Possesso ad usucapionem di un bene validamente espropriato

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Possesso ad usucapionem di un bene validamente espropriato: la parola alle Sezioni Unite della Cassazione
Commento a Cass., Sez. Un., Sentenza n. 651 del 12-01-2023

Corte di Cassazione Sezioni Unite Civ. – Sentenza n. 651 del 12-01-2023

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Indice

1. Principi di diritto

Le Sezioni Unite della Cassazione, investite con ordinanza interlocutoria n. 19758 del 2022, dalla seconda Sezione civile, si sono pronunciate sul contrasto insorto in merito alla tematica del possesso ad usucapionem di un bene immobile oggetto di decreto di esproprio, validamente emesso, dalla Pubblica Amministrazione.
 In particolare, il Collegio ha enunciato i seguenti principi di diritto:
Nelle controversie soggette al regime normativo antecedente all’entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, nelle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30 giugno 2003, nel caso in cui al decreto di esproprio validamente emesso (come è incontestato nella specie) ‒ che è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile ‒ non sia seguita l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva del decreto comportano la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto sul bene – se egli continui ad occuparlo – si configura come una mera detenzione, con la conseguenza che la configurabilità di un nuovo periodo possessorio, invocabile a suo favore «ad usucapionem», necessita di un atto di interversio possessionis da esercitare in partecipata contrapposizione al nuovo proprietario, dal quale sia consentito desumere che egli abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Resta fermo il diritto dell’espropriato di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene”.
 “Nelle controversie soggette ratione temporis al t.u. n. 327 del 2001, l’esecuzione del decreto di esproprio con l’immissione in possesso del beneficiario dell’espropriazione (mediante redazione di apposito verbale) nel termine perentorio di due anni (art. 24, comma 1) costituisce condizione sospensiva di efficacia del decreto di esproprio (art. 24, comma 1, lett. f, h), con la conseguenza che il decreto di esproprio, se non è tempestivamente eseguito, diventa inefficace e la proprietà del bene si riespande immediatamente in capo al proprietario, perdendo rilevanza la questione dell’usucapione, salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni (art. 24, comma 7), nel qual caso dovrà essere emesso un nuovo decreto di esproprio, eseguibile entro l’ulteriore termine di due anni di cui all’art. 24, comma 1; nel caso in cui il decreto di esproprio sia tempestivamente eseguito con la tempestiva redazione del verbale di immissione in possesso ma il precedente proprietario o un terzo continuino ad occupare o utilizzare il bene, si realizza una situazione di mero fatto non configurabile come possesso utile ai fini dell’usucapione”.
Ma procediamo con ordine.
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2. Il caso

La vicenda processuale, da cui trae origine il caso sottoposto all’esame delle Sezioni Unite della Cassazione, ha ad oggetto una richiesta di rilascio, presentata dal Comune di Roma, di un’area di proprietà comunale detenuta sine titulo da una società, che chiameremo Alfa; di contro, la predetta società chiedeva la declaratoria di intervenuto usucapione ventennale in suo favore o, in subordine, di retrocessione dell’area.
In particolare, la società Alfa, deduceva a sostegno delle proprie ragioni che la predetta area veniva acquisita in proprietà dal Comune di Roma, per la realizzazione di un parco pubblico, in forza di un decreto di esproprio. Tuttavia, secondo la Alfa, il Comune non ne aveva acquisito il possesso, non avendo concretamente posto in essere le attività realizzative dell’opera pubblica e, quindi, non aveva esercitato alcun potere di fatto sul terreno in oggetto, mentre l’originaria dante causa aveva continuato ad esercitare il possesso per un tempo utile ai fini dell’acquisto per usucapione.
Il Giudice di prime cure, rigettava le domande della società e lacondannava al rilascio del terreno, in favore del Comune di Roma, escludendo altresì la possibilità, ai fini dell’usucapione, di cumulare l’eventuale possesso della società ricorrente con quello dedotto in capo alla sua dante causa, perché quest’ultima era consapevole dell’intervenuta espropriazione del fondo da parte del Comune e non aveva posto in essere atti di interversione del possesso idonei a configurare il costituto possessorio.
La società, soccombente nei gradi del merito, adìva la Suprema Corte di Cassazione.

3. La querelle giurisprudenziale

La quaestio giuridicaveniva rimessa all’attenzione delle Sez. Unite della Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 19758 del 2022, dalla seconda Sezione civile, ai fini della risoluzione del contrasto insorto in seno alle sezioni semplici.
Il quesito giuridico sottoposto alle Sez. Unite è stato il seguente:
 nel caso di espropriazione di un bene immobile, con decreto validamente emesso dalla P.A., ci si chiede
se viene a verificarsi la condizione del cd. costituto possessorio in favore dell’ente espropriante e, quindi, l’automatica perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario che continui ad occupare il bene espropriato, con conseguente interruzione del pregresso possesso (utile ad usucapionem) da quest’ultimo esercitato o se, invece, di contro il possesso continui a permanere in capo all’occupante con la possibilità di riacquistare il diritto di proprietà sul bene – ancorché oggetto di espropriazione, ma senza che sia intervenuta l’immissione in possesso o una condotta realizzativa delle opere previste nel decreto di esproprio a titolo di usucapione al successivo maturare dei venti anni continuativi”.
Nella risoluzione della querelle, le Sezioni Unite, in via preliminare ripercorrono le ragioni del contrasto, in merito alla questione dell’usucapibilità di un bene immobile, validamente espropriato, con una dichiarazione di pubblica utilità, ove il proprietario persista nel godimento del bene per un tempo utile a usucapirlo, ai sensi dell’art. 1158 c.c.
Secondo un primo orientamento, in tema di possesso ad usucapionem, con particolare riguardo ai trasferimenti coattivi conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità, il diritto di proprietà è trasferito contro la volontà dell’espropriato, e nessun accordo interviene fra questi e l’espropriante. Pertanto, il provvedimento ablativo non determina ipso iure, in capo al proprietario, un mutamento dell’animus rem sibi habendi in animus detinendi, il quale può invocare, se ricorrono i presupposti di legge, il compimento in suo favore dell’usucapione, tutte le volte in cui alla dichiarazione di pubblica utilità, non siano seguiti né l’immissione in possesso, né l’attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell’espropriante, risultando irrilevante l’acquisita consapevolezza dell’esistenza dell’altrui diritto dominicale.
L’opposto orientamento, invece, ritiene che il decreto di espropriazione è idoneo a far acquisire la proprietà piena del bene in capo all’espropriante e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino ad esercitare sulla cosa un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica o conoscenza del decreto ne comporta la perdita dell’animus possidendi e, pertanto, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem, è necessario un atto di interversio possessionis, di cui all’art. 1141 c.c.

4. L’approdo ermeneutico delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, nella pronuncia in esame, aderiscono al secondo orientamento formatosi in seno alle sezioni semplici, prevendendone l’estensione sia alle controversie soggette al regime previgente al T.U. degli espropri (d.lgs. 8 giugno 2001, n. 327), nelle quali il decreto di esproprio (che nel caso in esame risale al 1975) sia emesso in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza antecedente alla data del 30 giugno 2003, di entrata in vigore dello stesso testo unico (art. 57), sia, per ragioni parzialmente diverse, nelle controversie soggette alle disposizioni del medesimo testo unico.
Nell’iter logico- giuridico seguito, la Suprema Corte, ha rilevato come le c.d. azioni possessorie siano proponibili anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, salvo che sul diritto non abbia inciso un provvedimento avente attitudine a sottrarre al privato la proprietà o disponibilità della cosa o a mutarne il modo di godimento.
Trascorrendo al caso di specie, le Sezioni Unite hanno ritenuto che le azioni possessorie siano proponibili solo se sia ravvisabile carenza di potere amministrativo, situazione non configurabile in presenza di un provvedimento espropriativo legittimo.
Ancora, le Sez. Unite, osservano che l’espropriazione per pubblica utilità non è assimilabile ad alcuna vicenda negoziale, trattandosi di un atto autoritativo con cui l’amministrazione acquista la proprietà a titolo originario, a far data dall’emissione del decreto di esproprio, comportando l’estinzione automatica di tutto i diritti gravanti sul bene espropriato, privando il proprietario anche del possesso giuridico dei suoi beni (ex art. 834, comma 1, c.c.), potendo l’espropriato far valere il solo diritto al riconoscimento dell’indennità.
Tuttavia, il proprietario espropriato può restare nel godimento del bene finché persista l’assenso implicito (o mera tolleranza) dell’ente espropriante che in ogni momento è in condizione di ripristinare la relazione fattuale con il bene posseduto, senza vedersi opporre una inesistente pretesa di astensione da parte dell’occupante, la cui detenzione per diventare utile ai fini dell’usucapione deve trasformarsi in possesso, attraverso un atto di interversione nel possesso.
Ai fini della c.d. interversio possessionis non è sufficiente un semplice atto di volizione interna, occorrendo una manifestazione esteriore, rivolta specificamente contro il possessore di cui all’art. 1141, comma 2, c.c., dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione dell’animus detinendi in animus rem sibi habendi, non rilevando né i meri atti di esercizio del possesso (a titolo esemplificativo: la stipula di contratti di locazione, la percezione dei relativi canoni etc.), traducendosi gli stessi in un’ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene, né rilevando l’impugnazione del decreto di esproprio in sede giurisdizionale, cui va attribuito il solo intento di disconoscere il titolo di acquisizione del diritto reale.
In altre parole, il contenuto dell’interversione nel poesseso, idonea a trasformare la detenzione in possesso, deve poter significare la negazione dell’altrui possesso e l’affermazione del proprio, bastando all’uopo un comportamento oppositivo non soggetto a particolari formalità, secondo l’insindacabile valutazione del giudice del merito.
Pertanto, in mancanza di atti di prova di uno specifico atto di interversione nel possesso, dopo l’emissione del decreto di espropriazione per pubblica utilità, l’eventuale protrarsi del godimento del bene da parte dell’espropriato può integrare una detenzione precaria non utile ai fini dell’usucapione.
In conclusione, con la pronuncia a Sezioni Unite, si afferma che il decreto di esproprio della P.A. vale a farle acquisire la proprietà piena del bene e, per l’effetto, la situazione di perdurante occupazione da parte del proprietario espropriato non configura possesso utile ai fini dell’usucapione, ma mera detenzione. Affinché maturi un nuovo periodo possessorio, invocabile ad usucapionem, occorre un atto di interversio possessionis.

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Raffaella Ascolese

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