiare per corsie preferenziali, o come amministrare certe risorse. Essi potranno compiere o non compiere un certo atto, farlo speditamente o lasciar riposare la relativa pratica, scegliere l’uno o l’altro beneficiario privato, spendere più o meno risorse pubbliche.

In cambio dell’esercizio di questo potere discrezionale, essi possono richiedere un

prezzo.

La rigidità e la sovrabbondanza delle disposizioni fanno sì che esse vengano aggirate con metodi alternativi e norme di deroga. Queste misure derogatorie non sostituiscono la disciplina generale con alcuna norma, lasciando le amministrazioni libere nella configurazione dei relativi procedimenti. I poteri discrezionali, così, reintrodotti, non avendo riconoscimento esplicito, risultano, però, ancora più vulnerabili alla corruzione, poiché mancano i criteri per il loro esercizio ed è particolarmente difficile l’azione di controllo.

 

8) La debolezza dell‘amministrazione e l’assenza di corpi tecnici

La debolezza dell’amministrazione si riflette soprattutto nell’assenza o nella debolezza dei corpi professionali. Ciò costringe gli enti pubblici ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che richiedono l’opera di specialisti.

Appaiono particolarmente in crisi i corpi tecnici dello Stato, inclusi quelli aventi una grande tradizione, come il Genio civile e gli uffici tecnici erariali, i cui organici sono carenti ed il cui livello qualitativo è insufficiente, perché il livello retributivo non attira i professionisti più qualificati. Questo fattore contribuisce alla diffusione della corruzione, per un verso alimentando le diverse fonti d’inefficienza precedentemente esaminante, per un altro creando direttamente - al momento dell’affidamento degli incarichi professionali - occasioni di scambio occulto.

 

9) L’inefficienza dei controlli

I1 sistema dei controlli, nel nostro ordinamento, è tradizionalmente ispirato alla verifica formale della regolarità e della legittimità di singoli atti, risolvendosi spesso in una codecisione. A questo tipo di controlli sfuggono i casi in cui il procedimento è stato seguito correttamente, ma la decisione non risponde all’interesse pubblico, come, ad esempio, nei casi di distorsione della domanda con conseguente realizzazione di opere pubbliche non necessarie. Sprechi ed inefficiente di questo tipo sarebbero, invece, meglio individuabili tramite controlli di risultato.

Le attuali carenze del sistema dei controlli - nonostante le modifiche introdotte dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 ("Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti") - consentono, tra l’altro, agli amministratori di produrre un basso livello di impegno lavorativo, senza per questo accrescere sensibilmente il rischio di incorrere in sanzioni. A seconda delle loro preferenze, amministratori politici e burocrati possono utilizzare questo potere discrezionale - quanto tempo ed energia dedicare ai doveri d’ufficio - per lavorare meno, o per farsi pagare per le loro prestazioni. Ad esempio, quando i ritardi nell’espletamento di certe pratiche diventano una regola, anche l’agente che si limita a svolgere le sue mansioni nel tempo previsto può ottenere una somma di denaro in cambio di questa prestazione insperata.

 

10) La sfiducia dei cittadini nella garanzia dei loro diritti

Il principio che in numerosi settori ispira i rapporti tra amministrazioni pubbliche e cittadini non è quello della certezza dei tempi e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, bensì quello dell’arbitrio dell’amministrazione. Ciò favorisce la monetizzazione dei poteri amministrativi, dato che cittadini ed imprese spesso trovano conveniente pagare in cambio di atti dovuti, piuttosto che ricorrere ai rimedi previsti dall’ordinamento.

Il cattivo funzionamento dell’amministrazione pubblica genera, tra i cittadini e gli imprenditori, una sfiducia diffusa nell’efficienza e nell’imparzialità delle procedure che regolano l’accesso allo Stato, ovvero nella possibilità di godere effettivamente dei diritti sanciti della legge. La paralisi amministrativa trasforma i diritti in favori. E’ noto il caso di un certificato di cittadinanza che, a causa degli indugi nella consegna, è stato richiesto e pagato come un privilegio.

Gli amministratori coinvolti nelle transazioni illecite hanno interesse a trasmettere all’esterno un’immagine delle procedure pubbliche come dominio di inefficienza ed imprevedibilità, poiché questo permette loro di offrire selettivamente servizi di protezione da quelle condizioni indesiderate. In cambio di tangenti, essi saranno pronti a garantire una maggiore sollecitudine nel disbrigo delle pratiche, un’interpretazione favorevole e non controversa delle norme, una semplificazione delle procedure, una risoluzione positiva del contenzioso con l’amministrazione pubblica.

La crescita della domanda di giustizia amministrativa, verificatasi in questi ultimi anni, è al tempo stesso conseguenza e determinante di questa sfiducia diffusa, dato che il sovraccarico di domande ha prodotto, anche in questo caso, tempi di attesa estremamente lunghi.

Nascono, così, incentivi alla ricerca di canali privilegiati di contatto con le strutture pubbliche, riguardino essi il godimento di servizi o la competizione per l’assegnazione di appalti e posti di lavoro, per guadagnare posizioni di rendita, per ridurre i tempi di attesa, per anticipare le mosse di altri potenziali corruttori.

La domanda di favori illeciti che ne consegue proviene soprattutto dai soggetti che hanno con l’amministrazione pubblica rapporti più frequenti ed economicamente rilevanti, ad esempio, imprenditori e fornitori pubblici, professionisti, ecc.. Ne deriva un’inclusione selettiva dei privati, fondata sulla loro disponibilità a pagare tangenti, entro il mercato illegale. L’aumento della corruzione si riflette, però, in aspettative sempre più pessimistiche sull’arbitrarietà dell’azione amministrativa. Per questo, a mano a mano che la corruzione si diffonde, la sfiducia dei cittadini nell’amministrazione tende ad autoalimentarsi.

 

11) Le distorsioni del sistema economico e le strutture d ‘impresa

Per gli imprenditori, gli incentivi alla corruzione dipendono, oltre che dall’entità delle rendite allocate politicamente e dalle probabilità di aggiudicarsele, dall’ampiezza delle opportunità alternative presenti ne! mercato privato. A1 crescere dell’importanza relativa della domanda pubblica di beni o servizi da essi forniti, diventa più difficile sottrarsi ai meccanismi di corruzione presenti nel sistema amministrativo. L’eventuale emarginazione dal mercato pubblico costringerebbe, infatti, a sostenere costi molto elevati, per il rischio di non riuscire a sostenere la concorrenza nel settore privato.

Si può dire che la domanda di corruzione proveniente dagli imprenditori è inversamente correlata con il grado di sviluppo tecnologico e con le dimensioni del relativo mercato: questi fattori, garantendo uno spettro più ampio di alternative agli

operatori economici, consentono di bilanciare le spinte alla collusione con

i poteri pubblici, almeno nei casi in cui le richieste di questi ultimi assumano,

almeno in parte, carattere estorsivo.

Va segnalato che numerosi imprenditori, trovandosi a dipendere da decisioni discrezionali o da procedure dall’esito imprevedibile, hanno trovato conveniente acquistare non specifici benefici pubblici, bensì una generale protezione politico-amministrativa presso le amministrazioni pubbliche ai cui appalti partecipavano o alle quali richiedevano autorizzazioni, concessioni, licenze.

Ulteriore conseguenza negativa della corruzione è la perdita di efficienza delle imprese, che tendono a soddisfare in modo inadeguato la domanda pubblica, pagando tangenti. Questo processo produce costi pesanti per la stessa amministrazione, in termini di lievitazione dei costi, ritardi, scadente qualità delle prestazioni acquistate, più frequenti inadempimenti o cattive esecuzioni. A1 contrario, le imprese più efficienti possono soccombere proprio perché le concorrenti, prive di opportunità nel mercato privato, sono disposte a rinunciare a quote maggiori di guadagno, pagando tangenti, pur di mantenersi attive nel mercato pubblico.

Queste barriere all’ingresso del mercato pubblico tendono, poi, a rafforzarsi col tempo: le stesse imprese protette sono vincolate alla prosecuzione dei rapporti illeciti con le strutture pubbliche proprio dalla loro minore efficienza produttiva, che le condannerebbe ad un ruolo marginale in un mercato privato concorrenziale; inoltre, i partecipanti allo scambio occulto costituiscono un capitale condiviso di informazioni riservate, conoscenze personali e fiducia, che riduce i costi di eventuali nuove transazioni. Anche il potere di ricatto, ovvero la conoscenza di notizie compromettenti su precedenti attività illecite degli amministratori, può essere impiegato per ottenere un trattamento privilegiato.

Anche la struttura della proprietà e del controllo delle imprese influenza le occasioni di corruzione. Nella media e nella grande industria hanno prevalso i modelli del controllo di Stato e del controllo familiare, col risultato che è venuta a mancare un’efficace tutela da abusi dei diritti patrimoniali della proprietà, favorendo cosi la formazione di fondi neri.

Per un verso, il controllo pubblico della grande industria si è tradotto nell’esercizio di un informale potere di delega da parte di taluni centri di potere, che di esso si sono avvantaggiati in termini di finanziamenti occulti. La natura familiare della proprietà dei principali gruppi economici privati ha incentivato, invece, il ricorso a forme d’influenza personalizzata, non mediata dalle deboli strutture di rappresentanza degli interessi di categoria. La peculiarità italiana di un capitalismo senza proprietà anonima ha accresciuto considerevolmente l’importanza delle relazioni familiari e fiduciarie nell’ambito dei rapporti economici. L’accentramento della proprietà entro gruppi ristretti di soggetti e gli scarsi controlli interni, sul versante imprenditoriale, hanno corrisposto, sul versante istituzionale, ad una speculare stabilità al potere delle medesime élites politiche. Questo ha favorito la creazione di relazioni fiduciarie e cooperative di lungo periodo tra amministratori pubblici ed imprenditori, a fondamento di un sistema di transazioni occulte il cui adempimento era garantito dall’aspettativa di una ripetizione indefinita del processo.

La ristrettezza del mercato e la stabilità nel controllo delle imprese operanti nei settori dove maggiore è la domanda pubblica hanno favorito la formazione di intese di cartello. Tramite simili accordi, le imprese, coordinando le rispettive offerte, possono assicurarsi a rotazione l’assegnazione dei contratti pubblici. In presenza di simili intese, una quota dei guadagni che le imprese si assicurano, concordando le rispettive offerte nelle gare pubbliche, può essere destinata agli amministratori che sovrintendono alla relativa procedura; le imprese colluse si assicurano l’assenza di intoppi procedurali, la limitazione del numero di concorrenti invitati alle gare, l’afflusso costante di finanziamenti. In alcuni casi, il decisore pubblico viene pagato anche per sanzionare, tramite l’eventuale esclusione dal mercato pubblico, l’imprenditore che defezioni dal cartello.

 

12) L’assenza di prestigio e di spirito di corpo dei dipendenti pubblici

I1 costo morale della corruzione dipende dai criteri di valutazione della legge prevalenti nel contesto sociale. Esso sarà, dunque, influenzato dalla cultura politica prevalente e dalla presenza più o meno radicata, tra gli amministratori pubblici, di senso dello Stato. Se i criteri di riconoscimento morale prevalenti nell’organizzazione in cui l’individuo opera sono analoghi a quelli che sostengono l’autorità pubblica, la corruzione risulta per lui particolarmente onerosa. L’interiorizzazione di tali norme è influenzata anche dal prestigio del servizio pubblico: quanto più la partecipazione ai ruoli pubblici è ambita e socialmente riconosciuta, tanto più la violazione delle regole apparirà indesiderabile.

Da questo punto di vista, l’amministrazione italiana appare caratterizzata da una marcata debolezza del prestigio e dell’orgoglio di posizione, anche per l’influenza delle protezioni politiche o degli automatismi legati all’anzianità nel determinare l’avanzamento nella carriera burocratica.

Altri due fattori contribuiscono a questo stato di cose: la mole eccessiva e l’inefficienza delle norme procedurali cui gli amministratori sono soggetti tendono ad attenuare la percezione soggettiva della gravità di eventuali violazioni, o quantomeno determinano una gradazione, nel senso di responsabilità personale, tra la violazione di regole ritenute coessenziali alla funzione esercitata ed altre infrazioni considerate, invece, irrilevanti; le basse retribuzioni per la maggior parte degli incarichi pubblici rivestiti accresce direttamente la disponibilità personale alla corruzione, scoraggia l’ingresso di soggetti dotati di notevoli competenze professionali, accentua l’impressione socialmente condivisa di una caduta di prestigio della funzione pubblica esercitata.

 

 

3. STUDI, PROPOSTE E RIFORME IN ALCUNI ORDINAMENTI STRANIERI

 

 

Negli ultimi anni, la lotta alla corruzione è stata oggetto di numerosi studi e proposte, oltre che di riforme, in vari ordinamenti. Vanno segnalati, in particolare, i rapporti presentati dalle commissioni di studio costituite in Francia e nel Regno Unito, che hanno esaminato cause e dimensioni della corruzione e proposto numerosi rimedi generali e particolari. Appare opportuno considerare anche l'esperienza di Stati Uniti d'America, Spagna e Portogallo.

 

 

a) L'esperienza della Francia

Nell’ultimo decennio, in Francia vi sono stati tre importanti interventi legislativi volti a moralizzare la vita pubblica e a combattere la corruzione. Particolare attenzione è stata dedicata al finanziamento della politica.

Nel 1988, la legge sulla transparence financière de la vie politique ha previsto che il Presidente della Repubblica, i membri del governo, i parlamentari, i presidenti delle assemblee regionali e dipartimentali e i sindaci delle città con più di 30000 abitanti forniscano informazioni sul loro patrimonio iniziale e su quello finale: le dichiarazioni dei deputati e dei senatori vanno presentate ai rispettivi uffici di presidenza, quelle degli altri soggetti interessati alla Commission pour la transparence financière de la vie politique, composta dal vicepresidente del Consiglio di Stato e dai primi presidenti della Corte di cassazione e della Corte dei conti (nonché, in base a una legge del gennaio 1996, da altri dodici magistrati degli stessi organi). Solo la dichiarazione del Presidente della Repubblica, peraltro, è pubblicata sul Journal of ficiel.

La stessa legge ha disciplinato, per la prima volta, il finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali, imponendo limiti di spesa ai candidati al Parlamento ed alla Presidenza della Repubblica e stabilendo le cifre massime che persone fisiche e persone giuridiche possono versare loro. I partiti ricevono un finanziamento statale, commisurato al numero dei rispettivi parlamentari, ed i loro bilanci devono essere pubblicati annualmente sul Journal of ficiel.

La disciplina è stata rafforzata da due leggi del 1990, che hanno istituito la Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques, composta da nove magistrati, per vigilare sul rispetto della disciplina sul finanziamento dei partiti, che è stata estesa a tutte le competizioni elettorali. Queste leggi hanno posto limiti all'ammontare annuale delle donazioni delle imprese ai partiti politici ed alle loro associazioni. Esse hanno previsto anche un'amnistia parziale per i reati di violazione della disciplina del finanziamento dei partiti, salvo il caso di arricchimento personale.

Sul finanziamento della vita politica il legislatore è ritornato nel 1993, nel quadro di un insieme di riforme volto a moralizzare la vita pubblica. In quell'anno, il governo ha incaricato una Commissione di studio di proporre modifiche alla legislazione vigente. Tra le altre raccomandazioni contenute e dettagliatamente illustrate nel rapporto finale della Commissione, vanno segnalate: l'adozione di codici di condotta e l'istituzione di comités de déontologie, formati da rappresentanti delle amministrazioni e del personale e da specialisti "deontologi", che i dipendenti pubblici possano consultare; la formazione iniziale e permanente dei dipendenti; la loro mobilità; la trasparenza delle amministrazioni pubbliche e delle imprese private, da perseguire con strumenti come obblighi di dichiarazione patrimoniale, pubblicità delle operazioni bancarie di dimensione superiore ad una certa soglia, abbassamento della soglia di pagamento obbligatorio con assegno, disciplina dell'attività di lobbying, codici di condotta anche nel settore privato; la riforma dei controlli sugli atti degli enti locali, nel rispetto della loro autonomia; la valorizzazione delle ispezioni amministrative, a livello statale, ed il potenziamento dei controlli interni nelle amministrazioni locali; il rafforzamento delle giurisdizioni finanziarie (Chambres régionales des comptes e Cour des comptes), da perseguire con più efficaci strumenti di informazione, con l'estensione delle loro competenze e dei loro poteri investigativi, con una maggiore pubblicità dei loro atti istruttori e con un alleggerimento delle procedure; il rafforzamento dei controlli esterni sulle imprese, mirati a combattere la costituzione di fondi neri e l'evasione fiscale; la riforma di alcune norme penalistiche. Riforme particolari, poi, sono state suggerite per alcuni "settori sensibili", come gli appalti pubblici, i servizi pubblici, l'urbanistica e l'edilizia, la pubblicità ed il commercio internazionale.

Alcune di queste indicazioni, evidentemente, consistono in indirizzi generali di politica legislativa e amministrativa. Molte di quelle più specifiche - nonostante alcune resistenze - hanno trovato attuazione con la legge relative à la prevention de la corruption et à la transparence de la vie économique et des procédures publigues. Essa è intervenuta su quattro fronti: ha istituito il Service central de prévention de la corruption; ha posto una nuova disciplina del finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti politici (aspetto su cui molto aveva insistito il presidente Mitterrand); ha introdotto varie innovazioni in materia di attività economiche (determinazione di prezzi e tariffe, pubblicità, insediamenti commerciali, delegazione di servizio pubblico, contratti pubblici, patrimonio immobiliare degli enti pubblici); ha posto nuove norme in materia di funzioni e procedimenti negli enti locali e di controllo sui loro atti.

In particolare, il Service central de prévention de la corruption ha funzioni di documentazione ed! informazione, di collaborazione con le autorità giudiziarie che indagano su fatti di corruzione, di consulenza per le amministrazioni pubbliche. Esso può denunciare fatti al procuratore della Repubblica, ma il suo ruolo si esaurisce con l'apertura dell'inchiesta giudiziaria. In effetti, peraltro, i risultati finora prodotti da questo organismo si riducono all'elaborazione di approfonditi rapporti, senza una reale incidenza in termini di prevenzione della corruzione.

Per quanto riguarda il finanziamento della vita politica, la legge del 1993 ha stabilito che candidati e partiti comunichino alla Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques i contributi ricevuti dalle persone giuridiche e che queste comunicazioni siano pubblicate sul Journal officiel. Inoltre, questi contributi non possono superare, nel singolo anno, il 25 per cento del bilancio del partito, né il 2,5 per cento del finanziamento statale complessivo ai partiti.

 

 

b) L'esperienza del Regno Unito

 

Anche nel Regno Unito si sono avuti, negli ultimi anni, importanti interventi normativi. Qui le riforme sono state precedute dai lavori di apposite commissioni di studio: la Commissione Redcliffe-Maud, che nel 1974 esaminò i problemi relativi alla condotta degli amministratori locali ed elaborò un breve codice di condotta destinato ad essi; la Commissione Salmon, cui si deve un approfondito studio dei tipi, delle cause e degli effetti della corruzione (1976); la Commissione Nolan, incaricata di studiare e definire standards in public life, costituita nel 1995 e attualmente al lavoro, che ha già pubblicato due rapporti.

Indicazioni importanti, per la prevenzione della corruzione, si trovano nel primo Rapporto della Commissione Nolan. Dopo avere indicato i "sette principi della vita pubblica" (altruismo, integrità, oggettività, responsabilità, trasparenza, onestà, direzione), esso insiste su alcune indicazioni di fondo: l'adozione di codici di condotta; la coesistenza di controlli interni alle amministrazioni e controlli esterni, affidati ad organismi indipendenti; la formazione dei dipendenti pubblici.

Con riferimento ai parlamentari, esso sottolinea i problemi della loro indipendenza, messa in dubbio dalle consulenze retribuite, e dell'attività di lobbying: richiede, al riguardo, maggiore trasparenza e maggiore severità nell'autorizzazione delle consulenze. Inoltre, esso propone che il Registro degli interessi dei parlamentari offra maggiori informazioni, che la disciplina del conflitto di interessi sia più dettagliata, che sia redatto un codice di condotta dei parlamentari e nominato un Commissario per i criteri di condotta, con poteri di indagine, censura e consulenza.

Anche per i ministri è segnalata l'esigenza di chiarire la portata di alcuni principi di condotta. Per essi, poi, e per i dipendenti pubblici di grado più elevato, vi è soprattutto l'esigenza di porre restrizioni alla possibilità di assurgere incarichi nel settore privato, una volta abbandonata la carica governativa.

Il Rapporto si occupa anche delle amministrazioni pubbliche non dipartimentali e degli organi del Servizio sanitario nazionale, soprattutto per quel che riguarda le nomine nei loro organi direttivi, riaffermando il principio del merito: si richiede trasparenza e si propone l'istituzione di un Commissario per le nomine pubbliche, con funzioni di regolazione e vigilanza.

Le raccomandazioni della Commissione sono suddivise in tre gruppi: adempimenti da attuare entro un termine minimo; indicazioni la cui attuazione viene considerata possibile entro pochi mesi; rimedi di lungo termine. Per ciascun gruppo di raccomandazioni, la Commissione si riserva di valutare nel tempo lo stato di attuazione delle riforme proposte.

Anche le proposte della Commissione Nolan hanno trovato resistenze, talora vivaci. Soltanto alcune di esse sono state recepite dal Parlamento. Le nuove norme impongono ai parlamentari una maggiore trasparenza nei loro interessi finanziari: essi devono dichiarare i propri beni ed interessi, e sulla loro condotta vigila il Commissario per i criteri di condotta.

c) L'esperienza degli Stati Uniti d'America

 

Il problema dei mezzi per prevenire la corruzione si è posto negli Stati Uniti fin dal secondo dopoguerra, a seguito della scoperta di gravi episodi di collusione tra amministrazione della difesa e industria bellica. L'idea di fondo, nell'esperienza statunitense, è che i funzionari pubblici devono non solo rispettare la legge e mantenersi onesti, ma anche evitare le situazioni di "prossimità alla corruzione", come quelle di conflitto di interessi, e le circostanze che possano mettere in dubbio la loro indipendenza ed imparzialità.

La materia del conflitto di interessi è stata regolata per la prima volta da un executive order presidenziale del 1965. Da tempo si è diffusa, inoltre, la tendenza alla codificazione dell'etica pubblica: i codici di condotta sono visti come strumenti posti a disposizione del personale pubblico per individuare canoni di condotta accettabili e risolvere i dubbi circa il corretto comportamento da tenere, ma anche come mezzi di moralizzazione, nell'interesse della collettività; con essi si costruisce, attraverso un impegno collettivo, un'etica del servizio pubblico e si definisce il ruolo di una categoria di soggetti nella società.

I codici di condotta del personale federale sono previsti dagli executzve orders presidenziali, l'ultimo dei quali del 1990. In base ad esso, nel 1992, 1'0ffice of Government Ethics ha emanato gli Standards of ethical conduct for employees of the executive branch, le cui dettagliate prescrizioni sono assistite non da sanzioni penali, ma dalla responsabilità civile ed amministrativa dei dipendenti. Prescrizioni più specifiche possono essere emanate dalle singole agenzie, e i codici di condotta sono molto diffusi anche nelle amministrazioni statali e locali.

I problemi dell'etica pubblica e della lotta alla corruzione hanno continuato ad essere di grande attualità, come dimostrato dal notevole numero di alti funzionari federali che, soprattutto negli anni '80, sono stati sottoposti a procedimento penale.

Tra le riforme recenti, vanno segnalati l'Ethics in Government Act del 1978 e l'Ethics Reform Act del 1989.

La legge del 1978 impone ai membri ed al personale del Congresso, al Presidente ed al personale federale, nonché ai giudici, di dichiarare annualmente doni ricevuti, prestiti contratti, rapporti di impiego e beni immobili, sia propri, sia di alcuni familiari. La legge disciplina anche il blind trust, assicurando una autonomia pressoché totale al gestore: questi può alienare, reinvestire e diversificare i beni dell'interessato, senza informarlo; le comunicazioni tra l'uno e l'altro sono fortemente limitate e devono svolgersi per iscritto, e l'unica direttiva che il beneficial può dare al trustee è quella di vendere un bene il cui mantenimento darebbe vita ad un conflitto di interessi. La legge istituisce un ufficio centrale (l'Office of Government Ethics), con migliaia di corrispondenti nelle varie amministrazioni: esso ha compiti di studio e proposta, di vigilanza sul rispetto della legge stessa e della disciplina di attuazione, di controllo delle dichiarazioni finanziarie, di consulenza nei confronti del personale e di collaborazione con il Dipartimento della giustizia per l'attività investigativa; esso svolge attività di formazione per.400-600mila dipendenti pubblici all'anno e raccoglie dati sui dipendenti, sui loro patrimoni e sulle loro attività. Infine, la legge affronta il problema delpost employment conflict of interest, ponendo restrizioni alla possibilità di assumere impieghi nel settore privato, in ambiti connessi alle funzioni svolte, dopo la cessazione dalla carica pubblica.

La legge del 1989 ha reso più severa la disciplina in materia di accettazione di regali ed altre utilità da parte del personale federale, uso di beni dell’amministrazione, contenuto della dichiarazione finanziaria, post employment restrictions. Essa, inoltre, ha stabilito limiti al reddito che i dipendenti federali possono ricavare da attività svolte per conto di terzi ed ha introdotto agevolazioni fiscali sulle vendite di beni imposte dalle norme in materia di conflitto di interessi.

Esperienze simili a quella statunitense si sono avute in altri paesi anglosassoni, come il Canada e l'Australia: in essi, la legge stabilisce principi generali, validi per tutti i dipendenti, e rinvia a codici di condotta ed a norme più specifiche stabilite dalle varie amministrazioni.

 

 

d) L'esperienza della Spagna

 

In tempi recenti, i problemi della corruzione sono stati oggetto di attenzione anche da parte delle istituzioni spagnole. Le cause della corruzione, in questo paese, vengono, generalmente, individuate nella scarsa alternanza al potere, nell'inefficacia delle norme sul finanziamento della politica, nella massiccia presenza dello Stato nella società e nell'economia e nella debolezza delle sue strutture. I1 dibattito, peraltro, si è concentrato sugli aspetti repressivi (inasprimento delle pene, revisione della disciplina del processo penale, istituzione di una procura speciale e di una giurisdizione speciale per i reati economici, norme premiali per chi collabora con la giustizia). Non mancano, comunque, interventi di tipo preventivo, come la disciplina dell'incompatibilità del personale politico, il controllo parlamentare su alcune procedure di spesa, la riforma dei contratti pubblici. In particolare la legge del 18 maggio 1995, n. 13 ha stabilito principi di pubblicità in materia di contratti, regolando le esclusioni dalla contrattazione e il registro dei contratti, in modo da assicurare pubblicità e trasparenza all'attività negoziale delle amministrazioni pubbliche.

 

 

e) L'esperienza del Portogallo

Va considerata, infine, la recente esperienza portoghese dell'Alto Commissàrio contra a corrupcào, istituito nel 1983 a seguito della scoperta di vari casi di malcostume. Si tratta di un organo investigativo monocratico dotato di ampia autonomia, eletto dall'Assemblea della Repubblica a maggioranza di due terzi dei componenti, con funzioni di indagine in materia di corruzione. Esso non ha, quindi, funzioni di prevenzione della corruzione, ma opera nella prospettiva della repressione.

Non si tratta di un organo giurisdizionale: le sue indagini, caratterizzate da informalità e riservatezza, non sostituiscono quelle dell'autorità giudiziaria, ma si aggiungono ad esse. I procedimenti che si svolgono davanti ad esso sono volti all'acquisizione di elementi, che eventualmente vengono trasmessi all'autorità (giudiziaria o amministrativa). Non vi sono, quindi, particolari garanzie di difesa.

I procedimenti sono avviati, nella maggior parte dei casi, su segnalazioni di privati. Una notevole parte di essi riguarda episodi di corruzione verificatisi nelle amministrazioni locali. Nel 1986, l'autonomia dell'organo è stata rinforzata e ad esso è stato attribuito il compito di indagare anche sui titolari di organi sovrani.

 

 

4. MEZZI PER PREVENIRE LA CORRUZIONE

 

 

4.1. Criteri per individuare i rimedi e loro articolazione

I mezzi per prevenire la corruzione sono stati individuati dal Comitato sulla base dei principi costituzionali e delle loro implicazioni:

a. in primo luogo il principio di imparzialità e quello in base al quale i funzionari sono al servizio esclusivo della nazione. Da questi discendono regole quali:

- un'organizzazione amministrativa ispirata a modelli che consentano la separazione dalla politica, o almeno la mettano al riparo dalla politicità indotta per effetto della presenza di rappresentanti elettivi al vertice degli apparati;

- un'attività non arbitraria e non decisa caso per caso, bensì sulla base della predeterminazione e pubblicazione di criteri generali di attività;

- separazione tra interessi e patrimonio della pubblica amministrazione, da un lato, e interessi e patrimonio degli addetti ad essa, dall'altro;

b. in secondo luogo, il principio di fedeltà e quello di svolgimento delle attività pubbliche con onore e disciplina. Tali principi non vanno riferiti ai soli funzionari, ma a tutti coloro che prestano servizi pubblici. Questi principi impongono il disinteresse personale e il rispetto delle norme. Da essi deriva la possibilità di far riacquistare prestigio alla funzione pubblica;

c. in terzo luogo, il principio di responsabilità personale, amministrativa, penale

e civile del funzionario nei confronti della collettività servita e dell'ente

pubblico in cui il funzionario presta la propria opera. I1 principio di responsabilità è legato, in primo luogo, alla regola della selezione secondo il criterio del merito; in secondo luogo, alla produttività dei dipendenti pubblici e al loro obbligo di conseguire i risultati indicati dalla legge e al significato costituzionale della partecipazione al lavoro.

I mezzi per prevenire la corruzione possono essere ordinati, in base ai loro oggetti, a seconda che riguardino:

a. l'assetto normativo (4.2);

b. i rapporti tra politica e amministrazione (4.5, 4.7, 4.8, 4.10, 4.11);

c. il corpo amministrativo (4.3, 4.9, 4.10, 4.12, 4.13, 4.14, 4.15, 4.16, 4.17, 4.18);

d. l'attività amministrativa e i controlli (4.3, 4.4, 4.18, 4.19, 4.20);

e. i controlli nell'area privata (società e professioni) (4.4, 4.6, 4.16, 4.19, 4.21, 4.22).

Tali mezzi possono essere distinti anche in base alla natura degli interventi, a seconda che possano essere conseguiti con:

a. linee di politica generale (4.2, 4.3, 4.4, 4.18);

b. provvedimenti puntuali riguardanti lo svolgimento delle attività politiche (4.5, 4.6, 4.7, 4.8, 4.10, 4.11, 4.13);

c. provvedimenti puntuali riguardanti la pubblica amministrazione (4.8, 4.9, 4.10, 4.12, 4.13, 4.14, 4.15, 4.16, 4.17, 4.18, 4.19, 4.20, 4.21);

d. provvedimenti puntuali riguardanti imprese e professioni (4.22, 4.23).

I1 Comitato propone le seguenti misure:

 

 

4.2. Che si semplifichi e riordini la normazione

I problemi della normazione, nel nostro ordinamento, possono essere ricondotti a due fenomeni: l'eccesso di norme e il livello troppo elevato delle fonti. I1 primo aspetto determina incertezza sulla disciplina delle varie materie e sulle norme da applicare nei casi specifici, nonché eccessiva regolazione delle attività private, soggette a troppi vincoli ed adempimenti; il secondo aspetto - determinato in gran parte dalle stesse amministrazioni, desiderose di trasferire le responsabilità sul livello legislativo e di imporre la propria volontà sulle altre amministrazioni - determina rigidità e difficoltà di modifica del tessuto normativo, e quindi necessità di ulteriore ricorso allo strumento legislativo.

I1 risultato è uno stato di confusione, in cui gli amministratori possono scegliere quali norme applicare, possono interpretarle in modo da favorire l'una o l'altra parte, possono aggirare i vincoli imposti dalla legge.

Queste conseguenze si verificano, in particolare, in alcuni "settori sensibili", come quello dei contratti delle pubbliche amministrazioni. Questa materia è regolata da circa 500 atti normativi: accanto alla legge generale di contabilità vi è un gran numero di norme che stabiliscono deroghe, al punto che le procedure derogatorie sono più numerose di quelle che seguono la disciplina generale e l'amministrazione può, di volta in volta, scegliere una disciplina diversa. L'esempio, peraltro, dimostra anche un altro problema: le norme vigenti sono spesso antiquate, e la loro applicazione contrasta con le esigenze di efficienza. Anche questo determina il frequente ricorso alla legislazione in deroga: si tratta spesso di deroghe in bianco che non sostituiscono la disciplina generale con alcuna norma, lasciando le amministrazioni libere nella configurazione dei procedimenti di spesa.

Dalla confusione normativa non va esente la legislazione regionale, che spesso non è espressione di autonomia, ma ha carattere derogatorio o interstiziale rispetto a quella statale.

Altre conseguenze del disordine normativo vanno segnalate. L'eccesso di leggi determina rigidità e centralismo; la difficoltà e l'arbitrarietà nell'applicazione delle norme determina un'altissima conflittualità; una normativa eccessivamente complessa, poi, consente atteggiamenti ostruzionistici e "scioperi bianchi"; infine, vincoli troppo numerosi e complessi a carico degli operatori privati determinano uno stato di incertezza sul rispetto della legge, assoggettando gli stessi all'arbitrio degli organi di controllo e offrendo occasioni di corruzione e ricatto. Tutto ciò impedisce l'individuazione di precisi doveri e responsabilità e nuoce alla certezza del diritto: in presenza di più discipline che coesistono nella stessa materia e si sovrappongono o confliggono tra loro, il diritto è incerto e la sua applicazione negoziata.

I rimedi ai problemi della normazione sono la delegificazione e la codificazione. Si tratta, evidentemente, di interventi complessi, che coinvolgono vari altri problemi relativi al rapporto tra poteri pubblici e cittadini ed al sistema delle fonti; la razionalizzazione normativa - anche in assenza di riforme di più ampio respiro, come l'introduzione della legge organica o della riserva di regolamento - potrebbe comunque cominciare dai settori nei quali la confusione normativa è causa di corruzione.

In particolare:

a) occorre invertire il processo di legificazione. La delegificazione può essere operata in vari settori: ad esempio, quello delle procedure amministrative, secondo il modello della legge n. 537 del 1993, e quello delle direttive comunitarie, troppo spesso recepite per via legislativa invece che regolamentare. Va, tuttavia, avvertito che, allo stato, il processo di delegificazione deve tenere conto:

- del numero elevato delle previsioni costituzionali di riserva di legge assoluta;

- della necessità, comunque, di intervento della legge ordinaria nelle riserve relative, perché il Parlamento fissi i principi fondamentali della materia;

- della necessità dell'intervento della legge per abrogare la parte della materia da

delegificare e per riformulare i principi della materia;

b) nel settore dei contratti pubblici, in particolare, è necessaria una disciplina che

possa essere applicata in modo generale e costante;

c) la legislazione esistente va coordinata, eliminando sovrapposizioni e contrasti

tra norme. A questo scopo, particolare utilità riveste lo strumento del testo unico: come dimostrato dall'esempio del testo unico bancario del 1993 (che ha abrogato un gran numero di atti legislativi precedenti), il riordino normativo può anche essere l'occasione per delegificare ampi settori di disciplina;

d) per un progetto più ampio di razionalizzazione normativa, va tenuta presente

l'esperienza francese di codificazione "a diritto costante". L'idea di fondo è di

trasferire tutto il corpo normativo statale in un insieme coordinato di codici, elaborati da esperti e dalle amministrazioni interessate, secondo un programma

elaborato da un organo centrale che coordina i lavori.

 

 

4.3. Che si assicuri la trasparenza delle procedure di privatizzazione e delle attività amministrative in forma privatistica

L'amministrazione ricorre sempre più frequentemente a forme di gestione privatistica. I1 fenomeno va valutato positivamente, anche al fine di estendere l'area del diritto comune, mentre sono dannose le forme di diritto speciale o misto, a metà tra diritto pubblico e privato, che aumentano le occasioni di incertezza normativa e di confusione.

Tuttavia, poiché le cosiddette privatizzazioni hanno già dato luogo a problemi di "visibilità" e di efficienza e, in qualche caso, a fenomeni di corruzione, vanno posti ed assicurati strumenti di trasparenza:

a) occorre che alla privatizzazione formale, consistente nel mutamento della forma giuridica delle imprese pubbliche, segua quella sostanziale, con il loro collocamento sul mercato;

b) il processo di privatizzazione va reso più trasparente e vanno resi pubblici i vari passaggi ed i relativi costi;

c) si può considerare l'obbligo di denuncia degli organi di controllo interno al ministero del tesoro delle gravi irregolarità e violazioni di legge riscontrate;

d) nel caso di imprese che esercitano servizi pubblici è utile l'assoggettamento

dei dipendenti a obblighi definiti dalle carte dei servizi pubblici;

e) vanno estesi e perfezionati i controlli di gestione.

 

 

4.4. Che si liberino da vincoli pubblici le attività private e si riducano e semplifichino i procedimenti amministrativi di controllo

Invece di pochi obblighi chiari, vi sono nell'ordinamento italiano molti vincoli poco chiari, che si prestano a negoziazioni. Infatti gli ostacoli burocratici artificiali costituiscono passaggi obbligati non necessari, che spingono dipendenti pubblici a valersene per ottenere controprestazioni e obbligano o inducono i privati, che debbono sottostare a controlli superflui, a commettere reati. Questo stato di cose dipende dal sovrapporsi delle normative, dalla parcellizzazione delle funzioni pubbliche, dalla circostanza che, nell'introdurre nuovi compiti pubblici, non si rivedono quelli esistenti. Ne beneficiano apparati che andrebbero soppressi; ne consegue sovrabbondanza di personale pubblico; vi è connesso il taglieggiamento di attività private che potrebbero essere libere o sottostare a controlli unificati.

Questa situazione può essere modificata con interventi ispirati ai principi dettati dalle leggi n. 241 del 1990 e n. 537 del 1993:

a) soppressione di provvedimenti concessori, autorizzativi, di licenza, omologazione, collaudo, controllo, ecc. non necessari;

b) riduzione del numero dei procedimenti dello stesso tipo che si ritengono necessari, mediante unificazione;

riduzione delle fasi dei procedimenti necessari dello stesso tipo, in modo da ridurre sia il numero degli uffici che intervengono nel procedimento, sia i tempi

necessari a completare il procedimento;

d) sostituzione di procedimenti pubblici di controllo con dichiarazioni rese da

professionisti privati i quali dichiarino, sotto la propria responsabilità, la conformità a legge delle attività programmate o svolte; sostituzione di controlli a tappeto con controlli a campione.

Questi rimedi incontrano ostacoli negli apparati pubblici perché comportano la soppressione di uffici che rimarrebbero privi di compiti e il conseguente riutilizzo di personale. Essi, però, comportano anche l'ulteriore beneficio di risparmi di spesa.

Alla semplificazione amministrativa mirano alcune disposizioni contenute nel disegno di legge recentemente presentato dal Governo.

 

 

4.5. Che si disciplini il finanziamento dell'attività politica

 

Il finanziamento dell'attività politica può essere causa di corruzione per più

ragioni:

a) se i soggetti politici (partiti, o correnti di partito, o movimenti) hanno bisogno

di spendere più di quanto ricevano dal finanziamento pubblico;

b) se non vogliono far sapere pubblicamente da quali fonti private essi vengono

finanziati.

Tali due cause indicano quali principi devono ispirare la regolazione della finanza politica:

a) mettere un limite alla possibilità di finanziamento e di spesa dei soggetti politici intervenendo contemporaneamente sulla necessità di spesa;

b) assicurare la pubblicità sia delle spese che dei finanziamenti:

Un terzo principio da considerare è quello che impone di assicurare l'equità, cioè di assicurare che le stesse condizioni valgano per tutti i soggetti politici. Ciò ad evitare o che i soggetti maggiori siano preferiti nei confronti di quelli minori; o che i soggetti già operanti godano di condizioni più vantaggiose rispetto ai soggetti nuovi. Poiché tale principio non incide sul fenomeno della corruzione, le proposte che seguono riguarderanno soltanto i principi della limitazione della spesa e della pubblicità di essa e delle fonti di finanziamento.

  1. I1 principio della limitazione della spesa risponde a due preoccupazioni. Una riguarda direttamente la corruzione, in quanto, se la spesa è maggiore, maggiore è la tendenza a ricorrere a metodi di corruzione per finanziarsi. L'altra preoccupazione riguarda gli effetti che i costi della politica possono avere sul consenso dei cittadini nei confronti dello Stato rappresentativo e, quindi, sul prevalere di un clima morale di "non resistenza" generalizzata alla corruzione, qualora si diffondesse la convinzione che la classe politica gode di una facoltà di spendere cui non sono posti limiti.

I1 principio della limitazione della spesa per la politica (o, meglio, per le

campagne elettorali) caratterizza gli ordinamenti britannico ed americano,

nonché, negli ultimi anni, quello francese. Esso si attua sia fissando un limite

globale di spesa per unità di azione politica (candidato o partito); sia fissando

un limite di donazione per ogni singolo donatore.

 

Nell'ordinamento italiano la legge 10 dicembre 1993, n. 515 ("Disciplina

delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato

della Repubblica") introduce limiti sia alle spese elettorali sostenibili da parte

dei partiti sia all'ammontare dei finanziamenti che i candidati possono

ricevere da una sola fonte.

L'ordinamento italiano non prevede, invece (a differenza, per esempio, di

quello britannico), il pagamento "in natura" di certi costi della politica.

L'ordinamento britannico prevede la sovvenzione statale per la propaganda

attraverso i "media" (radio e televisioni), e nello stesso tempo pone limiti

molto stretti all'uso di questa propaganda da parte dei soggetti politici.

Sembra che l'applicazione di questo principio è il principale fattore del basso

tasso di corruzione nella politica britannica (si noti che il principio della

limitazione della propaganda è un'estensione dei principi già contenuti nella

legge sul finanziamento delle campagne elettorali del 1883, che segnò la fine

di un più che secolare periodo di altissima corruzione nella politica del Regno

Unito).

b) I1 metodo della limitazione delle spese implica evidentemente il principio

della loro pubblicità.

Questo è già previsto, nell'ordinamento vigente, dalla legge 18 novembre

1981, n. 659 ("Modifiche ed integrazioni alla legge 2 maggio 1974, n. 195, sul

contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici") la quale prevede

l'obbligo della dichiarazione dei finanziamenti ricevuti. I1 principio è ripreso

anche nella proposta di legge attualmente in discussione alla Camera ("Norme

per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti

politici", A. C. 2096).

Se, però, si considera che le recenti elezioni si sono svolte con tali norme, e

che la conoscenza da parte del grande pubblico dei nomi dei privati donatori è

rimasta praticamente nulla, si deve concludere che la norma non consegue i

suoi scopi. Si potrebbe, allora, prendere in considerazione l'obbligo di

pubblicazione in organi di stampa delle liste di donatori ai vari partiti.

Le considerazioni che precedono inducono a riflettere sull'eventualità che il

principio del finanziamento pubblico e privato dell'attività politica trovi

previsione in sede costituzionale. I1 ruolo del partito politico, come strumento di partecipazione del cittadino alla determinazione della politica nazionale, non può prescindere dal costo delle attività che vi sono connesse, alcune delle quali tipiche della promozione (diffusione degli obiettivi e dei metodi) e della raccolta dei consensi (momento elettorale).

L'intervento proposto avrebbe, dunque, lo scopo di:

a) rafforzare l'importanza del partito come mezzo di mantenimento e promozione

della democrazia;

b) di consentire il controllo del partito e, in particolare dei rapporti tra flussi di finanziamenti pubblici e privati, azioni e risultati;

di fissare la misura della legittimità delle leggi di attuazione del principio;

d) di limitare, in materia, l'uso dello strumento referendario.

Altro aspetto riguarda i flussi finanziari che sostengono i mezzi di comunicazione di massa, la cui pubblicità può essere imposta dalla legge con norme di carattere generale, ampliando la portata dell'articolo 21, comma 5, della Costituzione. E', infatti, opportuno che i cittadini conoscano la direzione di tali flussi.

 

4.6. Che si consideri l'eventualità di regolare l'attività di pressione (lobbying)

 

L'analisi del fenomeno della corruzione ha indicato che è frequente, e spesso determinante, l'attività di mediatori, faccendieri e gruppi più o meno occulti, volti ad organizzare o facilitare lo scambio di favori e ricompense che integrano fatti di corruzione. L'ordinamento degli Stati Uniti, allo scopo di limitare l'aspetto occulto e gli effetti corruttori di tale attività, la regola, attualmente, con la legge del 1995.

Tale legge regola i lobbying contacts (contatti lobbistici). Sono considerati tali tutte le comunicazioni tra privati (si fanno alcune eccezioni) e pubblici ufficiali (di carriera o elettivi) volti ad ottenere provvedimenti, o proposte di provvedimenti, in favore di determinate persone o categorie.

Tutti coloro che perseguono tale attività di contatto e comunicazione sono obbligati a registrarsi presso le segreterie delle Camere, elencando una serie di informazioni riguardanti le loro persone, la società che li impiega, i clienti in favore dei quali essi agiscono, e i settori ai quali la loro attività si riferisce. Essi sono inoltre obbligati a redigere e consegnare ogni sei mesi un rapporto contenente dettagliate informazioni su tutta la loro attività durante quel periodo. La lista dei lobbisti e dei clienti e i rapporti semestrali sono pubblici.

Queste procedure rappresentano certamente un modo di limitare la corruzione politica che si svolge attraverso intermediari. Sarebbe interessante l'introduzione di una regolazione dell'attività di pressione anche in Italia. L'opportunità di regolare l'attività dei gruppi di pressione assume, poi, particolare rilievo anche in relazione alla posizione del pubblico impiegato indicata dall'articolo 98 della Costituzione nel quale viene enunciato il principio secondo cui il dipendente è all'esclusivo servizio della collettività. Di tale principio occorrerebbe liberare le potenzialità con riferimento non solo al rapporto tra politica e amministrazione, ma anche tra utilizzazione della titolarità dell'ufficio pubblico ed influenze esterne.

Occorre, tuttavia, considerare che la regolazione dell'attività di pressione comporta vantaggi, ma anche possibili inconvenienti e in ogni caso difficoltà di attuazione. I vantaggi sono ovviamente quelli dell'individuabilità dei soggetti svolgenti attività di pressione e della pubblicità dei loro atti. Gli inconvenienti sono relativi a possibili effetti di scoraggiamento dei rapporti tra privati e politici (questo ha indotto il rapporto Nolan a non proporre la regolazione delle "lobby"). Le difficoltà di attuazione sarebbero relative alla raccolta e alla gestione dei dati necessari, nonché alla loro interpretazione e alla disciplina dei controlli.

 

4.7. Che si tuteli effettivamente la segretezza del voto

 

La posizione acquisita dai partiti politici ha determinato la compenetrazione tra politica ed amministrazione. Da un lato, i partiti hanno assunto una struttura analoga a quella degli enti pubblici, svolgendo numerose funzioni ulteriori rispetto alla determinazione dell'indirizzo politico. Dall'altro, una notevole percentuale dei funzionari elettivi delle regioni e degli enti locali è costituita - come già osservato - da dipendenti pubblici: si è formato, quindi, un ceto intermedio tra politica e amministrazione, di funzionari professionali di una amministrazione e onorari di un'altra.

Le conseguenze di questo fenomeno sono numerose e alcune di esse sono state messe in luce in varie parti del presente rapporto. Tra le tante, non va trascurata quella del costante controllo che l'eletto svolge per mantenere e potenziare i propri consensi, entrando in competizione - vigente il sistema proporzionale - con altri candidati del suo partito. Tale controllo tende a raggiungere anche l'esercizio di diritti politici fondamentali del cittadino. Così, l'esiguo numero degli elettori assegnati alle sezioni e lo scrutinio dei voti presso ognuna di esse può consentire di conoscere le scelte elettorali e incentivare lo scambio ed il controllo del voto. Per evitare la gravità dell'inconveniente occorre prevedere l'accorpamento di più sezioni elettorali per lo scrutinio.

 

 

 

4.8. Che si precisino i limiti all'accesso alle cariche elettive

 

La possibilità di prevedere con legge misure intese a prevenire fenomeni di corruzione della classe politica è resa problematica sia dalla necessità di bilanciarle con il diritto all'elettorato passivo, affermato dalla Costituzione e discendente, a sua volta, dal principio di sovranità popolare, sia dalla peculiare natura giuridica dei partiti politici nel nostro ordinamento.

Sul primo punto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 del 1996, ha dichiarato illegittime alcune disposizioni relative alle elezioni regionali e negli enti locali, che sancivano la non candidabilità di coloro che fossero stati rinviato a giudizio per reati connessi alla criminalità organizzata e mafiosa. In particolare la Corte ha affermato che tale sanzione lede il diritto all'elettorato passivo, se comminata prima della sentenza definitiva di condanna. Eventuali ineleggibilità, specie per i membri delle Camere, potrebbero, quindi, essere previste solo per coloro che siano stati condannati per determinati reati.

Più in generale, è noto che la materia delle ineleggibilità e incompatibilità parlamentari, attualmente regolata dalla legge n. 60 del 1953 ("Incompatibilità parlamentari"), nonché da varie altre norme specifiche, attende da tempo di essere riordinata, anche al fine di aggiornare una disciplina in più parti dimostratasi inadeguata.

Potrebbero profilarsi diverse ipotesi:

a) intervenire sulla disciplina di fonte costituzionale;

b) introdurre limitazioni nei regolamenti parlamentari con l'estensione dei poteri della Giunta per le elezioni o l'istituzione di giurì;

c) rimettersi all'autoregolamentazione della disciplina delle candidature sostenuta dall'accordo fra tutti i partiti.

Non si nascondono le difficoltà che si oppongono a tali soluzioni, risultando evidente che le prime due inciderebbero pesantemente sull'autonomia delle Camere.

Non va neppure trascurato il profilo dell'attuale giudizio di contestazione sul quale è necessario intervenire (soprattutto alla luce del mutato sistema elettorale):

a) per tutelare pienamente il diritto inviolabile di difesa, ponendolo al riparo da un voto del plenum che privilegi il rapporto di forza tra maggioranza e

minoranza ed eventualmente contrastante con l'accertamento avvenuto in Commissione;

b) per garantire l'autenticità del risultato;

c) per assicurare celerità alla conclusione del contenzioso.

Più agevole introdurre limitazioni all'accesso alle cariche elettive in sede regionale e locale, dove spesso avviene la selezione del personale politico.

 

 

4.9. Che si stabiliscano le incompatibilità degli impieghi pubblici ed i vincoli di avanzamento in carriera

 

Come si è notato prima, l'ordinamento italiano contiene norme lacunose sui rapporti tra politica e amministrazione e rende compatibili cariche elettive e posti amministrativi. Esso consente così:

a. a funzionari di carriera di ricoprire cariche elettive;

b. scambi di ruoli politici o di indirizzo e compiti gestionali;

c. la formazione di un numero alto di intermediari che rimettono in circolo pratiche devianti.

A questa situazione si può far fronte con una disciplina più selettiva delle incompatibilità, soprattutto nei settori nei quali lavorano i dipendenti stessi. Norme più precise di limitazione dell'accesso dei funzionari professionali alle cariche elettive o politiche consentirebbero di tenere distinti, specialmente a livello locale, ruoli amministrativi e ruoli politici. L'ampliamento delle disposizione dell'articolo 98, comma 2, della Costituzione, che vieta le promozioni (salvo quelle per anzianità) ai parlamentari, ad altri titolari di cariche elettive, consentirebbe, nei casi in cui la carica elettiva e l'impiego siano compatibili, di tenere distinti interessi (privati) di carriera e attività pubblica.

Questi accorgimenti presentano gli inconvenienti di limitare la mobilità professionale e di sottrarre esperti alla gestione pubblica, ma hanno anche il vantaggio di eliminare uno dei fattori che contribuiscono alla diffusione della corruzione (specialmente in una fase in cui si diffondono moduli privatistici di gestione di ricchezze pubbliche).

 

 

4.10. Che si disciplinino i conflitti di interessi

 

Il problema del rapporto tra interessi pubblici e privati nei titolari di uffici pubblici ha assunto un'importanza crescente in vari ordinamenti, e ha generato interventi normativi relativi soprattutto al personale politico. Nell'ordinamento italiano, esso è considerato dal legislatore con riferimento a varie cariche o a singole categorie di personale pubblico. Manca una disciplina generale, e gravi lacune possono essere rilevate.

La disciplina dell'ineleggibilità parlamentare non è aggiornata: basti pensare che, in base all'interpretazione prevalsa, non può essere eletto il consulente di una grande impresa, ma può essere eletto il suo titolare. Più ampia, nel suo complesso, è la disciplina delle incompatibilità parlamentari.

Manca, invece, una disciplina dell'incompatibilità e del conflitto di interessi dei membri dell'esecutivo e dei vertici dell'apparato amministrativo. Le poche previsioni del 1953 (legge 13 febbraio 1953, n. 60, "Incompatibilità parlamentari") furono pensate con riferimento ad una realtà ben diversa da quella attuale. Dell'assenza di una disciplina adeguata si risente anche a livello locale, dove le situazioni di alterazione della competizione elettorale e di conflitto di interessi si pongono in termini diversi che in sede nazionale.

Si tratta di una materia di rilevanza costituzionale, nella quale si presentano diverse esigenze: l'autonomia degli organi costituzionali, il diritto di elettorato passivo, la libertà di iniziativa economica, la tutela della proprietà. Proprio per questo, si può ipotizzare che i principi ispiratori della disciplina siano posti da una fonte costituzionale.

Varie proposte di legge sono state presentate in Parlamento nella scorsa legislatura, e dal Senato è stato approvato un testo unificato. Questo testo lascia aperti alcuni problemi: in particolare, quello del personale degli enti locali e quello del rapporto tra il titolare di una carica pubblica in situazione di conflitto di interessi ed il soggetto a cui sia affidata la gestione del suo patrimonio (a questo riguardo, va segnalato che non è sufficiente, per risolvere il conflitto, separare le gestioni, ma è necessario separare effettivamente gli interessi, attraverso una gestione "cieca" - della quale l'interessato non sia informato - e attraverso la possibilità del gestore di vendere proprietà e modificare la consistenza del patrimonio affidatogli).

I principi a cui dovrebbe ispirarsi una disciplina del conflitto di interessi dei

parlamentari e degli uomini di governo sono i seguenti:

a) aggiornamento delle ipotesi di ineleggibilità e precisazione di quelle già esistenti;

b) ambito soggettivo non limitato al governo nazionale, ma esteso anche agli organi locali (membri delle giunte e dei consigli);

c) divieto di svolgere attività derivanti da rapporti di impiego pubblico o privato

ed altre attività incompatibili con la carica ricoperta: al titolare o al componente di un organo di governo, infatti, è richiesto un impegno pieno nell'esercizio

delle sue funzioni. Questo obbligo può essere sanzionato, prevedendo ad

esempio - in caso di violazione - la sospensione dall'albo professionale o la revoca del relativo provvedimento autorizzatorio;

d) obbligo di dichiarare determinati interessi patrimoniali e di affidare le attività

economiche rilevanti (individuate sulla base di criteri certi, relativi sia al setto

re o mercato, sia in base alla dimensione o al bilancio) a gestioni "cieche", sul

modello statunitense;

e) scelta del gestore in base ad un procedimento che garantisca i diritti

dell'interessato ma anche l'interesse pubblico (ad esempio, scelta

dell'interessato su una rosa di tre società fiduciarie indicate dall'organo di

controllo);

f) obbligo, in determinati casi, di affidare al gestore un mandato a vendere;

g) sanzioni ispirate più a colpire il versante privato del conflitto di interessi (ad

esempio, sospensione dall'albo professionale o sanzioni pecuniarie alle imprese) che quello pubblico;

h) restrizioni successive alla cessazione della carica, per periodi limitati, individuate e graduate in base alle funzioni svolte;

i) individuazione dell'autorità di controllo in un organo collegiale apposito. (Per

quanto riguarda l'ineleggibilità, l'incompatibilità ed il conflitto di interessi dei

membri del governo e del Parlamento nazionale, proposte di legge già presentate

ipotizzano il trasferimento della competenza in materia alla Corte costituzionale o organi giurisdizionali).

 

 

 

4.11. Che si riformi la disciplina delle nomine politiche

 

 

Il problema delle nomine riguarda essenzialmente la preposizione alla direzione degli enti pubblici, statali e locali, non avendo particolare rilievo quelle dei dirigenti di carriera.

La misura della sua incidenza sul terreno delle attività devianti attiene al modo in cui si formano i momenti della proposta, del controllo e della nomina. L'attuale sistema presenta talune peculiarità che riguardano la varietà della disciplina normativa e la diversità dei livelli di azione (nazionale o locale) degli enti:

a) quello statale è regolato da una legislazione generale, che attribuisce al governo la formulazione della proposta, mentre alle commissioni permanenti competenti per materia delle due Camere spetta il controllo sulle nomine che si esercita sull'espressione di un parere motivato non vincolante sulla proposta governativa. In concreto, però, questa soluzione appare squilibrata a favore dell'esecutivo e ciò per due principali ragioni. La prima consiste nella mancanza di un procedimento tipizzato, giacché la legge fa obbligo al governo di esporre alle Camere soltanto quale sia stata la procedura seguita per addivenire all'indicazione della candidatura e dei motivi che la giustificano secondo criteri di capacità professionale dei candidati (così, ad esempio, in base al comma l art. 4 della legge n. 14 del 1978). La seconda dipende, invece, dalle modalità d'intervento delle due Camere, consistenti nella sostanziale non vincolatività del loro parere e nell'assenza di una disciplina regolamentare dell'attività delle commissioni relativamente a questa fase;

b) vi sono, poi, le legislazioni speciali, riconducibili allo schema della nomina di concerto da parte dei presidenti delle assemblee, volta ad assicurare un più elevato grado di imparzialità. Secondo alcuni tale procedura presenterebbe la difficoltà di esprimere con l'atto di nomina la sintesi degli orientamenti presenti nella Camera e di attrarre le presidenze nel vivo della contesa politica.

Per quanto riguarda la preposizione agli organi di governo degli enti locali, la normativa, è data in parte dalla disciplina regionale, in parte dalla legge di riforma delle autonomie locali. Il potere di nomina conferito al sindaco o al presidente della Provincia è soggetto a verifica solo nella forma del controllo politico dell'attività dei primi da parte dei rispettivi consigli. La circostanza che questi non siano investiti di competenza al riguardo conferisce una vera e propria opacità all'atto e al modo della sua formazione.

Le alternative all'attuale sistema (tanto statale, quanto locale) sembrano, dunque, poter essere di due tipi:

a) il controllo potrebbe consistere in un procedimento in forma di contraddittorio improprio davanti ai collegi rappresentativi (Camere, Consigli regionali, comunali, provinciali), accentuando l'aspetto politico delle carriere (al riguardo si ricorda che l'art. 2, comma 7 della legge 14 novembre 1995, n. 481, "Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità dei regolazione dei servizi di pubblica utilità", prevede: a) che le designazioni dei componenti l'autorità sono previamente sottoposte al parere delle competenti commissioni parlamentari; b) che le commissioni stesse possono procedere all'audizione delle persone designate; c) che in nessun caso le nomine possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti);

b) in alternativa la nomina e il controllo potrebbero essere demandati a collegi di garanti, con formule opportune, così da sottolineare il profilo tecnico-professionale dei nominati (secondo il modello della "Civil service commission", sperimentato negli Stati Uniti e degli organismi della famiglia dell'ONU, oppure seguendo e migliorando l'esperienza compiuta, ad esempio, dal comune di Milano).

L'una e l'altra soluzione dovrebbero, comunque, essere sostenute dalla ragionata previsione di motivi di incompatibilità, connessi alla pregressa titolarità di uffici e, quindi, ai potenziali conflitti di interessi.

Va sottolineata, infine, la possibilità di ridurre il numero delle nomine spettanti ai corpi politici, o lasciando i relativi posti a funzionari di carriera, o conferendo il potere di nomina a corpi tecnici.

 

 

4.12. Che si rafforzino i corpi tecnici

 

Una delle ragioni principali della corruzione è la debolezza della amministrazioni pubbliche, data dall'assenza o dall'insufficienza dei corpi professionali. Essa costringe le amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che richiedano l'opera di specialisti.

Fino al secondo decennio del secolo, i corpi tecnici dello Stato erano caratterizzati da altissima professionalità ed erano capaci di progettare opere e realizzare programmi di grande complessità. Successivamente, essi hanno perso la capacità di attrarre il personale più qualificato. In particolare, i due principali corpi tecnici dello Stato, genio civile e uffici tecnici erariali, sono caratterizzati da una crisi di professionalità, dall'insufficiente copertura dei posti in organico, e da un'irrazionale distribuzione del personale sul territorio nazionale. In altri casi, la scelta di soggetti inadeguati a dirigere gli uffici tecnici determina il cattivo funzionamento degli stessi.

La crisi del genio civile è ormai trentennale, e dipende da due fattori: il fatto che l'impiego nel settore pubblico non attrae i giovani laureati nelle discipline tecniche, soprattutto nel nord, e la confusione nel modo in cui è stato operato il trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni.

Anche gli uffici tecnici erariali, ora assorbiti negli uffici provinciali del territorio, sono caratterizzati da una crisi di professionalità e da vuoti di organico, ed anche qui si riscontra la difficoltà di attrarre personale qualificato.

La crisi dei corpi tecnici e la conseguente dipendenza dell’amministrazione da soggetti esterni, i cui interessi sono a volte confliggenti con quelli pubblici (ad esempio, quando si tratta degli stessi appaltatori), sono fattori di distorsione e di corruzione. Si arriva al punto che i professionisti delle amministrazioni non sono in grado neanche di valutare i progetti dei professionisti privati e devono ricorrere per questa funzione ad altri professionisti privati.

Tutto ciò si verifica, in particolare, nell’area degli appalti pubblici, dove manca un corpo di ingegneri ed un corpo di geometri in grado di curare la progettazione, di assumersi la direzione dei lavori e di procedere efficacemente al collaudo. Anche la conclusione e l'esecuzione dei contratti di fornitura risentono del problema. I rimedi ipotizzabili sono i seguenti: a) le amministrazioni pubbliche devono preoccuparsi, innanzitutto, della formazione del proprio personale professionale. Un esempio da tenere in considerazione è quello francese delle "grandes écoles". La loro introduzione, in Italia, si è scontrata con il rifiuto del principio del merito nella carriera (al quale si preferisce il criterio dell'anzianità); b) in secondo luogo, il personale in questione va organizzato in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. L'obiezione che si potrebbe avanzare, relativa alla spesa che ciò comporterebbe, è infondata: da un lato, la spesa per mantenere adeguati corpi tecnici potrebbe essere contenuta in cifre ragionevoli; dall'altro, questa spesa determinerebbe il risparmio di cifre ben maggiori, quelle necessarie per ricorrere a professionisti esterni e quelle derivanti dall'incapacità di controllare gli appaltatori e di valutare la congruità dei prezzi. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finché le amministrazioni non abbiano superato la loro debolezza;

c) il ricorso a collaborazioni esterne, da parte delle amministrazioni pubbliche, va limitato; per quanto riguarda gli appalti pubblici, dovrebbe essere circoscritto alla realizzazione dell'opera. Tutto ciò non è in contrasto con le tendenze alla privatizzazione ed all'affidamento di compiti pubblici ai soggetti esterni: questi fenomeni sono ammissibili, purché le amministrazioni siano in grado di vigilare sui privati.

 

 

4.13. Che si sottraggano la selezione e la carriera dei dipendenti pubblici alla commistione con la politica.

 

 

I dipendenti pubblici possono essere implicati - attraverso la politica - in due modi nel fenomeno della corruzione. In primo luogo, prendendo parte attiva ad essa, d'intesa con amministratori elettivi; in secondo luogo, consentendo a questi ultimi la commissione di reati. Nel primo caso, il dipendente pubblico trae un vantaggio illecito diretto. Nel secondo, trae vantaggi indiretti (ad esempio, di carriera) oppure assiste senza intervenire, per timore o per altri motivi (non si considera qui il caso del dipendente pubblico che commetta reato indipendentemente dal personale politico). Per eliminare o limitare questa causa della corruzione, occorre limitare la politicità indotta nell'amministrazione dalla presenza al suo vertice di amministratori elettivi, assicurando il rispetto del principio del merito in due momenti-chiave, quello della selezione e quello della carriera:

1. Per quanto riguarda la selezione, occorre che questa:

a) avvenga sempre per concorso aperto a tutti (articolo 97 della Costituzione, spesso disatteso di fatto);

b) sia regolata da una disciplina generale e analitica sull'accertamento delle capacità del candidato in modo da limitare i margini di discrezionalità delle commissioni (si può, ad esempio, introdurre la regola relativa alla prova orale secondo cui gli argomenti del colloquio vengono estratti a sorte dal medesimo candidato da un elenco di gruppi di argomenti prestabiliti con anticipo dalla commissione e dei quali si dà pubblicità a tutti i candidati ammessi alla prova medesima);

c) sia compiuta da organi amministrativi imparziali e, quindi, escludendo la presenza di politici e sindacalisti (come ribadito di recente dalla Corte costituzionale).

2. Per quanto riguarda la carriera, si possono considerare due accorgimenti:

a) promozione in base all'anzianità: questa - però - ha l'inconveniente di costituire un disincentivo alla produttività e al miglioramento dei dipendenti;

b) promozione sulla base di scrutinio compiuto da commissioni imparziali, composte in parte dai vertici amministrativi, in parte da esperti indipendenti.

L'una e l'altra proposta mirano a porre i dipendenti pubblici al riparo dalla politica, consentendo ad essi di agire come guardiani e garanti dell'interesse pubblico. La seconda sembra, comunque, preferibile.

Andrebbe altresì sottoposta a revisione la vigente disciplina sulla dipendenza dei pubblici dipendenti dai loro vertici, per ciò che ancora residua del principio obsoleto di gerarchia (annullamenti, revoche ed altre forme di autotutela e di tutela).

 

 

4.14. Che si migliorino le condizioni dei dipendenti pubblici e che ci si adoperi per il recupero del prestigio della funzione pubblica

 

 

La condizione di vita del pubblico dipendente può costituire una ragione di corruzione: a ciò possono contribuire il livello basso delle retribuzioni, la necessità di trasferirsi in sedi di lavoro con un più elevato costo della vita, lo stesso scarso prestigio dei dipendenti. La debolezza di tale condizione può dar luogo alla tentazione di recuperare in altro modo le conseguenze dei menzionati svantaggi.

E' ovvio che il miglioramento del trattamento economico e, in generale, delle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici non può colmare il divario tra il reddito lecito e quello derivante dalla corruzione. Peraltro, un reddito sufficiente ad assicurare un tenore di vita adeguato è di per sé una difesa contro alcune tentazioni e favorisce, inoltre, un sentimento di dignità del ruolo. Alcune misure potrebbero essere realizzate utilizzando razionalmente i beni delle pubbliche amministrazioni.

In definitiva per rimediare a questa situazione si può provvedere in più modi, con interventi di dimensioni diverse:

a) agevolare la concessione di alloggi di servizio, anche attraverso l'utilizzazione degli immobili, sia di quelli già di proprietà dell'amministrazione, sia degli altri acquisiti dagli enti pubblici di competenza in via sanzionatoria;

b) migliorare le condizioni della vita sociale dei dipendenti pubblici, mettendo a

disposizione locali e mezzi;

c) agevolare i trasferimenti dei dipendenti pubblici da sede a sede; d) adeguare, con indennità, il trattamento economico dei dipendenti che operano in settori particolari. Questa proposta incontra, di regola, difficoltà, a causa del trattamento tendenzialmente uniforme dei dipendenti pubblici. Ma, da un lato, essa non riguarda la retribuzione, bensì le indennità; dall'altro, l'adeguamento dovrebbe essere compiuto in relazione alle condizioni e ai trattamenti del mercato del lavoro nei singoli settori e in relazione alla produttività del singolo dipendente.

 

 

 

4.15. Che si promuovano i codici di comportamento

 

 

Tra i mezzi per prevenire la corruzione, vanno considerati i codici di comportamento, che tendono ad evitare o risolvere in modo soddisfacente le situazioni di involontaria prossimità alla corruzione. Essi, consentendo la diffusione e la condivisione di principi e valori comuni alle relative categorie di personale, rendono i dipendenti meno vulnerabili rispetto alle occasioni di corruzione e tutelano il loro prestigio e l’immagine complessiva dell'amministrazione. Inoltre, rappresentando un impegno collettivo di una categoria di lavoratori tra di loro e nei confronti del pubblico, essi consentono un controllo diffuso sul comportamento degli interessati. Si tratta di strumenti facili da adottare in tempi brevi, i cui effetti si producono soprattutto nel lungo periodo.

L'esigenza di codici di comportamento deriva dall'evoluzione dei caratteri del personale pubblico in Italia. Se in passato una deontologia del pubblico impiego esisteva, ed i relativi principi erano applicati e rispettati, oggi la frammentazione amministrativa, l’aumento delle dimensioni del pubblico impiego e la varietà nell'estrazione e nella provenienza del personale hanno determinato il mutamento della situazione: il personale pubblico, privo di valori comunemente condivisi, si è trovato maggiormente esposto alla corruzione.

Il carattere marginale progressivamente assunto dalla responsabilità disciplinare è un aspetto di un fenomeno più ampio, dato dall'assenza o dal mancato funzionamento di strumenti interni e preventivi di tutela: i codici di comportamento servono a ricostruire una deontologia del pubblico impiego. Inoltre, il rispetto o la violazione dei codici di condotta, pur potendo in sé essere priva di rilevanza giuridica, può consentire di valutare la responsabilità dei dipendenti, assumendo valore sintomatico del rispetto o della violazione di norme contenenti clausole generali o concetti giuridici indeterminati.

I codici di comportamento discendono dal dovere di fedeltà, espressamente previsto dall'articolo 54, comma 2, della Costituzione; ne rafforzano l'effettività, richiamandosi al significato delle modalità cui il dipendente e l'addetto a un pubblico servizio devono ispirare la propria condotta nello svolgimento di compiti e funzioni.

L'indicazione dell'onore e della disciplina, contenuta nel testo dell'articolo 54, riguarda, rispettivamente, l'assenza di interessi personali, la quale caratterizza il motivo dell'utilizzazione del rapporto d'impiego e di qualsiasi altro in cui si mettono al servizio della collettività energie e capacità del cittadino; e il rigoroso rispetto delle regole giuridiche e di comportamento, tipiche dell'attività richiesta al dipendente o all'addetto al pubblico servizio. Di qui non soltanto l'opportunità di prevedere una pluralità di codici, ma la necessità di richiamare la relazione con l'articolo 98 della Costituzione.

L'esame di alcuni dei contenuti del Codice di comportamento dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche può chiarire il fondamento dei codici e la loro utilità nella prevenzione dei fenomeni di corruzione:

a) i principi fondamentali sono quelli di indipendenza, di imparzialità e di tutela

dell'immagine esterna dell'amministrazione;

b) le limitazioni alla possibilità di accettare regali da soggetti con cui si abbiano

rapporti per ragioni d'ufficio tendono ad evitare che l'attività amministrativa

sia indebitamente influenzata;

c) alla stessa logica rispondono i divieti di partecipare a determinate associazioni o gli obblighi di comunicazione della partecipazione stessa;

d) a carico del dipendente sono posti obblighi di informazione dei propri interessi finanziari, ciò che contribuisce a prevenire le situazioni di conflitti di

interessi e a consentire il controllo sulla correttezza del suo comportamento;

e) i casi di conflitto di interessi ricevono una disciplina analitica e vengono risolti imponendo obblighi di astensione o di dichiarazione;

f) vengono individuate e vietate le attività contrastanti con il corretto adempi

mento dei doveri d'ufficio, e vengono disciplinati vari aspetti del comporta

mento in servizio (l'uso delle risorse dell'ufficio, l'orario, l'ordine delle pratiche, la delega di compiti ad altri dipendenti, i rapporti con gli organi di informazione);

g) prescrizioni particolari riguardano la conclusione di contratti per conto

dell'amministrazione e la conclusione, a titolo privato, di contratti con soggetti con i quali il dipendente ha avuto rapporti per ragioni d'ufficio;

h) sono presi in considerazione aspetti rilevanti della vita privata del dipendente

(divieto di sfruttare la propria carica per ottenere utilità non spettanti all'interessato);

i) nei rapporti con il pubblico, è prescritto, tra l'altro, di fornire le spiegazioni

richieste sul comportamento proprio e di altri dipendenti, ciò che offre ai cittadini uno strumento di controllo sull'azione amministrativa. I1 dipendente pubblico deve, inoltre, favorire l'accesso dei cittadini alle informazioni cui abbiano titolo e fornire le informazioni necessarie per valutare il comportamento dell'amministrazione e dei dipendenti.

Il codice menzionato è previsto dall'art. 58-bis del decreto legislativo n. 29

del 1993, che ne ha previsto il recepimento, in allegato, nei contratti collettivi. In effetti, vi è stato il recepimento, ma non il (pure previsto) coordinamento con la disciplina della responsabilità disciplinare (materia contrattualizzata): i contratti collettivi hanno proceduto ad una tipizzazione di illeciti e sanzioni disciplinari analoga a quella precedente la riforma, senza sfruttare la codificazione dei doveri del dipendente pubblico operata dal Codice. Questo, di conseguenza, è rimasto in gran parte ignoto e non viene sfruttato come strumento di individuazione della condotta corretta e di valutazione della responsabilità.

Inoltre, la materia è stata esclusa dalla contrattazione decentrata: di conseguenza, l'individuazione di doveri, illeciti e sanzioni disciplinari è pressoché uguale per tutti i dipendenti pubblici. Vi è, invece, un'esigenza di differenziazione ed adattamento alle diverse categorie di personale.

Per valorizzare i codici di comportamento occorre:

a) prevedere - accanto al codice menzionato - ulteriori codici più specifici, relativi alle varie amministrazioni o a categorie di personale: ad esempio, per i maestri elementari, per i medici, per gli infermieri, per i vigili urbani, per gli agenti contabili o per gli impiegati che redigono contratti. Ogni amministrazione pubblica dovrebbe avere uno o più codici di condotta per il proprio personale. Questi codici dovrebbero essere elaborati con la partecipazione delle categorie interessate, in modo che i principi in essi contenuti corrispondano alla varietà di situazioni e siano effettivamente condivisi;

b) a livello di contrattazione collettiva, prevedere che l'impegno a rispettare i

codici sia contenuto necessario dei contratti (ciò che consentirebbe di introdurvi più facilmente previsioni come quelle relative al comportamento nella vita sociale o alle limitazioni successive alla cessazione del rapporto di impiego);

costituire, per vigilare sul rispetto e sull'applicazione dei codici, una rete di uffici nelle varie amministrazioni, facente capo ad un organismo centrale, sull'esempio statunitense: questi uffici non dovrebbero avere funzioni repressive e sanzionatorie, ma di indirizzo, consulenza e formazione, illustrando ai dipendenti i contenuti dei codici e collaborando con essi per l'individuazione del comportamento corretto.

 

 

4.16. Che si prevedano dichiarazioni patrimoniali dei dipendenti pubblici

 

I reati contro la pubblica amministrazione hanno condotto e conducono ad arricchimenti illeciti, per cui l'introduzione di obblighi di dichiarazione ("disclosure") potrebbe costituire un efficace deterrente, atto a prevenire la corruzione.

Più volte tali obblighi sono stati evocati in sede politica, e in sede parlamentare sono state avanzate proposte di legge e disegni di legge; vi è addirittura una anagrafe degli incarichi dei dipendenti pubblici, già prevista da una legge del 1992. Non sempre, però, le finalità delle proposte sono chiare, talune proponendosi un generico fine di moralizzazione, altre la trasparenza delle situazioni patrimoniali, altre la finalità di una equa ripartizione, degli incarichi, ecc.. Né sempre chiaro è l'oggetto, talora costituito dal reddito, talaltro dal patrimonio immobiliare. Difficile è anche stabilire il numero dei soggetti obbligati, non potendosi sottoporre ad obblighi di dichiarazione ("disclosure") milioni di persone, gestendo i relativi dati. Infine, poco utile appare l'introduzione dell'obbligo di presentare ad altra autorità la dichiarazione dei redditi e della proprietà di beni immobili e mobili registrati, trattandosi di dati già in possesso di pubbliche amministrazioni e che queste potrebbero agevolmente trasmettere, su richiesta, ad altri uffici, senza imporre ulteriori, inutili "corvées" ai dipendenti pubblici.

Per il fine limitato di disincentivare la commissione di reati contro la pubblica amministrazione, va tenuto presente che i proventi di attività illecite non vengono, di regola, dichiarati tra i redditi, mentre contribuiscono ad elevare il tenore di vita di chi commette i reati. Si potrebbe, allora, considerare la seguente procedura:

a) individuazione di indici rivelatori di ricchezza, da tenere aggiornati, comprendenti il possesso di titoli mobiliari, l'ammontare di conti bancari, ecc.;

b) sorteggio, ogni sei mesi, di un congruo numero di dipendenti pubblici, scelti in categorie generali operanti in settori particolarmente indiziati, da sottoporre a verifica;

  1. obbligo dei dipendenti sottoposti a verifica di fornire le informazioni di cui al punto a) che precede e le dichiarazioni dei redditi per un congruo numero di anni;
  2. estensione dell'obbligo almeno ai familiari conviventi. In questo modo, senza costituire banche dati scarsamente significative o ripetitive, che impongono ulteriori adempimenti e pesi e sono di difficile o complessa utilizzazione, si potrebbe concentrare l'attenzione su un numero limitato di casi, con verifiche efficaci, dirette ad accertare la provenienza illecita del denaro.

 

 

4.17. Che si disciplinino le attività successive al rapporto di impiego

 

 

La titolarità di funzioni pubbliche conferisce spesso particolari conoscenze di fatti e di persone, permettendo l'assunzione di informazioni privilegiate, la cui utilizzazione può costituire uno strumento di corruzione sia durante lo svolgimento che dopo la cessazione del rapporto di impiego.

Infatti, i dipendenti potrebbero essere indotti a porre in essere trattamenti di favore nei confronti delle imprese o degli altri soggetti privati con i quali intendono successivamente collaborare. Successivamente alla cessazione dell'impiego pubblico, il dipendente potrebbe svolgere la sua attività privata nel settore ove ha svolto funzioni pubbliche, diventando così un potenziale di corruzione nei confronti del personale rimasto nella pubblica amministrazione.

Per fronteggiare questi rischi, va considerata l'introduzione di restrizioni alle possibilità di impiego o di lavoro autonomo successivamente alla cessazione del servizio pubblico.

a) Potrebbero introdursi previsioni più specifiche sul divieto per i pubblici dipendenti di svolgere attività relative al lavoro svolto in precedenza, analogamente a quanto l'articolo 2125 codice civile prevede che possa essere pattuito nel rapporto di lavoro privato;

b) le limitazioni dovrebbero coinvolgere l'eventuale iscrizione ad albi, laddove prevista per l'esercizio professionale, e tutte quelle attività di consulenza e di procacciamento di affari, comunque denominate, che hanno ad oggetto l'instaurazione di rapporti con la pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività sottoposte a poteri ispettivi o di vigilanza da parte della stessa;

c) particolare considerazione andrebbe data all'uso della formazione scientifica

ricevuta presso la pubblica amministrazione nel campo della ricerca applicata a fini economici, anche per l'inevitabile riflesso sulla libertà di ricerca scientifica. Si potrebbe, in particolare, prevedere che i dipendenti di determinati organismi pubblici di ricerca si impegnino contrattualmente a non abbandonare il posto, o quanto meno a non svolgere le stesse mansioni nel settore privato, per un certo numero di anni;

d) le limitazioni dovrebbero comunque avere durata limitata ed essere individuate in base alle cariche ricoperte ed alle funzioni esercitate, nonché in considerazione dei "settori sensibili". Non deve, infatti, essere trascurata l'eventualità che l'imposizione di tali limiti possa tradursi in una disciplina in contrasto con i principi costituzionali del diritto al lavoro, di esercitare in qualsiasi parte del territorio nazionale professioni, impieghi o lavori, della libertà

e dell'arte e della ricerca, nonché del loro insegnamento. Occorre, pertanto, evitare prescrizioni generalizzate, operando un accurato bilanciamento tra i diritti richiamati ed il dovere generale di fedeltà alla Repubblica, il quale è anche dovere di non utilizzare, contro le istituzioni, conoscenze di prassi, procedure, relazioni intraprese durante il periodo di servizio e informazioni riservate;

  1. tali limitazioni dovrebbero essere disposte con legge, ma non è da escludere la

loro previsione in sede contrattuale o su base volontaria, sostenuta eventualmente

dal favore espresso per esse in occasione di valutazioni comparative di merito.

 

 

4.18. Che si adegui il procedimento disciplinare alle risultanze del giudizio penale

 

 

Gli strumenti di repressione penale della corruzione sono importanti, oltre che per loro evidente efficacia deterrente, al fine di evitare che il procedimento disciplinare a carico del dipendente possa prescindere o distaccarsi dall'accertamento dei fatti avvenuto in sede penale.

La giurisprudenza e la legislazione, in proposito, sono oscillanti. Con sentenza n. 971 del 14 ottobre 1988, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 85 del d.p.r. n. 3 del 1957, sugli impiegati civili dello Stato, a causa del fatto che la destituzione di diritto li prevista discendeva automaticamente dalla sentenza di condanna penale, a fronte della molteplicità dei fatti delittuosi e della loro diversa gravità. La successiva 1. 7 febbraio 1990, n. 19, ha previsto che la fattispecie penale integrata dal dipendente venga apprezzata in occasione del procedimento disciplinare a suo carico. La 1. 19 marzo 1990, n.S5, modificata dalla 1. 18 gennaio 1992, n.16, ha disposto a sua volta la sanzione dell'ineleggibilità a cariche politiche, escluse quelle di rilievo nazionale, la sospensione dalla carica e la decadenza di diritto in seguito a passaggio in giudicato di una sentenza di condanna per una serie di reati, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Le medesime disposizioni valgano per il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche. La recente sentenza n.l41 del 6 maggio 1996 della Corte costituzionale ha dichiarato

l'incostituzionalità della disciplina nella parte in cui prevede la non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, di coloro i quali siano stati solo rinviati a giudizio, oppure condannati con sentenza non ancora passata in giudicato.

Questi orientamenti non impediscono, però, né di applicare la sospensione cautelare dal servizio, ritenuta misura in grado di soddisfare le esigenze di tutela degli interessi pubblici, né di disporre la decadenza del dipendente, una volta accertata la consumazione del reato. La stessa giurisprudenza costituzionale, in precedenza, aveva ritenuto legittima la disciplina della sospensione e della decadenza dei pubblici dipendenti in relazione a reati di mafia e ad altre fattispecie di reato.

Occorre, però, rendere effettiva la disciplina, imponendo ai responsabili delle amministrazioni di applicarne le previsioni e sanzionare le omissioni. A tutela di tutti gli interessi implicati nella vicenda, appare necessario prevedere tempi certi nell'applicazione delle sanzioni.

In secondo luogo, la condanna penale non può essere disattesa in sede di procedimento disciplinare e l'amministrazione non può prescindere dall'accertamento compiuto in sede giurisdizionale.

 

 

 

4.19. Che si assicurino trasparenza e controllo dell'attività contrattuale

 

 

L'attività contrattuale della pubblica amministrazione, alla luce delle recenti indagini giudiziarie, ha dimostrato una grande vulnerabilità alla corruzione. Se l'ingente ammontare di risorse pubbliche impiegate in questo settore tende di per sé a produrre occasioni di corruzione, numerose disfunzioni generali dell'attività amministrativa ed altri specifici fattori d'inefficienza hanno contribuito ad aggravare il fenomeno. In particolare, si è osservato come la corruzione possa inquinare ogni fase della relativa procedura: la redazione del bando, la selezione dei partecipanti e l'aggiudicazione della gara, l'esecuzione ed i relativi controlli, il pagamento.

Nell'ambito dei meccanismi di aggiudicazione, i decisori pubblici esercitano poteri discrezionali e vengono in possesso di informazioni riservate che possono divenire oggetto di scambio corrotto con i privati che, grazie ad essi, si assicurano o accrescono le possibilità di aggiudicarsi il contratto pubblico. Limitando e distorcendo la concorrenza tra i privati si creano, infatti, posizioni di rendita, da cui viene prelevato l'ammontare della tangente. Spesso un'autonoma funzione di regolazione del mercato pubblico è stata esercitata anche da cartelli imprenditoriali occulti, a loro volta collegati ai principali centri di potere politico. Inoltre, l'estrema complessità e farraginosità delle procedure decisionali, dovuta al disordine e all'inflazione normativa, ha condotto frequentemente a deroghe alle prescrizioni delle leggi di contabilità generale dello Stato, con la conseguente attribuzione di poteri discrezionali di fatto fuori controllo e, quindi, maggiormente esposti a pressioni illecite. La conseguenza della corruzione è, in questo caso, la lievitazione dei costi che gravano sui bilanci pubblici, anche a seguito della minore efficienza produttiva degli aggiudicatari.

Durante la fase di esecuzione ed in relazione al pagamento del corrispettivo contrattuale, le occasioni di corruzione sono connesse in particolare: alla successiva ricontrattazione di taluni aspetti del rapporto contrattuale, indotta dal privato contraente o resa necessaria dall'imperfetta specificazione delle prestazioni richieste, come ad esempio nel caso di carenze progettuali riscontrate nel corso dell'esecuzione di opere pubbliche; all'inefficienza del sistema dei controlli. Quest'ultimo, è improntato a criteri di verifica formale di regolarità e di legittimità degli atti, e si traduce di fatto - come già osservato - in un potere di codecisione o di veto che, come mostrano le risultanze di numerose inchieste giudiziarie, può divenire anch'esso oggetto di scambio corrotto. Inoltre, l'aggravio procedurale rappresentato da questo tipo di controlli produce rallentamenti ed intoppi che possono indurre i privati a cercare l'acquisto di "corsie preferenziali". Infine, nel settore delle opere pubbliche vi è spesso confusione tra le funzioni di progettazione e di controllo sull'esecuzione dell'opera, con immaginabili conseguenze in termini di scarsa efficacia e di vulnerabilità alla corruzione; alla precarietà dei finanziamenti ed al rischio elevato di contenziosi con la pubblica amministrazione. Per evitare questo tipo di controversie, con i conseguenti costi e ritardi, i privati possono trovare conveniente il ricorso alla corruzione per ottenere un sollecito adempimento da parte dell'ente pubblico, oppure per acquisire da taluni centri di potere una generale protezione delle loro posizioni contrattuali nei rapporti con la pubblica amministrazione. In questo contesto, tra gli effetti della corruzione, oltre alla crescita dei prezzi pagati dalla pubblica amministrazione, bisogna considerare la scadente qualità delle prestazioni fornite dai privati e l'allungamento dei tempi di esecuzione. La corruzione, nell'ambito dell'attività contrattuale pubblica, viene ad intrecciarsi con una serie di fattori di inefficienza amministrativa. Per spezzare il circolo vizioso tra corruzione ed inefficienza occorre:

a) condizionare l'assegnazione dei fondi alle amministrazioni alla preliminare

formulazione di un programma delle opere da realizzare;

b) condizionare l'avvio delle procedure di assegnazione dell'appalto per opere

pubbliche alla presenza` di progetti esecutivi precisi ed affidabili, in base ai quali i concorrenti possano operare un'analisi accurata delle diverse voci di spesa al momento della formulazione dell'offerta;

c) favorire la massima visibilità delle gare d'appalto, tramite la diffusione centralizzata e la facilità di accesso alle informazioni sulle gare bandite (anche con il supporto di strumenti informatici);

d) garantire la più ampia partecipazione alle gare, in particolare attraverso: i) la

semplificazione dei bandi e la loro standardizzazione per contratti del medesimo genere, anche in relazione alla qualificazione dei partecipanti, così da scongiurare la prassi dei cosiddetti "bandi-fotocopia", ritagliati su misura del vincitore predestinato, o dei bandi con scadenze ravvicinate, per favorire chi possiede informazioni privilegiate sulla domanda pubblica; ii) l'adozione di procedure di gara aperte a chiunque faccia richiesta, purché in possesso dei requisiti previsti. Si possono così creare le condizioni per favorire un'effettiva concorrenza tra i partecipanti alle gare, scongiurando la formazione di accordi collusivi;

e) garantire la massima trasparenza decisionale, facilitando l'accesso degli esclusi alle informazioni sull'andamento della gara, sui criteri di scelta, ecc.;

f) adottare criteri di valutazione delle offerte che eliminino i poteri discrezionali

e le informazioni segrete nell'ambito della procedura di aggiudicazione, basandosi su offerte di prezzo (in particolare, tramite offerte di prezzi unitari);

g) nei casi eccezionali di deroga al principio della gara, garantire controlli particolarmente accurati sulla sussistenza delle condizioni previste e sui risultati

conseguiti;

h) con particolare riferimento al settore delle opere pubbliche, operare una chiara separazione tra i soggetti che curano la fase di progettazione e quelli che

curano la realizzazione;

i) istituire corpi tecnici cui affidare l'attività progettuale della pubblica amministrazione, nonché le altre funzioni connesse all'attività contrattuale e in particolare agli appalti di opere pubbliche (formulazione di capitolati, collaudi, ecc.), organizzati in modo da favorire la selezione di personale altamente qualificato, tramite l'incentivo di retribuzioni adeguate e commisurate alla qualità delle prestazioni lavorative (si veda la specifica proposta in merito, in questo rapporto);

1) istituire osservatori dotati di banche dati su contratti pubblici, concessioni ed

incarichi professionali, in relazione a soggetti coinvolti, tipi di gare, prezzi di

aggiudicazione, tempi e condizioni di esecuzione, ecc., come pre-condizione per successivi controlli di tipo sostanziale e strumento per l'individuazione di disfunzioni generali (si vedano i successivi punti m) e n));

m) istituire e rafforzare controlli sostanziali e non formalistici, così come già segnalato in altri punti del presente rapporto, con incentivi economici per i funzionari che conseguono buoni risultati ed inchieste volte ad accertare le cause di procedure con esiti scadenti (in termini di prezzo, tempi o qualità della prestazione), comminando le relative sanzioni in caso di comprovate responsabilità. Per quanto riguarda il controllo sui contraenti privati, sembra opportuna la definizione a livello contrattuale di precisi indicatori di processo e di risultato, così da poter tempestivamente misurare l'efficienza della loro prestazione;

n) impiegare le informazioni raccolte sugli aggiudicatari delle gare per effettuare controlli incrociati, tramite accertamenti fiscali e verifiche sulla regolarità dei bilanci così da accertare la creazione illecita di fondi non contabilizzati;

o) favorire l'adozione di strumenti per una risoluzione rapida delle eventuali controversie tra l'amministrazione pubblica e il contraente privato. Atteggiamenti ostruzionistici, frequenti specialmente in fase di pagamento, possono essere disincentivati addebitando agli amministratori responsabili gli oneri derivanti dal loro comportamento;

Si possono altresì prospettare le seguenti misure, volte a combattere alcune

tra le più diffuse fonti di inefficienza nel settore:

p) riordino normativo, tramite la semplificazione ed il completamento della disciplina relativa all'attività contrattuale della pubblica amministrazione - settore particolarmente colpito da inflazione legislativa - in armonia coi princìpi comunitari. La stabilizzazione di tale disciplina, in precedenza estremamente mutevole, frammentata e stratificata, potrà restituire certezza e prevedibilità ai rapporti tra pubblica amministrazione e concorrenti privati, facilitando i compiti degli amministratori incaricati di gestire tali procedure e degli organi di controllo. E', infine, necessario che tale disciplina venga difesa dalla legislazione successiva, stante la pericolosità - in termini di vulnerabilità alla corruzione - di provvedimenti a carattere derogatorio;

q) condizionare l'esecuzione della gara alla sussistenza di finanziamenti sufficienti a coprire l'intera durata della prestazione, per evitare che l'esecuzione

proceda a singhiozzo;

r) ridurre il numero dei centri decisionali - centrali e territoriali - che a vario titolo entrano in gioco nelle procedure contrattuali, con una più precisa definizione delle rispettive competenze, dei tempi e delle modalità di interazione, anche attraverso l'apposita costituzione di strutture di coordinamento. In questo modo potranno evitarsi o ridursi i tempi di attesa connessi all'intreccio tra le relative attività (si veda, ad esempio, il caso di ritardi causati, nella realizzazione di un'opera pubblica, dall'esigenza di ottenere autorizzazioni mentre i lavori sono in corso);

s) garantire l'amministrazione e l'aggiudicatario da onerosità sopravvenute e da

altri imprevisti nell'esecuzione del contratto, causa di ritardi nell'adempimento, tramite la stipula - obbligatoria per i contratti al di sopra di un certo ammontare - di contratti di assicurazione. L'aggiudicatario potrà rivalersi sulla compagnia di assicurazione in caso di lievitazione dei costi o di mancato rispetto dei tempi di esecuzione, con conseguente pagamento di penale, che non sia ad esso imputabile;

t) garantire l'amministrazione dai rischi di inadempimento tramite il pagamento di una cauzione di adempimento proporzionale al valore del contratto;

u) applicazione rigorosa, ma semplificata, in armonia coi principi comunitari, delle norme relative alla qualificazione delle imprese sulla base della capacità tecnica ed economico-finanziaria, privilegiando le imprese che hanno dato il miglior risultato in qualità, celerità, economicità e assenze di controversie;

v) favorire la diffusione pubblica di informazioni dettagliate relative ad obiettivi, tempi previsti, contenuti dei progetti, costi e risultati dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione, in particolare per quanto attiene alla realizzazione di opere pubbliche;

z) determinare elenchi di prezzi, secondo la tipologia di fornitura e appalti di opere e servizi, prevedendo criteri che consentano automatismi dell'aggiornamento.

 

 

4. 20. Che si disciplinino i procedimenti ispettivi e di verifica

 

Le attività ispettive e di verifica di attività private nei settori fiscale, igienicosanitario, della sicurezza del lavoro, ambientale, edilizio, della circolazione, di produzione industriale, ecc., quando necessarie, sono sostanzialmente libere: non ne sono definiti i tempi, non ne sono precisati i criteri, riguardano indifferentemente violazioni minori e maggiori, ecc.. Si prestano, quindi, ad essere usate come minaccia, inducendo alla commissione di reati. Per rimediare a questa situazione, occorre regolare più accuratamente le procedure da seguire e, in particolare:

a) determinare preventivamente, come viene già fatto in alcuni settori, i soggetti e le attività da sottoporre a controllo, o almeno i criteri per la loro scelta;

b) stabilire, come fatto di recente in materia fiscale, i tempi massimi degli accertamenti e i controlli nelle ipotesi in cui questi non siano sufficienti;

c) stabilire, in via amministrativa e preventiva, obiettivi e criteri dei controlli, in modo che chi li esegue debba attenervisi. Un modello da tenere in considerazione, a questo riguardo, è quello della vigilanza esercitata dalla Banca

d'Italia nel settore creditizio (si veda al riguardo l'articolo 4, comma 2, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, "Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia");

d) rendere pubbliche, in via preventiva, le determinazioni indicate ai punti precedenti.

Con questi accorgimenti, si può ottenere maggiore chiarezza per le persone e le imprese sottoposte a ispezioni o controlli e minore discrezionalità dell'ufficio vigilante o controllante, riducendo, così, i margini di ambiguità che inducono alla commissione di reati.

 

 

4.21. Che si passi dai controlli di processo ai controlli di prodotto

 

Il sistema tradizionale dei controlli amministrativi, nell'ordinamento italiano, è caratterizzato dalla netta prevalenza dei controlli preventivi di legittimità, mentre è recente la previsione di forme più moderne di controllo, come il controllo interno e quello successivo sulla gestione.

I controlli preventivi si sono spesso risolti in una negoziazione o in una codecisione, ma - come dimostrato dal numero di giudizi amministrativi e penali - non sono serviti a garantire né la legittimità degli atti, né la correttezza sostanziale delle decisioni. La disciplina, risalente nelle linee essenziali ad epoca preunitaria, era errata con riferimento all'oggetto (ogni singolo atto), al fine (la legittimità) ed all'effetto (l'efficacia dell'atto). A volte, questi controlli si sono rivelati efficaci nei confronti delle minime irregolarità, ma non nei confronti delle decisioni nascenti da corruzione.

La legge 14 gennaio 1994, n. 20 ("Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti"), ha modificato la logica di fondo: ha decentrato il controllo, richiedendo all'organo centrale di sorvegliare il funzionamento degli organi di controllo interni; ha indotto le amministrazioni ad organizzare propri controlli, perché amministrare è anche controllare; ha valorizzato le verifiche di risultati. La riforma si è ispirata a vari esempi stranieri, come quello anglosassone della cost-benefit analisys e quello francese del Comité nationale d 'évaluation des cout et des rendements.

D'altra parte, non basta modificare le norme sui controlli: è necessario anche che i controllori si adattino ai nuovi principi. Ciò vale sia per la Corte dei conti, sia per le ragionerie: la prima mostra qualche difficoltà a cambiare approccio, e talora sembra voler ritornare alla prevalenza del controllo preventivo di legittimità; per quanto riguarda le seconde, la riforma del 1994 ha accentuato la loro crisi, data dal carattere formalistico dei controlli e dall'incapacità di utilizzare utilmente le informazioni di cui esse dispongono.

Ulteriori indicazioni di riforma sono le seguenti:

a) controlli sui prodotti dell'attività amministrativa, in rapporto alle finalità stabilite ed ai mezzi impiegati, piuttosto che sui processi di formazione degli atti. Ad esempio, parametri di controllo possono essere le misurazioni quantitative (come il numero di studenti promossi e quello dei ritiri per anno nelle scuole, i casi di ritardo dei treni o il tempo di attesa per il ricovero in ospedale), da confrontare con quelle di altre strutture o di periodi precedenti. A questo scopo, possono essere utilizzate le statistiche dell'Istat;

b) controlli sugli atti più importanti e a campione, non sulla generalità degli atti;

c) parametro del controllo da individuare non solo nella legittimità (che, soprattutto in un sistema normativo confuso, si presta all'arbitrio), ma anche in elementi come la proficuità della spesa;

d) i controllori non devono avere soltanto una formazione giuridica, ma conoscere le tecniche di gestione, con particolare riferimento al settore in cui operano.

Il mutamento di approccio, dai processi ai prodotti, è auspicabile anche in settori diversi da quello dei controlli sugli atti amministrativi, come quello dell'organizzazione del personale. Ciò vale, in particolare, per le organizzazioni maggiormente esposte alla corruzione e per quelle preposte alla tutela della legalità: l'azione di questi organismi dovrebbe sempre ispirarsi all'obiettivo sostanziale di accertare le illegalità e di recuperare denaro pubblico. Inoltre, la valutazione dei risultati delle indagini e di provvedimenti sanzionatori va compiuta correttamente, senza alterare dati e statistiche con elementi e valutazioni poco attendibili.

La stessa logica va applicata ai controlli finalizzati direttamente alla lotta alla corruzione: ad esempio, quelli relativi alle dichiarazioni patrimoniali e di interessi del personale, che devono essere condotti in modo approfondito, ma per campione.

 

 

4.22. Che si rafforzino i controlli interni delle società per azioni

 

 

La diffusione della corruzione è stata agevolata dalla relativa facilità con la quale amministratori e dirigenti di società per azioni costituiscono fondi con contabilità separata, la cui gestione sfugge sia all'intervento di altri amministratori, sia all'esame degli organi di controllo interno.

Questa situazione può farsi risalire all'ordinamento prescelto dal codice civile, nel quale l'assetto per cerchi concentrici (assemblea-amministratori-amministratore delegato e assemblea-sindaci) e l'evidente asimmetria informativa e decisionale tra amministratori non professionali produce, da un lato, una fuga delle decisioni verso il vertice, dall'altro, un indebolimento della trasparenza e dell'accesso dei soci, degli amministratori e persino dei sindaci alle informazioni.

Tale situazione può essere modificata mutuando gli organi di governo delle società ("corporate governance"), secondo linee che sono state già proposte e discusse, quali:

a) separazione tra un organo di gestione, con amministratori "full time" e "part

time" e un organo di sorveglianza;

b) collegamento organico dell'organo sindacale con uffici interni di controllo, parzialmente sottratti al vertice aziendale;

c) collegamento funzionale dell'organo di sorveglianza e di quello sindacale con gli azionisti di minoranza.

Le tre proposte indicate, tra loro compatibili, dovrebbero rispettivamente:

a) introdurre un elemento di conflitto istituzionale tra organi portatori di interessi opposti, in modo da aumentare trasparenza e controllo (rilevanti, in proposito, l'esperienza tedesca e quella italiana degli enti previdenziali);

b) assicurare al collegio sindacale un effettivo "droit de regard" sulla gestione con un flusso informativo separato e neutrale;

c) consentire ai soci di minoranza un effettivo controllo sulla gestione.

L'introduzione, così effettuata, di organismi e procedure interni di controllo impedirebbe o attenuerebbe, in via preventiva, la Costituzione e l'uso di fondi sottratti alla contabilità generale e, quindi, il loro improprio o illecito uso.

A questi rimedi può aggiungersi l'obbligo dell'organo sindacale di riferire le violazioni di legge e irregolarità più gravi a un organo pubblico esterno, sul modello introdotto dalla nuova legge bancaria del 1993 per le banche e seguito in alcuni Stati nordamericani con il modello dell "'Inspector general".

 

 

 

4.23. Che si promuova la disciplina nelle professioni

 

Talora nelle professioni intellettuali e tecniche emergono veri e propri intermediari impegnati ad instaurare contatti poco trasparenti tra soggetti privati e pubblici. La disciplina delle professioni che sono in rapporto con la pubblica amministrazione va quindi segnalata come uno dei settori in cui è necessario intervenire per prevenire la corruzione.

Oltre all'elaborazione di regole deontologiche, la valorizzazione della giustizia interna dei vari ordini professionali rappresenta un passaggio obbligato per promuovere la moralizzazione della vita amministrativa ed estendere la lotta alla corruzione.

Si potrebbe, innanzitutto, disciplinare in modo uniforme (o con un nucleo di regolamentazione uniforme) i vari ordini professionali, sanzionando con la radiazione di diritto dall'albo o in altro modo la commissione di reati contro la pubblica amministrazione (attualmente, ad esempio, prevista per i dottori commercialisti, ma non per gli avvocati e per i giornalisti).

In secondo luogo, potrebbe estendersi al mondo delle libere professioni la disciplina relativa ai dipendenti pubblici, collegando sanzioni disciplinari alla sentenza di condanna, ed al rinvio a giudizio per reati di notevole gravità.

 

 

Particolare rilievo va, infine, dato alle regole dell'accesso alle professioni, giacché non può trascurarsi che la deontologia professionale contribuisce a formare una cultura di corpo quale utile antidoto all'instaurarsi di prassi di corruzione.

Su un piano diverso si pone la questione relativa al segreto professionale di alcune categorie. Ad esempio, l'ampliamento delle fattispecie di violazioni tributarie sanzionate penalmente ha avuto come conseguenza l'assimilazione dei commercialisti e dei consulenti tributari agli avvocati e l'estensione ai primi del segreto professionale riconosciuto ai secondi. La circostanza che il commercialista assista l'imprenditore durante tutto il processo di produzione fa di lui più un collaboratore dello stesso imprenditore che non lo strumento di una difesa tecnica, occasionata dall'eventuale compimento di un reato. Per questo motivo, la disciplina del segreto professionale potrebbe essere oggetto di riforma, salvaguardando il diritto del cliente all'assistenza professionale.

 

 

 

5. INTERVNETI DI BREVE, DI MEDIO E DI LUNGO PERIODO

 

 

Le proposte che precedono possono, se applicate male, produrre ulteriori vincoli in un ordinamento iperregolato, determinando ulteriore corruzione. Esse dovrebbero, quindi, essere introdotte senza creare nuovi pesi e rigidità, eliminando, contemporaneamente, vincoli inefficaci dal punto di vista della gestione pubblica, ma causa o fattore di corruzione.

Va d'altra parte considerato che dai mezzi elencati, che andrebbero adottati sollecitamente, ci si possono aspettare risultati sul breve, sul medio e sul lungo periodo.

Sul breve periodo, possono produrre effetti i seguenti mezzi:

- limitare le spese per la politica;

- prevedere sempre l'ineleggibilità ed il divieto di rimanere in servizio di chi ha commesso reati di corruzione;

- rendere operativi i codici di comportamento dei dipendenti pubblici;

- stabilire un chiaro regime di incompatibilità tra funzione pubblica e cariche politiche;

- introdurre obblighi di dichiarazione del patrimonio e controlli per campione, per i titolari di funzioni pubbliche;

- limitare le attività successive all'impiego pubblico;

- adeguare il procedimento disciplinare alle risultanze dei giudizi penali;

- disciplinare il procedimento ispettivo e di verifica;

- tutelare effettivamente la segretezza del voto.

 

Sul medio periodo invece, possono produrre effetti i seguenti mezzi:

- ridurre l'area pubblica;

- ridurre e porre sotto controllo le nomine politiche;

- regolare le "lobbies";

- separare selezione e carriera dei dipendenti pubblici dalla politica;

- controllare più efficacemente le attività privatistiche dei poteri pubblici ;

- modificare il regime dei contratti pubblici;

- rafforzare i controlli interni delle società per azioni ;

- rafforzare la giustizia professionale.

 

Infine, solo sul lungo periodo possono produrre effetti rimedi atti a:

- porre ordine nella legislazione;

- liberare l'attività privata da vincoli pubblici amministrativi e semplificare i procedimenti amministrativi;

- istituire corpi tecnici nell'amministrazione;

- passare dai controlli di processo ai controlli di prodotto.

 

 

APPENDICE

ISTITUZIONE E ATTIVITA' DEL COMITATO

Il Comitato di studio è stato istituito con decreto del Presidente della Carnera dei deputati, 30 settembre 1996, n. 211.

I1 Comitato è stato composto dal prof. Sabino Cassese, ordinario di diritto amministrativo nella facoltà di giurisprudenza dell'Università "La Sapienza" di Roma, che ne ha coordinato i lavori; dal prof. Luigi Arcidiacono, ordinario di diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Catania; e dal prof. Alessandro Pizzorno, professore di teoria sociale nell'Istituto universitario europeo di San Domenico di Fiesole (Firenze).

I1 Comitato si è insediato il 2 ottobre 1996 ed ha proseguito i suoi lavori nelle sedute dell'1 1, 14, 15 e 23 ottobre, concludendo la sua attività il 23 ottobre 1996. In alcune sedute il Comitato ha anche condotto audizioni.

Ai lavori del Comitato hanno partecipato, in qualità di collaboratori, il prof. Agatino Cariola, professore associato nella facoltà di economia dell'Università di Catania, il dott. Bernardo Giorgio Mattarella, ricercatore nella facoltà di giurisprudenza della Terza Università di Roma, ed il dott. Alberto Vannucci, dottore di ricerca della Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento "S. Anna" di Pisa. Ha svolto le funzioni di segreteria e di raccolta della documentazione il dott. Giuseppe Renna, documentarista della Camera dei deputati.