inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2003

 Relazione sull’attività del Tribunale Amministrativo Regionale per il veneto nell’anno 2002.

di Stefano Baccarini

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Autorità, Colleghe e Colleghi, Signore e Signori,

quest’anno, per iniziativa del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, viene instaurata una prassi – quella dell’inaugurazione solenne dell’anno giudiziario intesa come rendiconto all’opinione pubblica dell’amministrazione della giustizia svolta nell’anno precedente – nuova per la giurisdizione amministrativa.

1. L’occasione coincide con un momento particolarmente significativo della storia dei tribunali amministrativi regionali: a quasi trent’anni dal loro insediamento e dopo l’entrata a regime della legge n. 205 del 2000, che si è proposta, sotto il profilo sia dell’ambito giurisdizionale che del processo, come riforma "mirata" della giustizia amministrativa.

Quella legge del 1971 - la n. 1034 - che istituì i tribunali amministrativi regionali attuando il precetto costituzionale del doppio grado di giudizio in materia di giurisdizione amministrativa, sembra davvero lontana.

Non soltanto perché allora quei tribunali amministrativi che oggi sono realtà solidamente radicata nelle istituzioni e nella coscienza dei cittadini apparivano come un’incognita, ma perché quella legge era espressione di una temperie culturale specifica: la coscienza della crisi dei ricorsi amministrativi ordinari e la transizione alla tutela giurisdizionale immediata, con la eliminazione del presupposto processuale della definitività del provvedimento amministrativo.

A condurre questo nuovo processo amministrativo di primo grado, nel quale erano destinati a confluire anche tutti i delusi dei ricorsi amministrativi ordinari e in particolare dei ricorsi gerarchici, privi del presupposto ordinamentale minimo di terzietà indispensabile per far funzionare efficacemente l’autodichia della pubblica amministrazione, veniva chiamato un manipolo di 220 magistrati, che soltanto nel 1982 - con la legge n. 186 - sarebbe stato aumentato ad appena 310 unità, oltre a 22 presidenti, senza dimenticare i 2 magistrati del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento designati da quel Consiglio provinciale e gli 8 magistrati collocati nel ruolo speciale dei consiglieri della sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige.

Diciotto anni più tardi - con la legge n. 205 del 2000 – sarebbe poi stato previsto un aumento di organico di sole 60 unità.

La dotazione organica del personale amministrativo era per l’intero plesso giurisdizionale, compreso il Consiglio di Stato, di sole 935 unità, poi aumentato della legge 205 di appena 40 unità.

I primi entusiasmi per il successo della riforma, reso evidente anche dal tangibile e crescente aumento della domanda di giustizia amministrativa, cedettero presto il passo alla preoccupazione per l’evidente inadeguatezza delle risorse disponibili a fronte della struttura sempre più complessa della società e dell’amministrazione contemporanea.

L’opera mirabile della giurisprudenza amministrativa intesa a rendere duttile il contenuto della sola cautela prevista, quella tipica - la sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato – dissimulava, a leggerla controluce, il sintomo certo dell’aumento incontrollabile delle controversie: lo spostamento del baricentro del processo dal merito al procedimento cautelare, un fenomeno analogo alla c.d. "settecentizzazione" del processo civile.

Le statistiche dei tribunali amministrativi regionali, così come quelle del Consiglio di Stato giudice d’appello, cominciarono ben presto ad apparire in rosso e come tali venivano denunciate invariabilmente dai Presidenti del Consiglio di Stato nella solennità dei loro discorsi di insediamento.

Ma invano si attesero interventi strutturali del legislatore.

Anche se, nel frattempo, alla cultura della tutela giurisdizionale immediata si era venuta sostituendo tra gli addetti ai lavori una cultura fondata piuttosto sulla ricerca di misure deflattive del carico giurisdizionale: la cultura della risoluzione non giurisdizionale delle controversie.

Non alludo qui al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che richiede pur sempre l’intervento di un organo di giustizia, il Consiglio di Stato.

Alludo piuttosto agli istituti, praticati negli ordinamenti anglo-americani, riconducibili all’acronimo inglese ADR (Alternative Dispute Resolution): conciliazioni, mediazioni, transazioni, procedimenti ridotti (mini trial), sui quali ha scritto con grande chiarezza e precisione il professor Mario Chiti, e grazie ai quali nei Paesi in cui sono vigenti soltanto una minima parte delle controversie viene sottoposta ai giudici.

Alludo agli istituti comunitari, previsti nella direttiva 92/13 in materia di settori esclusi, della procedura di conciliazione, del meccanismo correttore e dell’attestazione.

Alludo all’ipotesi di rivitalizzare il ricorso gerarchico improprio dinanzi a commissioni dotate di effettiva terzietà, ipotesi cui si è richiamato anche il relatore della legge 205, sen. Pellegrino, segnalando la necessità dell’introduzione "di una serie di filtri che scremino i conflitti, consentendo l’accesso al giudice togato di una conflittualità già preventivamente selezionata; e ciò almeno per quanto riguarda la microconflittualità…".

Alludo a qualsiasi altro strumento che sottragga all’aumento del contenzioso il carattere di una ineludibile fatalità.

2. L’esigenza di filtri si avverte con particolare intensità nel settore della giustizia amministrativa.

Qui, l’esperienza insegna che le controversie insorgono e restano cristallizzate, formando arretrato, anche nei casi in cui sarebbe possibile da parte dell’amministrazione un diverso apprezzamento dell’interesse pubblico che tenga conto del punto di vista fatto valere dal ricorrente.

L’insorgenza precoce di questo tipo di controversie dipende dal fatto che dinanzi al giudice amministrativo il ricorso giurisdizionale, di regola, è soggetto ad un breve termine di decadenza e che gli interessati, quindi, non dispongono di tempi adeguati per negoziare un riesame stragiudiziale.

La cristallizzazione dipende spesso da immobilismo burocratico delle amministrazioni, che non procedono ad un riesame dei provvedimenti impugnati se non a udienza di discussione al Tar già fissata, con la conseguenza abnorme che allo scopo di perfezionare la composizione della controversia le parti chiedono rinvii dell’udienza di trattazione anche in procedimenti di data molto remota.

In qualche caso, in situazioni in cui era necessaria una composizione di interessi che la decisione della controversia non era in grado di realizzare, il Tar ha dovuto emanare ordinanze istruttorie con cui ha ordinato all’amministrazione di convocare una conferenza di servizi con la partecipazione dei soggetti interessati in vista di un riesame del provvedimento impugnato.

Vero è che a partire dagli anni ’90 il legislatore ha introdotto qualche istituto di deflazione del carico giurisdizionale.

Concernono la giustizia amministrativa le procedure di conciliazione e arbitrato presso le Autorità per i servizi di pubblica utilità per le controversie tra gestori del servizio e utenti (art. 2, comma 20, lett. e) l. n. 481/95); le procedure, presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di soluzione delle controversie in tema di interconnessione e di accesso alle infrastrutture di telecomunicazione (art. 1, comma 6, lett. e) l n. 249/97); le procedure di conciliazione presso le Camere di commercio in tema di diritti dei consumatori promosse dalle associazioni dei consumatori ed utenti (art. 3, comma 2, l. n. 281 del 1998).

Ma si tratta, come ognuno può vedere, di interventi settoriali di ambito circoscritto, di cui non consta un esito significativo.

Non c’è, invece, nessun intervento organico, come sarebbe l’introduzione di una condizione di procedibilità, quale il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi ai collegi di conciliazione nelle controversie di lavoro pubblico (art. 65 d. lgs. n. 165/01), ma che fosse strutturata in modo da garantirne l’efficacia.

3. Questo è il contesto in cui operano i giudici amministrativi e quindi il Tribunale amministrativo per il Veneto.

Esso dispone attualmente di un organico di 15 magistrati divisi in tre sezioni e di 26 unità di personale amministrativo.

Per quasi tutto l’anno 2002 ha funzionato con 14 magistrati, essendo stato coperto soltanto in chiusura d’anno il posto resosi vacante all’inizio.

All’attività giurisdizionale hanno concorso efficacemente i due strumenti acceleratori dell’art. 9 della legge 205.

Primo: la perenzione dei ricorsi ultradecennali dichiarata con decreto presidenziale reclamabile, nel caso in cui la parte non presenti nuova istanza di fissazione di udienza: strumento, questo, non nuovo nell’esperienza giuridica, di riduzione del carico arretrato mediante verifica della persistenza dell’interesse al ricorso, ma attuato mediante atto personalissimo per il quale non è sufficiente la sottoscrizione del difensore, ma è richiesta quella della parte.

Strumento di razionalizzazione dell’esistente, questo, di carattere congiunturale - a volte dall’amaro sapore, quando le carte processuali lasciano intuire che l’abnorme decorso del tempo ha reso inutile la decisione per il ricorrente senza risolvere la questione controversa – ma inidoneo a incidere strutturalmente sull’efficienza del processo.

Con decreto monocratico reclamabile al collegio possono essere altresì dichiarate le altre cause di estinzione del giudizio.

Secondo: la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, nei casi di manifesta fondatezza ovvero di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso.

Disposizione innovativa, quest’ultima, non tanto se applicata alla fase di merito, giacchè le norme vigenti già segnalavano - a chi ne conservasse memoria - una succinta motivazione delle sentenze, quanto piuttosto se applicata alla fase cautelare, in quanto dà luogo ad un rito abbreviato, caratterizzato dal trapasso immediato, sentite sul punto le parti, dalla fase cautelare alla fase di merito, con pronuncia immediata della sentenza definitiva.

Presso il Tar vige la prassi, di cui meniamo vanto, di esaminare le domande cautelari nella prima camera di consiglio utile, dunque entro quindici giorni dal deposito del ricorso.

Qualora venga applicato il rito abbreviato, le parti ottengono la sentenza di merito di regola entro venti giorni dal deposito del ricorso, del che, credo, possono restare soddisfatte.

Peraltro, in presenza di un pesante carico arretrato il ricorso al rito abbreviato in sede cautelare va strettamente limitato ai casi in cui ne ricorrono i presupposti, per evitare sperequazioni nei confronti dei procedimenti pendenti che non hanno potuto giovarsi di questo rito e abusi dello strumento cautelare.

In quest’ultimo caso, l’accertamento della mancanza del requisito del periculum in mora assorbe ogni altra questione, quindi anche l’esame del fumus boni juris, così precludendo l’eventuale trasformazione del rito cautelare in rito abbreviato.

4. Nell’anno 2002 sono sopravvenuti 2844 procedimenti e ne sono stati definiti 7053.

Sono stati pronunciati 6801 provvedimenti decisori, con un incremento complessivo rispetto all’anno precedente del 51,94%: 2576 sentenze, con un incremento del 22,14%, di cui 957 in forma semplificata e 1619 ordinarie, e 4225 decreti decisori.

Sono state pronunciate 816 ordinanze cautelari collegiali, oltre a 127 ordinanze istruttorie, 192 ordinanze presidenziali e 6 decreti ingiuntivi.

L’inversione di tendenza già manifestatasi per la prima volta nel 2001 circa il numero dei procedimenti pendenti è stata confermata.

Nel 2001 questo numero era diminuito da 35.733 a 34.064, nel 2002 è ulteriormente diminuito a 29.855, con un decremento del 12,36%.

Non elogio in questa sede, che non deve essere autocelebrativa, i magistrati e il personale amministrativo del Tar: ma credo che i dati statistici siano sufficientemente eloquenti.

Come sempre, la maggior parte dei procedimenti sopravvenuti si riferisce alla materia: edilizia-urbanistica, con il 35,62%.

Trasferita al giudice ordinario la giurisdizione in materia di pubblico impiego contrattualizzato, la materia che segue per numero di procedimenti è quella della pubblica sicurezza, relativa principalmente al soggiorno dei cittadini extracomunitari, unita a leva e tributi, con il 13,71%.

Seguono attività della P.A.-gestione servizi, ove sono compresi gli affidamenti di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, con l’11,71%, industria-commercio-artigianato, pubblico impiego, lavori pubblici.

Le situazioni di conflitto sociale che sono alla base del contenzioso sono note: il modo con cui vengono esercitati il potere di pianificazione urbanistica, generale e attuativa e il potere di vigilanza urbanistico-edilizia; l’eterno conflitto tra criteri di determinazione dell’indennizzo per le espropriazioni per pubblico interesse e aspettative dei proprietari ad ottenere un risarcimento pieno; la gestione del soggiorno dei cittadini extracomunitari; il conflitto tra realizzazione delle opere pubbliche, svolgimento dei servizi pubblici e interesse dei cittadini alla salute, all’ambiente, al paesaggio; il rapporto tra tutela della concorrenza e compagine delle società miste deputate allo svolgimento dei servizi pubblici locali o procedimenti di affidamento di lavori, forniture e servizi e quant’altro.

L’estensione del modulo del procedimento ad evidenza pubblica a nuovi segmenti di attività amministrativa – tali l’affidamento degli incarichi di progettazione "esterna" delle opere pubbliche e la scelta del socio privato nelle società miste deputate allo svolgimento dei servizi pubblici locali – ha comportato un immediato incremento della conflittualità.

Soltanto pochi rilievi.

Primo: la riluttanza dell’amministrazione ad attuare, a distanza di oltre dieci anni dalla legge sul procedimento amministrativo, istituti di garanzia, come la comunicazione di avvio del procedimento, e di trasparenza, come l’accesso ai documenti amministrativi.

Nel primo caso, la frequente omissione della comunicazione di avvio del procedimento, oltre a ledere - in qualche caso in maniera sostanziale - la facoltà di partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo, rende il provvedimento un agevole bersaglio per i tiratori scelti dell’agguerrito foro locale.

Nel secondo caso, l’amministrazione dà a volte all’osservatore la sensazione di non aver inteso che il rifiuto dell’accesso ai documenti amministrativi non è oggetto di un potere discrezionale, esercitabile, se del caso, in pregiudizio degli importuni al fine di intralciarne la tutela giurisdizionale, ma è un comportamento consentito soltanto nei casi tassativamente previsti dalla normazione, a tutela di esigenze di riservatezza su alcune delle quali - quelle dei terzi - prevale comunque lo scopo del richiedente di curare o difendere propri interessi giuridici.

Secondo: il disagio e le disfunzioni dell’amministrazione quando deve esperire procedimenti, come quello disciplinare, di carattere paragiurisdizionale e scanditi, in base a leggi recenti, da termini posti a garanzia del diritto di difesa.

Una sanzione disciplinare ad un dipendente potrà essere anche sacrosanta nel merito, ma se nel corso del procedimento è stata violata una norma a garanzia del diritto di difesa il provvedimento disciplinare non potrà che essere dichiarato illegittimo, quale che sia il grado di riprovazione sociale dell’addebito: del che, non potrà poi farsi carico al giudice, come ben sanno anche gli organi di informazione.

Terzo: in sede di controllo sull’attuazione del principio di proporzionalità dell’attività amministrativa e del parametro di adeguatezza, che consiste nel non provocare agli interessi incisi un sacrificio superiore a quello minimo necessario, si è riscontrato che atti di pianificazione urbanistica o di approvazione di progetti di opere pubbliche sono stati formati - in più di un caso- senza un’adeguata istruttoria circa la situazione attuale dei luoghi, con la conseguenza che per effetto della localizzazione del tracciato di una strada o di una linea ferroviaria i proprietari espropriati sono stati assoggettati non alla sola ablazione del bene necessario per la realizzazione dell’opera pubblica, ma anche a drastiche e non ineluttabili limitazioni funzionali al godimento dell’abitazione o di un fondo o all’esercizio di un’impresa.

Quarto: dall’esame delle tabelle statistiche allegate a questa relazione e relative al periodo 1988/2002, si desume che la percentuale media delle sentenze di accoglimento è del 29,75% ed è compresa in una forbice che va dal 23,81% dell’anno 1993 al 40,11% dell’anno 2001.

Ciò smentisce, quanto meno per il nostro Tar, l’idea ricevuta di tribunali amministrativi regionali eccessivamente severi con le amministrazioni, dal momento che viene accolto mediamente meno di un terzo dei ricorsi.

E’ bene che ciò sia tenuto a mente anche da coloro – e la cosa accade non infrequentemente –che propongono, al solo scopo di tentare la sorte, ricorsi temerari, fondati su motivi privi di un minimo di plausibilità, con l’obbiettivo risultato di impegnare energie del collegio che potrebbero essere più utilmente impiegate per l’esame di altri procedimenti.

5. Il controllo di legalità che il Tar svolge ha riguardato vicende che sono al centro della vita amministrativa e sociale della regione e in particolare:

Progetti di opere pubbliche di primaria importanza o relative gare di appalto, quali:

il progetto di regolazione dei flussi di marea alle bocche di porto della laguna di Venezia, presentato dal Magistrato alle acque di Venezia e sul quale era stato espresso giudizio negativo di compatibilità ambientale;

il progetto di collegamento dell’autostrada A28 con l’autostrada A27 Mestre-Belluno all’altezza di Conegliano;

l’appalto-concorso per la realizzazione della nuova sede dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia;

la gara di appalto per la realizzazione del quarto ponte sul Canal Grande a Venezia ( ricorso depositato il 20 settembre 2002, sentenza pubblicata il 5 ottobre 2002);

la procedura ristretta di affidamento della direzione lavori e del coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione relativi alla realizzazione della metrotranvia di superficie del Comune di Verona.

Fatti di organizzazione di servizi pubblici quali:

il trasferimento della sede del Casinò di Venezia;

la designazione degli organi di amministrazione e di revisione dell’Azienda Consorzio Trasporti Veneziano s.p.a.;

la determinazione delle tariffe per la frequenza degli asili nido comunali e delle condizioni del servizio di refezione scolastica nelle scuole pubbliche materne, elementari e medie inferiori del Comune di Padova;

il referendum per l’abrogazione della legge regionale concernente "Interventi a favore delle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie".

Manifestazioni rievocative quale la Regata storica, ove il rigetto del reclamo di un equipaggio è stato dichiarato illegittimo per irregolare composizione della commissione tecnica decidente.

Tutela della concorrenza:

il bando di gara per l’affidamento del servizio di tesoreria di un comune, dichiarato illegittimo perchè attribuiva peso determinante al numero di sportelli disponibili nel territorio comunale da parte delle imprese bancarie offerenti e al contempo escludeva dalla presentazione di offerte i raggruppamenti di imprese;

il bando di gara per l’assegnazione di aree di piani per l’edilizia economica e popolare che attribuiva un punteggio differenziale alle cooperative edilizie aventi base regionale e con programmi di edilizia convenzionata attuati in due diverse province, dichiarato illegittimo perché favoriva cooperative organizzate secondo criteri imprenditoriali e per finalità speculative.

Gestione del territorio:

norme di regolamento edilizio comunale che vietavano l’installazione di stazioni radio base nelle zone residenziali, dichiarate illegittime perché i comuni hanno soltanto poteri di natura urbanistico-edilizia, mentre i poteri di natura sanitaria spettano allo Stato e alla regione.

Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, ove si è segnalato che il gestore di un supermercato deve attuare una organizzazione delle casse tale da assicurare alle operatrici di cassa l’alternanza flessibile delle posture;

Raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali, ove è stata sollevata questione di legittimità costituzionale di una disposizione di legge regionale che vietava il conferimento nelle discariche ubicate nel Veneto di rifiuti speciali provenienti da fuori regione, salva una riserva pari al 15% della capacità ricettiva residua alla data di entrata in vigore della legge, questione poi ritenuta fondata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 505 del 2002;

Provvedimenti di polizia in tema di fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, ove è stato segnalato che il provvedimento che impone il divieto di accesso ai luoghi sportivi deve contenere una specifica e precisa individuazione delle manifestazioni sportive e dei luoghi interdetti.

Accesso ai documenti amministrativi, ove si segnalano due interessanti sentenze nelle quali il diritto all’accesso:

è stato accertato, per mancanza di interesse pubblico attuale e concreto alla riservatezza meritevole di tutela, in relazione a verbale di visita ispettiva disposta dalla Banca d’Italia nei confronti di ente creditizio non più esistente perché incorporato in altro;

è stato negato in relazione all’iscrizione nel registro degli indagati da parte di una Procura della Repubblica di un soggetto denunciato, sul rilievo della inerenza dell’atto al regime del processo.

In materia di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, innovazione di civiltà giuridica conseguente al d. lgs. n. 80/98 ed al revirement delle sezioni unite della Corte di cassazione di cui alla decisione n. 500 del 1999, si sono avute interessanti applicazioni di specie in tema:

di ritardo nell’attribuzione ad un’area, ricondotta al regime di standard, della destinazione edificatoria, indicandosi come criterio base del risarcimento del danno la differenza tra il valore dell’area in regime di edificabilità piena e quello dell’area in regime di standard rapportata al periodo di tempo in riferimento;

di pretermissione di un’impresa da una trattativa privata per l’acquisto di un’apparecchiatura sanitaria, liquidandosi il danno, qualificato come perdita di chance, nell’utile presunto d’impresa, pari al 10% del valore del bene, ridotto a metà;

di ordine di polizia di cessazione dell’attività di raccolta di scommesse successivamente ritirato.

6. Il contenuto conformativo delle sentenze del Tar è ricollegabile ad una duplice tipologia.

Da un lato, viene sindacato, sotto il profilo dell’eccesso di potere, l’esercizio della discrezionalità amministrativa.

Dall’altro, vengono interpretate le norme amministrative applicabili nella causa, il che costituisce, in un sistema, come quello amministrativo, non codificato e a produzione giuridica alluvionale, un punto di riferimento tanto più sicuro quanto più recente e priva di precedenti giurisprudenziali è la fonte normativa, sia essa comunale, provinciale, regionale o statale.

Non è infrequente il caso di amministrazioni che in giudizio, più che difendere a spada tratta la legittimità dei loro atti, chiedono che il Tar fornisca la sua interpretazione delle norme rilevanti, al fine di orientare la loro azione amministrativa presente e futura.

In questa funzione di orientamento, va segnalato il contributo, prezioso per completezza dei riferimenti normativi e dogmatici e ricostruzione sistematica, degli avvocati del foro locale, leali ausiliari del giudice pur nell’espletamento del ministero difensivo.

Il contradditorio tra le parti viene garantito in maniera sostanziale, anche invitando le parti a trattare le questioni rilevate d’ufficio e le "terze tesi".

Le sentenze rendono esplicite le modalità con cui le amministrazioni devono dare esecuzione al giudicato, nei casi dubbi.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali del Tar (sentenze, ordinanze cautelari e non, decreti cautelari provvisori, decreti decisori, dispositivi pronunciati nei procedimenti a rito accelerato) vengono inseriti in tempo reale nel sito Internet della giustizia amministrativa e messi a disposizione degli utenti.

7. Il Tar vive la fase di prima attuazione del nuovo processo amministrativo conseguente alla legge 205.

Una buona legge, questa, se si prescinde da taluni profili di tecnica legislativa che hanno suscitato i malumori dei giuristi.

Ma qui si tratta non di correggere allievi negligenti, ma di capire dove va il legislatore.

E qui il legislatore ha tenuto presenti tre obbiettivi, che stanno dalla parte giusta, quella dell’utente del servizio giustizia amministrativa.

Primo: la semplificazione.

Oltre a recepire orientamenti giurisprudenziali evolutivi, la legge 205 ha disposto, nelle nuove materie di giurisdizione amministrativa esclusiva – servizi pubblici, urbanistica ed edilizia - una concentrazione processuale di proporzioni nuove, che consente al ricorrente di far valere dinanzi al giudice amministrativo, senza doversi sottoporre all’onere di un ulteriore giudizio civile, interessi legittimi e diritti soggettivi, ivi compreso quello al risarcimento del danno, la cui cognizione - essa sì - è la vera grande novità per la giurisdizione amministrativa.

Secondo: l’accelerazione.

Oltre alle decisioni in forma semplificata, in particolari controversie, attinenti a comportamenti significativi dell’amministrazione (silenzio-rifiuto) o a "materie sensibili" (come gli affidamenti di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e i provvedimenti espropriativi), sono stati istituiti riti speciali che prevedono la definizione del procedimento in tempi brevi, o incondizionatamente (come nel caso del silenzio-rifiuto) o nei soli casi in cui la delibazione del ricorso conduca ad una prognosi favorevole al suo accoglimento (come nel caso degli appalti pubblici, con disposizione coloritamente definita salva-cantieri), disponendosi al contempo presupposti di ammissibilità della tutela cautelare rinforzati, e cioè estrema gravità ed urgenza.

In base a queste disposizioni - rimodulazione di quelle del 1997 che le hanno introdotte - in materia di appalti pubblici, se la causa non può essere definita in sede cautelare con il rito abbreviato, il ricorso appare fondato e vi è pericolo nel ritardo, la causa viene fissata direttamente per il merito alla prima udienza successiva al termine di trenta giorni, in modo da sottrarre il corso delle opere pubbliche da realizzare a lunghi periodi di incertezza.

Terzo: l’effettività della giurisdizione.

A questo obbiettivo si può ascrivere, tra l’altro, il potere di pieno accertamento del fatto, riconosciuto al giudice amministrativo grazie al nuovo mezzo istruttorio della consulenza tecnica, che ha liquidato il feticcio della insindacabilità della discrezionalità tecnica.

Queste novità danno luogo ad un nuovo processo, più moderno e dinamico, ma anche più impegnativo, di cui il giudice amministrativo, disponendo di ampliati poteri di impulso e di cognizione, può divenire il dominus.

I magistrati e il personale amministrativo del Tar vivono questa fase riformatrice, che tra l’altro vede per la prima volta diminuire il numero delle controversie pendenti, con forte senso di appartenenza, sentendosi responsabilmente elementi attivi di un progetto complessivo e di un laboratorio istituzionale a servizio del cittadino.

8. Ciò detto, non si può tacere che, nonostante i risultati conseguiti, le proporzioni del carico pendente sono tali da non poter essere fronteggiate con le risorse umane attuali.

L’imperativo di assicurare una durata ragionevole del processo è vanificato da una massa di circa trentamila procedimenti arretrati.

La disposizione sulla perenzione dei ricorsi ultradecennali rappresenta, di per sé, la confessione di uno stato di fatto di abnorme difformità dai precetti costituzionali.

La coperta dei riti abbreviati, distesa sugli interessi differenziati, lascia scoperti i procedimenti dei soggetti non garantiti.

Anche tenendo conto dell’arretrato apparente, costituito dai procedimenti pendenti cui i ricorrenti non hanno più interesse, non potremo farcela mai, con le nostre sole forze, a eliminare il carico arretrato e a fronteggiare i nuovi procedimenti.

Sono necessari interventi legislativi, che rechino misure organizzative straordinarie per i procedimenti pendenti, aumenti di organico e mezzi di risoluzione non giurisdizionale delle controversie per la microconflittualità.

Chiedere interventi organici per la giustizia è stato sempre, invero, un vano esercizio.

Ma la situazione attuale è singolare.

Con la legge n. 89 del 2001 – la c.d. legge Pinto - il legislatore ha previsto un’equa riparazione per i casi di violazione del termine ragionevole di durata del processo, istituendo un rimedio interno per le violazioni dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo e così ridistribuendo tra le Corti d’appello nazionali la massa dei ricorsi che avevano intasato la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Logica vorrebbe che a questo intervento fossero seguite misure organiche atte a rimuovere le cause di quella durata non ragionevole.

Invece, nulla di ciò.

Anzi, un decreto-legge - il n. 179 del 2001 - che istituiva presso la giurisdizione amministrativa sezioni stralcio e disponeva un aumento di organico - non è stato convertito in legge, senza essere seguito, a tutt’oggi, da altre misure.

Del che il legislatore dovrebbe preoccuparsi per una questione di immagine, perché tale inerzia potrebbe lasciar credere che non si intende mettere mano alle cause del fenomeno, ma che ci si accontenta di lavare in casa i panni sporchi delle violazioni alla durata non ragionevole del processo, monetizzandole con la legge Pinto.

Inoltre, il successivo decreto legislativo n. 190 del 2002, emanato in attuazione della legge di delega n. 443 del 2001 – la c.d. legge obbiettivo – in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici, va bel al di là dell’accelerazione già prevista dalla disposizione salva-cantieri, in quanto al tempo stesso aggrava ulteriormente i presupposti di ammissibilità della tutela cautelare confinandola in ambiti angusti e prevede, in asserita applicazione del diritto comunitario, che l’annullamento dell’aggiudicazione non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato, ma soltanto il risarcimento per equivalente: donde non è difficile immaginare vertiginose fughe in avanti verso le stipulazioni.

Sembra dunque che l’interesse del legislatore si vada appuntando piuttosto su una categoria di controversie - quelle attinenti alle materie sensibili – nelle quali la tutela costitutiva del giudice amministrativo viene affievolita, che non sul problema generale della giustizia amministrativa.

Altrimenti detto, più che la tutela della giustizia amministrativa sembra che in tal modo si voglia realizzare la tutela dalla giustizia amministrativa.

Noi continueremo a fare il nostro dovere, confidando, come personaggi di qualche commedia di Cechov, almeno nella felicità delle generazioni future.