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Sulla Giustizia ancora una volta si è abbattuta la bufera; sulla
Giustizia, ancora una volta, in modo diretto e spettacolare, si è
costruito uno scontro fra politica e magistratura con accusa, tanto
destabilizzante quanto intollerabile, a quest'ultima
di essere addirittura antagonista
della Giustizia. Ed in questo contesto lacerante, a colorare le accuse, si
sono invocati i modelli di Giustizia, quelli sì «giusti», delle più
moderne democrazie occi-
dentali (Stati Uniti, Inghilterra,
Francia, Germania ecc.).La confusione, la distorsione, quando non
addirittura l'artificioso inganno, con conseguente inaccettabile
mortificazione e delegittimazione della magistratura, chiamata per
Costituzione ad applicare la legge, sono massimi.
Allora può essere utile ricordare che il nostro ordinamento
statale, come sancisce la Costituzione (art. 3), è fondato sulla
eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in particolare alla
legge penale. Per evitare che l'eguaglianza rimanesse un valore astratto
la Costituzione ha previsto, altresì, l'obbligatorietà dell'azione
penale, ossia il principio in forza al quale chiunque (indipendentemente
dalla posizione sociale che occupa,
dalla professione che svolge, dall'appartenenza ad un gruppo o ad un
partito politico determinati, dalla ricchezza di cui dispone, dal potere
che esercita, dalla carica ricoperta, dal colore della pelle, dalla
religione che professa, dalla lingua che parla, e così via) commette un
reato è chiamato a risponderne. Senonché; rispettare l'eguaglianza nella
doverosa repressione delle condotte violatrici della legge penale non
sarebbe concretamente possibile se il pubblico ministero, cui è affidato
l'esercizio dell'azione penale, dipendesse gerarchicamente da altri
poteri, ad esempio il ministro della Giustizia. In tale caso, infatti il
pubblico ministero, nel
procedere, sarebbe tenuto ad osservare
le istruzioni impartite di volta in volta dal potere da cui dipende, con
il rischio gravissimo che si creino disaguaglianze, giacché, si potrebbe
procedere contro alcuni e non contro altri, pur avendo violato, gli uni e
gli altri la legge penale, unicamente in base a ragioni di opportunità o
di interesse.
Per evitare questo pericolo la nostra Costituzione assicura
l'indipendenza istituzionale del pubblico ministero, il quale è un
magistrato appartenente all'ordine giudiziario, che non fa valere
interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse
generale dell'osservanza della legge. Orbene, negli Stati Uniti d'America,
il cui sistema democratico non è discutibile, l'esercizio dell'azione
penale è rimesso alla scelta discrezionale del pubblico ministero (prosecùtor),
di nomina elettiva e, quindi, espressione di una maggioranza politica,
ossia soltanto di una parte politica, il quale, senza alcun controllo,
decide l'opportunità o meno di procedere nei confronti di chi abbia
commesso un reato. In questo paese, inoltre, la maggior parte dei processi
(addirittura il 95%) viene definita mediante una intesa fra pubblico
ministero e difesa, i quali, previa assunzione di colpevolezza da parte
dell'accusato, si accordano sia
in ordine al reato da punire (ove più
siano
i reati commessi) sia in ordine alla misura della pena da infliggere. Da
questo accordo, la persona che ha subito il reato, ossia la vittima (ad
es. di uno stupro, di una rapina, di una estorsione) resta del tutto
esclusa e, sostanzialmente priva di tutela.
Soltanto una quota assai esigua (5 % ) di processi si conclude con
le garanzie proprie del giudizio dibattimentale, ma a costi talmente alti
da rappresentare un privilegio riservato a pochi. L'imputato, per potersi
munire di una difesa qualitativamente attrezzata deve, infatti, essere non
agiato, ma ricco: il noto processo
Simpsons, dal nome dell'attore americano accusato dell'omicidio della
moglie (poi assolto) costò all'imputato la ragguardevole cifra di ben 12
miliardi! Sicché molti
imputati,
negli Stati Uniti, proprio per evitare il costo insopportabile del
dibattimento, pur innocenti, trovano economicamente più conveniente
dichiararsi colpevoli e accordarsi sulla pena. Quanto tutto questo sia «giusto»
è difficile dirlo.
Forse non tutti i cittadini, poi, sanno
che in Inghilterra, la cui tradizione democratica è di gran lunga
più remota, è addirittura la polizia a gestire, con criteri
discrezionali, l'esercizio dell'azione penale ed il pubblico ministero (procecutor)
interviene solo se investito dalla polizia.
Forse non tutti i cittadini, infine, sanno che in Germania ed in
Francia il pubblico ministero dipende gerarchicamente dal ministro della
Giustizia (ossia dal governo), e che, proprio per la pesante interferenza
del ministro, in casi in cui sono rimasti coinvolti personaggi influenti
della politica o dell'economia (vedi caso Kohi in Germania) l'operato del
pubblico ministero è risultato fortemente condizionato dal volere del
governo e, perciò, inidoneo ad
assicurare l'eguaglianza
di
tutti i cittadini di fronte ala legge.
Sicché nell'opinione pubblica, negli ambienti politico-istituzionali, nel
mondo accademico, con preoccupazione ed apprensione si è avvertita e si
avverte l'esigenza ineludibile di assicurare la completa indipendenza del
pubblico ministero e, il model-
lo prescelto, al quale ci si ispira è
proprio quello italiano.
Per concludere, il modello italiano di giustizia non è perfetto,
ma fondandosi
sull'uguaglianza di tutti i cittadini
di fronte alla legge e prevedendo strumenti (obbligatorietà dell'azione
penale e indipendenza istituzionale del pubblico ministero) che hanno la
funzione di realizzare effettivamente l'eguaglianza, è certamente meno «ingiusto»
e assai più democratico
di
tutti i modelli presi a paragone nei quali, difettando l'obbligatorietà
detrazione penale e l'indipendenza del pubblico ministero, è concreto il
rischio che, o per ragioni di opportunità o di interesse o di influenza o
di forza non tutti i cittadini che commettono reati siano puniti. Ha,
allora, senso abbandonare la strada «meno ingiusta» per quella «più
ingiusta»? La strada «più democratica» per quella «meno democratica»?
Non vorremmo che la «Giustizia» diventi un'arma con cui aiutare i forti
e colpire inesorabilmente i deboli.
Bruno Di Marco
presidente Anm Sez. Catania
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