inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2003

Donne in magistratura: una relazione di Pina Casella

 

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     Ho sempre pensato che per un magistrato-donna non è facile affrontare argomenti come quelli di questo convegno, che riguardano il mondo femminile in Magistratura, poiché si corre inevitabilmente il rischio di attribuire all'essere giudice-donna, anziché magistrato tout court, una connotazione di "minorità femminile", generando così forti diffidenze proprio tra le donne, soprattutto tra le più giovani, e rafforzando il pregiudizio che sul piano culturale si vuole invece contrastare. E' diffusa, infatti, in Magistratura la sensazione che le valutazioni fondate sulla distinzione dei magistrati in base all'appartenenza all'uno o all'altro sesso siano inutili ed irrilevanti se non addirittura fuorvianti, perché generano l'idea di un giudice-donna contrapposto al giudice-uomo e, come tale, diseguale.  

Per la verità, la recente costituzionalizzazione del principio delle "pari opportunità tra donne e uomini" con riferimento all'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive dovrebbe aver sgombrato il campo da queste diffidenze. E' evidente, infatti, che l'intervenuta riforma dell'art. 51 Cost. è stata dettata dalla constatazione di un problema reale e pressante - la scarsa partecipazione femminile alla vita pubblica ed istituzionale del Paese - e dalla conseguente necessità di individuare una risposta idonea a risolvere il problema stesso: risposta che è stata individuata in una modifica della Costituzione volta a favorire e stimolare i processi culturali e politici in atto, dando copertura costituzionale alle "azioni positive" tese a correggere gli squilibri nella rappresentanza e demandando alle libere scelte del Legislatore l'individuazione dei mezzi e la modulazione in concreto degli interventi ritenuti a tal fine necessari.

Se questa è la realtà sociale che ci circonda, il rischio denunciato in premessa deve, quindi, farci riflettere soltanto sul modo di affrontare l'argomento delle pari opportunità in Magistratura, ma non può certamente esimerci dal prestare attenzione al mondo femminile in Magistratura, nella consapevolezza che l'adoperarsi per il riconoscimento generalizzato dei meriti e delle caratteristiche peculiari dell'essere "donne-magistrato" non può e non deve in alcun modo essere percepito come uno svilimento della funzione femminile e del ruolo svolto. 

Ciò è tanto più vero ove gli argomenti di riflessione siano fondati su elementi di fatto e su parametri di valutazione certi e rigorosi, come quelli che di seguito andrò ad esporre e che sono ancorati a dati statistici non opinabili.

 

Orbene, costituisce un dato di fatto incontestabile l'insufficiente rappresentanza femminile nei più rilevanti settori della Magistratura, come del resto nella vita pubblica ed istituzionale in genere. E non vi è dubbio che tale situazione determina un difetto di rappresentatività della parte femminile della popolazione, in genere, e dei magistrati-donne nello specifico: in effetti, sia nella società che nel mondo giudiziario vi è una sfaldatura tra una realtà che è composta da più donne che uomini e una rappresentanza quasi esclusivamente maschile e, come tale, "non rappresentativa". Non si vuole con ciò dire che tale situazione determina all'interno della Magistratura un deficit democratico, ma è pur vero che l'insufficiente rappresentanza femminile è sintomo di un distacco tra la Magistratura nel suo complesso e le sue Istituzioni e, dunque, un male per la stessa Magistratura.

Del resto, la Magistratura riproduce al suo interno ciò che avviene nel Paese, dove assistiamo ad una frattura tra la partecipazione femminile alla vita professionale, sociale e culturale in genere e la partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale. Ed infatti, in contrasto con il dato numerico e con il livello culturale e professionale raggiunto dalle donne-magistrato in ogni campo della giurisdizione, vi sono settori della Magistratura caratterizzati da una composizione quasi esclusivamente maschile, come confermano i dati statistici che si vanno ad illustrare.

 

Va innanzitutto osservato che la presenza femminile in Magistratura è cresciuta negli anni in maniera costante: se al momento del loro ingresso - 1965 - le donne rappresentavano appena lo 0,14 %, oggi sono 3.468 su 9.082 pari al 38 % (all. A) e la loro presenza appare destinata a crescere ulteriormente, superando quella maschile, ove si consideri che, secondo dati aggiornati al 30 settembre 2003, tra i magistrati aventi età non superiore ai quaranta anni le donne sono numericamente più degli uomini (cfr. all. B, dal quale risulta che in tale fascia d'età sono comprese 1.682 donne a fronte di 1.375 uomini, mentre la fascia di età superiore ai 50 anni vede ancora fortemente massiccia la presenza maschile con una differenza percentuale piuttosto elevata, pari al 25%).

Al dato della crescente presenza femminile non fa, però, riscontro una pari dislocazione in tutti i settori giurisdizionali.

Come si evince dai dati numerici di cui all'allegato C, anch'essi aggiornati al 30 settembre 2003, mentre nel settore della sorveglianza e negli uffici minorili attualmente le donne risultano essere in maggioranza - su 142 magistrati di sorveglianza 81 sono donne; così pure su 147 giudici del Tribunale per i minorenni 90 sono donne e su 70 sostituti procuratori presso il Tribunale per i minorenni vi sono 39 donne -  nelle funzioni giudicanti e requirenti di primo grado la presenza delle donne risulta più equilibrata poiché riproduce, ed anzi supera, la percentuale di presenze femminili in magistratura pari, come già detto, al 38%: ed infatti, su 3.782 giudici di primo grado 1.806 sono donne e 1976 uomini, per una percentuale, rispettivamente, del 48% e del 52%, mentre su 1.506 sostituti procuratori 611 sono donne e 895 uomini, per una percentuale, rispettivamente, del 41% e del 59%  (discorso a parte merita, però, nel settore requirente l'ufficio della Direzione Nazionale Antimafia, nel cui organico non figura nessuna donna).

Senonchè i numeri e le percentuali cambiano notevolmente quando si rivolge l'attenzione agli incarichi direttivi e semidirettivi ed alle funzioni di legittimità, ove la presenza femminile è veramente irrisoria. La invisibilità che da sempre accompagna le donne, non solo nell'area della rappresentanza politica ma anche degli incarichi con poteri decisionali, tocca anche le donne-magistrato. A dimostrarlo basta considerare:

-          l'assenza totale di presenza femminile nei posti direttivi e semidirettivi di Cassazione (all. C);

-          l'assenza totale di presenza femminile tra i dirigenti delle Corti di Appello, sia nel settore giudicante che requirente(all. C);

-          lo scarsissimo numero di donne che svolge funzioni di legittimità: in Procura Generale la presenza femminile è rappresentata da una sola unità; mentre sono 16 le donne che svolgono funzioni di consigliere di Cassazione - 6% -  a fronte di 244 uomini - 94% - (all. C);

-          la ridottissima presenza di donne negli uffici direttivi del settore requirente - solo 4 donne su 149 posti, per una percentuale del 3%, rivestono l'incarico di Procuratore della Repubblica (a Lecco, Vigevano, Aosta e Saluzzo), e altrettante donne, a fronte di 25 uomini, rivestono l'incarico di Procuratore della Repubblica per i Minorenni (a Bologna, Caltanissetta, Napoli e Palermo), per una percentuale leggermente più alta pari al 14%; assai limitata è altresì la presenza femminile negli uffici semidirettivi del medesimo settore - solo 6 donne, rispetto a 85 uomini, nella misura percentuale, quindi, del 7%, rivestono l'incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica (a Foggia, Milano, Palermo, Perugia, Roma e Trapani), mentre solo 1 donna riveste (a Milano) l'incarico di Avvocato Generale di Corte d'Appello (all. C);

-          l'altrettanto ridotta presenza di donne negli uffici direttivi del settore giudicante - solo 2 donne, pari all'1%, svolgono la funzione di Presidente di Tribunale (a Matera e a Novara), a fronte di 157 uomini; del pari sono 2, a fronte però di 29 posti, per una percentuale, quindi, del 7%, le donne che esercitano l'incarico di Presidente del Tribunale di Sorveglianza (a Napoli e Sassari); mentre la percentuale migliora sensibilmente con riferimento al settore minorile, dove le donne che rivestono il ruolo di Presidente del Tribunale per i Minori sono 11, a fronte di 18 uomini, per una percentuale pari al 38%; (all. C);

-          la limitata presenza femminile anche negli uffici giudicanti semidirettivi (cfr. all. C) dove - a fronte di 40 donne che rivestono l'incarico di Presidente di sezione di Tribunale, pari ad una percentuale del 12% (gli uomini che svolgono le medesime funzioni sono 295) - nessuna donna, però, svolge le funzioni di Presidente della sezione Lavoro di Corte d'Appello e  di Presidente della sezione GIP; 2 soltanto sono, poi, le donne che rivestono l'incarico di Presidente aggiunto sezione GIP (a Milano e a Napoli), mentre 1 sola donna esercita le funzioni di Presidente di sezione di Corte d'Appello (a Milano) e di Presidente della sezione Lavoro (a Venezia).

 

In definitiva, a fronte di 444 incarichi direttivi soltanto 23 sono ricoperti dalle donne, per una percentuale del 5%; mentre solo 51 donne, a fronte di 665 uomini, ricoprono posti semidirettivi, per una percentuale pari al 7% (all. D).

 

 

Orbene, in presenza di tali dati, è necessario tentare di fornire una spiegazione, che non può essere quella semplicistica derivante dalla considerazione che le donne hanno minore anzianità di servizio.

E' pur vero che, come risulta dall'allegato B, le donne che in magistratura hanno un'età superiore ai 50 e ai 60 anni - ritenendo questa l'età media per ricoprire incarichi semidirettivi e direttivi - sono 461 (359 di età compresa tra i 50 e i 60 anni e 102 di età superiore ai 60 anni) e rappresentano il 5% dell'intera magistratura, a fronte di 2.685 uomini della stessa età (di cui 1.186 di età compresa tra i 50 e i 60 anni e 1.499 di età superiore ai 60 anni), pari ad una ben più elevata percentuale del 30%, ma è altrettanto vero che tra gli uomini aventi titolo per rivestire incarichi direttivi il 13,4% ne riveste effettivamente mentre le donne con la medesima anzianità rivestono tali incarichi nella misura dello 0,7% (all. D1). Il calcolo della percentuale degli incarichi direttivi rispetto agli aventi titolo dimostra quindi, inequivocabilmente, lo squilibrio esistente tra donne e uomini magistrati negli uffici con poteri decisionali.

Né la situazione migliora ove si ponga attenzione agli incarichi semidirettivi: tra gli aventi titolo, individuati come sopra (magistrati aventi un'età superiore ai 50 anni), solo l'1,6% delle donne svolge funzioni semidirettive, a fronte di una ben maggiore percentuale maschile del 21,1% (all. D1). Tale dato appare particolarmente preoccupante perché le funzioni semidirettive sono, nella gran parte dei casi, propedeutiche al conferimento degli incarichi direttivi, il che induce a ritenere che anche nel prossimo futuro non sarà agevole per le donne il raggiungimento di funzioni di vertice.

Del resto, che il problema della scarsa presenza femminile negli incarichi di vertice non sia esclusivamente legato alla minore anzianità di servizio delle donne in Magistratura è dimostrato dall'esclusione delle donne-magistrato anche da altri settori rilevanti e da altre aree di interesse nelle quali la rappresentanza non è ancorata al requisito della maggiore anzianità.

Si pensi, innanzitutto, alla rappresentanza nell'organo di autogoverno della magistratura: fino al 1990 solo 1 donna magistrato vi era stata eletta ed anche nel quadriennio in corso 1 sola donna magistrato ne fa parte, a differenza peraltro che nello scorso quadriennio in cui la presenza femminile è stata leggermente superiore (in numero di 3).

La situazione non migliora in ambito associativo, considerato che la presenza femminile negli incarichi di vertice dell'ANM è assolutamente irrisoria.

Ed anche nel settore assai rilevante della formazione professionale non si registra una significativa presenza femminile ove si consideri che, se attualmente nell'ambito del Comitato Scientifico presso il CSM  vi è una buona percentuale di donne (3 su 12),  nei distretti di corte d'appello su  85 "formatori decentrati" le donne sono solo 19.

 

La spiegazione va, dunque, ricercata altrove.

 

Non vi è dubbio che il più rilevante fattore di "diversità" per le donne è rappresentato dalla maternità e dagli obblighi che da essa derivano: del resto, storicamente il modello di lavoratore al quale ogni datore di lavoro guarda con maggiore interesse è rappresentato da colui che non ha obblighi sociali "di cura" (nei confronti dei minori, degli anziani etc.). E' evidente, pertanto, che di fronte a tale peculiarità femminile l'organizzazione del lavoro diventa elemento di fondamentale rilevanza, poiché incide pesantemente nei confronti delle donne e sul loro modo di porsi di fronte all'esercizio della giurisdizione.

Di qui l'importanza di avviare una riflessione sui modelli culturali sottesi all'organizzazione del lavoro che, tradizionalmente, risentono di un modo di pensare tipicamente "maschile". Come giustamente rilevato dalla Commissione per le Pari Opportunità in Magistratura istituita presso il Consiglio Superiore della Magistratura, v'è da chiedersi <<se l'esistenza di determinati criteri di scelta tra magistrati e una certa struttura organizzativa del lavoro - intrinsecamente maschili, quantomeno perché pensati da un Parlamento legislatore a composizione prevalentemente maschile e regolamentato da un CSM pressochè esclusivamente maschile - non siano essi stessi la causa, tra gli altri fattori, di scelte di autoesclusione apparentemente libere>>.

Alcuni esempi costituiscono la riprova della fondatezza di questa considerazione.

Si pensi, innanzitutto, all'incompatibilità distrettuale prevista per il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, e viceversa, dal progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario: è, questa, una disposizione che, se rende difficile per tutti i magistrati il cambio delle funzioni, di fatto scoraggiandolo, sicuramente penalizza in modo particolare le donne che nella gran parte dei casi, per motivi familiari, si vedranno costrette a rinunciare allo svolgimento di funzioni plurime, con inevitabili ripercussioni anche sulle attitudini alla dirigenza, la cui valutazione è in parte ancorata proprio allo svolgimento di una pluralità di "mestieri" giudiziari. Appare evidente, quindi, come la cultura sottesa al progetto di riforma risenta di un modo di pensare "maschile", quantomeno perché non sembra affrontare con la dovuta consapevolezza il problema della "ricaduta" di alcuni aspetti riformatori nei confronti del mondo femminile in Magistratura.

Del pari, le modifiche introdotte dalla recente legge 44/2002 in tema di composizione del CSM tendono ad aggravare il problema della sotto-rappresentanza delle donne nell'organo di autogoverno della Magistratura. Ed infatti il nuovo sistema elettorale, che nell'intento di superare le divisioni in correnti ha introdotto il collegio unico nazionale e la preferenza unica, ha in realtà favorito, come la recente esperienza ha già dimostrato, collegamenti ed accordi "di vertice" , ai quali le donne sono solitamente estranee sia per tradizione culturale sia a causa della loro pressoché totale assenza nei ruoli apicali dell'ANM.

Ed ancora, in tema di riforma dell'ordinamento giudiziario, la prevista istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali ordinari e le corti di appello, in sostituzione dei tribunali per i minorenni, tocca un'area che si è andata caratterizzando al femminile - evidentemente perché le donne magistrato riescono a cogliere meglio, rispetto ai colleghi maschi, le esigenze che il mondo minorile esprime, fornendo risposte più adeguate e più vicine ai bisogni dei minori - e rischia così di disperdere, per effetto del decentramento connesso a tale riforma e della prevedibile difficoltà dei giudici minorili donne di trasferirsi in tribunali decentrati (attualmente, infatti, i tribunali per i minorenni sono istituiti nelle città sedi di corte d'appello), un patrimonio culturale e di specializzazione difficilmente riproducibile in tempi ragionevoli.

 

Se queste sono le ragioni che rendono necessario in Magistratura un mutamento culturale nel senso sopra indicato, v'è da dire che oggi l'avvio di una seria riflessione sul punto appare ancor più ineludibile: lo richiede, infatti, la costituzionalizzazione del principio delle pari opportunità che, come già detto, impone al Legislatore di adottare tutte quelle "azioni positive" che tendano a correggere le discriminazioni esistenti, al fine di tradurre su un piano concreto il principio dell'uguaglianza formale in uguaglianza sostanziale.

Del resto, in Magistratura l'esigenza di un rinnovamento culturale è ormai diffusa, come dimostra chiaramente la normazione secondaria del CSM che negli ultimi anni si è andata caratterizzando per una progressiva e sempre maggiore attenzione al mondo femminile: si pensi, in particolare, alla circolare n. 160/96 del 10 aprile 1996 contenente significative previsioni tabellari relative alle donne incinte o con prole di età inferiore ai tre anni (in base a dette disposizioni il Capo dell'Ufficio dovrà tenere conto della condizione delle donne-magistrato incinte o con figli in tenera età, al fine di prevedere un'organizzazione del lavoro interna tale da consentire alle stesse di rimanere il più a lungo possibile in servizio o comunque di farvi rientro quanto prima, svolgendo attività compatibili, per modi e tempi, con la loro situazione personale); alle modifiche di circolare in tema di tramutamento di funzioni e di assegnazione della prima sede agli uditori, con la previsione di punteggi aggiuntivi in caso di figli in tenera età e di accertata gravidanza dell'uditrice giudiziaria o della moglie dell'uditore giudiziario; alla delibera 11 gennaio 2001 relativa alla partecipazione delle donne magistrato agli incontri di studio organizzati dal CSM (che ha previsto una quota di posti riservati alle donne, destinati al recupero di mancate partecipazioni ad incontri di studio per ragioni connesse ad astensione obbligatoria e/o facoltativa per maternità o a congedi parentali). Significativa è anche la recentissima iniziativa del CSM e del Comitato per le pari opportunità in Magistratura relativa all'organizzazione di un incontro di studio internazionale, in parte finanziato dalla Commissione Europea, avente ad oggetto la tematica della "equilibrata partecipazione tra uomini e donne nel processo decisionale".

 

Vorrei chiudere con una notazione di convinto ottimismo.

Non vi è dubbio che negli ultimi anni molte cose sono cambiate in Magistratura e molte altre cambieranno, probabilmente non in meglio: siamo soliti, in questi ultimi mesi, lamentare, a ragion veduta, l'irrazionalità del progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario che, così come congegnato, non risolverà alcuno dei reali problemi che oggi ostacolano il diritto dei cittadini ad avere una giustizia rapida, efficace ed effettiva, indipendente ed imparziale, uguale per tutti.

Sicuramente però gli ultimi anni sono andati caratterizzandosi in positivo per un'accresciuta consapevolezza del ruolo delle donne in Magistratura e per una loro più accentuata presenza in settori di rilievo. Consentitemi un esempio personale: oggi 6 donne-magistrato lavorano al CSM presso la Segreteria del Consiglio e l'Ufficio-Studi (a fronte di 12 uomini), mentre nel 1995, e per svariati anni, la presenza femminile è stata limitata alla sottoscritta, peraltro prima donna nello svolgimento delle funzioni consiliari di Magistrato Segretario. E l'esempio non è isolato se si considera che attualmente i magistrati fuori ruolo presso il CSM, la Corte Costituzionale ed il Ministero della Giustizia sono suddivisi in 109 uomini e 45 donne; che anche presso altri Ministeri o Istituzioni la percentuale delle donne fuori ruolo è particolarmente elevata: 13 donne e 26 uomini; e che persino gli incarichi all'estero vedono una presenza femminile sicuramente significativa: 5 donne e 15 uomini. Ulteriore elemento di valutazione positiva deriva, poi, dalla constatazione che presso i Consigli Giudiziari, organi istituzionali distrettuali che negli ultimi anni hanno visto accresciute le loro competenze ed hanno perciò assunto un rilievo crescente, la presenza femminile è particolarmente significativa essendo rappresentata da 72 donne su 208 posti.

In definitiva, ritengo che in questi anni stia effettivamente maturando all'interno e all'esterno della Magistratura una diffusa consapevolezza dei meriti e delle caratteristiche peculiari dell'essere "donne-magistrato": la differenza che i giudici-donne possono fare dipenderà, ovviamente, innanzitutto da noi donne, ma la ricerca e la riflessione costante su questo argomento non possono che agevolare il nostro percorso di crescita. Ringrazio, pertanto, gli organizzatori di questo convegno per l'opportunità culturale che ci hanno offerto.


Torino, 25 ottobre 2003
                                                                                                Giuseppina Casella