inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2002

PROCESSO PIAZZA FONTANA: -Sentenza della Corte d'Assise di Milano n. 15/2001, del 30 giugno 2001 e depositata il 19 gennaio 2002.

Capitolo 4

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Per concludere le considerazioni sull’oggettiva consistenza delle dichiarazioni devono essere affrontati alcuni profili che richiedono solo la valutazione specifica degli argomenti oggetto delle dichiarazioni, al fine di verificarne la rispondenza ai parametri indicati nel precedente capitolo. Difatti, può essere espresso un giudizio sulla costanza delle dichiarazioni, sulla loro coerenza e  precisione, sulla logica interna del racconto, sull’assenza di contrasti con altre acquisizioni probatorie o di contraddizioni eclatanti e difficilmente superabili, solo affrontando argomento per argomento il complesso delle dichiarazioni del collaboratore. Per quanto concerne gli episodi direttamente connessi con la strage di piazza Fontana, la valutazione di tali parametri verrà compiuta nel capitolo 10, specificamente dedicato a tale vicenda, mentre in questo capitolo ci si soffermerà su quelle indicazioni non direttamente collegate all’imputazione[1].

In termini generali (e salva una verifica puntuale di tale affermazione nei successivi paragrafi) la Corte ritiene che sotto questo profilo le dichiarazioni di Digilio siano molto attendibili. Può discettarsi sulla personalità a volte inafferrabile del collaboratore, ma una volta che si affronta il contenuto delle sue dichiarazioni il quadro complessivo appare solidissimo. Non si vuole affermare che tutte le indicazioni fornite da Digilio abbiamo avuto specifico riscontro, ma per la gran parte degli episodi descritti, fonti di prova tra loro autonome, ovvero elementi indiziari di riscontro esterno, ovvero la ricostruzione di un quadro logico di riferimento nel quale quel dictum si inserisce coerentemente, hanno confermato la sua attendibilità. Rari, tra le dichiarazioni rese nell’arco di 7 anni, sono i casi di difformità rilevanti, le incongruenze logiche, le smentite provenienti da altre acquisizioni probatorie, le contraddizioni eclatanti. Talvolta le indicazioni fornite sono state errate con riferimento a particolari quali la collocazione temporale degli episodi e la presenza di uno piuttosto che dell’altro dei militanti della destra veneta, altre volte l’atteggiamento di Digilio (restio ad ammettere errori nel ricordo o incoerenze logiche) ha determinato l’insorgere di contraddizioni rispetto a quanto dichiarato in indagini, ma, come si vedrà, la consistenza materiale degli avvenimenti descritti è stata sin dai primi interrogatori delineata con sufficiente precisione ed è stata confermata nel corso della sua collaborazione e fino all’esame dibattimentale.

 

4 c – Le indicazioni di Digilio  non riguardanti piazza Fontana e i relativi riscontri.

In questa parte di sentenza si sono selezionati alcuni argomenti riferiti da Digilio nel corso dell’esame dibattimentale, certamente di una qualche rilevanza nella valutazione della penale responsabilità per la strage di piazza Fontana, ma che non descrivono eventi direttamente riconducibili al complesso delle azioni criminose culminate con gli attentati del 12 dicembre 1969. Molti altri episodi tra quelli descritti da Digilio avrebbero potuto essere analizzati dalla Corte, ma si è ritenuto che il thema decidendum imponesse una limitazione che escludesse dalla motivazione fatti totalmente estranei all’attività eversiva del gruppo cui il dichiarante appartenne per molti anni.

 

4 c 1  – Il gruppo di ON di Venezia-Mestre.

Questo argomento può essere qui trattato in modo estremamente sintetico, atteso che nel capitolo 8 si affronterà specificamente la struttura del gruppo di ON di Venezia-Mestre, con riferimenti puntuali alle indicazioni fornite sul tema da Digilio. E’ però opportuno premettere che Digilio ha ricostruito quel sodalizio con particolari modalità descrittive, perché non ha fornito un quadro della sua struttura, ma piuttosto ha riferito in concreto le attività delittuose allo stesso riconducibili, le funzioni esplicate da alcuni suoi componenti, i rapporti privilegiati intercorsi con altri gruppi del Veneto (in particolare con quello di Verona); inoltre, il collaboratore non ha mai ammesso esplicitamente di essere appartenuto a quell’organizzazione, ritagliandosi un ruolo marginale di collaborazione nelle attività di quel sodalizio e giustificando il suo coinvolgimento in attività delittuose con il ruolo di informatore dei servizi di sicurezza statunitensi. Per spiegare questa apparente marginalità di Digilio rispetto al gruppo di ON di Venezia-Mestre soccorre non soltanto la valutazione dell’atteggiamento del dichiarante (che, come detto, ha tentato di definirsi quasi uno spettatore delle vicende eversive a cui invece partecipò con un ruolo attivo e decisivo), ma anche gli accertamenti compiuti nel processo conclusosi con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Venezia dell’8.11.1991, nella quale fu accertata l’esistenza a Venezia-Mestre di un gruppo eversivo facente riferimento ad ON, il cui dirigente era Maggi e a cui partecipò per molti anni con un ruolo importante ma “coperto” Carlo Digilio[2]. Questo elemento di prova documentale rende del tutto superfluo richiamare le molteplici indicazioni testimoniali che hanno confermato in questo dibattimento il coinvolgimento del dichiarante nel gruppo (nei termini descritti dalla Corte veneziana), riservandosi di riportarle in modo specifico nel successivo capitolo 8.

Pur in questi limiti di trattazione, va rilevato che le precise indicazioni fornite da Digilio sono state pienamente confermate da tutte le acquisizioni probatorie del processo. Oltre al ruolo dirigente di Maggi e di Romani[3], Digilio ha indicato come appartenenti all’area della destra veneziana facente riferimento ad ON, Giampiero Montavoci[4], Gaetano Tettamanzi[5] e Giorgio Boffelli[6], mentre del gruppo di Mestre ha indicato Delfo Zorzi, Martino Siciliano[7] e Gianni Mariga[8]. Come si vedrà nel capitolo a ciò specificamente dedicato, i riscontri rispetto a tali indicazioni sono stati solidissimi.

 

4 c 2 – La struttura informativa di apparati dell’intelligence statunitense operante in Italia.

Nell’affrontare un tema a cui le difese degli imputati hanno attribuito nel dibattimento enorme importanza[9], la Corte deve premettere che l’impostazione difensiva non può essere in alcun modo condivisa. Difatti l’accertamento del ruolo che Digilio assunse nell’ambito della struttura di intelligence statunitense è del tutto ininfluente nella definizione delle responsabilità penali degli imputati per il delitto di strage contestato.

Per questo, pur apparendo indispensabile ricostruire il quadro di quelle dichiarazioni, è necessario delimitare l’incidenza che la descritta struttura svolse nell’attività stragista riferita da Digilio e riconducibile ai gruppi di ON del Veneto.

Secondo un’affermazione ricorrente nelle arringhe dei difensori, le dichiarazioni di Digilio sul suo ruolo di informatore dei servizi di sicurezza statunitensi rappresenterebbero la prova che costui è un mentitore al quale non si può mai credere, perché se uno mente su questa cosa può mentire su qualunque cosa[10]. Questa affermazione è frutto di un’interpretazione delle regole e della funzione del processo condizionata dalla più volte ricordata prospettiva difensiva, secondo la quale se si accerta che Digilio ha mentito su temi così importanti delle sue dichiarazioni, allora deve ritenersi che abbia mentito su tutto.

Così non è.

Non è vero che in questo processo la qualità di agente (rectius informatore) di Digilio sia il centro motore delle sue rivelazioni. Non è vero (o quanto meno è del tutto irrilevante in questo processo) che l’obiettivo politico delle rivelazioni di Digilio sia stato la definizione dell’organizzazione di intelligence statunitense in Italia. Non è corretto affermare che se cade la ricostruzione del collaboratore su tale rete informativa, le indicazioni sugli attentati del dicembre 1969 si dissolvono nella menzogna.

Come più volte ricordato, in questo processo non è mai stata persa di vista l’unica funzione che la legge conferisce al giudice, accertare se i fatti contestati agli imputati siano stati provati attraverso le regole processuali imposte dall’ordinamento. La vicenda della rete informativa statunitense non costituisce il presupposto necessario di alcuna delle ricostruzioni compiute da Digilio, tanto meno di quelle relative ai fatti contestati in questo processo, perché se anche si giungesse ad escludere (o perché la si ritenga menzognera ovvero perché si accerti la mancanza di riscontri estrinseci al dictum del collaboratore) l’appartenenza dello stesso (insieme a Bandoli, Minetto e Soffiati) alla rete informativa statunitense, i cui referenti sarebbero stati Carrett e Richards, le dichiarazioni rese da Digilio sul coinvolgimento di Maggi e Zorzi nei fatti eversivi del 1969 e in particolare nella strage di piazza Fontana dovrebbero comunque essere valutate secondo gli ordinari parametri di attendibilità, il mancato riscontro delle prime circostanze non negando logicamente la veridicità delle seconde.

Ciò premesso, il lavoro di ricostruzione di questa parte delle dichiarazioni del collaboratore sarà lungo e complesso, coinvolgendo profili diversi della struttura informativa cui Digilio ha affermato di aver fatto parte e rapporti intrecciati tra alcuni personaggi individuati dal collaboratore.

La ricostruzione della rete informativa statunitense è stata compiuta da Digilio nell’udienza di incidente probatorio del 10.3.1998, dove egli ha da principio definito il suo ruolo in quella struttura, per poi indicare gli altri esponenti della destra eversiva che svolsero funzioni analoghe alle sue. Sulla prima parte del racconto del collaboratore, il controesame è stato lungo e approfondito, atteso che i difensori hanno indagato su circostanze specifiche del rapporto tra Digilio e David Carrett; per contro, le domande sulla consistenza della struttura informativa sono state più contenute, evidenziandosi solo nelle arringhe difensive i profili di inattendibilità tratti dalla valutazione complessiva del materiale probatorio.

 

4 c 2 a – La collaborazione con i servizi di sicurezza statunitensi del padre del dichiarante, Michelangelo Digilio.

Digilio ha sinteticamente descritto il ruolo assunto dal proprio padre nella struttura di intelligence statunitense attivata in Italia nella parte conclusiva del secondo conflitto mondiale. L’origine di quel rapporto è stata collocata in un’azione di guerra cui Michelangelo Digilio partecipò intorno al 1943, quando, mentre si trovava di stanza in Grecia nei reparti della Guardia di Finanza, protesse l’attracco e lo stazionamento di un sommergibile statunitense nel porto di Salonicco, a bordo del quale si trovava l’ufficiale della Marina statunitense David Carrett, con il quale Digilio strinse un rapporto di amicizia e di collaborazione nel servizio di intelligence[11]. Nell’esame dibattimentale, il collaboratore ha confermato sostanzialmente l’episodio, precisando che quel salvataggio fu determinato dal bombardamento in atto da parte dei tedeschi dell’isola di Creta, che indusse il padre (anche con la collaborazione di partigiani greci) ad aiutare il sommergibile a bordo del quale si trovavano Carrett e un gruppo di ufficiali inglesi, a riparare nel porto del Pireo[12] A seguito di tale azione di collaborazione con gli alleati (mentre ancora apparteneva alle forze militari italiane) Michelangelo Digilio aderì alla resistenza antifascista, e in particolare alla brigata Biancotto di Venezia, un reparto della resistenza di ispirazione cattolica (Digilio l’ha definita democristiana) che aveva l’obiettivo di evitare spargimenti di sangue tra partigiani ed alleati nella fase conclusiva del conflitto[13]. Nell’esame dibattimentale Digilio ha soggiunto che, dopo l’8 settembre 1943, il padre rientrò in Italia e contattò a Trieste un ufficio speciale della CIA[14], ove assunse quel ruolo di “doppiogiochista” che si concretizzò nella permanenza presso i reparti della Guardia di Finanza[15] e nella contemporanea collaborazione con la brigata Biancotto, attività svolta tra il 1944 e la Liberazione[16].

In entrambe le udienze il dichiarante ha indicato il nome con cui il proprio padre operava nella struttura di intelligence statunitense, cioè Erodoto[17].

Queste indicazioni sono state sostanzialmente confermate nel controesame condotto dalla difesa Zorzi[18], nel corso del quale l’unico elemento di contestazione rivolto a Digilio ha riguardato la circostanza che l’attacco dei tedeschi all’isola di Creta, che determinò la necessità dell’intervento di salvataggio di Michelangelo Digilio, avvenne nel 1941 e non nel 1943. Sul punto il difensore di Zorzi e quello di parte civile hanno reciprocamente e logicamente contestato la dedotta incompatibilità tra l’episodio descritto e l’attacco dei tedeschi ad una base inglese, perché la difesa Zorzi lo ha collocato nel 1941 a Creta, il difensore dell’accusa privata in epoca successiva a Cefalonia. Nella stessa udienza Digilio ha rettificato quanto dichiarato il 16.6.2000, precisando che Carrett non era all’epoca il comandante del sommergibile ma doveva solo occuparsi della buona riuscita dell’operazione[19]. Infine, all’udienza del 14.7.2000, la difesa Zorzi ha contestato il contrasto tra l’indicazione del porto di attracco del sommergibile (Salonicco in uno caso, il Pireo nell’altro) compiuta da Digilio in due interrogatori[20] e questi ha confermato l’ultima dichiarazione.

Sotto il profilo della logica interna del racconto, le contestazioni formulate dalla difesa Zorzi non appaiono tali da inficiare l’attendibilità del collaboratore, atteso che in almeno tre occasioni (e si deve ritenere anche in precedenza nel corso delle indagini preliminari), a distanza di oltre due anni l’una dalle altre, Digilio ha ricostruito negli stessi termini la vicenda, modificando solo il luogo ove il sommergibile sarebbe stato ricoverato ed  incorrendo nella contestazione logica relativa all’anno in cui si verificò l’episodio. La valutazione di inconsistenza delle osservazioni critiche svolte dalla difesa si fonda essenzialmente su una circostanza, decisiva nella verifica dell’episodio, che cioè il dichiarante lo apprese dal padre come racconto di un’esperienza della sua vita passata. Digilio ha, infatti, dichiarato che solo alla metà degli anni ’60, quando conobbe personalmente David Carrett, il padre descrisse quella vicenda, verificatasi oltre vent’anni prima[21]. Ancora dovevano trascorrere altri trent’anni prima che il dichiarante riferisse all’autorità giudiziaria l’episodio. Queste circostanze rendono del tutto giustificato l’errore su qualche particolare o qualche indicazione apparentemente contraddittoria (Salonicco o Pireo, Creta o Cefalonia o qualsiasi altra località oggetto di attacchi bellici). E’ del tutto irrilevante nella valutazione di attendibilità dell’episodio accertarne la compatibilità con eventi storici introdotti nel processo dai difensori al solo fine di evidenziare l’inaffidabilità del dichiarante, il quale non ha mai ricondotto i fatti appresi dal padre agli eventi contestatigli dalle difese.

In sostanza, i parametri di costanza, coerenza nella narrazione, logica interna del racconto con riferimento a questa parte di dichiarazioni del collaboratore hanno trovato un riscontro positivo, non inficiato dai marginali elementi di contraddizione rilevati nella trattazione.

Ma la questione più rilevante sul tema dell’appartenenza di Michelangelo Digilio alla rete informativa statunitense è verificare non solo se quell’episodio sia intrinsecamente logico, quanto piuttosto se siano stati acquisiti elementi di riscontro su quella vicenda, cioè i rapporti del padre del dichiarante con i servizi di sicurezza stranieri.

E su questo profilo della verifica di attendibilità deve affermarsi senza tema di smentita, che nel processo sono stati acquisiti alcuni univoci indizi di prova circa il ruolo assunto da Michelangelo Digilio negli anni conclusivi del secondo conflitto bellico e in particolare nel periodo 1944-1945.

E’ stato il maggiore Giraudo a riferire alla Corte gli accertamenti compiuti, che, per la significativa capacità di sintesi dimostrata dal teste, è opportuno riportare integralmente:

P.M. - Per quanto riguarda la persona di Digilio Michelangelo che cosa avete accertato?

T. - Parecchio. Parecchio ed interessante, anche. Dunque, vado alla annotazione quella che noi chiamiamo annotazione base.

P.M. - Quella dell'8 maggio '96?

T. - Quella dell'8 maggio '96, esatto Dottore. Digilio Michelangelo, pagina 7 infatti del primo capitolo. Dunque, innanzitutto presso il comando generale - qua leggo abbastanza perché è molto importante - della Guardia di Finanza 3 aprile del 1996 acquisiamo il fascicolo personale di Digilio Michelangelo, chi è Digilio Michelangelo? Solo, così, per ricordarlo, è il papà del collaboratore, dal quale viene ereditata la professione nel campo informativo. Allora, Digilio Michelangelo, dal documento della Guardia di Finanza rileviamo che non venne sottoposto a giudizio di epurazione, quindi al giudizio di discriminazione -  tutti coloro che hanno operato per la Repubblica Sociale Italiana, o per le forze che hanno perso, poi finita la seconda guerra mondiale vennero sottoposti a un giudizio di discriminazione -, "Perché pur avendo prestato - leggo testualmente, testualmente  non nel senso che leggo quello che ho scritto, testualmente nel senso che è quello che è scritto sul documento - giuramento alla R.S.I. - alla Repubblica Sociale Italiana - ha svolto attiva azione patriottica nel periodo cospirativo", quindi nel periodo in cui era in atto in Venezia attività partigiana. Nel fascicolo è anche presente una relazione di tale Lorenzi Erminio, partigiano veneziano, diretta al Capitano Coccon, Comandante della piazza militare di Venezia, che costui autentica la firma del Lorenzi. E` interesse, "Il capo partigiano afferma che - leggo nuovamente testualmente - nonostante difficoltà inaudite e pericoli continui per la sua particolare situazione di militare",  è importante questo, cioè stiamo parlando di uno che sta facendo l'agente doppio, cioè sta lavorando per la Repubblica sociale italiano e nello stesso tempo fornisce informazioni sul naviglio tedesco, quindi è un agente doppio. "Nonostante difficoltà inaudite e pericoli continui per la sua particolare situazione di militare egli compì magnifiche opere di sabotaggio in tutti gli uffici in cui poteva operare, ed in particolare modo nel suo specifico, quale comandante di reparto che prestava servizio in porto. Durante tutto il periodo che va dal settembre '43 all'aprile '45 il Digilio mi ha sempre fornito instancabilmente importanti ragguagli sul movimento tedesco, che poi comunicavo agli interessati del movimento partigiano. Il Digilio ha inoltre fornito ingenti quantità di armi e di munizioni, che occultò durante detto periodo, con infiniti rischi, e che ha messo poi a disposizione nelle giornate dell'insurrezione", attenzione eh. Cioè, l'acquisizione delle armi precede il periodo dell'insurrezione, momento in cui anche le forze tedesche sono allo sbando, allo sbaraglio, hanno l'attività partigiana che è incalzante e quindi hanno tutt'altro a cui pensare che verificare cosa fanno i propri sottoposti. Cioè, ci sta dicendo chi scrive che l'attività è stata fatta in periodo calmo, quindi nel massimo del rischio. "Nei giorni dell'insurrezione assumendo egli stesso il comando - quindi è confermata l'informazione di Digilio 'mio padre fu comandante partigiano -  dei suoi uomini e dei patrioti della brigata Biancotto - Biancotto perché erano partigiani bianchi, era l'orientamento  poco - che operava nella giurisdizione del suo reparto". Allora, poi altro importante è questa cosa, estremamente importante, la Finanza su questo si è sempre distinto, hanno dei fascicoli che sono favolosi, veramente conservano... a differenza anche di noi, conservano veramente... Allora, è stata trovata una scheda del "comitato nazionale di liberazione dell'alta Italia, corpo volontari della libertà, comando militare della piazza di Venezia", tessera numero 00251 - in originale, non fotocopiata -, rilasciata il 28 aprile 1945, rilasciata al tenente Digilio, firmata per il comitato dal comandante Abe della brigata Biancotto. La cosa importante, sul retro il tesserino è controfirmato dal Capitano Ivo Borri, è anche presente una scritta in lingua inglese "del PWB all'ottava armata",  quindi all'armata alleata angloamericana, dove si afferma che "il titolare è impiegato nella sezione notizie del PWB, e ha il permesso di andare a casa dopo il coprifuoco". Noi scriviamo, poi vi spiego perché, "questo documento  attesta che il Digilio Michelangelo nel 1945 assolse compiti informativi per gli alleati" perché? Perché il PWB è Psicological Warfar Board, cioè l'ufficio che si occupa della guerra psicologica, e all'interno di questo ufficio il Michelangelo stava - lo dice chi lo rilascia il tesserino - nella sezione notizie. Evidentemente doveva potersi muovere dopo il coprifuoco perché non poteva certamente... l'attività informativa più interessante è quella che si svolgeva oltre il coprifuoco, per vedere chi altri si muoveva quando non doveva muoversi. Allora, altra dimostrazione dell'agente doppio è la tessera numero 60 che attesta che Michelangelo Digilio appartenne al gruppo Mazzini - un altro gruppo partigiano - sin dal 27 maggio del '44, con il grado partigiano di comandante militare. Allora, relazione dattiloscritta del 24 agosto '45 ci dice che "Egli ha giurato fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana" perché? Testuale "Perché consigliato dagli esponenti del comitato di resistenza per continuare ad assolvere la delicata missione affidatami", che è poi riscontrata dalla dichiarazione che abbiamo letto in precedenza, è chiaro? Altro di interesse, altre due cose di minore interesse però comunque penso che vadano dette, il Digilio disse che lui eredita il nome "agente Erodoto" dal padre  che si chiamava a sua volta "agente Erodoto" come criptonimo, e dice che ciò derivava dal fatto che il padre aveva combattuto in Grecia e questo è vero, perché lui è partito da Trieste per la Grecia il 17 settembre del '41 ed è rientrato dalla Grecia nel '43. Poi, altra cosa importante, questa si legge nel libretto personale, cioè dove vi sono le osservazioni sul militare, è una caratteristica dei militari, il nostro libretto, vi sono le osservazioni dei nostri superiori sulla base dei quali viene espressa una qualifica, un giudizio. Allora, l'importante è "Il revisore, Colonnello Comandante Del Chicca Geraldo attesta che l'azione di comando del Digilio - testuale - in qualche occasione non si è dimostrata sufficientemente energica, nella sua tenenza si sono verificati diversi casi di diserzione", ovviamente non credo che colui che lavorava per i partigiani e la pensava diversamente facesse tanta opera di convincimento verso i propri addetti, quindi per noi è significativo che vi fosse questo numero di diserzioni superiore rispetto ad altri comandi.[22].

La precisione delle indicazioni fornite da Giraudo rende superfluo qualsiasi commento sulle specifiche circostanze accertate, apparendo sufficiente rilevare come le indicazioni del collaboratore sull’attività informativa svolta dal proprio genitore sin dal settembre 1943 siano state riscontrate puntualmente nella documentazione relativa alla collaborazione di Michelangelo Digilio nell’interesse degli alleati tra il rientro in Italia dalla Grecia e la Liberazione. Giraudo ha correttamente valutato gli accertamenti compiuti, in forza dei quali dedusse l’attività di “doppiogiochista” svolta da Michelangelo Digilio negli anni precedenti alla caduta del fascismo e del nazismo: questi giurò fedeltà alla RSI, ma solo perché a ciò indotto dagli esponenti della Resistenza, affinché potesse continuare ad assumere le informazioni sulle attività dei militari tedeschi e delle forze armate repubblichine; appartenne alle forze della Resistenza, aderendo prima al gruppo Mazzini (a partire dal 27.5.1944) e, a cavallo della Liberazione, alla Brigata Biancotto, di ispirazione cattolica; in questo periodo svolse compiti di informazione nell’interesse degli alleati e fu impiegato nella sezione notizie del  PWB, il Psicological Warfar Board, cioè l'ufficio che si occupava della guerra psicologica per conto delle forze alleate anglo-americane; in considerazione di tale ruolo, era autorizzato a non rispettare il coprifuoco.

Nel controesame del capitano Giraudo, la difesa Zorzi ha introdotto due circostanze (peraltro mai richiamate nel prosieguo del dibattimento) finalizzate evidentemente a smentire la valenza di riscontro degli accertamenti compiuti dall’ufficiale di polizia giudiziaria. Giraudo ha risposto alle domande dei difensori, affermando che individuò il comandante della brigata Biancotto (il noto comandate Abe), il quale escluse di aver mai sentito nominare Michelangelo Digilio. Nel corso delle arringhe non è stata richiamata la deposizione di Giuliano Lucchetta (alias il comandante Abe), ma anche a voler ritenere che questi potesse conoscere tutti i partigiani della sua brigata, il mancato ricordo del nome di Digilio (circostanza che peraltro non inficia l’accertamento documentale compiuto dallo stesso Giraudo riguardante l’effettiva militanza del padre del collaboratore in quella brigata partigiana) , conferma logicamente più che smentire i rapporti dello stesso con le strutture di intelligence militari statunitensi operanti in Italia negli ultimi anni della guerra, perché quel documento si riferirebbe ad attività che Michelangelo Digilio svolse clandestinamente.

La seconda circostanza riguarda il significato della sigla PWB, apposta nel documento appena richiamato. Giraudo ha risposto alla domanda della difesa affermando che quella sigla potrebbe avere due significati. Questo è il passo integrale del controesame:

T. - Phsycological Warfare Brunch (?).

AVV. FRANCHINI - C'è anche un'altra lettura possibile di questa sigla?

T. - Phsycological Welfare Brunch.

AVV. FRANCHINI - Che vuol dire?

T. - Benessere.

AVV. FRANCHINI - Sezione benessere?

T. - Esatto, come se fosse una sezione benessere.

AVV. FRANCHINI - E che differenza c'è?

T. - L'una attiene al tempo di guerra, l'altra attiene al tempo di pace.[23]

La risposta di Giraudo non smentisce l’affermazione compiuta nel corso dell’esame, perché è evidente che quella sigla, riferita ad un organismo militare che operava in Italia nel periodo bellico (l’attestazione è contenuta in un documento rilasciato pochi giorni dopo la Liberazione), in base alle dichiarazioni del teste, può essere riferita esclusivamente all’ufficio della guerra psicologica e non certo a quello del benessere. Poiché una tale interpretazione è stata solo prospettata dalla difesa Zorzi, senza essere ripresa in alcun altra parte del dibattimento, queste sintetiche osservazioni logiche appaiono sufficienti per chiudere l’argomento.

Nel corso delle arringhe la medesima difesa ha ribadito le questioni già affrontate sulla collaborazione di Michelangelo Digilio, affermando che gli elementi offerti dal collaboratore erano stati smentiti dagli accertamenti storici relativi agli ultimi anni della seconda guerra mondiale. La ricostruzione difensiva si fonda su un’interpretazione delle dichiarazioni di Digilio secondo la quale questi avrebbe descritto una successione logica e cronologica di eventi che invece il collaboratore non ha mai riferito. Così l’operazione di salvataggio del sommergibile a Creta è stata collocata dalla difesa nel maggio 1941 (data dell’invasione tedesca dell’isola), ma è evidente che l’episodio descritto da Digilio non può coincidere con l’evento storico citato perché sia la presenza di Michelangelo Digilio in Grecia, sia l’ingresso in guerra degli Stati Uniti è successivo al 1941. Quella difesa ha ricollegato un episodio descritto dal collaboratore ad un determinato evento storico, senza che tale collegamento fosse stato mai compiuto, per cui la dedotta incompatibilità si fonda su un presupposto non accertato, cioè che l’operazione descritta da Michelangelo Digilio al figlio si fosse verificata in occasione dell’invasione dell’isola di Creta da parte dei tedeschi.


[1] La difesa Zorzi (u. 8.6.2001, p. 92) ha definito Digilio un esempio di scuola di incostanza, incoerenza e contraddittorietà nella propalazione delle dichiarazioni, ma quell’affermazione  è stata poi riferita agli specifici argomenti riferiti dal collaboratore, per cui anche la Corte affronterà in questa prospettiva le dichiarazioni.

[2] Si è già riferita la definizione di Digilio come componente occulto del gruppo, su cui si tornerà in altra parte di motivazione.

[3] Digilio ha descritto il ruolo di Maggi e Romani in molte parti del suo esame, per cui è impossibile richiamare tutte le specifiche indicazioni a tali personaggi, che comunque sono stati definiti come i punti di riferimento del gruppo anche nei rapporti con i gruppi di Mestre, di Verona, di Milano.

[4] Digilio, u. 22.6.2000, p. 7

[5] Digilio, u. 9.6.2000, pp. 130-131.

[6] Digilio, u. 15.6.2000, pp. 15-18.

[7] Su Siciliano, che Digilio ha sempre negato di aver conosciuto – Digilio, u. 5.7.2000, pp. 53-56 – è stato indicato dal collaboratore come appartenente al gruppo mestrino solo in un’occasione, avendolo appreso da Zorzi in un incontro a Corso del Popolo, quando gli riferì che era stato costretto ad allontanare dal gruppo un giovane che aveva il vizio di bere e che successivamente seppe essere Siciliano (Digilio, u. 16.6.2000, p. 60).

[8] Digilio, u. 9.6.2000, pp. 124-129.

[9] In particolare la difesa Zorzi ha attribuito alla verifica di attendibilità di Digilio sul tema una rilevanza per certi versi superiore rispetto ai temi specifici che si tratteranno nel capitolo 10.

[10] La difesa Zorzi, u. 8.6.2001, p. 102, così compiutamente esprime la tesi della menzogna – che la Corte ritiene viziata dal principio di proprietà transitiva frequentemente criticato proprio dalla difesa Zorzi – “… perché se si ammettesse che Digilio ha messo insieme una catena interminabile di menzogne sulla sua qualità di agente, sul suo referente, che sono e costituiscono il centro motore delle sue rivelazioni e l’obiettivo politico che egli pone in campo rispetto a quell’organizzazione, si riconoscerebbe che è un mentitore al quale non si può mai credere, perché se uno mente su questa cosa può mentire su qualunque cosa

[11] Digilio, u. 10.3.1998, p. 3.

[12] Digilio, u. 16.6.2000, p. 35, ove l’indicazione del dichiarante è diversa rispetto all’incidente probatorio solo con riferimento al porto di attracco, nel primo caso Salonicco, nel secondo il Pireo.

[13] Digilio, u. 10.3.1998, p. 4.

[14] In effetti all’udienza del 10.3.1998, il dichiarante aveva correttamente parlato della OSS, cioè l’organizzazione di sicurezza da cui prese il nome la CIA.

[15] Digilio ha parlato della settima legione comandata dal colonnello Capolongo (u. 16.6.2000, p. 36)

[16] Digilio, u. 16.6.2000, p. 36.

[17] Digilio, u. 10.3.1998, p. 3 e u. 16.6.2000, p. 38.

[18] Digilio, u. 13.7.2000, p. 33, ha ribadito che il primo contatto del proprio padre con Carrett avvenne in occasione del salvataggio del sommergibile presso il porto del Pireo, compiuto in collaborazione con i partigiani greci intorno al 1943-1944.

[19] Digilio, u. 13.7.2000, p. 35

[20] Digilio, u. 14.7.2000, p. 5-6.

[21] Digilio, u. 16.6.2000, p. 35, ha dichiarato di aver conosciuto personalmente David Carrett il 4.11.1966 e di aver allora appreso la vicenda descritta.

[22] Giraudo, u. 15.12.2000, p. 155-160.

[23] Giraudo, u. 15.1.2001, p. 112.