inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2002

La riforma dell'ordinamento giudiziario tra necessità di efficienza e minacce all'indipendenza ( sono ricomprese nelle note a piè pagina il documento sottoscritto dai professori universitari dopo la mozione del senato del 5.12.2001 nonchè la relazione dell'inviato dell'Onu sulla Giustizia in Italia - Report of the Special Rapporteur on the independence of judges and lawyers, Dato' Param Cumaraswamy, submitted in accordance with Commission on Human Rights resolution 2001/39 - Addendum - Preliminary report on the mission to Italy -).

di Sergio Chiarloni

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La riforma dell’ordinamento giudiziario tra necessità di efficienza e minacce all’indipendenza

 

1.-Se guardiamo all’amministrazione della giustizia come ad un servizio che lo stato rende ai cittadini, né più e né meno di un qualsiasi altro importante servizio pubblico, come ad esempio quello sanitario e quello educativo, ci rendiamo subito conto che essa si trova in uno stato di gravissima inefficienza, dal punto di vista di un indicatore importante (ma certamente non esclusivo) e cioè la durata dei processi.

Anche se negli ultimi tempi si va assistendo ad un leggero miglioramento quanto meno per durate e arretrati dei processi civili, grazie alla recente introduzione del giudice unico di primo grado, non si può fare a meno di riconoscere che quasi quattro anni in media per avere una sentenza di tribunale in primo grado e oltre sette percorrendo i gradi d’impugnazione rappresentano la concretizzazione storica del noto aforisma di Jeremia Bentham: justice delayed is justice denied.

Il problema è ormai passato dai convegni e dalle analisi di esperti e operatori alle pagine dei quotidiani. Da molti mesi si assiste ad un’intensa campagna mediatica rivolta a sensibilizzare i lettori sull’urgenza di una riforma legislativa capace di porre rimedio alla crisi.

Ma qui si assiste ad una curiosa distorsione.

Gli interventi veramente necessari riguardano oggi, dopo l’introduzione del giudice unico, le riforme organizzative e, soprattutto per il processo penale, la razionalizzazione delle discipline processuali.

Invece di queste cose, forse anche per il tecnicismo che le connota, si parla poco.

L’attenzione è concentrata sulla magistratura e sulla necessità di modificarne l’assetto. Argomento che certamente si vende molto meglio, grazie alla polemiche da parte di alcuni settori del ceto politico, a volte feroci e spesso interessate, che hanno a bersaglio giudici e pubblici ministeri fin dai tempi di Mani Pulite.

Ora, intervenire sull’ordinamento giudiziario è certamente opportuno allo scopo di rimediare alcune insufficienze di una disciplina che nella sua formulazione organica è vecchia di oltre mezzo secolo e ha dato non buona prova in alcune sue modifiche intermedie. Ma altrettanto certamente si tratta d’interventi inessenziali, per non dire ininfluenti, al fine di risolvere il problema all’ordine del giorno, garantire la durata ragionevole dei processi.

Invece, soltanto di ordinamento giudiziario si scrive, e per di più in una stupefacente confusione di idee. Intellettuali prestigiosi si esercitano in operazioni di ingegneria istituzionale che sarebbe troppo generoso definire azzardate. Qualcuno è arrivato addirittura a proporre di ispirarsi al sistema inglese e di reclutare i giudici come in Inghilterra tra gli avvocati di prestigio. Senza minimamente preoccuparsi né degli ostacoli costituzionali né soprattutto delle enormi differenze tra i sistemi dei due Paesi che rende totalmente improponibile, vorrei dire ridicola, un’ipotesi di questo tipo.

Ma non solo si parla poco sui giornali di ciò che davvero bisogna fare per rimediare alla crisi dell’amministrazione della giustizia. Poco si agisce in un Parlamento che, paradossalmente, di giustizia si è occupato molto, anzi secondo alcuni osservatori anche troppo. Addirittura, succede che siano all’ordine del giorno proposte di riforma che, se approvate, provocherebbero la definitiva paralisi del processo penale. Basti pensare al noto progetto 1225 (progetto Anedda) che contiene, oltre ad alcune disposizioni ispirate ad un vuoto formalismo garantistico buono per l’imputato che voglia sottrarsi al processo piuttosto che per l’imputato che intenda difendersi nel processo, un’irragionevole estensione a reati minori della competenza della Corte d’Assise.

Abbiamo insomma un quadro generale, che chiamerei di corto circuito comunicativo, in quanto, dietro il giusto allarme per la crisi nell’amministrazione della giustizia, si nasconde una precisa operazione in corso, che, a dir le cose con il loro nome, consiste in una resa dei conti del potere politico con la magistratura, ultimamente costretta a reazioni clamorose, come quelle che si sono viste alle inaugurazioni dell’anno giudiziario e che sono culminate nello sciopero del 20 giugno non solo contro le proposte di riforma del governo ma anche in reazione agli attacchi di vario genere cui la magistratura è sottoposta, inauditi in qualsiasi democrazia liberale. Basti ricordare l’incredibile mozione approvata dal Senato della Repubblica il 5 dicembre scorso, che in un atto d’indirizzo politico criticava violentemente alcuni provvedimenti giudiziari di processi in corso[1]. Una cosa mai vista nella storia costituzionale italiana, che determinava la reazione molto preoccupata di quasi trecento professori universitari di diritto[2], condivisa dal Commissario delle Nazioni Unite, inviato in Italia per stendere un rapporto sui contrasti tra potere politico e ordine giudiziario[3].

 

2.-E’ in questo panorama complessivo che occorre collocare, ai fini di un’esatta comprensione degli scopi che persegue, il disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario presentato dal ministro della giustizia, approvato dal governo e assegnato alla commissione giustizia in sede referente, che ha già tenuto alcune sedute per discuterlo, l’ultima il 12 giugno, senza che il governo abbia presentato alcun emendamento, malgrado la disponibilità proclamata dal ministro in sede di discussione al c.d. tavolo tecnico istituito tra ministero e ANM.

Intendo trattare tre aspetti tra i più significativi di questo progetto e cioè le modifiche delle regole per il reclutamento, l’istituzione della scuola di formazione permanente per magistrati e le modifiche alla carriera, con la previsione di un concorso per l’accesso alle funzioni di legittimità presso la corte di cassazione.

Sulla base di questa semplice elencazione non è possibile, naturalmente, comprendere le ragioni per cui proprio sui tre aspetti elencati si sono appuntate le critiche più decise della magistratura associata, oltre che di settori importanti della società civile. Perbacco, viene da esclamare (ed esclamano coloro che vedono positivamente il progetto): il reclutamento com’è adesso concepito e che consiste essenzialmente nel colpo di fortuna di venir promossi a scritti cui partecipano migliaia di candidati non è certamente un buon modo di selezionare i futuri magistrati; la scuola per la selezione e la formazione permanente è un’esigenza sentita da tempo e da tempo prevista in altri Paesi europei come la Francia; l’introduzione di controlli sulla carriera al posto delle promozioni semi automatiche del sistema a ruoli aperti è indispensabile per scegliere i giudici migliori ai posti di maggiore responsabilità.

Tutte queste sono affermazioni condivisibili e da me condivise. Ma oltremodo precipitosa e superficiale sarebbe la conclusione che l’opposizione della magistratura è dovuta a riflessi di autotutela corporativa e non invece alla difesa della sua posizione costituzionale nell’equilibrio tra i poteri dello stato.

Per rendersene conto occorrerà scendere pazientemente all’analisi dei particolari, perché è nei particolari che si nasconde l’insidia.

Ma prima di tutto va ricordato che la nostra carta fondamentale, sotto quest’aspetto più avanzata delle altre Costituzioni europee, riconosce all’ordine giudiziario sia l’indipendenza esterna (“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, art. 104, comma 1°) che l’indipendenza interna (“Il giudice è soggetto soltanto alla legge”, art. 101 comma 2°; “I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”, art. 107, comma 3°).

Orbene, sono convinto che quest’indipendenza sia una garanzia irrinunciabile in un Paese come il nostro, che si è dato ottime istituzioni democratiche ma in cui  le prassi raramente sono all’altezza, il trasformismo è endemico, il livello della corruzione elevato[4], la criminalità organizzata riesce a controllare flussi importanti di denaro pubblico grazie a complicità con il potere politico e le burocrazie amministrative almeno a livello locale, la libera competizione sul mercato, con i vantaggi che ne deriverebbero automaticamente ai consumatori è tuttora ostacolata dalla presenza dominante di intese monopolistiche e oligopolistiche.

Sono queste particolarità della situazione italiana, per alcuni aspetti non condivise dalle altre democrazie europee, nelle quali sovente, per fare un solo esempio, il pubblico ministero è sotto il controllo dell’esecutivo, che giustificano la convinzione che il paragone con queste ultime non è proponibile. In Italia l’indipendenza della magistratura in tutte le sue componenti va difesa con assoluto rigore, come un principio costituzionale posto a presidio dei cittadini prima che dei giudici: sono infatti soprattutto i cittadini che hanno necessità di un contropotere autonomo e quindi capace di esercitare il controllo di legalità al fine di contenere, entro livelli sopportabili da un sistema che voglia continuare a definirsi democratico, i gravi fattori distorsivi appena elencati.

In altre parole, l’esercizio rigoroso del controllo di legalità, da esercitare nei confronti di tutti, e quindi anche dei potenti, in applicazione del principio costituzionale di uguaglianza rappresenta, accanto all’indice quantitativo di efficienza costituito dalla ragionevolezza delle durate processuali, un non meno fondamentale indice qualititativo, se si vogliono mantenere saldi i livelli di democrazia nel nostro Paese e preservarlo dalla decadenza, anche economica.

 

3.-In un recente libro di due studiosi allievi di Giuseppe Di Federico, appartenenti cioè ad una scuola che si è sviluppata nell’alveo di un istituto di ricerca generalmente piuttosto severo nei confronti della magistratura italiana per quanto riguarda sia l’efficienza del servizio reso, sia il controllo di virtù esercitato sul ceto politico troviamo un’affermazione interessante, perché, data la fonte non è in nessun modo sospettabile di parzialità a favore dell’oggetto delle proprie indagini.

Con riferimento all’assetto della magistratura nei regimi autoritari spagnolo e portoghese, sopravvissuti alla seconda guerra mondiale, troviamo scritto nel libro: “L’assetto della magistratura in questi regimi non si discostava molto da quello dell’Italia fascista. In tutti questi regimi, infatti, pur con qualche variazione, la magistratura gode di alcune, limitate garanzie di indipendenza. Infatti, di solito il regime si limita a influenzare la nomina dei magistrati di grado più elevato cui poi affida la gestione del corpo”[5] (corsivo mio).

Ebbene, appena entriamo ad esaminare i particolari del disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario, vediamo per l’appunto che il ministro di giustizia si propone di influenzare la nomina dei magistrati di grado più elevato, per affidare ad essi la gestione del corpo.

Procediamo con ordine, cominciando dall’accesso in cassazione.

In proposito occorre sgombrare il campo da un equivoco comune tra i non addetti ai lavori, ma superficialmente alimentato da alcuni studiosi, in ordine all’assetto attuale che prevede la promozione a ruoli aperti.

Bisogna distinguere tra accesso al grado e accesso alle funzioni. Per quanto riguarda l’accesso al grado è vero che le promozioni avvengono esclusivamente per anzianità, in quanto il controllo che dovrebbe operare al riguardo il CSM è sostanzialmente inesistente. Ma, francamente, anche se la cosa non mi piace, non è per me motivo di grande scandalo. Che tutti i magistrati, ottenuta una certa anzianità accedano al grado di “consiglieri di cassazione” sta semplicemente a significare che gli aumenti di stipendio si ottengono tramite una carriera attraverso i gradi, diciamolo pure, quasi per niente controllata. Certo, sarebbe opportuno controllarla attraverso vagli di professionalità e soprattutto di operosità che oggi mancano, soprattutto a causa dell’indulgenza sistematica dei consigli giudiziari nell’attribuzione delle qualifiche. Ma il rimedio proposto in sede parlamentare da un progetto  a firma dell’on. Vitali sarebbe peggiore del male: si propone di sostituire all’attuale sistema di promozioni a ruoli aperti un sistema il quale prevede che le promozioni non possano eccedere il numero delle vacanze che si determinano annualmente a livello delle giurisdizioni superiori. L’idea che a prima vista sembra razionale (lo stesso si fa all’Università, dove però gli organici sono mobili e non rigidamente prefissati come in magistratura) pare a me possibile fonte di guasti in magistratura, date le peculiarità dell’attività giurisdizionale, dove a ben guardare le funzioni più delicate e di maggiore impatto sulla vita dei cittadini sono quelle di merito in primo grado. La costrizione a mutare di funzioni per avanzare in carriera desta perplessità notevoli. Non sembra opportuno un sistema che tende a svuotare i Tribunali degli elementi migliori, che magari preferirebbero, per scelta culturale e attitudini professionali,  lavorare in primo grado invece che nei gradi di impugnazione.

 

Comunque sia altra cosa rispetto all’accesso al grado e ai connessi vantaggi economici è l’accesso alle funzioni e in particolare alle funzioni di cassazione. Qui i posti sono ovviamente limitati dall’organico, le domande sono superiori ai posti disponibili e il controllo da parte dell’organo d’autogoverno per l’attribuzione delle funzioni e ultimamente diventato abbastanza stringente, da quando cioè il criterio dell’anzianità è stato collocato in sottordine, una volta raggiunto il plafond di un certo numero di anni (5) trascorsi nel grado. Tanto è vero che non credo ci si possa oggi lamentare della qualità media dei componenti della nostra corte suprema, anche se sarebbe forse opportuno rendere irrilevante il criterio dell’anzianità e rendere ancora più stringente il controllo di merito, introducendo criteri oggettivi di selezione. Aggiungo che può anche darsi che la distribuzione dei posti vacanti ad opera del CSM sia influenzata in parte dall’appartenenza all’una o all’altra componente della Associazione Nazionale Magistrati, come viene da alcuni deplorato. Ma anche qui non ci vedo niente di male. Tutto al contrario, poiché l’appartenenza all’una o all’altra corrente è determinata da diverse scelte di valori della giurisdizione, ne consegue il quadro di una dialettica feconda all’interno della Corte suprema, che può risultare molto utile  nell’elaborazione del diritto vivente.

Il progetto Castelli, anziché limitarsi agli opportuni aggiustamenti, si propone di modificare radicalmente l’assetto vigente introducendo un doppio filtro: i magistrati con dieci anni di anzianità nella giurisdizione di merito potranno accedere grazie ad un concorso per titoli ed esami riservato alla metà dei posti che si rendono disponibili (art. 2, comma 1° lett b) del dld), che lascia ampio spazio ai decreti delegati quanto alla scelta della Commissione esaminatrice (ci vorrà il concerto del Ministro? I magistrati ordinari con almeno venti anni di esercizio nelle funzioni dovranno essere magistrati con funzioni di legittimità?). Accanto ai giudici di cassazione ragazzini –potranno avere meno di quarant’anni e magari voler accedere anticipatamente alla cassazione non per una vocazione di puri giuristi, ma perché attratti dai nuovi poteri che il disegno attribuisce alla corte suprema in materia di gestione delle carriere dei giudici di merito- rimane per l’altra metà dei posti disponibili il vecchio sistema, ma profondamente innovato dal disegno di legge che costituisce la seconda parte del progetto del Ministro. L’art 10 del disegno prevede infatti una c.d. Commissione speciale per le funzioni di legittimità, composta di cinque persone (tre che esercitano funzioni di legittimità e due professori universitari di prima fascia) e nominata dal CSM, ma su una rosa proposta dal Ministro della giustizia.

Orbene, sembra a me innegabile che con questo progetto il potere esecutivo si propone lo scopo di influire direttamente sulla scelta dei magistrati di grado più elevato, secondo la formula di Ranieri e Pederzoli più sopra ricordata nel descrivere l’atteggiamento di alcuni regimi autoritari nei confronti della magistratura. Non altrimenti è interpretabile la pretesa del Ministro di influire sulla scelta della Commissione, oltre che la vaghezza del dld in ordine alla disciplina della nomina della Commissione di concorso per il conferimento anticipato delle funzioni di legittimità che lascia aperto anche qui il campo per una qualche forma di concerto con il Ministro.

Ma vi è da aggiungere che se anche, nell’ulteriore prosieguo dell’ iter parlamentare l’incongruo controllo del ministro sull’accesso in cassazione, molto probabilmente incostituzionale, alla luce delle norme di garanzia dell’indipendenza, venisse messo da parte, non per questo cesserebbero le perplessità. Rimarrebbe un sistema d’accesso alle giurisdizioni superiori che si avvale della cooptazione sia con il concorso anticipato, sia con la nuova regolamentazione per l’attribuzione delle funzioni di legittimità all’esito della carriera.

 

Se guardiamo al presente come storia, si tratta di una riforma che non guarda affatto in avanti, facendo tesoro delle esperienze accumulate e delle necessità di miglioramento che sono emerse. Tutto al contrario una riforma che guarda molto all’indietro, agli anni sessanta dello scorso secolo, senza minimamente tener conto delle ragioni che avevano indotto il Parlamento, con un lento processo di sostanziale adeguamento alla Costituzione, ad abolire il vecchio sistema di selezione per l’accesso alla corte suprema basato su concorsi e scrutini a base cooptativa, in un quadro oltretutto di separazione funzionale anche dal punto di vista associativo tra magistrati di cassazione e magistrati di merito: un sistema, che aveva indotto gravi storture anche sul piano dell’efficienza inducendo la diffusione di uno stile delle sentenze –utilizzate come titoli per le promozioni- che le faceva assomigliare più a manifestazioni monografiche del pensiero di un libero giurista che a un atto motivato di autorità.

Per quanto riguarda poi il concorso anticipato per la metà dei posti disponibili che istituisce una doppia filiera per l’accesso in cassazione va ricordato che un concorso anticipato rispetto agli scrutini era già previsto in passato (solo per un decimo dei posti disponibili e riservato ai consiglieri di appello con almeno tre anni di anzianità) e non aveva dato buona prova, tanto che fu abolito dalla legge 831 del 73 a partire dal quarto anno successivo alla sua entrata in vigore.

Non voglio sostenere con questo che non sia pensabile una qualche nuova modalità di selezione per l’accesso in cassazione in grado di migliorare lo stato esistente delle cose, che tuttavia, lo ribadisco, non mi pare così insoddisfacente come da alcuni si pretende. Ma il compito va comunque attribuito all’organo di autogoverno, magari tramite un’apposita commissione che si avvalga di strumenti diversi o almeno ulteriori rispetto alla valutazione delle sentenze considerate come titoli scientifici. Per esempio, il tasso di impugnazioni di legittimità accolte contro i provvedimenti, la produttività dimostrata (in cassazione c’è molto lavoro da smaltire), la valutazione complessiva dell’operato in sede di merito risultante da pareri consultivi forniti dall’interfaccia degli utenti del servizio giustizia, così da responsabilizzare anche il ceto forense nella sua valutazione, senza necessità di farli entrare con poteri deliberativi nei consigli giudiziari.

 

            4.-L’assetto dato nel disegno del ministro alla scuola della magistratura invera la seconda parte della formula di Guarnieri e Pederzoli. Una volta controllato sia pure indirettamente l’accesso in cassazione così da trasformarla nel tempo in un organo autocostituito secondo criteri di cooptazione fortemente influenzata dal potere esecutivo, il disegno affida alla Corte suprema la gestione del corpo attribuendole il potere di incidere sugli sviluppi di carriera di ogni singolo magistrato, determinando così con largo anticipo i quadri dirigenti della futura magistratura.

Ed invero, l’art. 3 lettera a) del dld prevede l’istituzione di una Scuola della Magistratura presso la Corte di cassazione “preposta alle attività…di aggiornamento professionale dei magistrati…. anche ai fini della progressione in carriera” (corsivo mio). La scuola, finanziata dal Ministero di giustizia, dovrà essere diretta da un Comitato direttivo composto da due magistrati di cassazione scelti dal Primo Presidente della Corte e da tre avvocati e/o magistrati  con almeno vent’anni di anzianità nominati dal CSM di concerto con il Ministro della giustizia.” (corsivo mio)  Lo stesso articolo 3 lettera g) prevede che al termine del corso frequentato alla scuola sia “rilasciato un parere che contenga elementi di verifica attitudinale, da inserire nel fascicolo personale del magistrato, al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal CSM concernenti la progressione in carriera dei magistrati, nonché i tramutamenti e i conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi.

Come si vede, attraverso la Scuola la Corte di cassazione, accanto alla funzione di giudice delle sentenze assume anche quella di giudice dei giudici di merito[6]. Il che avviene in ultima istanza per conto dell’esecutivo che oltre ad influenzare come abbiamo visto l’accesso alla cassazione mette mano anche sulla scuola grazie al concerto per la nomina della maggioranza dei componenti il Comitato direttivo.

Il tutto avviene in un contesto in cui la scuola del CSM, che grazie ad una quasi ventennale esperienza di partecipazione posso dire funziona egregiamente, sta ulteriormente migliorando grazie ai nuovi corsi di formazione decentrata e alle modalità di didattica attiva introdotte ormai da qualche anno. Su di essa è opportuno intervenire per modifiche che riescano ad ovviare ad alcuni inconvenienti, il principale dei quali a mio giudizio risiede nel fatto che ai corsi e convegni di studio partecipano con entusiasmo i magistrati migliori e cioè quelli che hanno minor necessità di formazione.

 

5.-Per chiudere, qualche parola sulle modifiche proposte per il reclutamento dei magistrati. E’ verissimo che l’attuale sistema deve venire abbandonato al più presto. La legittimazione di un qualsiasi laureato in giurisprudenza a tentare un concorso basato prima su quiz  e poi su temi scritti comporta gravissimi inconvenienti, a cominciare dal numero troppo elevato di candidati ed a finire con la casualità che inficia la selezione dei promossi per effetto dell’imponderabilità dei molti fattori da cui dipende.

Tuttavia la proposta di restringere l’accesso al concorso per uditore giudiziario a "coloro i quali abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense ovvero l'idoneità in qualsiasi concorso bandito dalla pubblica amministrazione per il quale è necessario il possesso della laurea in giurisprudenza ovvero abbiano conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche" (art. 2 lettera a) dld, può certo realizzare un abbattimento del numero dei partecipanti grazie alle selezioni anteriormente operate, ma è fonte di inconvenienti ulteriori. Il più grave, a mio giudizio, consiste nello spostare troppo in là l'accesso alla magistratura, rendendo così attuale il pericolo di una discriminazione di ceto, in quanto solo chi appartiene a famiglie abbienti può permettersi i lusso di attendere oltre i trent'anni per ottenere l'indipendenza economica. Altri inconvenienti sono poi costituiti dalle enormi differenze su base territoriale nel tasso di promozioni agli esami di abilitazione alla professione di avvocato e dal diverso tasso di difficoltà dei concorsi per la pubblica amministrazione che richiedono la laurea di giurisprudenza. A causa di queste differenze non sarebbe garantita l'uguaglianza delle posizioni di partenza.

Piuttosto, se si vuole mantenere il modello francese della formazione separata per avvocati e magistrati, (buttando tra l'altro a mare le scuole forensi postuniversitarie, che però stentano a decollare) credo che una buona strada consisterebbe nel prevedere un concorso di accesso all'istituenda scuola per aspiranti magistrati per un numero almeno doppio rispetto ai posti di organico man mano vacanti in magistratura, concorso riservato ai laureati con un certo punteggio minimo (diciamo 105 su 110), con la previsione di una borsa di studio adeguata  per i vincitori, e una via di fuga in settori della pubblica amministrazione che richiedono una preparazione giuridica per i partecipanti alla scuola che non riescano a superare il concorso di secondo livello per la nomina ad uditore giudiziario.

 

6.-Concludo con una notazione che riguarda i miei rapporti con la magistratura. Oltre trent'anni di esercizio della professione forense accanto all'insegnamento universitario mi hanno fatto toccare con mano che nell'amministrazione della giustizia italiana ci sono molte cose che non vanno e reclamano rimedio, già vi ho accennato. Mi hanno anche convinto, debbo ora aggiungere, che alcuni guai sono direttamente imputabili ai  singoli. Una certa arroganza nei comportamenti, un vissuto a volte terribilmente autoreferenziale, una forte inclinazione al formalismo burocratico, e se pur di rado, una neghittosità imperdonabile sono tutti ingredienti che credo sperimentati da chiunque abbia a che fare con la vita quotidiana del foro. Sia pure accanto, e con assai maggiore frequenza, a gentilezza d'animo, apertura alla società civile, cultura giuridica orientata ai valori, spirito di servizio, testardi tentativi di istituire “circoli di qualità” dentro una struttura disastrata.

Ma si tratta di guai che richiedono semplicemente un autogoverno meno indulgente, anche attraverso riforme che introducano criteri più oggettivi e articolati dei presenti per gli incentivi (promozioni) e i disincentivi (sanzioni disciplinari), e siano indirizzati prima di tutto ad elevare la generale produttività qualitativa e quantitativa del sistema.

Non richiedono di certo attentati all'indipendenza come quelli insidiosi perché nascosti nei particolari che ho cercato di far emergere in queste brevi riflessioni, che potrebbero stare sotto l'insegna di un motto famoso, opportunamente adattato: inimicus Plato, sed amica veritas.

 

 
Note:

[1] Si tratta della mozione proposta da alcuni deputati della maggioranza (SCHIFANI, NANIA, D’ONOFRIO, MORO, DEL PENNINO, CARRARA, CRINÒ, CALDEROLI) a conclusione del dibattito sulle dimissioni del sottosegretario agli Interni Carlo Taormina, provocate, tra l’altro, da alcune "esternazioni" con cui si chiedeva l'arresto dei magistrati milanesi che avevano emanato i provvedimenti menzionati nel testo. La riproduco integralmente, evidenziano in grassetto i passi che hanno giustificato la reazione documentata nella nota successiva.

Il Senato,

premesso:

che le polemiche ricorrenti sul tema della giustizia, divenute più aspre nell’ultimo periodo, hanno allarmato l’opinione pubblica;

che i recenti provvedimenti giudiziari hanno disatteso una sentenza della Corte costituzionale, per di più risolutiva di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;

che le suddette decisioni hanno creato disorientamento ed un clima di accese polemiche che rendono difficoltoso lo svolgimento dei processi in corso, impropriamente caricati di significati politici che sembrano alterare il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali;

che si sono svolte riunioni di magistrati e, cosa ancor più grave, di magistrati della magistratura giudicante con quelli della magistratura inquirente e requirente, finalizzate a cercare mezzi e modi per disapplicare una legge dello Stato, e che a tale risultato si è pervenuti appellandosi a una non dimostrata e non dimostrabile prevalenza di asseriti princìpi e convenzioni di diritto internazionale sul diritto nazionale e sovvertendo così la gerarchia delle fonti stabilita dalla Costituzione e dalla legge e sostituendosi così di fatto e di diritto al legislatore;

rilevato:

che un membro del Governo ha stigmatizzato, sia pure con toni esasperati, ma con rigorose argomentazioni giuridiche un comportamento non lineare di un collegio giudicante;

che le intervenute dimissioni dal Governo del sottosegretario Taormina dimostrano alta sensibilità istituzionale che non può non avere apprezzamento e rispetto;

che le inopportune dichiarazioni di alcuni magistrati rese sull’argomento senza averne titolo rischiano di comprometterne l’indipendenza e comunque la credibilità;

che, per la fiducia che i cittadini debbono riporre nella giustizia, è improcrastinabile che l’organo di autogoverno della magistratura eserciti appieno le proprie prerogative di cui all’articolo 105 della Costituzione e valuti le tante dichiarazioni rese dai magistrati per valutare la loro compatibilità con l’esercizio delle funzioni esplicate;

ritenuto:

che la magistratura italiana merita rispetto e riconoscenza per l’impegno strenuo – giunto a volte fino all’eroismo ed al sacrificio della vita – che profonde con coraggio e determinazione contro le mafie, il terrorismo e tutte le altre forme di criminalità che insidiano ed opprimono il nostro Paese;

che pur tuttavia alcuni magistrati, in varie sedi, hanno tentato e tentano ancora oggi di usare l’alto mandato, con le relative prerogative previste dalla Costituzione, a fini di lotta politica, fino ad interferire nella vita politica del Paese utilizzando in maniera strumentale i più svariati capi di accusa di sapore chiaramente illiberale;

che per tali ragioni ed in ottemperanza ai messaggi del Presidente della Repubblica è necessario che tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento si impegnino a non affrontare nuove polemiche che costringano ad una forte contrapposizione, ma a far prevalere uno spirito di collaborazione istituzionale che salvaguardi il valore della Giustizia, delle Istituzioni che la presiedono e la centralità del Parlamento unico depositario della sovranità popolare;

che i problemi della giustizia e del corretto rapporto tra poteri dello Stato sono fondamentali in Italia ed in Europa per la credibilità delle istituzioni e per il consolidamento della democrazia moderna che si basa sul corretto ruolo della giurisdizione, intesa come funzione attribuita ai singoli giudici regolarmente costituiti e che insieme formano un ordine autonomo e indipendente e non un potere dello Stato, poiché non emanato né direttamente né indirettamente dalla sovranità popolare, con il conferimento di un mandato espresso in libere elezioni dai cittadini;

che l’esercizio della giurisdizione deve essere svolto liberamente dal giudice, ma proprio per la sua accresciuta importanza deve essere svolto nella leale e costante soggezione alle leggi votate dal Parlamento e dalle altre assemblee espressione della sovranità popolare ed alle pronunzie della Corte Costituzionale;

che è necessario potenziare il ruolo della magistratura e garantire la sua funzione, la sua professionalità e soprattutto la sua autonomia, la quale, nonostante i ripetuti proclami degli ultimi anni, è stata messa in forse e non rispettata da chi ha accettato e accetta di fatto il ruolo politico della magistratura e in definitiva garantire un’organizzazione giudiziaria che inserisca l’Italia nello spazio giuridico europeo nel quale siamo già chiamati ad operare;

che in definitiva occorre restaurare con urgenza i valori sanciti dalla nostra Costituzione, che, insieme con l’indipendenza della magistratura, assicurano a tutti i cittadini la presunzione d’innocenza, il giusto processo dinanzi al giudice naturale con una certa ed effettiva distinzione tra funzione giudicante e funzione inquirente e requirente al fine di garantire la terzietà e l’imparzialità nel paritetico contraddittorio tra le parti;

che, inoltre, la ragionevole durata del processo dipende soprattutto dalla corretta ed immediata applicazione delle norme che lo disciplinano, talché è essenziale che i rimedi giuridici in proposito siano tempestivi e non differiti nei tempi lunghi delle impugnazioni di merito, affinché, nel rispetto dei principi costituzionali, siano costantemente perseguiti gli obbiettivi della certezza del diritto, della tutela delle vittime dei reati e della effettività della pena e realizzati in forma istituzionale ed organizzativa considerato che per la ripetuta violazione di questi principi lo Stato italiano ormai da lungo tempo viene condannato nelle corti europee;

che il processo di integrazione europea nella prospettiva della creazione di uno spazio giudiziario europeo ha subito, dal vertice di Tampere in poi, un’accelerazione specialmente con riguardo al superamento dei meccanismi classici della cooperazione penale in tema di mutuo riconoscimento di titoli giudiziari tra gli Stati membri ed alla creazione di centri comuni di coordinamento delle investigazioni quali OLAF ed Eurojust;

che i recenti avvenimenti relativi al terrorismo internazionale giustificano una intensificazione della collaborazione tra membri dell’Unione europea per una risposta adeguata ed urgente;

che, tuttavia, tale specifica esigenza può essere soddisfatta su talune tematiche con tempestività per ulteriori progressi che si possono raggiungere nell’ambito della cooperazione europea. Altre tematiche più specifiche, quali il blocco dei beni esteso ad ipotesi di illeciti, il mandato di arresto europeo esteso ad una serie di ulteriori reati, devono avere ulteriori approfondimenti perché non possono non essere armonizzati con il nostro ordinamento e con le modalità di svolgimento dell’azione penale del nostro Paese,

individua alcuni punti di riforma, indispensabili per delineare un quadro normativo ed organizzativo idoneo a dare un nuovo impulso alle tematiche della Giustizia ed al rapporto tra il potere legislativo e l’ordine giudiziario, ad una nuova trasparenza istituzionale, per i quali impegna il Governo, ed in particolare:

a) introduzione di modifiche nel processo civile con forme stragiudiziali di soluzione delle controversie al fine di prevedere l’azione del giudice, quando le parti hanno esaurito tra loro il contraddittorio, in modo da ridurre drasticamente i tempi della giustizia;

b) l’attuazione della riforma dell’ordinamento giudiziario nel quadro della distinzione funzionale e organizzativa delle funzioni inquirenti requirenti e delle funzioni giudicanti;

c) l’attuazione di puntuali, periodiche verifiche circa la quantità e la qualità del lavoro dei magistrati, ai fini della valutazione della progressione nei ruoli e nelle qualifiche;

d) la modifica del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura approvata dal Consiglio dei ministri, la quale non deve solo individuare una nuova modalità di voto, ma deve contribuire a determinare un modo nuovo di essere della Magistratura, senza schieramenti che riflettano contrapposizioni di carattere meramente politico e soprattutto senza contrapposizioni ideologiche;

e) l’attribuzione della materia disciplinare – opportunamente rivista in base al principio di tipicità delle condotte – nei confronti dei magistrati ad un apposito organo elettivo composto da magistrati con lunga esperienza giudiziaria e da giuristi laici di chiara fama;

f) l’introduzione del principio della temporaneità delle funzioni direttive;

g) ferma restando l’obbligatorietà dell’azione penale e seguendo le raccomandazioni indirizzate agli Stati membri dell’Unione europea dal Comitato dei Ministri del 17 settembre 1987 (delibera n. R87-18) e da molti altri successivi interventi, prevedere l’introduzione di criteri di priorità nel suo esercizio, stabiliti dal Parlamento, su proposta del Ministro della giustizia e del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione;

h) la netta distinzione organizzativa e funzionale dell’attività di polizia giudiziaria dall’attività inquirente del Pubblico Ministero nel quadro dell’articolo 109 della Costituzione, con ripartizione chiara delle competenze per quanto attiene contenuti, forme e tempi, anche processuali;

i) la previsione che, salvo provvedimenti provvisori di cui all’articolo 13 della Costituzione, la privazione della libertà personale debba essere decisa da un collegio di giudici;

l) che, in tema di lotta al terrorismo internazionale, si intensifichi la collaborazione con gli Stati membri dell’Unione europea, riconoscendo tuttavia che il processo di costruzione dello spazio giudiziario europeo non può essere anteposto alla armonizzazione delle Costituzioni e dei sistemi giudiziari dei Paesi membri data la profonda differenza tra gli stessi, soprattutto per quanto riguarda il sistema sanzionatorio ed il diverso status costituzionale dei pubblici ministeri;

m) la riforma di alcune norme del codice di procedura penale per renderle più omogenee a quelle degli altri Paesi europei e per l’attuazione dei principi sanciti dall’articolo 111 della Costituzione;

n) la riforma del Codice Penale che tenga in adeguato conto le esigenze di razionalizzazione della normativa con particolare riguardo al primo titolo del libro II.

[2] Si tratta del  documento redatto da Mario Dogliani, Paolo Ferrua e dal sottoscritto, qui sotto riportato.

 

"Università e questione Giustizia"

 

I sottoscritti professori universitari di diritto, consapevoli della loro responsabilità di fronte agli studenti e di fronte al dovere di rispettare i principi basilari delle discipline giuridiche, ritengono di non poter tacere di fronte ad un evento mai verificatosi nella storia parlamentare dell'Italia unita, che mette a repentaglio le stesse fondamenta dello stato costituzionale.


Il Senato della Repubblica, con la mozione approvata a maggioranza il 5/12/2001, ha sottoposto a violente critiche alcuni provvedimenti giudiziari relativi a processi penali in corso, qualificandoli come errati nel merito, eversivi del corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali e lesivi delle prerogative del legislatore; il tutto nel quadro di gravissime accuse rivolte a singoli magistrati che avrebbero tentato, e tenterebbero tuttora, "di usare l'alto mandato, con le relative prerogative previste dalla Costituzione, a fini di lotta politica, fino ad interferire nella vita politica del Paese utilizzando in maniera strumentale i più svariati capi di accusa di sapore chiaramente illiberale".


Questo intervento costituisce un grave atto di intimidazione, perché contiene un giudizio di merito su provvedimenti giurisdizionali ancora sottoposti agli ordinari mezzi di impugnazione, e, come tale, attenta alla libertà di valutazione dei giudici negli attuali e nei successivi gradi dei processi.


Si deve poi rilevare che è falsa l'affermazione secondo cui "recenti provvedimenti giudiziari" - le due ordinanze (17 e 21 novembre 2001) pronunciate dal Tribunale di Milano in processi penali a carico dell'on Previti e altri - "hanno disatteso una sentenza della Corte costituzionale, per di più risolutiva di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato" (la sentenza n. 225/2001, che annulla alcuni provvedimenti emessi dal giudice dell'udienza preliminare nei suddetti processi). In realtà, le ordinanze del Tribunale di Milano non disattendono la sentenza costituzionale. Nel prendere doverosamente atto dell'annullamento deliberato dalla Corte, esse affrontano il delicato problema dell'influenza esercitata dai provvedimenti annullati sul seguito del processo; e, nel contesto di un'ampia argomentazione, escludono la necessità del ritorno alla fase dell'udienza preliminare, sollecitato dalla difesa.

 

Da tale conclusione, che pare ai sottoscritti plausibile alla luce del diritto vigente, si può naturalmente dissentire sulla base di una diversa lettura della legge processuale, la cui corretta interpretazione è dalla stessa sentenza costituzionale demandata ai “competenti organi della giurisdizione”.

 

Ma si deve comunque fermamente ribadire che, in presenza di provvedimenti ancora sottoposti agli ordinari mezzi d'impugnazione, la critica può essere svolta con atti di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e non con atti di indirizzo politico, come è una mozione parlamentare. Con ciò si è violato il principio plurisecolare - molto più antico della vigente Costituzione - che vieta al Parlamento di interferire nel merito dei singoli processi: divieto così forte da, addirittura, impedire alla legge di modificare le sentenze definitive.

 

I sottoscritti non possono fare a meno di rilevare che la mozione del Senato s'inserisce in un quadro generale di violento attacco politico contro la magistratura italiana, accompagnato da iniziative segnate da un conflitto d'interessi che inquina la vita politica del Paese e i suoi rapporti con la comunità internazionale.

 

Nell'esprimere, in questo delicato frangente, piena solidarietà alla magistratura, i sottoscritti ricordano che uno dei padri della Costituzione, Piero Calamandrei, nella prefazione all'Elogio dei giudici scritto da un avvocato, particolarmente elogiava Aurelio Sansoni, giudice in Toscana nel Ventennio, scrivendo: "Qualcuno, nei primi tempi del fascismo, lo chiamava anche "il pretore rosso"; e non era in realtà né rosso né bigio: era soltanto una coscienza tranquillamente fiera, non disposta a rinnegare la giustizia per fare la volontà degli squadristi che invadevano le aule. Era semplicemente un giudice giusto: e per questo lo chiamavano "rosso" (perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)".

 

Torino, 7 dicembre 2001

 

Università di Torino: Marino BIN, Roberto CALVO, Roberto CAVALLO PERIN, Sergio CHIARLONI, Gastone COTTINO, Lucia DELOGU, Alfonso DI GIOVINE, Mario DOGLIANI, Saro FERRARA, Paolo FERRUA, Rosanna GAMBINI, Ettore GLIOZZI, Fausto GORIA, Carlo Federico GROSSO, Leonardo LENTI, Ugo MATTEI, Pier Giuseppe MONATERI, Elisabetta PALICI DI SUNI, Davide PETRINI, Gabriella RAMPAZZI, Marco RICOLFI, Massimo ROCCELLA, Alberto RONCO, Alessandra ROSSI, Metello SCAPARONE, Paolo SCAPARONE, Stefano SICARDI, Paolo VERCELLONE, Giovanni VILLANI, Roberto WEIGMANN

Università di Ancona: Antonio DI STASI

Università di Bari: Antonella ANTONUCCI, Luca BUTTARO, Giorgio COSTANTINO, Michele COSTANTINO, Massimo DI RIENZO, Giovanni Maria GAROFALO, Gianvito GIANNELLI, Nicola SCANNICCHIO, Giuseppe TUCCI

Università di Bologna: Stefano CANESTRARI, Federico CARPI, Luca ENRIQUES, Giulio ILLUMINATI, Umberto ROMAGNOLI, Giovanni SAROR

Università di Brescia: Marzia BARBERA, Tecla MAZZARESE

Università di Cagliari: Fabio BOTTA, Francesco CAPRIOLI, Pietro CIARLO, Massimo DEIANA, Elio DOVERE, Grazia Maria DEMATTEIS Gianmario DEMURO, Giovanna FALZONE, Elisabetta LOFFREDO, Giuliana PAGANETTO, Maria Rosaria FERRARESE, Roberto ZANNOTTI

Università di Camerino: Luigi FERRAJOLI, Fabio Maria GRIFANTINI, Tamar PITCH

Università di Catania: Bruno CARUSO, Andrea GIUSSANI, Tommaso RAFARACI, Enzo ZAPPALA'

Università Cattolica del Sacro Cuore- sede di Milano: Gabrio FORTI, Gaetano PRESTI

Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza-Cremona: Luciano EUSEBI

Università di Ferrara: Alessandro BERNARDI, Roberto BIN, Giovanni CAZZETTA, Letizia GIANFORMAGGIO, Andrea GRAZIOSI, Renzo ORLANDI, Baldassarre PASTORE, Cristiana VALENTINI

Università di Firenze: Umberto ALLEGRETTI, Antonio BRANCASI, Paolo CARETTI, Remo CAPONI, Giorgio COLLURA, Anna DE VITA, Paola LUCARELLI, Andrea ORSI BATTAGLINI, Francesco ONIDA, Ilaria PAGNI, Francesco PALAZZO, Michele PAPA, Andrea PROTO PISANI, Giusto PUCCINI, Aldo SCHIAVONE, Silvana SCIARRA, Domenico SORACE, Lorenzo STANGHELLINI, Nicolò TROCKER, Vincenzo VARANO, Giuseppe VETTORI, Danilo ZOLO

Università di Foggia: Nicolò ABRIANI, Marco BARBIERI, Vincenzo GAROFOLI, OLI,  Maurizio RICCI, Giuseppe TRISORIO LIUZZI

Università di Genova: Renato BALDUZZI, Paolo COMANDUCCI, Franco DELLA CASA, Vittorio FANCHIOTTI, Laura FIORAVANTI, Riccardo GUASTINI, Maurizio LUPOI, Paolo PISA, Anna Maria POGGI, Vincenzo ROPPO, Andrea SCELLA, Emanuele SOMMA

Università dell'Insubria: Elena MERLIN, Grazia MANNOZZI, Francesca RUGGIERI

Università di Lecce: Raffaele BIFULCO, Giuseppe MICCOLIS

Università di Macerata: Enzo CANNIZZARO, Antonio CARRATTA, Claudia CESARI, Glauco GIOSTRA, Luigi LACCHE’, David NELKEN, Carlo PIERGALLINI, Cesare PINELLI, Mario SBRICCOLI

Università di Milano Statale: Eva CANTARELLA, Maria Teresa CARINCI, Emilio DOLCINI, Pietro ICHINO, Mario G. LOSANO, Giorgio MARINUCCI, Giovanni PANZARINI, Mario PISANI, Carlo SMURAGLIA, Francesca TRIMARCHI BANFI

Università di Milano-Bicocca: Adolfo CERETTI, Alberto MAFFI,  Domenico PULITANO’, Giulio UBERTIS

Università di Milano-Bocconi: Alberto ALESSANDRI, Massimo CERESA GASTALDO, Guido ROSSI

Università di Modena e Reggio Emilia: Massimo DONINI, Luigi FOFFANI

Università del Molise: Stefano FIORE

Università di Napoli Federico II: Modestino ACONE, Alberto LUCARELLI, Giovanna DE MINICO, Carlo FIORE, Giuseppe OLIVIERI, Renato ORIANI

Seconda Università di Napoli: Gian Paolo CALIFANO, Aurelio CERNIGLIARO, Federico D'IPPOLITO, Gennaro FRANCIOSI, Nicola RASCIO

Istituto universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli: Roberto MARENGO

Università di Padova: Lorenza CARLASSARE, Emanuela MANTOVANI, Francesca MIGLIARESE CAPUTI, Renato PESCARA, Antonio REPOSO, Rosanna TOSI, Giuseppe ZACCARIA, Paolo ZATTI

Università di Palermo: Antonio BELLAVISTA, Calogero Massimo CAMMALLERI, Giuseppe DI CHIARA, Manfredi PARODI GIUSINO, Vittorio VILLA, Giuseppe VERDE, Francesco VIOLA

Università di Parma: Gianluigi PALOMBELLA, Cristiana FIORAVANTI, Luigi MANSANI, Oliviero MAZZA

Università di Pavia: Andrea BELVEDERE, Ernesto BETTINELLI, Silvia BUZZELLI, Cristina DE MAGLIE, Silvia LARIZZA, Alba NEGRI, Francesco RIGANO, Giorgio SEMINARA, Michele TARUFFO

Università di Perugia: David BRUNELLI, Maria CAMPOLUNGHI, Giovanni CERQUETTI, Francesco CERRONE, Francesco MERLONI, Margherita RAVERAIRA, Mauro VOLPI

Università di Pescara: Fausta GUARRIELLO

Università del Piemonte Orientale: Stefano AMBROSINI, Marta BARGIS, Chiara BESSO, Giuseppe CLERICO, Paolo GARBARINO, Andrea GIORGIS, Enrico GROSSO, Jörg LUTHER , Roberto MAZZOLA, Alberto MUSY, Serafino NOSENGO, Salvatore RIZZELLO

Università di Pisa: Franco BATISTONI FERRARA, Giovannangelo DE FRANCESCO, Enrico MARZADURI, Alessandro PIZZORUSSO, Roberto ROMBOLI

Università di Roma La Sapienza: Gaetano AZZARITI, Girolamo BONGIORNO, Mario CARAVALE, Angelo Antonio CERVATI, Elio FAZZALARI, Gianni FERRARA, Lucio LANFRANCHI, Antonio MANTELLO, Alessandro PACE, Ugo PETRONIO, Giuseppe Ugo RESCIGNO, Federico SORRENTINO

Università di Roma “Tor Vergata”: Adele ANZON

Università di Roma "Roma Tre": Stefano Maria CICCONETTI, Sabino FORTUNATO, Michele SANDULLI

Università di Siena: Enrico DICIOTTI, Vittorio SANTORO, Lorenzo GAETA, Cosimo Marco MAZZONI, Giuliano SCARSELLI

Politecnico di Torino: Marcella SARALE

Università di Trento: Gabriele FORNASARI, Lorenzo PICOTTI, Gianni SANTUCCI, Stefania SCARPONI

Università di Trieste: Mauro BARBERIS, Sergio BARTOLE, Paolo CENDON, Flavia DIMORA, Paolo GIANGASPERO, Francesco PERONI, Ferruccio TOMMASEO, Enzo VULLO

Università di Urbino: Piera CAMPANELLA, Maria Grazia COPPETTA, Angelo DONDI, Paolo PASCUCCI, Luisa TORCHIA

Università di Venezia: Luigi MARINUCCI, Adalberto PERULLI

Università di Verona: Paolo CAVALERI, Daniele CORLETTO, Donata GOTTARDI, Sebastiano Maurizio MESSINA, Adonella PRESUTTI

 

 

 

 

 

3) Riporto qui sotto nel testo originale l’ “advanced edited version” del rapporto. Al numero 18 la valutazione dell’inviato

 

26 March 2002

 

COMMISSION ON HUMAN RIGHTS

Fifty-eighth session

Agenda item 11

CIVIL AND POLITICAL RIGHTS, INCLUDING THE QUESTIONS OF:

INDEPENDENCE OF THE JUDICIARY, ADMINISTRATION OF

JUSTICE, IMPUNITY

Report of the Special Rapporteur on the independence of judges and

 lawyers, Dato’ Param Cumaraswamy, submitted in accordance

with Commission on Human Rights resolution 2001/39

Addendum

Preliminary report on the mission to Italy

 

Introduction

1. The present preliminary report concerns a mission to Italy undertaken

from 11-14 March 2002 by the Special Rapporteur on the independence of judges and

lawyers pursuant to his mandate in Commission on Human Rights resolution 1994/41 as

renewed by resolutions 1997/23 and 2000/42. The mandate calls upon the Special Rapporteur,

inter alia, to inquire into any substantial allegations transmitted to him and report his

conclusions and recommendations thereon.

2. In January 2002 the Special Rapporteur received reports of nationwide protests by

magistrates, including prosecutors,* at the start of the legal year to express their concerns about

the Government’s attempts to undermine their independence. The protests were called by the

National Association of Magistrates of which 95 per cent of the judges and prosecutors of Italy

are members. The Special Rapporteur had been receiving information of growing tension

between the magistrates, including prosecutors, and the Government which appeared to have

culminated in the protest.

3. On 23 January 2002 the Special Rapporteur wrote to the Government expressing his

concerns and seeking an urgent mission to the country in order to ascertain the cause of the

protests and the tension and to assist in finding a solution. The Government responded promptly

and invited the Special Rapporteur to visit the country.

4. During the course of the mission the Special Rapporteur visited the cities of Rome and

Milan. In Rome he met senior judges, government officials and members of Parliament,

including the President of the Court of Cassation, the Prosecutor General at the Court of

Cassation, the Minister of Justice, the Presidents of the Commissions of Justice of the Senate and

Chamber of Deputies, the Vice-President of the Higher Council of the Judiciary, the National

Association of Magistrates and the National Bar Association. In Milan the Special Rapporteur

met the Milan Chapter of the National Association of Magistrates, the Prosecutor General of

Milan, Dott. F. Saverio Borelli, and prosecutors D’Ambrosio and Boccassini.

5. The Special Rapporteur thanks the Government, including its Permanent Mission in

Geneva, for facilitating the mission and providing assistance, cooperation and hospitality with

cordiality.

6. In view of the very short time available between this mission and the fifty-eighth session

of the Commission, the Special Rapporteur can only express his preliminary observations and

recommendations.

In Italy both judges and prosecutors are called “magistrates” and are members of the judiciary.

I. PRELIMINARY OBSERVATIONS

7. The independence of the judiciary is enshrined in the 1948 Constitution. Prosecutors

enjoy the same independence which is also enshrined in the Constitution. Appointments of

judges and prosecutors, transfers, promotions and discipline are handled by the Higher Council

of the Judiciary, which is a constitutional institution.

8. No one with whom the Special Rapporteur spoke disputed that there is tension between

the judges and prosecutors, on the one hand, and the Government on the other. With the

Government’s majority in Parliament, that institution too is involved in the increase of the

tension.

9. Over the years serious attacks have been levelled at some judges for their decisions

and conduct. This is evident from resolutions of the Higher Council of the Judiciary

dated 15 December 1999 and 2 October 2001. Some judges and prosecutors have been

characterized as leftist, particularly those in Milan who, about a decade ago, began

investigating corruption among political elites and still continue to do so.

10. A sore point is the cumbersome trial and appellate processes, both in criminal and civil

cases. It was said that the average time needed to dispose of a criminal case is 9 years, and a

civil case 10 years. In his speech to the Extraordinary Session of the Higher Council of the

Judiciary on 2 October 2001 the Vice-President of the Council described the criminal trial

process as “a perverse game of snakes and ladders”. The European Court of Human Rights has

on many occasions severely criticized these delays as inconsistent with article 6 of the European

Convention on Human Rights. These cumbersome procedures are often taken advantage of by

accused persons and defendants to delay due process, resulting in cases being barred by statutes

of limitation.

11. The public, quite rightly, is disenchanted with a judicial procedure characterized by such

long delays. Judges and prosecutors feel that the Government in addressing this problem often

attributes the ills in the system to them. Thus public opinion is directed against the magistrates.

12. On this issue the Special Rapporteur finds that the entire system of the administration of

justice and its procedures, both in the first instance and appellate levels, need urgent attention.

All parts of the system need to be addressed, not just judges and prosecutors. The problem is

deeply rooted in the procedures and the abuse of the procedures by all parties. Ad hoc piecemeal

reforms are perceived as targeting the judges and prosecutors and further perceived - and quite

rightly so - as a threat to their independence and impartiality.

13. Another aggravating factor is the three pending criminal cases before the Milan courts

involving charges of corruption and false accounting of prominent politicians. One is the

Prime Minister; the other is a prominent member of Parliament, Mr. Previti. The Special

Rapporteur does not wish to elaborate on these cases or comment on their merits as they are at

present pending before the courts, and one case is pending before the Court of Cassation on

application for transfer from the Milan courts. It is said that if these cases were transferred out of

Milan to another venue then the entire processes will have to be commenced de novo. It is

possible that the statutes of limitation may come into effect before the trials are completed. The

manner in which procedural points are used to delay these cases is a matter of concern, including

the perceived use of the legislative process to enact legislation which is then used in the conduct

in the cases. One such piece of legislation is that on rogatory letters ratifying a bilateral

agreement with Switzerland with retroactive effect. Whether it could affect evidence already

admitted in the trial is an issue before the Milan courts in one of the high-profile cases.

14. Lawyers acting for these personalities are also members of Parliament and therefore

perceived to have influence in Parliament to advance their clients’ causes in Parliament. This

results in issues of conflict of interest.

15. What ultimately sparked the nationwide protests at the opening of the legal year was the

Senate resolution of 5 December 2001 accusing magistrates of failing to comply with the

Constitutional Court ruling that judicial process does not have precedence over parliamentary

business but that both had equal standing. Although the resolution was targeted at a decision by

the Milan judges involving one of the high-profile criminal cases, this was seen as a serious

provocation and interference with the independence of the judiciary in general.

16. The situation was the following: Mr. Previti repeatedly asked for the postponement of

his court hearing because of his parliamentary obligations. The magistrate granted those

requests. After the Constitutional Court’s ruling, the magistrate deemed that the repeated

postponements had led to excessive delay and decided that the need to proceed with the trial

should prevail over parliamentary obligations. Parliament felt the decision was wrong and

referred the issue to the Constitutional Court. Thereafter, an application by Mr. Previti to annul

the whole trial and commence afresh was refused by the magistrate. The lawyers for the accused

argued that the magistrate failed to comply with the ruling of the Constitutional Court. The

magistrate is of the view that it is for the court to interpret the ruling of the Constitutional Court.

17. The Senate resolution also referred to meetings of magistrates as having examined ways

not to apply a law of the State. This was refuted by the National Association of Magistrates in

their meeting with the Special Rapporteur. They assert that what had occurred was that, at a

seminar held as part of a training programme for magistrates, the interpretation of the legislation

on rogatory letters was discussed.

18. A group of legal academics issued a public statement expressing concern over the Senate

resolution. The Special Rapporteur studied the resolution and the events which led to its

adoption and shares the concerns of the judges and prosecutors and the legal academics. What

further aggravated the situation was that prior to the adoption of the resolution the Deputy

Minister of the Interior had called for the arrest of the magistrates concerned. The Deputy

Minister subsequently resigned.

19. Mention must be made of one particular individual in Milan who appears to have been

singled out for attacks as a result of a speech he made in Milan at the opening of the legal year.

He is the Prosecutor General of Milan, Dott. Francisco Saverio Borelli. The Prosecutor General

outlined the issues confronting the administration of justice and commented on the delays

encountered in some trials and also on the Government’s proposed reforms. In conclusion, he

called on the people to “resist, resist, resist” attempts to erode the system. His concluding

remarks were widely reported by the media and criticized by the Government as being

provocative and political. He is one of those characterized as leftist.

20. The Prosecutor General explained to the Special Rapporteur that his concluding remarks

had been taken out of context: he had never urged the people to resist the Government; he had

called for resistance to the “degradation of the sense of legality, rule of law and the campaigns to

discredit the judiciary”. In the present charged environment his remarks taken in isolation could

be perceived as intemperate for a judicial figure. However, his speech in its totality certainly did

not advocate rebellion or resistance to the Government.

21. Amidst this tension the Minister of the Interior called for reduction of the protection

given to judges and prosecutors. Among those affected in Milan is Ms. Ilda Boccassini, who has

been involved in the investigation of one of the high-profile cases. This is perceived as another

threat to the independence of the judiciary. The Prosecutor General of Milan alluded to this in

his speech. The Minister of the Interior has indicated that he would sue the Prosecutor General.

(Since the mission the Special Rapporteur has received information that the earlier protection

extended to Ms. Boccassini has been reinstated. The Special Rapporteur welcomes this act as

Ms. Boccassini had expressed her fears to him.)

22. During the mission the Council of Ministers approved a law which would separate the

judicial and prosecutorial functions of magistrates. This is perceived by the magistrates as more

interference and another threat to their independence. On the basis of the explanation of the

Minister of Justice, the Special Rapporteur finds some merit in this legislation for the separation

of functions.

23. A practice of some concern is the taking of leave of absence by judges and prosecutors,

who are appointed for life, to go into politics. Later, if they so wish, they can return to their

work as judges or prosecutors. This practice could compromise judicial independence.

24. In the light of the events outlined above, the Special Rapporteur is satisfied that there is

reasonable cause for the judges and prosecutors to feel that their independence is threatened.

Though the Government’s attacks have been directed at certain judges and prosecutors, yet it

must be remembered that attacks on a few will be perceived as attacks on the entire judiciary,

even as an attack on the rule of law.

25. On the other hand, judges and prosecutors should not conduct themselves in a manner

which could compromise their independence and impartiality.

26. The cumbersome legal system and its procedures and the high-profile criminal cases

before the Milan courts and the manner in which these procedures are taken advantage of to

delay the trials have contributed to the present situation. Added to this is the perception that

legislative processes are used to enact legislation which is then used in cases already before the

courts.

27. These developments have led to mutual suspicion and mistrust between the Government

and the judges and prosecutors. Every reform affecting the administration of justice is perceived

with suspicion and to be a threat to their independence. Judicial decisions, particularly in the

high-profile cases in Milan, are viewed as being partisan and leftist.

28. With regard to the competing importance of the judicial process and parliamentary

business which was the core issue in the Senate resolution of 4 December 2001, what may have

been overlooked is the fact that the absence of a single member of Parliament during

parliamentary sessions will not disrupt or delay parliamentary business. However, without the

presence of the accused in court to answer the charges against him the trial cannot proceed and

his absence therefore will disrupt and delay judicial process. This is the difference. Following

this rationale judicial process must necessarily be given precedence in given circumstances.

Further, article 14 (3) (c) of the International Covenant on Civil and Political Rights and the

corresponding expression in article 6 of the European Convention on Human Rights provide that

criminal cases should be tried without undue delay. It is the duty of the courts to see that these

cases are tried and adjudicated without delay.

29. The Independence of the judiciary and the independence of prosecutors is not only well

entrenched in the Constitution, but also in the culture and tradition of Italy. No Government,

however powerful, could take away this basic tenet of Italian society. Milan was the birthplace

of the United Nations Basic Principles on the Independence of the Judiciary. Rome is the

birthplace of the International Criminal Court which will soon be established. Nevertheless,

recent events have shown signs of threat to this independence, but once the root causes are

removed and mutual trust restored, the tension will ease and judicial independence will triumph

and will be respected by all.

II. PRELIMINARY RECOMMENDATIONS

30. The prominent politicians facing charges before the Milan courts should respect the

principles of due process and should not be seen as delaying that process. Though they, like any

other citizen, are entitled to all the rights available to the defence, because they are in positions

of power delaying the judicial process in their cases would be perceived with suspicion and

could be detrimental to the integrity of the justice system.

31. The decisions of the courts must be respected by all. Though such decisions can be

commented on and even criticized, the judges who make the decisions should not be attacked

and subjected to any form of calumny by anyone or any institution. If decisions are perceived as

incorrect, then the proper appellate procedures must be invoked.

32. During the course of the mission, in his discussions with the Minister of Justice and the

Presidents of the Justice Commissions of the Senate and Chamber of Deputies the Special

Rapporteur urged that there be set up a coordinating committee of representatives of all segments

of the administration of justice, including the Higher Council of the Judiciary, the National

Association of Magistrates, bar associations, legal academia and the Ministry of Justice,

to address reform of the justice system in a holistic and comprehensive way. The present ad hoc

approach taken by the Ministry of Justice is not satisfactory and is fraught with suspicion and

mistrust. (Since he returned from his mission the Special Rapporteur has received information

that the Government has accepted this recommendation. The Minister of Justice will establish

such a committee in due course. This is a very positive and welcome development. The success

of this committee will depend largely on the full cooperation of all actors, who must set aside

their individual interests and adopt the interest of justice for the people as their collective

interest.)

33. The Special Rapporteur will continue to monitor developments and will make himself

available to the Government and the judiciary for any assistance or advice. He will submit a

further report to the fifty-ninth session of the Commission.

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[4] ci pone al 28 posto nel mondo dietro il Bostwana, secondo la classifica redatta da Transparency International, una prestigiosa organizzazione non governativa con sede a Berlino

[5] GUARNIERI e PEDERZOLI, La magistratura nelle democrazie contemporanee, Bari, 2002, 138.

[6] Val la pena di ricordare che la stessa sezione ANM della cassazione nel documento votato all’unanimità riportato qui sotto ha vivacemente criticato sia la proposta di innovazione delle modalità di accesso alla cassazione sia la proposta di attribuirle tramite la scuola il compito di selettore delle carriere dei giudici di merito.

 

ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI

SEZIONE DELLA CASSAZIONE






Sul disegno di legge delega in materia di ordinamento giudiziario




Il disegno di legge delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario delinea un assetto della magistratura italiana contrario al dettato costituzionale. Esso è anche in contraddizione con le pressanti esigenze di efficienza del sistema, sia perché non affronta alcuno dei problemi che al riguardo si pongono, sia perché le soluzioni che appresta sono spesso controproducenti.

Poiché il disegno di legge si dichiara ispirato all'intento di "restituire la Cassazione al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria", la Giunta della Sezione Cassazione dell'Associazione Nazionale Magistrati non può esonerarsi dalla responsabilità di fornire una propria immediata valutazione su di esso.

A tale proposito, è innanzitutto da osservare che attribuire alla Cassazione la funzione di vertice della magistratura è erroneo dal punto di vista costituzionale e costituisce una regressione rispetto alla concezione della Cassazione che si è progressivamente e positivamente affermata nell'ultimo mezzo secolo, durante il lungo e faticoso cammino verso l'inveramento del dettato costituzionale.

Nell'ordinamento costituzionale, infatti, la Cassazione rappresenta il vertice del sistema delle impugnazioni ed è solo in ragione, nell'ambito e come effetto naturale di questa sua funzione giurisdizionale che è ad essa demandato non solo il compito di assicurare il rispetto del giusto processo, ma anche lo svolgimento della funzione di nomofilachia, intesa come sintesi delle diverse soluzioni interpretative e come orientamento verso consapevoli convergenze nell'interpretazione del diritto da parte degli stessi giudici di merito, con i quali la cassazione si pone in libero e proficuo rapporto dialogico.

In questo sistema, nel quale ciascun giudice - sia esso di legittimità o di merito - è soggetto soltanto alla legge ed è quindi tenuto a non assoggettarsi ad alcun'altra autorità, esterna o interna all'ordine giudiziario, il risultato della tendenziale uniformità (e quindi della prevedibilità e della certezza) nell'interpretazione del diritto è rimesso soltanto, per un verso, alla collocazione della cassazione nel sistema delle impugnazioni e, per altro verso, alla sua autorevolezza culturale e alla persuasività delle sue sentenze: attribuire alla Corte una qualunque posizione di supremazia ordinamentale o organizzativa, una qualunque capacità di influire sulla "carriera" dei giudici, un qualunque ruolo incidente sulla loro formazione professionale, significherebbe creare condizionamenti tali da alterare gravemente il principio di autonomia e di indipendenza dei giudici di merito.

Soggette al controllo della cassazione sono e debbono rimanere soltanto le sentenze e non anche i giudici che le hanno emesse.


1. Questo assetto viene gravemente turbato dalla previsione di una "Scuola della magistratura" istituita presso la Cassazione, anziché presso il Consiglio superiore della magistratura, tanto più che a tale Scuola vengono altresì impropriamente attribuiti compiti di "verifica attitudinale" da valere "anche ai fini della progressione in carriera". Il disegno di legge prevede infatti che alla Scuola sia preposto un comitato direttivo del quale sono componenti due magistrati della Corte designati dal Primo Presidente mentre altri tre componenti sono nominati dal CSM, ma di concerto con il Ministro della giustizia. Il ruolo del CSM nella formazione professionale viene di fatto cancellato: riguardo alla programmazione dell'attività didattica si prevede, infatti, che il Consiglio superiore della magistratura possa fare solo proposte, alla stessa stregua del Ministro, del Consiglio nazionale forense, di ciascun Consiglio giudiziario, del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e di ciascun componente del Consiglio universitario nazionale.

In tal modo vengono attribuite alla Cassazione funzioni assolutamente estranee al suo ruolo giurisdizionale e tali da inquinare quest'ultimo, inserendo in esso fattori di improprio condizionamento sulla giurisdizione di merito (per non parlare del ruolo illegittimamente riconosciuto al Ministro, in un campo che non ha nulla a che fare con le attribuzioni di cui all'articolo 110 della Costituzione), sia per la capacità di influire sulla selezione attitudinale ai fini della progressione in carriera, sia per la formazione professionale in sé considerata.

Quanto a quest'ultima, deve infatti essere ricordato che la formazione professionale dei magistrati - a differenza di quella che si svolge nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni - non può essere rivolta alla conformazione degli stessi e della loro attività ad un unico modello imposto dall'alto o dall'esterno e neppure dalla stessa Cassazione, dal Csm o dalla Scuola, ma deve invece essere intesa, oltre che all'acquisizione delle necessarie capacità tecniche, a suscitare la coscienza dei termini giuridici e culturali dei problemi nonché dei valori sottesi ad ogni scelta operativa, al libero confronto ed al reciproco approfondimento tra i diversi orientamenti, proprio al fine di rendere consapevole l'esercizio dell'autonomia di ciascun magistrato, di modo che essa - garantita dalla costituzione come diritto fondamentale dei cittadini - possa esprimersi non già in scelte arbitrarie, soggettivistiche o casuali, ma in scelte - libere perché consapevoli e fondate - tra le diverse e ponderate interpretazioni possibili della norma, del fenomeno reale e del proprio stesso ruolo.

E' in questo senso che la funzione della formazione professionale dei magistrati non può non essere compresa tra quelle che "possono indirettamente incidere sull'indipendenza dei magistrati" e quindi non può non rientrare nelle attribuzioni del Csm. Il pluralismo culturale e ideale che per Costituzione deve connotare tutta l'attività consiliare assume qui una valenza ulteriore e ben più incisiva, in quanto serve ad evitare il pericolo che la formazione professionale dei magistrati divenga un fattore di condizionamento degli stessi e di loro induzione al conformismo e alla subalternità.

La tendenza all'uniformità e all'orientamento delle scelte interpretative - che è in qualche misura sottesa alla funzione nomofilattica - si pone quindi in un proficuo rapporto dialettico rispetto alla funzione della formazione professionale dei magistrati: unire tali funzioni significherebbe alterare e tradire i caratteri essenziali dell'una e dell'altra, così come avrebbe effetti gravemente distorsivi collegare la funzione formativa a quella selettiva.

A queste considerazioni deve poi aggiungersi che la Cassazione non sarebbe materialmente in grado di svolgere tale funzione. La Corte Suprema, infatti, si trova già ora in una situazione di grande sovraccarico che le rende difficile svolgere le sue funzioni giurisdizionali a quel livello di efficienza e di qualità che il suo ruolo richiede. L'ipotesi di gravare la Corte anche di una funzione così impegnativa e così eterogenea come quella della formazione professionale, appare, da questo punto di vista, irrealistica. Deve anche essere rilevato che il novantacinque per cento circa dei magistrati esercita funzioni giudiziarie di merito. Affidare il compito di curare la loro formazione professionale a chi invece esercita funzioni di legittimità appare alquanto irrazionale. Non è qui in questione la presenza in Cassazione di grandi capacità culturali e didattiche, ma appare ovvio che la formazione professionale della magistratura è compito che può naturalmente essere meglio svolto da un organismo, quale il CSM, in cui trovano espressione tutte le differenziate professionalità e le diverse funzioni che la magistratura comprende.

Infine, non può essere taciuto che nel campo della formazione professionale dei magistrati il Consiglio superiore della magistratura ha raggiunto nell'ultimo decennio risultati positivi. Anche per questo motivo, cambiare sistema non avrebbe alcuna giustificazione. Né alcuna giustificazione sembra ipotizzabile per talune disposizioni di dettaglio contenute nella delega - come quella che vieta la possibilità di seguire più di un corso di formazione ogni tre anni - che mettono chiaramente in luce il carattere improvvisato e approssimativo dell'innovazione proposta.


2. Il disegno di legge prevede poi la possibilità di un accesso estremamente anticipato alle funzioni di cassazione a seguito di concorsi per titoli ed esami: si tratta della mera riproduzione di un sistema che è stato vigente in passato, ha dato pessima prova di sé e per questo motivo è stato abrogato dal Parlamento.

Non resta quindi che ripetere qui quel che tutte le componenti culturali della magistratura hanno sostenuto nei decenni trascorsi, trattandosi di rilievi basati sull'esperienza concreta e sulla intima adesione ai valori e ai caratteri fondamentali che devono connotare l'istituzione perché sia conforme al dettato costituzionale.

La soppressione del concorso per l'accesso anticipato in Cassazione ha rappresentato l'adempimento del principio costituzionale secondo cui i magistrati si distinguono solo per le funzioni esercitate ed ha eliminato i gravi inconvenienti derivanti dal concreto funzionamento del sistema che li prevedeva: l'impegno del magistrato concentrato non sul carico di lavoro dell'ufficio, ma sulla sentenza da valorizzare quale "titolo"; la trasformazione di quest'ultima da risposta destinata al cittadino ad esibizione di sapere dottrinario e giurisprudenziale destinato agli esaminatori; il difetto di garanzie per quanto riguarda l'oggettività e l'imparzialità della valutazione; il sistema di cooptazione fondato sulla gerarchia, inevitabilmente destinato a premiare il conformismo giurisprudenziale; la tentazione per il magistrato di rifugiarsi in "nicchie" comunque lontane dalla "prima linea", per coltivare lo studio teorico e l'approntamento dei provvedimenti-titolo; la scelta tra le varie funzioni in vista delle maggiori o minori opportunità da esse fornite per la predisposizione di tali provvedimenti.

Abrogare quel sistema ha significato inoltre l'eliminazione, nei rapporti interni alla magistratura, di spinte al rivalismo e alla competitività, particolarmente improprie rispetto alla funzione giudiziaria.

Oggi, nella nostra istituzione, svolge di regola un ruolo prioritario l'autoselezione attitudinale e non la corsa ai gradi e agli onori, e ciò non può che volgersi a beneficio dei cittadini.

Oggi la considerazione dei gradi processuali non più collegata ai gradi della gerarchia o alle gradazioni della premialità, induce una concezione più "colta" del processo.

Oggi il cittadino sa che l'ordinamento italiano pone il magistrato che lo deve giudicare in condizione di essere sine spe ac metu.

La previsione di questo accesso anticipato e differenziato in Cassazione determinerebbe effetti distorsivi anche rispetto alla cultura che la cassazione stessa deve possedere ed esprimere per svolgere adeguatamente il proprio ruolo che - pur prevalentemente legato al controllo di legittimità - non è riducibile ad una attività di elaborazione dogmatico-formalistica, ma richiede di essere costantemente nutrito da una sensibile e diretta consapevolezza concreta dei fenomeni sociali regolati e dei problemi da risolvere, che può acquisirsi soltanto attraverso una impegnata e matura esperienza nella giurisdizione di merito.

Nulla sarebbe più nefasto per la Cassazione, oggi, di misure capaci di isolarla dal resto della magistratura e di pregiudicare l'osmosi tra merito e legittimità: la Cassazione è certo più autorevole da quando l'efficacia del suo insegnamento è affidata alla capacità di ascolto e alla persuasività delle ragioni giuridiche poste a fondamento delle sue sentenze piuttosto che agli strumenti di induzione al conformismo collegati ad una impropria posizione di "vertice".


3. E' da tempo avvertita l'esigenza di un più rigoroso vaglio attitudinale per il conferimento delle funzioni di legittimità, diretto non già a creare inutili graduatorie ma ad accertare la sussistenza, in chi aspira ad esercitare tale funzioni, dello specifico standard professionale che esse richiedono: ciò può essere raggiunto senza bisogno di modifiche legislative e di fatto il Consiglio superiore della magistratura ha progressivamente ridotto il peso dell'anzianità nella scelta dei magistrati da destinare a tali funzioni. Al fine di apprestare strumenti operativi più idonei a verificare in concreto il possesso delle specifiche attitudini al giudizio di legittimità, che non vanno confuse con generiche qualificazioni di maggiore o minore "bravura", potrebbe anche essere opportuno sperimentare l'utilità di una commissione di esperti alla quale affidare il compito di esprimere una prima valutazione di massima sui lavori giudiziari e sulle pubblicazioni dei vari candidati, da inserire poi nel materiale istruttorio che la procedura consiliare è destinata a utilizzare e a tradurre in specifiche proposte al plenum del CSM.

La "Commissione speciale" prevista dagli articoli da 9 a 11 del disegno di legge non corrisponde però a questa ragionevole ipotesi. Non vi è neppure bisogno di esprimere le ragioni del vero e proprio sconcerto determinato dal fatto che i componenti di tale Commissione sono nominati esclusivamente entro una rosa proposta dal Ministro: una previsione di tal genere è sicuramente incostituzionale perché l'autonomia del Consiglio superiore della magistratura esclude qualunque intervento condizionante dell'esecutivo nei procedimenti riguardanti lo status dei magistrati. Appare inoltre del tutto improprio che ad una Commissione tecnica formata da esperti esterni sia affidato il compito non già di valutare tecnicamente il materiale documentale rilevante (provvedimenti giudiziari e pubblicazioni) ma di esprimere una valutazione globale e complessiva della "meritevolezza" dei candidati, tale da fungere quale vera e propria "proposta" al Consiglio. In tal modo, ad un organo tecnico verrebbe sostanzialmente appaltato un segmento del procedimento e non una incombenza strettamente istruttoria quale quella di svolgere accertamenti e fornire informazioni e valutazioni di carattere tecnico, con evidente stravolgimento delle corrette procedure consiliari.


4. E' da salutare con soddisfazione l'ipotesi della istituzione di un "Consiglio giudiziario" della Corte di cassazione, ma il plauso deve limitarsi a ciò, posto che le modalità di attuazione dell'innovazione appaiono in larga misura criticabili.

Ad iniziare dal nome: non si comprende perché quello istituito presso la cassazione non debba chiamarsi Consiglio giudiziario, come è nella nostra tradizione e come è per i consigli giudiziari presso le Corti d'appello, e debba invece ricevere la denominazione di Consiglio direttivo, che appare tratta dalla terminologia usata per i nuovi istituti partecipativi di recente approntati per la magistratura amministrativa.

Per il Consiglio giudiziario della Corte di cassazione, tuttavia, l'obiezione più grave è quella che si riferisce alla composizione dell'organo ed in particolare alla presenza in esso di componenti "laici". Per tale innovazione, che investe in maniera ancora più pregnante i Consigli giudiziari presso le Corti d'appello, la relazione non adduce altra ragione che quella - a valenza meramente estetica - di una necessaria "simmetria" con la composizione del Consiglio superiore della magistratura, ma tale richiamo è sfornito di senso giuridico e di una apprezzabile giustificazione razionale.

E' infatti in primo luogo da rilevare che la presenza dei laici è prevista dalla Costituzione solo per il Consiglio superiore e non anche per i Consigli giudiziari che pure già esistevano all'epoca della Costituente; peraltro la Costituzione prevede analiticamente altre forme di partecipazione di laici all'amministrazione della giustizia, ma non contempla in alcun modo la forma di partecipazione qui ipotizzata, il che induce a ritenere che tale innovazione, estranea alla previsione costituzionale, rappresenti una indebita limitazione dell'autonomia dell'ordine giudiziario.

Inoltre, i Consigli giudiziari restano, anche nell'ottica di un loro potenziamento, organi giuridicamente definibili come ausiliari del CSM. La loro attività e quindi la loro natura sono più vicine al livello amministrativo che a quello, per così dire, di "governo" dell'istituzione, onde la presenza di una componente nominata da organismi universitari non avrebbe alcuna ipotizzabile spiegazione o utilità.

L'impropria simmetria perseguita con la previsione in questione non tiene evidentemente conto della natura e del ruolo costituzionale del CSM e del significato funzionale della presenza in esso di una rappresentanza c.d. laica, volta a creare un raccordo culturale con il potere legislativo e con la sede più alta della sovranità popolare. La componente laica del CSM non solo è eletta da una maggioranza qualificata (cosa che, peraltro, con il sistema elettorale maggioritario tende a perdere di rilevanza) ma l'elezione avviene ad opera delle Camere riunite e cioè del medesimo organo - diverso dalle singole camere - che elegge il Presidente della Repubblica e i giudici costituzionali. Nell'ambito degli organismi ai quali il disegno di legge affida la nomina dei componenti laici (Consiglio nazionale forense, consiglio universitario nazionale e consigli regionali) non esiste organo ad esse assimilabile. Non si comprende inoltre quale funzione avrebbero i laici nominati nei Consigli giudiziari, che cosa essi dovrebbero rappresentare e nel contesto di quale funzione dell'organo si collocherebbe il loro apporto. Infine, i laici eletti al CSM sono messi fuori dagli albi e dal ruolo universitario e di certo ciò non per motivi di sovraccarico lavorativo: non sembra che si possa ipotizzare altrettanto per i componenti laici dei consigli, ma è ovvio che la possibilità per un avvocato di continuare ad esercitare la professione forense mentre partecipa al governo dei magistrati non può non destare serie perplessità.


5. Nel contesto fino ad ora descritto, la previsione di un'indennità generica, concessa a tutti i magistrati della Cassazione e tale quindi da lasciare irrisolto lo specifico e reale problema di coloro che risiedono fuori sede, appare un'innovazione impropria e non rispondente alle esigenze che a questo proposito erano state prospettate.


6. La riforma dell'ordinamento giudiziario che viene delineata nel disegno di legge è, nel suo complesso - a parte alcuni spunti accoglibili ed altri certamente positivi - contraria al modello di magistratura che si è venuto affermando in questi decenni grazie all'opera di progressiva attuazione del dettato costituzionale da parte del parlamento ed alla maturazione, nella magistratura, di una cultura dell'autonomia, dell' indipendenza e del ruolo, che ha alimentato il nostro sistema di autogoverno essendone a sua volta alimentata. Una riforma dell'ordinamento giudiziario che intendesse dividere la magistratura, imponendosi ad essa e alla sua cultura ordinamentale, non avrebbe giustificazione alcuna e determinerebbe una grave frattura nei rapporti tra le Istituzioni dello Stato. Certo, il servizio di giustizia nel Paese presenta aspetti di crisi e zone nelle quali è urgente l'intervento riformatore, né la magistratura è immune da difetti e da colpe. Riteniamo tuttavia che essa non meriti una "controriforma" che avrebbe come risultato la sua divisione, la riduzione della sua autonomia - quale si esprime nel sistema di autogoverno incentrato sul Consiglio superiore -, l'attribuzione alla Cassazione di una impropria posizione di supremazia ordinamentale ed il ripristino di un assetto basato sulle competizioni carrieristiche e quindi contrario al disegno costituzionale.

Roma 27 marzo 2002

LA GIUNTA

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