inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2003

LA SICILIA lunedì, 17 dicembre 2001- L'INTERVENTO.
L'autonomia del pubblico ministero  è un merito del sistema italiano

 

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   Sulla Giustizia ancora una volta si è abbattuta la bufera; sulla Giustizia, ancora una volta, in modo diretto e spettacolare, si è costruito uno scontro fra politica e magistratura con accusa, tanto destabilizzante quanto intollerabile, a quest'ultima

di essere addirittura antagonista della Giustizia. Ed in questo contesto lacerante, a colorare le accuse, si sono invocati i modelli di Giustizia, quelli sì «giusti», delle più moderne democrazie occi-

dentali (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania ecc.).La confusione, la distorsione, quando non addirittura l'artificioso inganno, con conseguente inaccettabile mortificazione e delegittimazione della magistratura, chiamata per Costituzione ad applicare la legge, sono massimi.

  Allora può essere utile ricordare che il nostro ordinamento statale, come sancisce la Costituzione (art. 3), è fondato sulla eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in particolare alla legge penale. Per evitare che l'eguaglianza rimanesse un valore astratto la Costituzione ha previsto, altresì, l'obbligatorietà dell'azione penale, ossia il principio in forza al quale chiunque (indipendentemente

dalla posizione sociale che occupa, dalla professione che svolge, dall'appartenenza ad un gruppo o ad un partito politico determinati, dalla ricchezza di cui dispone, dal potere che esercita, dalla carica ricoperta, dal colore della pelle, dalla religione che professa, dalla lingua che parla, e così via) commette un reato è chiamato a risponderne. Senonché; rispettare l'eguaglianza nella doverosa repressione delle condotte violatrici della legge penale non sarebbe concretamente possibile se il pubblico ministero, cui è affidato l'esercizio dell'azione penale, dipendesse gerarchicamente da altri poteri, ad esempio il ministro della Giustizia. In tale caso, infatti il pubblico ministero, nel

procedere, sarebbe tenuto ad osservare le istruzioni impartite di volta in volta dal potere da cui dipende, con il rischio gravissimo che si creino disaguaglianze, giacché, si potrebbe procedere contro alcuni e non contro altri, pur avendo violato, gli uni e gli altri la legge penale, unicamente in base a ragioni di opportunità o di interesse.

    Per evitare questo pericolo la nostra Costituzione assicura l'indipendenza istituzionale del pubblico ministero, il quale è un magistrato appartenente all'ordine giudiziario, che non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale dell'osservanza della legge. Orbene, negli Stati Uniti d'America, il cui sistema democratico non è discutibile, l'esercizio dell'azione penale è rimesso alla scelta discrezionale del pubblico ministero (prosecùtor), di nomina elettiva e, quindi, espressione di una maggioranza politica, ossia soltanto di una parte politica, il quale, senza alcun controllo, decide l'opportunità o meno di procedere nei confronti di chi abbia commesso un reato. In questo paese, inoltre, la maggior parte dei processi (addirittura il 95%) viene definita mediante una intesa fra pubblico ministero e difesa, i quali, previa assunzione di colpevolezza da parte dell'accusato, si accordano  sia in ordine al reato da punire (ove più

 siano i reati commessi) sia in ordine alla misura della pena da infliggere. Da questo accordo, la persona che ha subito il reato, ossia la vittima (ad es. di uno stupro, di una rapina, di una estorsione) resta del tutto esclusa e, sostanzialmente priva di tutela.

     Soltanto una quota assai esigua (5 % ) di processi si conclude con le garanzie proprie del giudizio dibattimentale, ma a costi talmente alti da rappresentare un privilegio riservato a pochi. L'imputato, per potersi munire di una difesa qualitativamente attrezzata deve, infatti, essere non

agiato, ma ricco: il noto processo Simpsons, dal nome dell'attore americano accusato dell'omicidio della moglie (poi assolto) costò all'imputato la ragguardevole cifra di ben 12 miliardi! Sicché molti

 imputati, negli Stati Uniti, proprio per evitare il costo insopportabile del dibattimento, pur innocenti, trovano economicamente più conveniente dichiararsi colpevoli e accordarsi sulla pena. Quanto tutto questo sia «giusto» è difficile dirlo.

  Forse non tutti i cittadini, poi, sanno  che in Inghilterra, la cui tradizione democratica è di gran lunga più remota, è addirittura la polizia a gestire, con criteri discrezionali, l'esercizio dell'azione penale ed il pubblico ministero (procecutor) interviene solo se investito dalla polizia.

    Forse non tutti i cittadini, infine, sanno che in Germania ed in Francia il pubblico ministero dipende gerarchicamente dal ministro della Giustizia (ossia dal governo), e che, proprio per la pesante interferenza del ministro, in casi in cui sono rimasti coinvolti personaggi influenti della politica o dell'economia (vedi caso Kohi in Germania) l'operato del pubblico ministero è risultato fortemente condizionato dal volere del governo e, perciò, inidoneo  ad  assicurare  l'eguaglianza  di

tutti i cittadini di fronte ala legge. Sicché nell'opinione pubblica, negli ambienti politico-istituzionali, nel mondo accademico, con preoccupazione ed apprensione si è avvertita e si avverte l'esigenza ineludibile di assicurare la completa indipendenza del pubblico ministero e, il model-

lo prescelto, al quale ci si ispira è proprio quello italiano.

    Per concludere, il modello italiano di giustizia non è perfetto, ma fondandosi

sull'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e prevedendo strumenti (obbligatorietà dell'azione penale e indipendenza istituzionale del pubblico ministero) che hanno la funzione di realizzare effettivamente l'eguaglianza, è certamente meno «ingiusto» e assai più democratico

 di tutti i modelli presi a paragone nei quali, difettando l'obbligatorietà detrazione penale e l'indipendenza del pubblico ministero, è concreto il rischio che, o per ragioni di opportunità o di interesse o di influenza o di forza non tutti i cittadini che commettono reati siano puniti. Ha, allora, senso abbandonare la strada «meno ingiusta» per quella «più ingiusta»? La strada «più democratica» per quella «meno democratica»? Non vorremmo che la «Giustizia» diventi un'arma con cui aiutare i forti e colpire inesorabilmente i deboli.

Bruno Di Marco

presidente Anm Sez. Catania